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Autore: Sognatrice_2000    07/08/2014    3 recensioni
Shiho Miyano è una giovane ma bravissima dottoressa che svolge il suo lavoro con passione,guarendo anche le persone che apparentemente non hanno nessuna speranza. Il destino sembra giocarle un crudele scherzo,facendola innamorare di un paziente misterioso e affascinante affetto però da un grave tumore che non riesce a curare in nessun modo.
Egli,inizialmente attratto solo in modo fisico da lei,poco per volta svilupperà un sentimento più profondo nei suoi confronti,ammirato dal coraggio e dalla forza di quella giovane donna così matura e altruista che sembra decisa ad aiutarlo a superare la sua malattia a tutti i costi.
La storia d’amore che nasce tra di loro però comporta per Shiho,poco a poco,la rivelazione di una realtà sempre più assurda e inquietante,nonché la morte di sua sorella,unica testimone di quell’impensabile verità, avvenuta in circostanze misteriose.
Shiho si ritroverà coinvolta in un’incredibile avventura,catapultata in un passato ricco di intrighi,colpi di scena,odio,amore,speranze e sofferenze. Riuscirà ad affrontare i fantasmi di un passato crudo e doloroso, pronti a mettere in discussione tutta la sua vita e le sue convinzioni?
Genere: Drammatico, Erotico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Gin, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Capitolo 5:
 
 
Mi trascino stancamente davanti allo specchio,osservando senza interesse il mio aspetto orribile. Ho i capelli scomposti,due enormi occhiaie scure,il viso privo di trucco e gli occhi gonfi e rossi di pianto. Stanotte non ho dormito,sono rimasta sveglia a fissare il soffitto,permettendo alle lacrime di essere le mie uniche compagne.
È appena l’alba e finalmente ho deciso di trascinarmi fuori dal letto,ma di certo non per andare al lavoro. Per la prima volta nella mia vita non ne ho alcuna voglia,mi sento veramente troppo triste e fragile,troppo vulnerabile. E se andassi al lavoro dovrei comportarmi con professionalità e freddezza,fingere di essere serena e incollarmi perennemente un sorriso sulla faccia quando i miei colleghi mi parleranno di Akemi. Non credo di poter sopportare i loro sguardi fintamente comprensivi e pieni di compassione,e poi… se andassi all’ospedale sarei costretta a rivedere Gin. Ma che mi salta in mente? Perché penso a lui in un momento del genere?
Però è molto strano… è come se con il suo arrivo si fossero verificati tutti questi eventi tremendi e inspiegabili: le mie strane visioni,la morte di mia sorella… possibile che abbia un legame con tutto quello che mi sta accadendo? Ma è impossibile,come potrebbe? Non lo conosco nemmeno… anche se ho sempre avvertito il contrario.
Devo smetterla con queste sciocchezze,e mi lascio sprofondare nel morbido divano del soggiorno con la cornetta del telefono tra le mani,lasciando un messaggio nella segreteria di Ran,per dirle di non preoccuparsi e che domani tornerò al lavoro. Mi dispiace non poterla vedere,ma sono sicura che lei mi comprende e non ho bisogno di spiegarle a parole come mi sento.
Sono passati tre giorni dalla morte di mia sorella,e mi sono decisa ad uscire di casa solamente per andare al suo funerale. Non ricordo quante lacrime ho pianto, sicuramente basterebbero per riempire una cascata,non ricordo i volti delle persone che cercavano di confortarmi,l’unica cosa nitida era la mia grande sofferenza e il mio dolore così vivido,un dolore fortissimo mai provato prima. Quando sono tornata a casa mi sono sfilata l’abito nero e mi sono gettata sul letto a pensare a noi due,alla nostra infanzia di bambine spensierate,ai nostri scherzosi battibecchi,alla promessa ci eravamo fatte l’una all’altra di non separarci mai e che è stata infranta così tragicamente. Sono riuscita a farmi un po’ di coraggio dopo aver sentito le parole affettuose di Ran,che la sera di quel giorno stesso era venuta a trovarmi a casa mia,scusandosi mille per volte per non essere venuta al funerale di Akemi insieme a me. Io le avevo sorriso con gratitudine,spiegandole che era già tanto che si fosse disturbata a venire. Non avevo mai avuto una vera amica,e pensavo che non l’avrei avuta nemmeno in futuro.
