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Autore: sheishardtohold    05/08/2014    7 recensioni
“Everyone thinks / that I have it all / but it’s so empty / living behind this castle walls” Regina barcolla lungo il cornicione del terrazzino. Un piede dietro l’altro – la testa si muove seguendo il ritmo delle braccia che oscillano nel vento. Non si sporge mai a guardare di sotto – tiene gli occhi chiusi.
Spinge fino all'estremo il suo corpo, sfida la sua magia. Crede che, mettendosi in una situazione di pericolo, tornerà a salvarla.
“Sembra una canzone molto triste” la voce di Robin alle sue spalle.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nove mesi dopo.

Quando Robin sente un rumore alle sue spalle, si volta di scatto. I suoi occhi si perdono per un istante in quelli di Regina – sul volto, l’espressione di una che è appena stata scoperta.
“Regina” le urla nel tentativo di fermala. Corre – lui le corre dietro, sotto agli occhi di tutta Storybrooke.
“Regina” urla di nuovo, ma lei si è già chiusa la porta alle spalle. Regina, col fiatone, si lascia andare lungo la parete facendo scivolare dalle dita le chiavi. Robin sbatte con forza i pugni contro la porta.
“Regina, apri per favore” scioglie i pugni, appoggiando i palmi delle mani e la fronte sulla porta. Resta così, in ginocchio, per un po’, a supplicarla di uscire - resta in silenzio. Regina soffoca col lembo della maglietta i singhiozzi.
 

 
“Regina” l’afferra per un braccio costringendola a voltarsi.
“Lasciami” gli risponde come una bambina, togliendogli con la forza la mano. Continua a camminare.
“Ti devo parlare”
“No”
“Regina, ti devo parlare”
Non risponde.
“Puoi fermarti un attimo che ti devo parlare?” il tono si fa sempre più acuto, mentre la blocca nuovamente per il braccio.
“No” urla, spingendolo all’indietro. “Non mi devi toccare” fa un passo verso di lui per minacciarlo, poi gli dà nuovamente le spalle, riprendendo a camminare.
“È per Roland..” abbassa la voce.
Regina si ferma – si volta, gli regala un’occhiata truce. Adesso ha raggiunto il limite, pensa.
“Di tutte le cose che potevi dire, questa è decisamente la più schifosa” Robin prova a controbattere, ma lei ormai è partita in quarta. Lo vede da come gli punta addosso il dito, da come muove la bocca, da come si avvicina a lui. “Non sai più come attirare la mia attenzione? Non hai più argomenti?”
In realtà, Regina non aveva mai dato l’opportunità a Robin di tirare fuori un argomento – l’aveva evitato sempre.
“Regin-”
“No” pausa. “Lascia stare i bambini” il suo indice finisce sul petto di Robin, facendo pressione.
Dolcemente, l’afferra per i polsi, abbassandoglieli lungo i fianchi.
“Regina” le accarezza col pollice il dorso della mano. “Roland ha davvero bisogno di vederti”.
Regina non dice nulla. Abbassa lo sguardo e si concede qualche istante per trovare la forza per staccare le mani da quelle di Robin.
“Va bene” comincia a ritrarle. “Domani vado a prenderlo a scuola”.
Poi se n’era andata, lasciandolo in mezzo alla strada. A guardarla. Mentre si allontanava.
 
-
 
Sbuffa, prima di rialzarsi in piedi. Anche oggi è rimasto appeso alla porta di Regina.
Testa bassa, mani in tasca - cammina veloce per le strade di Storybrooke con una meta ben precisa in mente.
Quando varca la soglia di Granny’s, Tinkerbell sta appollaiata su uno sgabello, sorseggiando il suo cappuccino.
“Posso?” le chiede, appoggiando la mano sullo sgabello che sta di fronte alla fata.
“Robin!” esclama lei con stupore, per poi fare cenno di “sì” con la testa e mettersi a sedere in modo composto. “Qualcosa non va?”
“È.. Regina” abbassa la testa.
