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Autore: SallyLannister    01/08/2014    1 recensioni
Carter era un uomo insensibile e a tratti crudele. Non si curava del prossimo nemmeno per attimo, quando però nella sua vita accadde l'impensabile. Diverse vicende si abbatterono su di lui, rendendo la sua vita diversa da come in realtà il giovane aveva sempre voluto.
Questa è la storia di tradimenti, inganni, menzogne, crimini e sì, anche d'amore.
___ Dal Testo ___
[...] Pianse in singhiozzi mentre il ragazzo la guardava senza la minima espressione sul volto. Aveva visto tante donne piangere, lei era una di loro, non aveva nulla di particolare.
Senza degnarla di uno sguardo la lasciò sul letto a piangere e infilandosi un paio di pantaloncini si diresse verso la finestra, arrampicandosi per ritrovarsi sulle scale antincendio del palazzo.
Dopo vari istanti i singhiozzi cessarono e la porta di casa sbatté.
Carter trasse un lungo e intenso sospiro, finalmente era finito tutto.
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 8
 
 


Dell’accaduto non aveva raccontato nulla ad Aaron. Gli aveva celato ogni cosa, da cosa aveva fatto con quella ragazza fino alla notizia di Kim con il suo presunto figlio.  Non riteneva opportuno dover sbandierare ai quattro venti ciò che era accaduto, anche perché dicendolo al suo amico, avrebbe saputo anche Lexi e non aveva le forze per combatterla.
Lei avrebbe iniziato una guerra morale che proprio non gli andava giù, lo avrebbe additato come le persone più schifose e meschine al mondo, non che gli desse noia, ma non sopportava l’idea di sentire la sua voce gracchiante mentre lo rimproverava.
Il senso di colpa di ciò che aveva detto a Kim non lo aveva sfiorato nemmeno per un momento, come se non fosse successo nulla; si era perfino stupito che la ragazza lo avesse tenuto nascosto a suo padre, poiché quest’ultimo si comportava normalmente con Carter. Era soddisfatto che lei avesse capito che non aveva intenzione di prendersi cura di quel bambino.
Purtroppo però come Carter sapeva bene, le cose ben presto vennero a galla.
Era solo una mattina di metà Ottobre quando nell’officina fecero irruzione cinque forze dell’ordine.
Carter per un attimo tremò, ebbe paura che in qualche modo avessero scoperto il suo passato e che fosse spedito di nuovo a Mosca. Il pensiero di ritornare alla sua città natale lo fece sbiancare, ma era così privo di ogni sorta di emozione che lo nascose molto bene.
«Cavolo. Chi sa cosa è successo? » Aaron pronunciò quelle parole, lasciando il suo lavoro e avvicinandosi a Carter dopo che i poliziotti entrarono nell’ufficio di Josh.
«Non ne ho idea. Qualsiasi cosa sia, non mi riguarda. Basta che non mi sbattano per strada, devo pagare l’affitto. » Proferì con noncuranza, inabissando di nuovo la sua testa sotto la macchina che stava cercando di riparare.
Continuò il suo lavoro per vari istanti, ma fu disturbato da una voce profonda e roca che lo esortò a distaccarsi da quelli che erano i suoi compiti.
«Lei è Carter Blacknight? »
L’uomo uscì da sotto l’auto e vide in viso il poliziotto che aveva appena detto il suo nome. Cercò di nascondere il suo turbamento e ci riuscì bene. Si alzò da terra e pulendosi le mani sul pantalone ormai lercio, sostenne lo sguardo verde del suo interlocutore.
«Sì, sono io. »
Il poliziotto fece un cenno della testa e subito due gli si avvicinarono. Poggiarono le mani sulle sue spalle, costringendogli a piegare le braccia verso la schiena, in modo da riuscire ad ammanettarlo. Tutto ciò accadde sotto lo sguardo spaventato di Aaron.
«Ehi cosa state facendo?!» S’intromise Aaron portando le mani dinanzi a se, cercando di riuscire a fermare l’arresto del suo migliore amico.
«Non s’immischi signore o devo prendere provvedimenti. Carter Blacknight lei è in arresto per aver avuto comportamenti violenti e inappropriati. Qualsiasi cosa dirà senza la presenza del suo avvocato, sarà usata contro di lei in tribunale. » Ormai quel copione lo sapeva a memoria, così come l’effetto che facevano quelle spesse manette di ferro legate intorno ai propri polsi.
Merda. Era tutto ciò che riuscì a pensare. La sua espressione era impenetrabile, mentre uscì, notò l’espressione di disappunto e di delusione che il suo amico aveva stampata sul volto, insieme alla faccia sconvolta di Josh.
Quando uscirono in strada molti curiosi, si affacciarono a vedere la scena. Un normale meccanico che era deportato in una macchina della polizia, accompagnato con il suono delle sirene.
Adesso sì che era nella merda.
 
