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Autore: Nicky Rising    03/08/2014    5 recensioni
Come sarebbe se la realtà dei Guns che conosciamo oggi fosse sbagliata? Se il personaggio sempre circondato da mistero di Izzy non fosse in realtà tale perché morto alla fine del 1991?
E come reagirebbe Axl Rose a tutto ciò?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dopo la telefonata con Duff, quella notte alle tre, Slash si sentì una merda.
Semplicemente, alzò gli occhi verso lo specchio del bagno dal quale aveva chiamato il bassista (e dove si era anche fatto una dose circa un’ora e mezza prima), e incontrò, dopo diverso tempo nel quale era fuggito dal suo riflesso, due occhi scavati, che continuava a cercare di nascondere sotto alla perfetta posizione del cappello, che gli permetteva di vedere tutto senza farsi vedere dagli altri: appena aveva ideato quel nuovo stile, si era sentito proprio uno a posto, con del potere in mano, con un’aria misteriosa che avrebbe messo in difficoltà chi gli stava accanto, ma erano tutte stronzate.
Slash aveva paura. Paura che gli altri lo vedessero, che si accorgessero di come fosse in realtà, di mostrarsi per come era. E ora, tutta quella paura venne a galla, nel momento in cui incontrò i suoi stessi occhi. Era lui. Quello era lui. E non riusciva a realizzarlo: quell’uomo, scarno, magro, malato e fragile, gli sembrava un estraneo, uno sconosciuto, ma mai avrebbe potuto dire di essere lui, lo stesso che anni prima viveva solo di musica, quello che aveva finalmente trovato un modo con cui esprimersi e che si sentiva un dio in terra per esserci riuscito.
Si accorse che in quel momento non era nient’altro che un’inutile tossico, che stava buttando via una vita che tantissime persone gli invidiavano. Non poteva permetterselo.
Decise di compiere l’unica cosa che avrebbe in qualche modo dato di nuovo importanza a lui, come uomo, come amico, come persona: trovare Axl.

Uscì in quella fredda nottata di inizio dicembre, tanto sapeva già dove andare: i Guns erano stati soprattutto compagni di una folle avventura,  di uno stesso sogno, ma mai amici intimi. Qualche volta, però, in momenti di euforia o durante una semplice sbronza, a qualcuno veniva spontaneo aprirsi, così come aveva fatto Axl con Slash qualche anno prima, quando si era lasciato con Erin.
Gli aveva rivelato di essere rimasto due giorni in un vicolo di una strada centrale di Los Angeles, l’unico posto in cui le persone, troppo spaventate di trovare barboni, stupratori o tossici, non avrebbero mai messo piede. Era rimasto solo per così tanto tempo, ad allontanarsi dalla realtà, rimanendo immobile, con la testa fra le mani, a pensare, e basta.
Slash sapeva che il nascondiglio di Rose sarebbe stato simile anche questa volta.
Molti avrebbero preso il chitarrista come una persona superficiale, ma in realtà era un grande ascoltatore e quando qualcuno aveva bisogno di sfogarsi, lui c’era.
Axl l’aveva sempre capito. Ma in fondo quell’idiota capiva tutto, troppo velocemente, sempre. Dava sui nervi. Slash si era sempre chiesto come potesse una persona essere contemporaneamente sia uno stronzo colossale che un genio artistico, sensibile e incredibilmente intelligente.

Arrivato in centro, camminò veloce, evitando gli sguardi indiscreti dei personaggi pericolosi che si aggiravano per la città a quell’ora: anche lui in fondo era un personaggio pericoloso, ma non era proprio il momento per mettersi sotto una cattiva luce insieme agli altri.
Camminò per ore, dando un’occhiata in ogni vicolo che trovava dietro ai locali o nascosti tra i night club più cool della città: tra le altre cose ci trovò vecchi senzatetto intenti a spararsi qualcosa in vena, ragazzi ubriachi svenuti tra l’immondizia e una coppia intenta a darsi da fare in mezzo allo squallore, ai quali Slash augurò mentalmente una sana gonorrea, come minimo.
Erano quasi le nove quando si infilò in un’altra strada. Non era particolarmente stanco, durante il tragitto si era fermato due volte per tirare un po’ di neve, la quale gli aveva dato abbastanza carica per continuare. Piuttosto, stava iniziando a perdere le speranze, ma proprio allora, vicino ai cassonetti della spazzatura, riconobbe un corpo abbandonato a sé stesso, pallido, steso, apparentemente senza vita.
Si avvicinò lentamente, lo riconobbe e si accorse anche che respirava, a fatica. C’era una siringa per terra, Slash pregò un dio incerto che Axl non si fosse bucato. Se lo caricò sulle spalle e lo portò a casa dopo aver chiamato il suo autista.

E ora Duff era di là, con Axl. Il suo compito era stato svolto. Ora si sentiva di nuovo degno di vivere, un supereroe, colui che aveva risolto la situazione. Stronzate.
Riempito di emozioni quando aveva finalmente trovato il suo corpo, svuotato dalla situazione nel momento in cui Duff era entrato trafelato per andare dal cantante.
Li aveva guardati per un po’, il bassista così sconcertato dalle condizioni di Axl, lui perfettamente ignaro di tutto, beato tra i suoi sogni. Forse non così beato. Forse stava soffrendo. Come lui. Come Duff. Come chiunque. Stavano soffrendo tutti. Non lo sopportava.
“Scusa, non ce la faccio.. Io vi lascio, ok?”
“Ok, man, non preoccuparti..”
Gli aveva risposto Duff prima di avvicinare benevolmente la sua mano alla spalla del riccio, ma la  sua mente venne invasa solamente dalla paura.
Non. Doveva. Toccarlo.
Non sapeva bene perché. Semplicemente, temeva che un’altra parte di lui si fosse rivelata, questa volta al suo bassista, come prima si era mostrata a lui stesso quando si era guardato allo specchio. Lui non si era riconosciuto, non voleva spaventare anche Duff.
Forse, rimanendo un’ombra, non avrebbe causato problemi.
Uscì dalla stanza il più velocemente possibile.