Il giorno dopo ho continuato a rimanere a letto,senza andare al lavoro,rifiutandomi persino di andare alla centrale per essere interrogata dalla polizia. Alla fine ho risposto alle domande di un agente che è venuto fino a casa mia per l’interrogatorio, e ho cercato di farmi dire quante più cose possibili sulla morte di mia sorella, scoprendo con orrore che tutto sembrava avvolto da un oscuro mistero.
Non c’erano tracce di infrazione in casa e le finestre erano chiuse tutte col chiavistello,tuttavia le ferite di arma da fuoco che riportava Akemi sul corpo lasciavano presupporre che qualcuno fosse entrato lì per ucciderla. Dato che tutto però era perfettamente in ordine,la polizia ha pensato che si fosse tolta la vita,ma l’arma non è stata ritrovata in nessuna parte della casa,neanche dopo una perlustrazione accuratissima in ogni angolo.
E poi c’era un altro fatto inspiegabile: sulle labbra di Akemi era stata ritrovata una polverina biancastra,corrispondente a quella di una pillola che io stessa avevo trovato vicino al suo corpo. La scientifica l’ aveva analizzata,ed era risultata essere un veleno letale,che se ingerito provoca la morte cellulare della vittima e nel corpo non lascia tracce. Tuttavia c’erano due cose strane: perché avrebbe dovuto lasciare lì un altro campione del veleno,se si era suicidata? E se era stata uccisa,perché le avevano fatto ingerire quel veleno e contemporaneamente sparato? Non sarebbe stato più efficace utilizzare solamente il veleno?
Una cosa era certa: la morte di mia sorella è stata troppo strana e piena di coincidenze inspiegabili per pensare semplicemente che si sia tolta la vita. Anche il messaggio che mi ha lasciato farebbe pensare il contrario,io la conoscevo bene e sapevo che non avrebbe mai compiuto un gesto tanto estremo,proprio perché era sempre felice e piena di speranza per il domani. No,Akemi non l’avrebbe mai fatto,lei che amava la vita più di qualsiasi altra cosa e mi spronava sempre a divertirmi e a trovare un fidanzato.
 
Stanca di questi pensieri,decido di farmi una veloce doccia fredda,per schiarirmi le idee e provare a scacciare la mia angoscia e quel brutto presentimento che continuare ad albergare in me,quasi come se ci fosse un pericolo intorno alla mia vita.
Quando esco dal bagno mi sento meglio,e mi vesto velocemente con una maglietta e un paio di jeans. È così insolito da parte mia portare dei vestiti così sportivi,sono talmente abituata a portare il camice da lavoro che questa mia immagine mi sembra quasi ridicola.
Mi siedo di nuovo in soggiorno,tormentando un foglietto di carta,quello che contiene le ultime parole di mia sorella. Parole dai significati nascosti,che spetta a me decifrare. Lo rileggo per la milionesima volta,fino a impararne il contenuto a memoria,ma non mi viene in mente niente,nella mia testa c’è solo il buio più completo e la totale confusione.
Ad un certo punto,stremata,mi alzo in piedi e prendo la mia decisione: devo andare a lavorare,devo compiere il mio dovere,ci sono tante persone che hanno bisogno di me,non posso restare chiusa in casa a risolvere questo enigma incomprensibile,se non so neanche da dove cominciare. E poi c’è un buon motivo per cui voglio andare al lavoro: non so spiegarmi il motivo,ma ho il presentimento che l’apparizione di Gin sia in qualche modo collegata alla tragedia che mi ha colpito e al mistero che mi ha chiesto di risolvere Akemi… forse potrei cercare di capirci qualcosa,passando del tempo con lui.
