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Autore: risakoizumi    09/08/2014    3 recensioni
La mia breve vita è stata un susseguirsi di momenti di gioia e infelicità.
La sofferenza è quella che ricordo meglio e che è stata al centro delle mie giornate per lungo tempo.
Una volta ero soltanto l’ex ragazza di Sam dal cuore spezzato e che nessuno sopportava.
Adesso mi sento una persona diversa.
Sono più forte, sento che niente può distruggermi. Sono padrona della mia vita. La triste e collerica ragazza di La Push si è trasformata in una persona nuova.
Osservo il ragazzo che sta in piedi accanto a me. I suoi occhi sembrano sorridermi, come sempre.
"Sei pronta?" mi chiede, prendendomi per mano.
"Sì". Ricambio la sua stretta sicura e familiare.
Il momento è arrivato, ma non ho paura. Santo cielo, sono Leah Clearwater! Dovrebbero essere loro ad avere paura di me!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Non so perché ma oggi non ho proprio voglia di alzarmi. Fisso il soffitto, sdraiata sul divano, e conto i secondi che passano, scanditi dal costoso orologio a pendolo del mio soggiorno. Dov’è quel maledetto licantropo quando serve? Sono passati parecchi giorni da quando mi ha confessato qualcosa sul suo passato e su sua moglie, è passato persino il Ringraziamento: è stata una bella giornata, Thomas ha tagliato il tacchino e Alex ed io abbiamo battibeccato come sempre. Natale si avvicina e questo mi rende malinconica. Una volta, quando c’era mio padre, quando avevo un fidanzato perfetto, quando la mia vita andava a gonfie vele, amavo il Natale. Il giorno dell’anniversario della morte di Emma sono venuti tutti gli amici di Alex per cercare di consolarlo. Alex ha sorriso stancamente e, nonostante avesse passato la notte a sfogarsi con me, è rimasto mesto per tutto il giorno. Beatrix mi ha detto che il fatto che non fosse ubriaco a fare chissà cosa e che fosse capace di sostenere una conversazione era una cosa positiva; siamo rimasti tutto il giorno insieme e poi la sera i licantropi sono andati via. Adesso Alex è tornato a essere lo stesso di sempre: litighiamo, ci picchiamo e passiamo molto tempo insieme. Dov’è sparito questa mattina? Stanca di aspettare, mi alzo e vado a cercarlo. Non è nella sua suite. Chiedo alle cameriere in giro, ma mi danno risposte vaghe e che sfiorano la scortesia: so che la maggior parte di loro mi invidia e crede che abbia chissà quale relazione con quel licantropo. Non potrebbe esserci niente di più lontano dalla verità. Mi trovo nella hall e alcune persone mi guardano alzando le sopracciglia: è dicembre e io indosso una maglietta blu a maniche corte, un paio di pantaloncini neri e le scarpe da ginnastica bianche. Non sento più freddo da tanto tempo, ormai. Inoltre non mi sono mai curata molto del mio abbigliamento. Lego i capelli facendo una coda e cerco di distinguere qualche rumore che potrebbe indicarmi la presenza di Alex. Niente di niente. Decido di usare l’olfatto; c’è molta gente, ci sono diversi odori, ma poi riesco a trovarlo. Il suo odore è … afrodisiaco. Aspetta, ma cosa sto pensando?! Afrodisiaco? Seriamente? Devo aver sbattuto la testa. Sono tentata dal darmi un pugno per vedere se il mio cervello riprende a funzionare. Inizio a seguire la scia, che mi porta fuori dall’hotel. Non è la cosa più facile del mondo distinguerla in una grande città, ma ci riesco perché la conosco benissimo. Inizio a camminare a passo veloce. Non è una bella giornata, sembra che stia per piovere da un momento all’altro e la pioggia rovinerebbe la mia ricerca. Incontro molta gente: il caos di una città in fermento. Dopo circa mezz’ora inizio a chiedermi per quale motivo io stia seguendo la scia di un maledetto licantropo. Dopo quaranta minuti inizio a pensare di tornare indietro. Al quarantacinquesimo minuto sto per farlo, ma mi accorgo di essere arrivata in una zona residenziale. Iniziano a cadere delle gocce dal cielo e poi si scatena un temporale. Resto ferma, sotto la pioggia, a maledirmi. Ecco che succede quando non si ha niente da fare: vengono in mente idee poco brillanti, come quella di seguire una scia di un licantropo invece di chiedere informazioni su dove si trovi al padre. E adesso? Cammino un altro po’ mentre le grosse gocce di acqua mi cadono addosso, inzuppandomi. All’improvviso mi fermo perché un suono attira la mia attenzione. E’ il suono di un violino. Non sono mai stata appassionata di musica, ma questo suono così struggente e passionale mi attira. Mi avvicino verso la casa da cui proviene la melodia, è un po’ lontana da dove mi trovo io, ma la raggiungo subito, grazie alle falcate delle mie lunghe gambe. E’ una casa bianca, mastodontica, in stile liberty e con le finestre verdi, preceduta da un grande giardino e circondata da un cancello abbastanza alto. Si trova un po’ in disparte rispetto alle altre case; sembra la più grande e quella con il giardino migliore. Mi fermo lì davanti, come una scema. Dalla finestra si vede chiaramente un ragazzo che suona il violino. E’ alto, magro, con i capelli neri ricci e ha gli occhi chiusi: sembra concentrato. E’ Alex! Il cancello è aperto, quindi entro, lo richiudo alle mie spalle e corro verso la finestra. Improvvisamente Alex si ferma, apre gli occhi e si gira verso di me: mi avrà sentito correre. C’è una traccia di stupore nei suoi occhi. Viene ad aprire la finestra e io la scavalco.