 
***
 
 

Il rumore della grata di ferro che si aprì non smosse Carter dalla sua posizione. Stava fissando il soffitto da ormai tre ore, non gli avevano nemmeno dato quella simpatica tutina arancione che per due anni a Mosca era stata il suo unico capo d’abbigliamento.
Dentro di sé girovagavano tante di quelle emozioni, rigorosamente negative. Quella lurida puttana di Jasmine lo aveva denunciato alle autorità, probabilmente avrebbe vinto anche la causa e lui sarebbe tornato in carcere. In un attimo si maledisse per quanto era stato sciocco. Cosa gli era saltato in mente? Un odio verso se stesso era tutto ciò che sentiva in quel momento. Non avrebbe sopportato di nuovo la reclusione, non poteva sopportarlo.
«Blacknight? Sono il detective Anderson. Volevo farle alcune domande. » Enunciò l’uomo che Carter ancora non aveva guardato in volto.
Egli non rispose alla domanda, limitandosi a guardare il soffitto bianco con chiazze nere, mentre digrignava i denti.
«Se collabora, verrà tutto più facile. » Continuò l’uomo, mentre si sentì una sedia strusciare sul pavimento. Si era portato dietro una sedia per un vero e proprio interrogatorio. Quei pensieri fecero sorridere Carter, era proprio tornato ai vecchi tempi.
«La faccio ridere Carter? » Domandò sempre il detective in attesa di una risposta.
Carter sbuffò e si mise a sedere, facendo leva con i gomiti. Una volta seduto, potette guardare il suo interlocutore; era un uomo abbastanza anziano con un elegante completo blu e una cravatta a scacchi dello stesso colore con inserzioni di bianco.
Fece schioccare la lingua e lo guardò con aria annoiata. Detestava gli interrogatori, trovandoli inutili e senza senso. Insomma a cosa servivano? Se eri arrestato perché loro già ti ritenevano colpevole, volevano solo pulirsi così la loro sporca coscienza.
«Andiamo dritto al sodo. » Pronunciò l’uomo con una finta aria da duro. Poggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia e si protese verso Carter. «Ho controllato la sua schedina penale. E’ più nera della pece. Lei ha già dei precedenti di violenza, non sulle donne certo, ma ha picchiato svariati agenti quando è stato arrestato a Mosca. »
«Ha scomodato il dipartimento di Mosca. Wow, la polizia davvero è efficiente qui. »
«Non credo che mettersi a scherzare giova alla sua situazione. »
«Non sto scherzando. Cerco solo di rimanere calmo. » Disse Carter tranquillamente con un sorrisetto sulle labbra.
«Carter, lei è stato riconosciuto da Jasmine Perkins per violenze e abusi sessuali. » Profferì l’uomo con un’espressione seria, muovendosi appena irrequieto sulla sedia. Forse aveva timore di Carter? Non era così stupido d’aggredire un poliziotto in centrale.
A quelle parole però, lui scoppiò a ridere. Quella risata era strana e quasi inquietante, ma il detective non si smosse nemmeno per un istante, restò a fissare l’uomo con quei suoi occhi marroni penetranti.
«Trova anche questo divertente? Mi dica, troverà divertente anche quando la sbatteranno in cella? »
«Ascolti, da quando in qua scopare è una violenza? » Carter si protese a sua volta verso l’uomo e lo guardò dritto negli occhi. Scoprì tante buone intenzione negli occhi di chi aveva difronte e quasi ne fu disgustato. Non era nemmeno lontanamente come la polizia di Mosca. Gli avevano quasi spezzato le ossa con i manganelli prima di portarlo in cella. Aveva dovuto fare il suo primo interrogatorio nella sala d’infermeria per farsi curare un taglio sul sopracciglio.
«La donna ha mostrato segni di violenza quando si è presentata in ospedale. Non l’abbiamo incastrata per sbaglio. Siamo sicuri del reato da lei commesso. »
In quella situazione non sarebbe uscito facilmente, doveva ammetterlo. Se pure avessero fissato la cauzione, poiché era un reato minore, sarebbe comunque stata troppo alta per farlo uscire. In un certo senso però, si sentì sollevato che oltre a menzionare il suo passato, non avessero trovato nulla per cui incastrarlo anche per ciò che tempo addietro aveva commesso.
«Ognuno ha le sue fantasie. Mi piace farlo in un certo modo. Non mi dica che lei non ha mai provato. » Si limitò a stringersi nelle spalle, guardando il detective Anderson con un sorrisetto malizioso.
«No, non violo le donne in quel modo. »
«Non sa cosa si perde. »
«Non sa con chi si è messo contro, Carter. »
L’uomo si limitò nuovamente a stringersi nelle spalle e mise fine a quel discorso. Si distese nuovamente sulla fredda panca di ferro della sua cella. Si portò entrambe le mani sugli occhi, facendo chiaramente capire che quel discorso per lui era concluso.
Probabilmente con quel comportamento avrebbe fatto stizzire l’uomo, ma lui rimase calmo e si limitò a rispondergli: «Eseguirò di tutto per farla rinchiudere in cella. Così la smetterà di fare lo sbruffone. Ci vediamo in tribunale. »
 