Preparo la borsa con i miei strumenti,prendo il cappotto e apro decisa la porta,senza nessun ripensamento. È il mio dovere,solo il mio dovere,che mi impone di rendermi utile e smetterla di piangermi addosso. Anche Akemi vorrebbe questo. Mi asciugo una piccola lacrima e metto in auto l’auto. Si,ne sono sicura,anche lei lo vorrebbe.
 
 
**
 
 
“Dottoressa Miyano!”
Mi volto cercando di sorridere verso la voce che mi ha chiamata: è il caporeparto,un uomo molto simpatico che si preoccupa spesso per me.
“Ho saputo di sua sorella,mi dispiace molto”Gli rivolgo un altro sorriso stiracchiato, timorosa che le lacrime possano riprendere ad uscire.
“Grazie”Dico infine,cercando di essere gentile e di non lasciare che la tristezza si ripercuota negativamente sul rapporto con i miei colleghi.
“Sono contento che sia tornata,capisco che per lei sia stato uno shock tremendo e che abbia avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendersi. Mi creda,un sacco di pazienti hanno chiesto di lei. La sua assenza si notava,nessun altro qui dentro è alla sua altezza.”
“La ringrazio”Sorrido un po’ intimidita e mi avvio verso il mio studio,guardandomi intorno come se vedessi quest’ospedale per la prima volta.
Qui dentro ci sono persone di ogni età,con problemi più o meno gravi,ma io ho sempre cercato di aiutare tutti nel migliore dei modi perché anch’io,come Akemi, amo la vita. Certo,non sono mai stata allegra ed esuberante come lei,ma sempre riservata e piuttosto malinconica,passando tanto tempo con gli ammalati. Tuttavia ho sempre cercato di non diventare mai cinica e scostante,perché penso che le persone che si trovano qui abbiano bisogno di trovare intorno a loro sorrisi e conforto,non facce cupe e irritate.
Apro la porta del mio studio e poso il cappotto sulla sedia,infilando il mio solito camice e aprendo la mia borsa.
Non passa neanche un minuto che sento la porta aprirsi,e sorrido con un sospiro quasi nostalgico: mi mancava davvero poter essere utile agli altri.
Spalanco gli occhi quando vedo entrare una bambina di circa tre anni con due piccole trecce castane che piange rumorosamente,in braccio a una donna dal volto preoccupato.
“Buongiorno”Esordisce agitata “Ho urgente bisogno di aiuto,mi hanno detto che lei è la dottoressa più brava di questo ospedale.”
“Sono qui per questo”Le rispondo con un sorriso,tentando di calmarla. “Prego,si accomodi e mi spieghi qual è il problema.”
La donna si siede su una sedia nera davanti alla mia scrivania,continuando a tenere in braccio la bambina che non smette di piangere.
“Mi sono decisa a venire qui oggi perché non riuscivo a far smettere di piangere mia figlia,e non ho potuto avvertire mio marito,che è ancora al lavoro. Sono giorni che la mia piccola ha la febbre alta,ma non ha mai pianto come oggi,per questo mi sono preoccupata tanto e ho deciso di correre subito qui.”
“D’accordo,allora la visito subito”Prendo delicatamente la piccola dalle braccia della madre e la faccio sedere su un lettino bianco,ma quando mi avvicino con lo stetoscopio si dimena e si mette a piangere più forte.
“Non mi piacciono gli ospedali”Mugugna cercando di scendere.
La madre,sempre più agitata,cerca di intervenire,ma io la blocco un cenno della mano e torno a guardare con un sorriso la bambina.
“Neanche a me piacciono,sai?
“Davvero?”Il suo volto innocente si illumina di un grande sorriso,smettendo all’istante di piangere,e io annuisco intenerita.