<< Che ci fai qui? >>. Bel modo di salutarmi. Chiude la finestra dietro di me.
<< Credevo che fosse segno di buona educazione far entrare la gente dalla porta >>.
<< Sì, ma è così prevedibile. Se entri dalla finestra fa più effetto >>.
<< E su chi dovrei fare effetto? >>.
<< Su di me >>.
<< Ok, mi arrendo, sono troppo arrabbiata per intraprendere una discussione priva di senso con te >>.
<< Come mi hai trovato? Sei venuta a piedi? >>.
<< Ho seguito la tua scia. Certo che sono a piedi! >>.
<< Hai seguito la mia scia? Leah, ti sei data allo stalking? >>.
<< Ah - ah. Non fa ridere >>.
<< Che fai qui? >>.
<< Ti cercavo, no? Tonto >>.
<< Come mai? >> chiede, con un’espressione da ebete.
Alzo gli occhi al cielo. << Mi dai qualcosa per asciugarmi? Sto bagnando il pavimento >>.
<< Avresti dovuto prendere una delle nostre macchine, c’è una tempesta là fuori >>.
Gli lancio un’occhiataccia.
Alex sospira e posa il violino su un tavolo mezzo rotto. << Arrivo subito >>. Sparisce dietro a una porta sulla sinistra. << E chiudi il cancello, l’hai dimenticato aperto! >> gli urlo dietro.
 Mi guardo attorno: sono nel soggiorno di una casa molto costosa, è evidente; ed è altrettanto evidente che in quel soggiorno regna il caos. Ci sono quadri a terra, mobili rotti, un tavolo di vetro spaccato. Più in fondo c’è la cucina, l’unico spazio con un minimo di normalità in quell’ambiente. E’ tutto sporco e distrutto: abbandonato, ecco l’aggettivo giusto. Alex torna con un asciugamano e una tuta blu.
<< Tieni >>.
Li afferro e resto ferma. Lui riprende il violino e inizia a girare gli spartiti che si trovano su un leggio davanti al divano. Come fa a suonare tranquillamente dinanzi a quel disastro?
<< Quindi tu suoni il violino? >> chiedo, stupita.
<< Ci provo. E’ da quando me ne sono andato che non tocco uno strumento >> sembra perso in un mondo tutto suo.
Concentrato, riprende a suonare. Nel frattempo mi cambio, spostandomi dalla finestra. Appoggio i miei vestiti sulla spalliera di un’antica sedia non rotta e appoggiata alla parete dietro di lui: non voglio interromperlo per chiedergli dove appoggiarli. Mi tampono i capelli e poi mi siedo su quella stessa sedia, dietro di lui. Appoggio la testa contro la parete, chiudo gli occhi e ascolto. Non ho mai ascoltato musica del genere, non so perché. E’ così triste: in quel suono ci sono più emozioni di quanto potrebbero esprimere delle parole. Sono così piacevolmente colpita! Alex sa fare qualcos’altro oltre a bighellonare. Forse questa è casa sua. Forse ci viveva con Emma. Come deve essere svegliarsi la mattina con Alex accanto? Magari le preparava la colazione, dopotutto sa cucinare. Una volta ha preparato la cena per me e Thomas. Immagino una scena familiare: Alex e Emma che cenano insieme, ridendo e scherzando, in un clima piacevole. Magari poi Alex le suona qualcosa e lei lo ascolta, estasiata, e lo fissa con un sorriso sulle labbra, il sorriso di chi osserva una persona amata, come faceva Sam con me. Sam mi amava, probabilmente mi ama ancora, e questa è la cosa che mi fa arrabbiare di più. Ma non mi importa più, io sto andando avanti con la mia vita, davvero. Lui può avere tutti gli imprinting che vuole, per quanto mi riguarda. Non mi ferirà mai più, non riuscirà mai più a schiacciare il mio cuore. Sono migliore di lui e della sua stupida nuova ragazza. Sì, è così.