Si chiuse in bagno, di nuovo. Non era cambiato assolutamente niente.
In un attimo, iniziò a pensare: si sentiva così vuoto ora mentre aveva ancora la sua band, come si sarebbe sentito se questa si fosse sciolta? Izzy non c’era più: le fondamenta così salde sulle quali si erano formati, erano appena crollate. Non c’era speranza.
 Izzy era come il pavimento. Quello che ognuno da per scontato, in fondo, chi cazzo ha mai visto una casa senza un pavimento. In realtà, però, se quello non ci fosse stato, non ci sarebbe niente sopra, non ci sarebbero i mobili, i muri, il tetto e nessuno ci potrebbe vivere. Eppure tutti i giorni ci si cammina sopra, lo si calpesta, si lascia vittima delle briciole, della polvere, dei graffi, dei pezzi di vetro di un’altra bottiglia caduta, frantumata. E il pavimento sopporta tutto. E non gli diciamo mai grazie. Mai.
E alla fine si distrugge. Per vendetta forse. E tu cadi nel vuoto.

Dopo più di un’ora passata a pensare, Slash sentì dei singhiozzi: Axl era l’unica checca che poteva piangere in quel modo. Si pentì subito di aver pensato una cosa simile. Aveva lo stesso tatto di un cantiere in mezzo a Central Park.
Aprì lentamente la porta dove si trovavano i due. Li trovò dolcemente abbracciati, l’uno a cullare l’altro. Gli ricordò il momento in cui li aveva trovati così nelle stanze sul retro della chiesa dove avevano celebrato il funerale di Izzy.  E come allora, lì invidiò.
Duff alzò la testa.
Axl smise di piangere, si ricompose lentamente, come se ogni gesto gli costasse una fatica enorme.
Per un attimo nella testa del chitarrista balenò un pensiero, “Tutta scena.”. Lo scacciò via il più velocemente possibile.
Si avvicinò e si sedette vicino al cantante.
“Che facciamo adesso?”
Axl tirò su col naso e rimase a guardare indeciso il pavimento.
Finalmente qualcuno che gli dà attenzioni. Fottuto pavimento. Slash l’aveva sempre detto che Axl capiva tutto.
Senza alzare lo sguardo disse:
“Non può finire”.
“Non può.”
Aggiunse Duff annuendo piano.
“Quindi?”
Slash voleva chiarezza. Per una volta. Forza. Niente discorsi a metà, niente stronzate.
“Quindi adesso ci alziamo da questa merda e andiamo a cercare un chitarrista.”
Duff  guardò Axl sgranando gli occhi. Il cantante ricambiò lo sguardo e accennò un debolissimo sorriso, che fece scorgere un minuscolo lampo di speranza.
Anche Slash lo vide, e si accorse di quanto quella persona potesse essere speciale.
Alla fine, dipendeva tutto da lui. Nessuno di loro aveva mai brillato di tecnica, a nessuno fregava un cazzo. Axl aveva un’estensione vocale di cinque ottave e mezzo. Suonava il pianoforte e la chitarra. Componeva canzoni, scriveva testi, era carismatico e voleva arrivare al successo.
Nessuno di loro era mai stato così motivato. Nessuno. E per quanto tutti avessero provato a gettargli addosso merda, tutti sapevano dentro di loro che quel ragazzo era un genio.
E se Izzy era il pavimento, lui era tutto il resto della costruzione.

“Dobbiamo fare qualcosa, dove cazzo è Axl?”
“Ha detto di iniziare.. Che lui arriverà..”
“Ah, certo, ci trasferiamo vicino all’Indiana per lui e Izzy e guarda un po’, nessuno dei due è qui. Che cazzo di merda è?!”
“Izzy si è appena ripulito, abbi un po’ di comprensione”
“Mi sono rotto il cazzo di questa comprensione. Sono settimane che siamo qui. Dobbiamo pubblicare un fottuto album. Come se non fossimo abbastanza per Axl. Come se facessimo qualcosa di sbagliato. Steven mi sono rotto il cazzo, voglio farmi una dose.”
“L’ho finita prima, scusa man..”
“E la coca?”
“Ne ha un po’ Duff nella giacca, aspetta”
“Mi chiedo che cosa dobbiamo fare perché quel fottuto cantante isterico ci degni della sua regale presenza del cazzo.”
“Boh, chi lo capisce quello. Aspetta cosa fai, non tirarla tutta..”


“Scusa”
Axl si voltò verso il riccio. Stupito delle sue parole.
“Per cosa?”
Alzò le spalle in risposta, ricambiò il sorriso.
“Perché non capiamo mai un cazzo..”
Axl gli mise un braccio sulle spalle.
“Izzy sarebbe felice, di vederci così, adesso.”
Duff parlò piano, incerto, ma tutti sentirono e questo ampliò i loro sorrisi.
“Penso di sì”
Aggiunse il chitarrista.
“Io ne sono certo, invece”
I due si voltarono verso Axl, un po’ scettici, un po’ stupiti.
Lui rispose con occhi persi.
“Me l’ha detto.”
  
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