“Robin, ne abbiamo già discusso mille volte”
“Lo so, è ch-”
“Non posso farle continuamente pressione”
“Non si tratta di convincerla. Devi solo aiutarmi” le prende le mani tra le sue – gli occhi pieni di disperazione. “Ti prego”
“Va bene. Cosa vuoi sapere?”
Robin resta qualche istante in silenzio a pensare a come chiederglielo. In realtà non sapeva neanche lui perché era tanto importante parlare di quella notte, ma qualcosa nella sua testa gli diceva che la soluzione stava lì – il modo per convincere Regina stava in quella notte alla locanda.
“Devi raccontarmi della storia del tatuaggio”
“Ancora?” esclama Tinkerbell shockata. Era la milionesima volta che ne parlavano.
 “Tink, davvero. Non te lo chiederei se non fosse importante”
La fata sbuffa, lo guarda. Per un attimo Robin crede che lo odi, poi comincia. “È stata la sera del solstizio – la sera in cui le fate festeggiavano l’arrivo dell’estate, che ho portato Regina alla locanda” alza gli occhi su Robin. “Me lo ricordo bene. Il giorno dopo avrei perso le mie ali” resta un secondo in silenzio e poi scuote la testa. “L’ho portata davanti alla locanda. Le ho indicato l’uomo a cui era destinata – il braccio col tatuaggio a forma di leone. Le ho detto che quella era la sua seconda chance e lei mi ha risposto che poteva farcela, che poteva amare ancora qualcuno”
“Poi te ne sei andata e lei è scappata” conclude Robin, appoggiando pesantemente la testa al tavolo. Sospira.
“Mi spiace, Robin”
“No, Tink. Ci dev’essere qualcos’altro – un dettaglio, un gesto che ha fatto. Non lo so” scuote la testa, passandosi le mani sul viso. “Com’era vestita?”
Tinkerbell alza un sopracciglio come a chiedergli “davvero?”, ma guardando meglio la sua espressione si accorge che no, lui non sta scherzando. “Aveva un vestito bianco” gli occhi di Tinkerbell incrociano lo sguardo di Robin. “Sai quante persone hanno un vestito bianco?” gli urla dietro, mentre lui ormai è già fuori dalla porta.
 
Socchiude la porta alle sue spalle, tentando di fare meno rumore possibile e poi sgattaiola per la stanza.
“Robin, sei tu?” la voce di Marian è un richiamo lontano.
Beccato, pensa, sbuffando. Non le risponde – cerca di prolungare il più possibile il momento in cui Marian lo riempirà di domande a cui non saprà come rispondere senza cadere nell’ennesima lite.
“Robin, ti ho chiamato. Non mi hai sentito?” Robin alza lo sguardo su Marian. L’ultima volta che entrando in casa non le ha risposto, al suo “mi sono preoccupata”, lui si era lasciato sfuggire un “chi pensavi fosse, la strega cattiva?” finendo in una situazione di gelo totale. Quindi aveva optato per un semplice “no”, per evitare situazioni spiacevoli. Non aveva bisogno di crearsele, visto com’erano andati gli ultimi mesi.
Marian si avvicina a lui, posandogli le mani sulle spalle. Mentre cerca di allungarsi per dargli un bacio, Robin le prende delicatamente i polsi, evitandola. Marian resta a guardarlo esterrefatta – lui le dice che è tornato per mettere a letto Roland.
“È già a letto” risponde lei fredda, mentre lui è già entrato nella stanza del piccolo, ignorandola.
“Papà” Roland sguscia fuori dalle coperte e, mettendosi in piedi sul letto, si lancia verso Robin. Gli sorride, posandogli un bacio sulla fronte.
“A nanna, campione” lo fa sdraiare nuovamente sotto le lenzuola, rimboccandogliele. Senza che il piccolo Roland chieda nulla, Robin decide di restare con suo figlio finché non è certo che stia dormendo. Vorrebbe evitare l’ennesima scenata di Marian davanti al suo bambino.
Ora è a letto, vorrebbe dirle mentre chiude alle sue spalle la porta della cameretta, ma lascia stare.
“Io esco” è l’unica cosa che riesce a mormorare, senza guardare in faccia sua moglie. Fa per aprire la porta, quando Marian gli si piazza davanti, bloccandogli il passaggio.