<< Leah? >>. Alex ha smesso di suonare. << Perché piangi? >>. Apro gli occhi: Alex è girato verso di me e mi sta guardando, con il violino ancora in mano. Mi tocco il viso: è bagnato, sto piangendo. Cerco di asciugarmi gli occhi.
<< Leah? >> ripete.
Alex si avvicina e mi tocca alzare il viso per guardarlo perché è in piedi. 
<< Non è niente >> riesco a dire, ma mi accorgo proprio ora che mi manca la voce.
<< Che hai? >> chiede, preoccupato, sedendosi di fronte a me su un pezzo di divano rotto e posando lo strumento sulle gambe.
<< E’ solo che sei così bravo >> dico, cercando di sorridere.
<< Prima ero veramente bravo, ma dopo tutti questi anni sono un po’ arrugginito >>.
<< Non hai suonato da quando te ne sei andato? Perché? >>.
<< Perché è stata Emma a convincermi a suonare il violino e quando se n’è andata l’ho odiata così tanto che non volevo avere a che fare con niente di quello che la riguardava, cosa quasi impossibile. Aveva rovinato la maggior parte delle cose che mi aveva lasciato. Non mi era rimasto niente >>.
<< Adesso l’hai suonato >> finalmente parlo senza far tremare la voce.
<< Già, mi è venuta voglia >>.
<< Forse stai iniziando a perdonarla >>.
<< Forse sto iniziando a perdonare me stesso >>.
<< Dovresti suonare più spesso, mi piace, sai >>. Sorrido debolmente.
Alex ricambia il mio sorriso e fa una pausa prima di parlare. << C’è qualcosa che non va? >>.
<< Non è niente >> rispondo. Sono così abituata a dire queste parole che lo faccio automaticamente. Alex prende un pacco di fazzoletti dalla tasca dei jeans e me lo porge. Ne prendo uno e mi asciugo il viso.
<< Sai che c’è? Non è vero che non è niente. Sono arrabbiata >>.
<< Ho fatto qualcosa di sbagliato? >>.
<< Non sono arrabbiata con te. Sono davvero arrabbiata >>.
<< Perché? >>.
<< Sam >>.
<< Ah, il tizio misterioso che ha spezzato il tuo cuore di pietra >>.
<< Vorrei strangolarlo >>.
<< Ti va di dirmi cosa ti ha fatto? Ti ha lasciato? Io sono qui per ascoltarti, se vuoi >>.
Esito, ma poi decido di parlare. << Sam è un ragazzo della riserva in cui vivo, o forse dovrei dire “vivevo” >>.
<< E’ un bel ragazzo? >>.
<< E questo cosa c’entra? >>.
<< Curiosità >>.
<< Lo è >> dico, a malincuore.
<< Sai, anche tu non sei malaccio >>.
<< Questa è una delle cose più carine che tu abbia detto sul mio aspetto fisico finora >> borbotto.
Alex sghignazza. << Non è vero! E poi cerco solo di tirarti su di morale >>.