“Però è necessario che tu stia qui,capisci? Altrimenti non potrai stare bene.”Mi affetto ad aggiungere,ma con dolcezza.
“Non potrò più giocare al parco?”Le sue labbra si distendono tirate,sembra sul punto di rimettersi a piangere,e mi fa una grande tenerezza.
“Sì,certo ce potrai,ma prima devo visitarti,d’accordo?”
“Fa male?”Mi chiede preoccupata,ma sembra molto più calma di prima.
“No,assolutamente. Ascolta,facciamo un gioco: io ti poso questo bottone nero sulla schiena e tu dovrai respirare profondamente e tossire quando te lo dirò,d’accordo?”
“Va bene.”Risponde finalmente convinta.
La visito attentamente,dicendole di aprire la gola,controllandole le orecchie,e la bambina non fa altro che ridere,vedendo tutto come un gioco.
“Bene,abbiamo finito”
“Di già? Non ho sentito niente.”Esclama contenta la bambina.
“Hai visto? Te l’avevo detto”Le sorrido ancora,contenta di essere riuscita a risolvere un problema. So di essere egoista,ma risolvere i problemi degli altri mi aiuta a non pensare ai miei.
“Per caso c’è qualcosa che ti fa male in particolare?”
“Sì,mi fa tanto male la gola”
“Anche a ingoiare?”
“Sì”
“E hai appetito?”
“Sì,ma mi brucia tanto la gola”
“Ho capito. Niente di grave,è solo un’infiammazione delle tonsille.”
“Dovranno togliergliele?”Si allarma la madre.
“Oh,no,assolutamente no. Sua figlia ha semplicemente le tonsille un po’ più sensibili del normale,e le basse difese immunitarie hanno contribuito all’arrossamento e il rigonfiamento del cavo orale. La febbre alta è dovuta solo all’arrossamento delle tonsille,probabilmente non ha preso le medicine adatte. Le prescrivo subito una cura di antibiotici.”
“Come,è proprio necessario?”
“In questo caso sì,non vi è altro modo per abbassare la temperatura corporea. Avrebbe potuto essercene un altro se aveste provveduto prima ad una cura adeguata,ma ora per evitare complicazioni è necessario assumere una cura di antibiotici per una settimana.”
Mi siedo alla scrivania estraendo dal taschino la mia penna e scrivendo su un foglio la ricetta. Lo consegno alla madre dopo aver applicato il timbro e le do istruzioni su come e quando assumerli.
“Non si preoccupi,non è niente di grave,nel giro di una settimana sarà guarita completamente.”
“Grazie mille”Mi dice la donna con gli occhi quasi lucidi,stringendomi la mano.
“Si figuri,non c’è di che”Sorrido,sentendomi contenta per loro,e la bambina mi abbraccia felicissima.
“Non ho parole,di solito mia figlia ha un vero terrore dei dottori e fa sempre un sacco di capricci durante le visite.”
“Bisogna capire i bambini,è logico che a quest’età abbiano paura dei dottori,e io provo a mettermi nei loro panni.”
Mi sciolgo dall’abbraccio della bambina e le sorrido: “Tra una settimana starai di nuovo bene,piccola,non ti preoccupare.”
“Grazie”Mi sussurra con gli occhi che brillano e mi da un piccolo bacio sulla guancia. Poi da la mano alla mamma ed entrambe si dirigono verso la porta.
“Ehi,aspetta,non mi hai detto come ti chiami!”
La bambina si gira con un grande sorriso. “Akemi”
Stupita,ricaccio indietro le lacrime faticosamente,e ricambio il sorriso sentendo gli occhi lucidi.“E’ proprio un bel nome. Ci vediamo presto,Akemi.”
Lei mi fa un cenno di saluto,e mentre esce la sento dire alla madre: “Sai mamma, questa è la dottoressa più brava che abbia mai incontrato.”
“Hai ragione,è molto brava.”