“Dove vai?” Robin vorrebbe tanto dirle di smetterla. I primi mesi aveva davvero provato a far funzionare il loro rapporto, poi qualcosa si era rotto - forse solo in lui, non nel loro rapporto. Lei aveva iniziato con le domande, con i dubbi. Lui non aveva mai smesso di correre dietro a Regina – letteralmente e metaforicamente. Quindi, da mesi, si erano trovati a litigare sempre per lo stesso motivo – Regina.
Robin vorrebbe dirle di smetterla perché è una farsa e, anche lei, sa già dove vuole andare.
“Marian” le dice solo, il tono ormai scocciato.
“No” sussurra trattenendo le lacrime, per poi gettarsi addosso a lui. Robin l’afferra per le braccia tenendola distante. Odia quando fa la melodrammatica. “Per favore, parliamone”.
“Lo sai ch-”
“Ti prego, non te ne andare”
È la prima volta che Marian lo supplica – è la prima volta che sente quel tono disperato. Fino ad ora erano state minacce e giochetti. Intenerito dalla sua espressione, Robin le accarezza dolcemente la guancia.
“Marian, io non ce la faccio più” finalmente, si lascia sfuggire quella frase. Da quanto tempo se la teneva dentro? “Roland non ce la fa pi-” Marian si lascia sfuggire una risata soffocata, interrompendolo.
“Tu non ce la fai più?” urla, mentre Robin le fa cenno di abbassare la voce. “Da quando son tornata non faccio altro che vedere mio figlio scegliere lei al mio posto”
“Maria-”
“No, sta’ zitto” spinge via la sua mano. “Va bene, mi sono detta. Roland non capisce che mi fa male”
“Roland è un bambino”
“Sì, ma tu non lo sei” alza nuovamente la voce. “Ti comporti come se lei fosse la madre di tuo figlio, come se fosse lei tua moglie. Mi hai mentito, Robin. Il giorno che mi hai detto che Roland era rimasto insieme a Little John nel bosco. Roland era con quel mostro”
“Ti ho già detto di non chiamarla così” ringhia a denti stretti, cominciando a perdere la pazienza.
“Tu mi dici che non ce la fai più? Io mi sono subita, anzi, mi correggo, subisco quotidianamente la tua storia d’amore con Regin-”
Basta.
“Vuoi sapere perché Roland è rimasto con Regina? Perché Roland non ha fatto altro che chiedere di lei dal giorno che gli hai impedito di vederla e perché ero stanco di vedere mio figlio piangere per colpa tua - per colpa delle tue scenate di gelosia, per colpa delle liti. Noi siamo adulti, Marian, ma lui è un bambino. Noi stiamo rovinando tutto, tu stai rovinando tutto – la sua infanzia, la mia vita, la nostra storia”
“Robin” questa volta è lei che appoggia le sue mani sulle spalle di Robin, per calmarlo.
“Perché non capisci?” anche lui urla – ha perso completamente il controllo. “Ti amavo così tanto, Marian, ma questi mesi hanno distrutto qualsiasi bel ricordo mi fosse rimasto di noi”
“Robin”
“No” le blocca i polsi tra le mani – stringe con forza. “È stata la tua stupida gelosia. Io ci stavo davvero provando, Marian. Ho provato a mettere da parte i miei sentimenti per Regina per riprovarci con te, perché, quando ti ho stretta da Granny’s la prima volta, mi son ricordato com’era amarti. Capisci? Non ho deciso di darci un’altra opportunità solo perché era giusto. E tu hai buttato via tutto” 
“Non è troppo tardi”
Robin le scoppia a ridere in faccia.
“Robin”
“Lei era la prima”
Lascia cadere la mano di Marian lungo i suoi fianchi. Esce dalla stanza.
 
“Everyone thinks / that I have it all / but it’s so empty / living behind this castle walls” Regina barcolla lungo il cornicione del terrazzino. Un piede dietro l’altro – la testa si muove seguendo il ritmo delle braccia che oscillano nel vento. Non si sporge mai a guardare di sotto – tiene gli occhi chiusi.