Sorrido. << Stavo dicendo che Sam vive nella mia riserva. Le nostre famiglie si conoscono da sempre e così anche noi. Andavamo a scuola insieme e onestamente ho sempre avuto una cotta per lui. Era un ragazzo molto timido e schivo, ma sempre gentile con tutti. Era sempre il primo ad aiutare qualcuno in difficoltà. Un giorno, quando frequentavamo il liceo, mi chiese se mi andasse di uscire con lui qualche volta; era molto in imbarazzo. Gli dissi di sì, emozionata. Fu solo durante la nostra terza uscita che mi baciò. Eravamo al cinema, lo ricordo ancora come se fosse successo ieri. Così ci mettemmo insieme; ci amavamo ed eravamo felici. Era un fidanzato meraviglioso, andavamo d’accordo e non litigavamo quasi mai. Pranzavamo insieme al liceo, spesso facevamo anche i compiti insieme e la sera uscivamo, a volte con gli altri, a volte da soli. Ci bastava vederci per rendere una giornata perfetta. Eravamo due semplici ragazzi innamorati, così come ne esistono altri migliaia nel mondo. Mi fidavo ciecamente di lui, avrei messo la mia vita nelle sue mani; mi sentivo così protetta e al sicuro! In quei giorni sorridevo spesso e mi imbronciavo raramente. Amavo la vita e fantasticavo sul mio futuro con Sam. Gli donavo tutto quello che avevo, senza riserve e lui faceva altrettanto. Fu proprio quando pensai di aver raggiunto il culmine della gioia che iniziò a comportarsi stranamente. Aveva dei terribili sbalzi d’umore, dei frequenti mal di testa e scottava. Io insistevo per chiamare un medico, ma lui diceva che non era niente. Poi, un giorno, sparì dalla riserva per due settimane: nessuno aveva idea di dove fosse. Ero così preoccupata che quando tornò lo strinsi a me piangendo, senza notare i particolari. Non volle dire a nessuno dove fosse stato o cosa gli fosse successo, nemmeno a me. Avevo l’impressione che mi stesse nascondendo qualcosa di importante. Continuammo a vederci e, a poco a poco, notai tutto: a parte il fatto che scottava incessantemente, era anche diventato più alto e più muscoloso. Tuttavia in lui non erano avvenuti solo dei cambiamenti fisici: si comportava in modo strano. Era più duro, insofferente e taciturno. Aveva lo sguardo di un uomo, non più quello di un ragazzo; un uomo che aveva sofferto. Evitava tutte le mie domande, così provai a dargli un po’ di spazio, continuando ad amarlo e sperando che un giorno si confidasse con me. Non riuscivo a capire cosa gli fosse successo, stavo impazzendo nel tentativo di trovare una spiegazione: temevo che gli fosse accaduto qualcosa di terribile. Sentivo che non sarebbe successo niente di buono. Non molto tempo dopo venne mia cugina Emily a trovarmi, veniva spesso alla riserva, era come una sorella per me. Una mattina Sam venne a casa mia per uscire con me e accadde qualcosa di strano: vide Emily e rimase paralizzato a fissarla. Lo chiamai più volte ma non mi rispose, rimase immobile. Proprio quando iniziavo a preoccuparmi torno in sé, farfugliò una scusa e se ne andò in fretta e furia. Aveva già visto Emily altre volte, prima della sua sparizione di due settimane, ma non aveva mai reagito così. Era tutto privo di senso.  La sera di quello stesso giorno Sam tornò a casa mia chiedendo di parlare con me in privato. Camminammo per un po’ e mi disse che non potevamo più stare insieme. Stava malissimo, lo vedevo, non voleva lasciarmi. Allora perché lo stava facendo? Cercavo di trovare qualche spiegazione ma non mi veniva in mente niente. Tornai a casa devastata >>.
<< Aveva avuto l’imprinting con Emily, vero? >>.
<< Sì >> dico, digrignando i denti. Non potrò mai dimenticare il dolore che mi causò quella sera.
<< E’ terribile >>.
<< Lo è. Un paio di giorni dopo Emily mi confessò che Sam si era dichiarato a lei; fu allora che esplosi. Pensavo: “ Perché Sam mi sta facendo questo?!”. Andai da lui, furiosa, e gli dissi tutto quello che provavo: delusione, rabbia, disgusto. Lo odiavo con tutta me stessa. Sam non cercò nemmeno di giustificarsi. Tornai a casa più distrutta di prima. Passarono diversi giorni e Emily mi giurò che continuava a respingerlo, ma a quanto pare lui era molto insistente. Iniziarono a trascorrere molto tempo insieme. Poi, un giorno, Emily venne aggredita da un “animale” e da quel momento in poi non cercò più di dirmi che rifiutava Sam. Ormai stavano insieme, era evidente >>.
<< Era stato Sam ad aggredire Emily? >>.