L’ultima cosa che sento è la risata cristallina di Akemi: “Hai visto,mamma,in quella stanza c’erano un sacco di provette dai liquidi colorati e aggeggi strani. Tu sai cos’erano?”
Sento una fitta alla testa,e al suono di quelle parole,davanti a me compare una stanza sconosciuta,probabilmente il laboratorio che mi era già apparso nelle precedenti visioni,sempre immerso nell’oscurità,e la stessa bambina dai capelli ramati che armeggia con una provetta in modo disinvolto.
Improvvisamente entra una bambina un po’ più grande,dai lunghi capelli mori e un largo sorriso pieno di solarità.
“Ehi,ancora a lavorare con questi strani aggeggi e quelle buffe provette colorate?”
L’altra non risponde,si limita ad alzare le spalle con indifferenza.
“Guarda che lo dico per te,dovresti riposarti. È tardi,torniamo a casa…”
“Akemi,tu vai pure a casa. Sai che io devo completare le ricerche.”
Quella bambina sarebbe Akemi? E l’altra,come fa a conoscerla?
“Va bene,ma cerca di non esagerare.”
“Non preoccuparti,vai pure.”
Akemi le lancia un’altra occhiata poco convinta,ma alla fine chiude la porta alla sue spalle e si allontana.
La bambina ramata si gira con sguardo colpevole. “Perdonami,Akemi,ma se non ottengo dei risultati mi puniranno ancora…”Un’espressione angosciata prende il posto di quella fredda che aveva fino a poco prima,e si guarda i lividi violacei che ha sui polsi. Scuote la testa e tira giù le maniche del camice,tornando a lavorare.
 
Tutto ritorna come prima,ora sono di nuovo nel mio studio. Mi stropiccio gli occhi, incredula: mia sorella e quella bambina si conoscevano? Perché? E cosa intendeva dire quella bambina con la sua ultima frase? Chi l’avrebbe punita?
Quando entra un’altra persona,mi affretto a tornare alla realtà,e la mattina passa velocemente,tra una visita e l’altra,senza che abbia più tempo di pensare a ciò che ho visto.
Quando scatta l’ora della pausa pranzo scendo con un sorriso,sicura di trovare Ran al bar. Quello è il nostro appuntamento,spero di parlarle del messaggio che mi ha lasciato Akemi,per vedere se può aiutarmi a decifrarlo. Però non la trovo da nessuna parte,e alla fine mi ricordo che questo è il suo giorno libero. Che sciocca,me n’ero completamente dimenticata.
Mi sento un po’ sola,ma non più una bambina ormai. Mi siedo al bar mangiando distrattamente un panino,continuando a ripensare alle visioni che ho avuto. Accidenti,ma perché deve esserci questo buio completo nella mia mente? Non ho idea di che cosa fare,non capisco chi sia la bambina delle mie visioni e perché lei e mia sorella si conoscessero,non capisco neanche che cosa c’entrino il laboratorio di Beika e quella strana formula… sembrava il composto di una pillola. Pillola… magari della stessa che era stata ritrovata accanto al suo corpo! Ma cosa c’entra il nome di un veleno in tutto questo?
Chissà perché,il mio pensiero corre a quello che è accaduto tra me e Gin negli ultimi giorni. Mi sfioro il braccio,notando il segno del livido che ha lasciato la siringa… perché ho avvertito quel bisogno di salvargli la vita? E perché,anche adesso,sento di volerlo vedere di nuovo,per accertarmi che stia bene? Non lo so,ma ho capito che il mio istinto in qualche modo mi sta suggerendo la strada da percorrere. E io ho intenzione di seguirla.
 
 
**
 
 
Prendo un respiro profondo davanti alla porta della camera 202,poi alla fine lascio da parte l’indecisione e mi decido a bussare ed entrare.
“Buongiorno. Come si sente oggi,va meglio?”
Lui mi guarda interrogativo,poi risponde freddo: “Non sono malato,sto benissimo.”