 
***
 
 

Il giorno dopo, ricevette l’unica visita che veramente ne valeva la pena, quella dei suoi amici.
«L’ho sempre detto che ti saresti cacciato nei guai. » Disse Lexi con quel suo tono odioso da chi aveva sempre ragione.
Entrambi erano venuti a trovare Carter in cella, portandogli degli abiti puliti. Gli avevano appena detto che l’udienza era fissata per il mese successivo e che lui sarebbe dovuto rimanere lì. Aaron e Lexi si astennero dal fare commenti, una volta che Carter ebbe raccontato la sua versione dei fatti, omettendo ovviamente il momento del suo istante di rabbia e di aver davvero approfittato della ragazza il mese prima.
Era già abbastanza per lui dover sopportare lo sguardo accusatorio di Lexi, per la questione di Kim e il bambino, l’uomo si stupì di non aver udito ancora la sua opinione, Aaron doveva averle detto di stare tranquilla e non fare l’odiosa. Ennesima cosa che aveva apprezzato del suo amico.
«Comunque testimonierò a tuo favore. » Pronunciò Aaron sottovoce, cercando di non farsi udire dalla guardia che era appostata fuori alla sua cella, nemmeno se fosse stato un serial killer.
«Non c’è ne bisogno. » Tagliò corto Carter che nonostante considerasse Aaron come un fratello, cercava in tutti i modi possibili di non aver nessun favore da restituire.
«Quando la smetterai di comportarti da coglione? Ti ha detto che ti aiuteremo ed è quello che faremo. Sarai anche uno stronzo, ma sei il nostro amico. » Pronunciò Lexi forte e decisa.
Per la prima volta Lexi aveva detto quella parole, facendo provocare in Carter un attimo di sollievo. Era davvero così, loro erano suoi amici e lui si stupiva giorno dopo giorno come avessero potuto fare amicizia con una persona del genere. Cercò di addolcirsi, anche se in effetti non ne era capace, non sapeva come fare per essere gentile così si limitò ad annuire e abbassare la testa.
La bionda a quel gesto guardò entusiasta Aaron, quasi con vittoria per fargli capire che finalmente aveva smosso un po’ il tenebroso uomo che ormai conoscevano da un paio di mesi.
Rimasero ancora un po’ a colloquiare; Aaron lo stava aggiornando sul lavoro, confessando all’uomo che Josh era molto adirato con lui. Bene, avrebbe perso anche il lavoro, ma al momento era una cosa che ci avrebbe fatto i conti più tardi, se e quando sarebbe uscito.
La guardia aprì la grata di ferro e fece cenno ad Aaron e Lexi di uscire. Entrambi salutarono il ragazzo, Aaron si azzardò perfino a dargli una pacca sulla spalla, che per altro Carter non ammise ma ne aveva davvero bisogno in quel momento.
Tornò a distendersi sul letto, cercando qualcosa da fare quando la porta si aprì di nuovo e questa volta vi ritrovò il suo capo.
Carter si mise immediatamente a sedere, sorridendo per chi aveva visto, anche se era stata un’idea alquanto discutibile poiché dietro di lui vi era Kim. Avvertì nuovamente quella morsa allo stomaco. In quel momento era davvero nella merda.
Lei aveva la faccia come se avesse pianto per ore, i suoi occhi verdi erano rossi e gonfi di lacrime, il trucco sbavato e la faccia impaurita. L’attenzione dell’uomo si spostò sulla pancia della donna, che era fasciata da una giacca di panno, ma riusciva appena a intravedersi. Josh invece, aveva un’espressione dura sul volto e non prometteva nulla di buono.
«Josh. » Carter si alzò andando incontro all’uomo che era rimasto in piedi davanti alla porta, non riuscì però a dire nient’altro che un sonoro pungo si abbatté in pieno viso di Carter facendolo sbattere contro il pavimento.
Okay, si era meritato quel pungo in un certo senso. Portò una mano sul viso e la vide coperta di sangue, gli aveva spaccato il naso. Quel caldo sangue si riversò sul suo viso, sentendolo scorrere sulle sue labbra e ne approfittò per leccarlo e sentire il suo stesso sapore. Era amaro, certo non poteva essere altrimenti.
«Me lo sono meritato. » Aggiunse ironicamente allargando le braccia, mentre un gemito sommesso venne dalla figura dietro alle sue spalle. Kim trasalì quando il padre si mosse ancora, con la paura che lo potesse colpire di nuovo.