Annuisco. << Sì, ma a noi fu detto che l’aveva attaccata un animale. Emily si trasferì nella riserva, era tutto così surreale, sembrava che fossero pronti per sposarsi, quando fino a poco tempo prima lui aveva dichiarato di amare me. Emily chiese il mio perdono ma io non volli nemmeno parlarle. Iniziai a pensare che forse Sam non mi aveva mai amato e che in me ci fosse qualcosa che non andava. Intanto accadevano delle cose strane attorno a me e gli altri ragazzi della riserva iniziavano ad evitarmi e a frequentare Sam e la sua nuova fidanzata Emily. Nessuno era in grado di spiegarmi, non riuscivo a capire perché le persone che mi erano state sempre vicine a un tratto mi avevano escluso dalla loro vita, inventando scuse assurde quelle volte in cui riuscivo a fermarle per cercare di farmi dare una spiegazione. Improvvisamente erano diventati tutti forti, accaldati e muscolosi. Leggevo il senso di colpa nei loro occhi per avermi escluso così, ma continuarono ad allontanarsi da me, fino a quando non rimasi quasi da sola. Avevo solo Seth >>. Sospiro.
<< E poi cosa accadde? >> chiede Alex in un soffio. Sento il suo sguardo su di me, mentre io fisso il vuoto davanti a me.
<< Passò un po’ di tempo e iniziai a sentirmi male anch’io. La rabbia che provavo non accennava a diminuire, anzi, aumentava. All’inizio pensai di avere un’influenza, ma era tutto molto strano. La mia temperatura si alzava sempre di più ogni giorno, mi sentivo spossata. Il mio corpo stava cambiando ed era fuori dal mi controllo. Inoltre ero intrattabile, mi arrabbiavo per qualsiasi cosa. Insomma, mi stavo trasformando e non lo sapevo. Un giorno ebbi una discussione con mia madre e mio padre e ricordo che ero così arrabbiata che iniziai a tremare e non seppi controllarmi. Mi trasformai nel salotto, distruggendo il divano, davanti agli occhi dei miei genitori allibiti. Non so come riuscii a non fare loro del male. Tornai in forma umana dopo qualche minuto. Mia madre mi guardava come se fossi un mostro e mio padre come se fosse la prima volta che mi vedeva. Fu proprio quando incrociai gli occhi di mio padre che questi si accasciò a terra. Morì quasi sul colpo: attacco di cuore >>. Mi fermo, incapace di continuare.
Alex prende la mia mano e la intreccia con la sua. << Mi dispiace tanto, Leah >> sussurra, triste.
<< Ancora oggi penso: se non mi fossi arrabbiata così, non mi sarei trasformata, e magari … >>. Magari lui sarebbe ancora vivo. Mi manca la voce.
<< Leah, non è colpa tua, lo sai >>.
<< Sì, lo so. Ormai l’ho accettato >> tiro su con il naso.
<< E’ così difficile convivere con i rimorsi >>.
<< Lo è. I rimorsi si attaccano alla tua testa e non ti lasciano vivere in pace >>. Faccio un profondo respiro e continuo a parlare. << Ormai è andata così. Subito dopo il funerale di mio padre si trasformò anche Seth. Non so cosa avesse capito di quello che era successo tra me e mamma e papà, così glielo spiegai. Mi disse che non era colpa mia e mi consolò. Le prime settimane da mutaforma non furono per niente facili. Anche Seth e io facevamo ormai parte del branco di Sam, e fu proprio lui che ci insegnò a controllarci. Io non parlavo con Sam da quando mi aveva lasciato, quindi ti lascio immaginare quanto fu difficile per noi dover stare così vicini. Era molto facile lasciar prendere il sopravvento alle emozioni e trasformarsi, quindi avevamo bisogno di qualcuno che ci insegnasse a controllarci. Almeno, finalmente, seppi la verità sull’imprinting e cercai di perdonare quello che lui e Emily mi avevano fatto. Feci anche la damigella d’onore al loro matrimonio >>. Sbuffo, pensando a quel giorno. Perché ho fatto la damigella d’onore? Ancora oggi me lo chiedo. Credo che l’unica risposta possibile sia: autolesionismo.
<< Forse avresti potuto evitare di fare la damigella d’onore >>.
<< Hai ragione >>.
<< Fu così terribile diventare un essere sovrannaturale? >>.
<< Per me fu una tragedia, orribile. Il mio corpo che cambiava, la mia privacy invasa, i membri del branco che non mi sopportavano. Non ero più una donna, Alex. Non lo sono. Non potrò mai avere dei figli, una famiglia. Non mi è stata data scelta. Ogni giorno che passava diventavo sempre più insopportabile, fastidiosa e petulante con gli altri membri del branco. Ce l’avevo con il mondo intero e continuavo a soffrire per tutto quello che mi era successo. Tutti cercavano di tenersi alla larga da me >>.