“Ha comunque avuto un incidente piuttosto grave,e che le piaccia o no,devo visitarla.”Sono un po’ seccata da tanta arroganza,ma,come mi diceva sempre mia sorella,ho una bella faccia tosta e non mi arrendo facilmente.
Lo visito con una punta di imbarazzo,ripensando a quello che era accaduto una settimana fa,a quando mi aveva abbracciata senza preavviso e io gliel’avevo lasciato fare,ma faccio del mio meglio per ignorare quella sensazione e dedicarmi al mio lavoro.
“Ottimo,direi che per adesso è tutto nella norma. Ha un fisico forte,si sta riprendendo rapidamente.”Lo guardo per un istante,indecisa,poi gli rivolgo quella domanda che mi ha sempre tormentata,fin dal primo giorno che ci siamo visti. “Per caso ci conosciamo? Ho l’impressione di averla già vista da qualche parte…”
“Se avessi già visto una donna come lei,non l’avrei certo dimenticata.”
Quella risposta mi distrae dai miei propositi,e arrossisco appena. “Devo considerarlo un complimento?”
La risposta però non arriva,al suo posto solamente un forte colpo di tosse.
“Che cos’ha,si sente male?”Lo afferro per le spalle,stringendolo a me involontariamente.
“Adesso va meglio…”Mi sussurra a fatica,stringendosi a me con più forza. Mi sento a disagio,ma non voglio allontanarlo,sembra così diverso da pochi attimi prima,così fragile…
“Non sta bene,ha la fronte sudata…”Afferro un fazzoletto per asciugargli la pelle,e lo vedo sorridere impercettibilmente. Lo avvicino a me,prendendomi cura di lui come un bambino piccolo.
“Grazie…”
“E di che cosa?”
“Non gliel’avevo detto quando mi ha salvato la vita,mi pare. Senza di lei non sarei qui ora. E anche oggi ha saltato la pausa per verificare che stessi bene…”
“La sua salute mi sta a cuore,non si dimentichi che questo è il mio mestiere…”
“Ho provato una sensazione strana quando mi ha donato il suo sangue… riuscivo a percepire la sua dolcezza,la sua bontà,era come se fosse parte di me…”
Non ho il tempo di stupirmi di quelle parole,ma sono certa che il mio cuore abbia smesso di battere per qualche secondo. Quando lo sento tossire di nuovo,e mi accorgo del suono strano della sua tosse,ho un tremito.
“Si stenda e si riposi un po’,starà meglio”Lo metto a letto come un bambino,tirando su il lenzuolo,e senza rendermene conto mi ritrovo a sorridergli. “Deve coprirsi bene,quest’anno la temperatura è particolarmente rigida,altrimenti rischia di ammalarsi.”
“Non importa,mi capita spesso…”Quando sento quelle parole,unite al suo respiro affannato,inizio a preoccuparmi.
“Quanto spesso?”
“Diverse volte durante la giornata.”
“Da quando ha iniziato ad avere questa tosse?”
“Saranno più o meno un paio di mesi”
“E le è mai capitato di vedere tracce di sangue dopo aver tossito?”
“Ultimamente sì,spesso.”
“Ha appetito in questi giorni?”
“Non molto,a dir la verità.”
La mia espressione deve essere cambiata spaventosamente,perché mi sento chiedere: “E’ tutto a posto,si sente bene?”
In altri casi,avrei detto la verità ai miei pazienti. Invece adesso,per un motivo che ignoro,mi limito a sfoggiare il mio sorriso migliore.
“Non si preoccupi,va tutto bene. Si riposi,mi raccomando.”
Mi affretto ad uscire dalla stanza per timore che possa chiedermi altro,e salgo nel mio studio. Mi siedo alla scrivania,scrivendo qualche parola su un blocchetto per appunti.
 
 
Paziente stanza 202- radiografia toracica da effettuare domani
  
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