Spinge fino all’estremo il suo corpo, sfida la sua magia. Crede che, mettendosi in una situazione di pericolo, tornerà a salvarla.
“Sembra una canzone molto triste” la voce di Robin alle sue spalle.
Regina si volta di scatto. Trema, lasciando la gamba destra a mezz’aria. Tiene lo sguardo fisso su Robin – le pupille dilatate che si confondono col buio della notte. Sposta il piede indietro, mancando l’appoggio. Quando si sente sorreggere solo dal vuoto, schiude leggermente la bocca, lasciandosi cadere a peso morto.
Robin l’afferra – un braccio possente attorno alla sua vita, le dita di una mano intrecciate con le sue.
“Non volevo farti spaventare” le bisbiglia piano all’orecchio, adagiandola dolcemente al suolo. Robin la scruta – i piedi nudi che ritrovano stabilità, urtando un paio di bottiglie vuote, i leggins in pelle nera ad accentuare le curve dei suoi fianchi, il corpetto in raso, stretto sulla schiena. Quegli occhi feroci che lo osservano – quegli occhi da animale che lo divorano.
“Un uomo sposato non dovrebbe guardare così un’altra donna” esclama dal nulla, ridendo da sola. Si rialza in piedi sul cornicione e, aiutandosi con le mani, raggiunge il tetto. Robin resta a guardarla, rapito dai suoi movimenti. Come una gatta, si muove a quattro zampe, fino a sdraiarsi – le gambe stese in alto e la testa sorretta appena dalla grondaia. Si passa le mani tra i capelli, mentre ricambia l’occhiata di Robin.
Restano in silenzio. Lui in piedi, il suo viso a pochi passi da quello di Regina. Lei lo guarda sotto sopra – non li ricordavo così blu quegli occhi, pensa. Quasi cede a quel blu che tanto le ricorda il mare. Vorrebbe toccarlo – allunga una mano per toccarlo.
“Regina” il suono del suo nome pronunciato da lui, la fa trasalire. Ritrae il braccio, chiude gli occhi. Nega nella sua mente il fatto che l’abbia chiamata.
“Regina” dice piano, mentre tende la mano verso la sua spalla. Lei resta immobile, sperando che quel contatto non avvenga mai. Lui si avvicina piano. Si muove a rallentatore sperando di non spezzare quell’equilibrio. Quando le sue dita entrano in contatto con la sua pelle, Regina scatta in piedi – la schiena si contrae, il peso ricade tutto sulle sue braccia. Il suo volto ora sovrasta quello di Robin. Con un balzo si lascia cadere dal tetto. Scivola veloce verso l’ingresso,  scuotendo la testa. Tiene le orecchie tappate, strizza gli occhi, mentre Robin cerca di afferrarla per un braccio. Lui vuole parlarle. Lei non vuole stare a sentire.
“Lo sapevo che sarebbe finita così” piagnucola come una bambina, tentando di trattenere le lacrime. “Lo sapevo” gli urla in faccia, scoppiando in un pianto isterico. Trema, mentre Robin tenta di tenerla ferma per i polsi. È così piccola, pensa lui, mentre Regina si dimena tra le sue braccia, spintonandolo. Stremata, si porta le mani sul viso e poi permette all’abbraccio di Robin di sovrastarla. Lascia scivolare fuori un singulto nervoso, tentando di riacquistare la calma. Quando Regina alza di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi in quelli di lui, non importa dei tagli sulle labbra, mordicchiate dal nervoso o del mascara colato – Robin non può fare a meno di pensare che sia bellissima.
Regina stringe le mani attorno alla sua maglietta, poi le riapre - le fa scivolare dolcemente, prima sul suo petto, poi sulle sue spalle, poi torna a chiuderle come una morsa dietro alla sua nuca.
Reggendosi al suo collo, si alza in punta di piedi – il suo sguardo allineato con quello di Robin.
Le loro bocche allineate – Regina che si mordicchia il labbro inferiore.
Continua a fissarlo - Robin, neanche volendo, riuscirebbe ad interrompere il contatto con quegli occhi magnetici.