«Sei un lurido figlio di puttana. Credevi di poterla scampare così? Non m’interessa cosa cazzo fai nel tempo libero, ma hai osato di mettere incinta mia figlia! » Sputò quelle parole con un’ira che Carter non gli aveva mai visto e che certamente non gli si addiceva.
Il ragazzo cercò di misurare le parole, cercando in ogni modo di non farlo adirare ancora di più. Non era la saggia decisione dire che non voleva il figlio che la ragazza portava nel proprio grembo.
«E’ stata lei. Io le avevo detto che non volevo essere il suo ragazzo. Se devi arrabbiarti con qualcuno prenditela con lei. » Rispose duramente, pulendosi il sangue che continuò colare dal suo naso, con il dorso del braccio, sporcando la maglietta che poco prima aveva ripulito.
«L’uccello e tuo. Non dovevi toccare la mia bambina. Lei è più piccola di te. Adesso ti assumerai le tue responsabilità. »
«Le ho già detto che non lo voglio. »
«Oh no, tu adesso te ne prenderai cura e basta. Ti assumerai le tue responsabilità, perché non ho intenzione di accudire una figlia e il tuo bastardo. » Si avvicinò a lui e per la prima volta lo tenne testa. Era livido in volto, gli occhi erano quasi fuori dalle orbite per quanto fosse adirato, una vena gli pulsava sulla tempia. Carter lo tenne testa, non aveva paura di uno come lui, non aveva paura di nessuno. Guardò dietro l’uomo e vide Kim in preda alle lacrime che cercava di tirare suo padre dalla maglietta.
«Papà di prego, non importa. Papà… »
«Zitta svergognata. Lui ti ha disonorata e adesso deve prendersi cura di te. »
«In verità… » Stava appena per dire che non era stato lui a “violare” la sua bambina, ma che lei aveva già avuto le sue esperienze ed era sicuro che fossero state più di qualche avventura.
Quelle parole gli si mozzarono in gola, poiché gli arrivò un altro pungo dall’uomo. Carter lo prese sullo zigomo questa volta, provocandogli un dolore così lancinante che ebbe paura di essersi lussato l’osso.
La guardia non accusò nulla, rimase impassibile a fissare il vuoto dinanzi a sé.
Giustizia di merda. Si ritrovò a pensare Carter, poteva anche prenderle di santa ragione, nessuno sarebbe accorso al suo aiuto.
«Ho pagato la cauzione. Tornerai a casa e affitterai casa con mia figlia. Accudirai vostro figlio, altrimenti ti giuro che testimonierò contro di te in tribunale. Dirò che hai abusato anche di mia figlia contro il suo volere.  Non metterti contro di me Blacknight. » Lo minacciò l’uomo puntandogli contro un dito ciccione.
Carter rimase senza parole, non voleva assumersi quella responsabilità. Pensava di averla scampata invece non era così. Sapeva che una volta che lui avrebbe testimoniato contro Carter, sarebbe stato rispedito a Mosca dove il suo destino sarebbe stato ancor peggio di accudire un bambino.
Quel pensiero gli provocò un ennesimo conato di vomito, che trattenne rimandandolo giù. Non doveva farsi vedere debole agli occhi del suo capo.
«D’accordo. Mi prenderò cura di… » Chiuse gli occhi e strinse i denti. Li riaprì dopo poco e guardò Kim che era rimasta stupefatta, spostando poi lo sguardo su Josh che lo fissava con l’odio stampato negli occhi. «Mio figlio. »
Josh fece un cenno con il capo e si avvicinò nuovamente al ragazzo per sussurrargli: « Per me sei uno stronzo e un masochista, ma ti conosco da troppo tempo per sapere che non sei stupido. La posta in gioco è alta e non ti permetterai di trattare male anche mia figlia, ecco perché andrò a tuo favore. »
Non rimase a sentire ciò che Carter aveva da dire che tirando con il braccio Kim, si diresse all’uscita che prontamente la guardia gli aveva aperto.
Carter rimase da solo all’interno della sua cella. Poteva uscire e presentarsi in tribunale il mese seguente. Con un po’ di fortuna l’avrebbe scampata, ma aveva perso in ogni caso. Doveva dire addio alla sua vita e prendersi cura della figlia del suo capo, doveva prendersi cura di un figlio che non voleva. Come era possibile che fosse stato così stupido da lasciare che accadesse, aveva sbagliato tutto, da quando aveva messo piede a NY.
Senza che ebbe il tempo di collegare nuovamente altri pensieri si piegò sul bagno che si trovava accanto al letto e vi vomitò all’interno.
Dopotutto, forse, sarebbe stato meglio morire.


                                     
 
   
 
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