<< Non c’era nessun lato positivo nell’essere un mutaforma? >>.
<< Oh, uno c’era! >> esclamo. << Ero la più veloce del branco. Amo correre! >>.
Alex mi sorride con affetto e mi scompiglia i capelli. << Ecco, dovresti concentrarti sulle cose positive >>.
<< Non sono molte >>.
<< E i pensieri collegati? Li odi, vero? >>.
<< Parecchio. Grazie a quelli capii cosa fosse l’imprinting: non ho mai percepito niente di così forte. Sinceramente l’imprinting mi spaventa, sapere che la propria vita ruota attorno a una persona in questo modo non è una bella cosa >>.
<< Non è come l’amore? >>.
<< Direi proprio di no. L’amore, per me, è più sincero >>.
<< Sam cosa pensava della tua situazione? >>.
<< Sam mi amava ancora, ma l’imprinting è più forte dell’amore, non ci si può opporre. Si sentiva in colpa e soffrivamo entrambi. Ecco perché quando Jake ha creato un nuovo branco sono stata felice di seguirlo >>.
<< Seguire Jake è stata la scelta migliore che potessi fare, meglio i succhiasangue che sentire costantemente i pensieri di Sam. Hai scoperto altro grazie ai pensieri collegati? >>.
<< Sì, altre cose … ad esempio tutti, nonostante non mi sopportassero, mi trovavano attraente. Cercavano di non pensarci però, per via di Sam e Seth, anche se è quasi impossibile trattenere i pensieri >> dico, divertita.
Alex ridacchia.
<< Lo trovi divertente? >>.
<< Abbastanza >>.
<< Ad alcune persone piaccio, sai >>.
<< Se proprio devo ammetterlo, hai un lato B niente male >>.
Gli do un ceffone sul collo.
<< Ahi! >> esclama, anche se non prova dolore. Ride ancora.
<< Tu pensa al tuo lato B e lascia stare il mio! >>.
<< Ok, come ti pare, stavo solo cercando di essere sincero >> borbotta con un sorriso furbo. << Allora come sei finita qui con me? >>
<< Oh, vero, non hai ancora sentito la parte migliore >> dico, con falso entusiasmo e guardandolo negli occhi.
<< Cioè? >>.
<< Emily è morta qualche mese fa – aggredita dalla “suocera” di Jake - e Sam mi ha detto che per noi poteva esserci ancora speranza >>.
<< Lo amavi ancora? >>.
Esito. << Sì, avrei fatto qualsiasi cosa per sentirmi dire quello che mi ha detto >>.
<< E lui ti amava? >>.
<< Credo di sì >>.
<< Allora perché non state insieme? >> chiede, quasi arrabbiandosi.<< Tu ami lui, lui ama te, qual è il problema? >>.
<< Il problema è che lui è sparito per un po’ e poi è tornato con un’altra ragazza perché aveva avuto un altro imprinting >>.
<< Allora è proprio un deficiente >>.
<< Ha cercato di spiegarmi per l’ennesima volta che non dipendeva da lui, che se avesse potuto avrebbe scelto me, ma io ero stanca, tanto stanca. Così l’ho mandato a quel paese e ho fatto i bagagli >>.
<< Ben fatto, Leah! Meriti di meglio, sei rimasta per troppo tempo attaccata al ricordo della persona che amavi >> sussurra Alex, guardando attentamente il suo violino.
<< Lo stai dicendo a me o a te stesso? >> dico, osservandolo.
Alex alza lo sguardo e mi fissa. << A entrambi >>.
Restiamo in silenzio a fissarci. Poi Alex si schiarisce la voce. << Sai, forse ci stiamo riuscendo >>.
<< A fare cosa? >>.
Alex lascia vagare lo sguardo per la casa. << A voltare pagina. Io non entravo qui dentro da quando lei è morta >>.
<< Io non ho mai parlato di Sam a nessuno >>.
<< Siamo proprio una coppia di sfortunati, tu ed io >>.
<< Una moglie suicida e un ex ragazzo mutaforma con il vizio dell’imprinting >>.
<< Ottimo riassunto >>.
<< Sai cosa ci vorrebbe? Qualcosa di forte da bere >>.
<< Credevo che fossi contraria >>.
<< Lo sono, di solito. Diciamo che è un’eccezione >>.
<< Vieni, dai >>.