Per Robin accade prima piano e poi tutto insieme, quando Regina cattura le sue labbra – un bacio violento. La lascia fare - lascia che le sue mani lo spingano contro una parete, lascia che il colpo gli faccia male alla schiena, lascia che le sue dita frenetiche lo guidino nei movimenti.
Fa scivolare le mani lungo le sue gambe – prima sui fianchi, poi sulle cosce. L’afferra, sollevandola da terra. Non c’è nessuna dolcezza nel modo in cui lei lo bacia, nel modo in cui lui la mette a sedere sul tavolo a mezza luna, facendole sbattere la testa contro al muro. Regina fa una smorfia di dolore, mentre il rumore di un vaso che cade a terra fa da sottofondo al suo lamento soffocato. Robin l’afferra per i capelli, costringendola a mostrargli il collo. Regina stringe le gambe attorno alla sua vita, stando attenta a fare aderire perfettamente il suo corpo con quello di Robin. Struscia abilmente una guancia contro la sua, fino a raggiungere il lobo dell’orecchio - bisbiglia piano, facendolo rabbrividire. Sorride, compiaciuta dalla sua mossa, mentre, abilmente, si districa dalla morsa di Robin. Quando ribalta le loro posizioni, presta particolare attenzione nel fargli più male possibile spingendolo contro il corrimano. Robin spalanca gli occhi, lasciandosi sfuggire un lamento soffocato.
Per un breve istante si congelano nel loro spazio ad ascoltare i loro respiri affannati. Regina tiene le mani lungo i fianchi – i capelli sparsi in viso, gli occhi di una guerriera in battaglia. Robin si sorregge al corrimano, ancora stordito per il dolore – per la prima volta, la rabbia. Il loro non è più un fare l’amore – non è più neanche sesso. Quella era una sfida. Chi si sarebbe fatto più male – chi avrebbe fatto più male? Chi era il cacciatore – chi la preda?
Regina si scaglia nuovamente su Robin, facendolo barcollare. Scivolano lungo la scalinata, restando incollato l’uno al corpo dell’altra. È un male unico – una costola, un ginocchio, un’anima. Robin tiene le mani sul volto di Regina – Robin la protegge. Toccando il pavimento del salotto, vorrebbero piangere, urlarsi in faccia che si amano, finire quella guerra che avevano iniziato nove mesi prima. Invece, continuano la loro gara. Robin fa scorrere le mani tra i lacci del corsetto di Regina, bruciandosi le dita nella foga. Guarda come si muove il corpo di Regina sotto al suo peso – come contorce la schiena, come contrae i muscoli, come il suo seno si alza e si abbassa ogni volta che respira. Lei si muove sinuosa tra le sue braccia, conficcandogli le unghie nella carne. Lascia i segni dei graffi sulla sua schiena, quando tira con forza per togliergli la maglietta. Robin prova a ritrarsi, finendo col sbattere contro uno spigolo. Tenendosi la testa tra le mani, soffoca un ringhio in fondo alla gola.
Regina scoppia a ridere – lui non può fare a meno di guardarla estasiato. A Robin non interessa che lei rida di lui, di quella situazione, del dolore. Lui la guarda e pensa che la vuole – su quel pavimento, in un castello incantato, sempre. E allora la bacia, perché a parole non riesce a dirglielo. La bacia piano. Lentamente appoggia le sue labbra su quelle di Regina e, mentre lui la spoglia – e mentre lei lo spoglia – crede di non averla mai vista così calma. Regina si svuota dal dolore ad ogni tocco – Regina si svuota dalla rabbia ad ogni bacio che le dà. Anche lì, mentre viene nel suo orgasmo silenzioso, Regina finalmente lascia andare tutto.
Si sdraia a terra - a pancia in giù , il respiro regolare.
“Vestiti” il tono è freddo, mentre gli dà le spalle.
“Come?”
“Ho detto vestiti” Regina si volta verso Robin che la guarda confuso. “Vai a spiegare a tua moglie il segno che ti ho lasciato” glielo indica, portandosi un dito sul collo. Poi gira nuovamente la testa dal lato opposto, posandola sul dorso delle mani. In silenzio, aspetta che la porta si chiuda alle sue spalle e che il buio della notte inghiotta Robin.
  
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