Alex si alza e mi fa cenno di seguirlo. Mi guida attraverso la casa e mi fa scendere in cantina. Accende la luce e mi accorgo che non solo ha una cantina piena di chissà quante costose bottiglie, ma c’è anche un’altra stanza in fondo. Sembra una grande stanza di musica, insonorizzata. Almeno questo posto è rimasto intatto dalla sua furia.
<< Che cos’è quella? >>.
Alex segue il mio sguardo e i suoi occhi si intristiscono. << Usavamo quella stanza per suonare. Sai, avevamo una specie di band >>.
<< Cosa? Una band? Chi? >>.
<< Beatrix, William, Edgar e io >>.
<< Come i ragazzini? >> chiedo, ghignando.
<< Già, invece di metterla su durante l’adolescenza l’abbiamo fatto nella senescenza >>.
Inizio a ridere, immaginando un incrocio tra i Rolling Stones e i Bee Hive.
<< Ed Emma? >>.
<< Oh, lei suonava il pianoforte e il violino, si rifiutava di far parte della nostra band. Nemmeno la voleva questa stanza qua sotto >>.
<< Adesso non suonate più? >>.
<< Probabilmente loro continuano a suonare. Lo facevamo per divertirci sai, non per chissà quale scopo >>.
<< Sembra una cosa divertente >>.
<< Lo era >>.
Alex prende un paio di bottiglie e risaliamo.
<< Che cosa facevi tu in questa band? >>.
<< Un po’ di tutto. Cantavo, suonavo la batteria, la tastiera … >>.
Lo guardo sbalordita.
<< Leah, ho avuto un sacco di tempo libero. Interi decenni da riempire con diversi passatempi >>.
Alex apre le bottiglie e me ne porge una.
<< Un’intera bottiglia? >>.
<< Non devi berla tutta per forza, non importa >>.
Sembra una bottiglia piuttosto vecchia, non oso immaginare quanto vali. Ne bevo un sorso.
<< Buono >> è il mio commento.
Alex ridacchia. << Quasi me ne pento di averti dato quella bottiglia, è evidente che non ne capisci molto >> scherza.
<< Non sono certo un’ubriacona come te >> ribatto.
<< E tu, Leah? Cosa ti piace fare? >>.
<< Non ho avuto tutti i decenni che hai avuto tu per accumulare passatempi. Sai, prima l’infanzia, poi l’adolescenza, poi la trasformazione, problemi di succhiasangue … e ora sono qua >>. Continuo a bere.
<< Ti senti un po’ meglio, adesso? >> mi chiede Alex.
Annuisco. << Facciamo un giro della casa? >> propongo.
<< Ok >>.
Saliamo le scale che portano al piano di sopra. << Alex che cosa fai il pomeriggio quando lavoro? >> chiedo, curiosa.
<< Spesso aiuto mio padre, deve incontrare molte persone, è sempre molto impegnato. Altre volte girovago senza meta, fumando il mio sigaro cubano >>.
<< Ti ho visto fumarlo poche volte >>.
<< Perché lo fumo soprattutto quando sono da solo. Il mio sigaro ed io abbiamo bisogno di intimità >>. Ridacchia. << Emma lo odiava così ho preso l’abitudine di fumarlo in solitudine >>.
<< E poi? >>.
<< Bè, da oggi ho ripreso a suonare. Credo che riprenderò anche altri vecchi passatempi. Sai, suonare mi è sembrato persino più piacevole degli incontri pomeridiani che a volte ho avuto con alcune ragazze che mi hanno lasciato il loro numero e che non avrei mai richiamato se non avessi avuto davvero niente da fare >>.
Alzo gli occhi al cielo. << Certo, quello non può mancare mai. Credo che potresti scrivere un diario, faresti concorrenza a Casanova >> dico, sarcastica.
<< Sai, è una buona idea. Però ho vissuto nella dissolutezza solo per questi otto anni, avrò raccolto abbastanza esperienze o devo darmi ancora da fare?  >> chiede, con un tono falsamente preoccupato.
<< Perché invece di dire stupidaggini non cammini? Ci siamo fermati sul pianerottolo >>.
<< Hai iniziato tu! >> si giustifica.
Entra in una stanza e accende la luce. Quasi esclamo per lo stupore appena entro. Ci sono migliaia di foto sparse a terra e strappate, tra un mobile impolverato e l’altro. Noto che la mano di Alex trema un po’, così gliela prendo.
<< Non eri ancora venuto qua sopra quando sono arrivata? >>.
<< No >>.
Prende una delle poche foto intere dal pavimento. E’ stata scattata a Parigi, c’è la torre Eiffel sullo sfondo. In primo piano ci sono due visi: uno è quello di Alex, con i capelli un po’ più corti e un sorriso felice. Accanto c’è una donna. Resto incantata a fissarla. E’ una creatura angelica: ha la pelle rosea e vellutata, i capelli biondi, lisci e lunghi e gli occhi più verdi che abbia mai visto. Sorride, mostrando i suoi denti perfetti. Non riesco a trovare un solo difetto. Deve essere sua moglie. Deglutisco, a disagio, e lascio la mano di Alex, che fissa la foto come imbambolato. Mi guardo attorno e mi accorgo che ci sono pezzi di Alex e Emma ovunque. Raccolgo un’altra foto che non è stata strappata: in questa Alex e Emma si vedono per intero. Lei è molto bassa, sembra una bambina. Si stanno baciando. Mi infastidisco senza nemmeno capirne il motivo e lascio cadere la foto a terra.  << Alex, sei stato tu a combinare il disastro in questa casa vero? Ci vivevi con tua moglie? La donna delle foto? >>.
Alex sembra riscuotersi. << La riposta è “sì” a tutte le domande >>.
Facciamo un giro delle altre stanze: la pazzia distruttiva di Alex le ha colpite di meno rispetto al piano inferiore. C’è una stanza con un pianoforte a coda che è stato risparmiato.
<< Quello era di Emma >> commenta Alex passandoci davanti. Si siede sullo sgabello e lo fissa. E’ una bella stanza, con tante finestre vicino al pianoforte. Tiro via le tende impolverate dalle finestre: sta ancora piovendo ma almeno entra un po’ di luce.
<< Non posso credere di essere qui. Mi ero ripromesso che non ci sarei più venuto >> mormora.
<< Come ti senti? >>.
<< Bene >> dice, sollevato. << Grazie per aver parlato di Sam >> aggiunge.
Scrollo le spalle. << E’ stata una liberazione parlarne >>.
<< Sono sicuro che un giorno troverai qualcun altro che ti amerà completamente, senza che ci siano di mezzo strani eventi lupeschi >>.
<< Sai, questo suona simile a quello che ti ho detto io quando hai parlato di Emma >>.
<< Diciamo che prendo spunto >>. Alex sorride.
<< Non è un po’ strano che noi parliamo di queste cose così importanti? >>.
<< No, non lo è, perché c’è qualcosa tra di noi >> mormora Alex, puntando i suoi occhi su di me. Mi sta guardando in modo strano. Mi viene da distogliere lo sguardo, ma non lo faccio.
<< Sì, tra di noi c’è una guerra. Litighiamo sempre >> scherzo.
<< Ecco, proprio quello che intendevo >> dice con leggerezza, ma mi sembra che stia nascondendo qualcosa.
Gli faccio una linguaccia e mi metto a gironzolare per quella stanza. Ci sono delle librerie piene di libri quasi in ogni parete, anche se molti sono a terra. Mi metto a curiosare.
<< Così quel Sam è stato il tuo unico ragazzo? >> chiede Alex.
<< Già, quindi se vuoi consigli per le tue memorie da Casanova non posso aiutarti >>.
Alex sghignazza.
La verità è che ultimamente il mio amico licantropo sta rallentando i ritmi, non esce più spesso come prima. Sì, porta ancora a casa delle fighe da paura, ma non tutte le sere. Ok, ieri sera ne ha portata una, hanno fatto parecchio rumore nel corridoio, mi hanno svegliata e poi mi sono dovuta riaddormentare col televisore a tutto volume e il cuscino sopra la testa per cercare di non sentire niente. Ma la sera prima, ad esempio, quando mi sono svegliata, l’ho ritrovato sul divano della mia suite che dormiva con la bocca aperta. L’ho svegliato mettendogli dei cereali dentro la bocca e si è infuriato. E’ stato divertente.
<< Come mai stamattina non ti sei fatto vedere? >> chiedo, con tono indifferente.
<< Stanotte ho portato una tipa a casa >>.
Grugnisco come segno di assenso.
<< Assomigliava molto a Emma >>.
Grugnisco di nuovo.
<< Dopo qualche ora lei dormiva e io non ci riuscivo, mi sentivo soffocare in quel letto accanto a quella estranea. Così ho preso la mia macchina … >>.
<< Intendi la Ferrari gialla parcheggiata qui fuori? >>.
<< Sì >> dice asciutto.
<< Ok, vai avanti >>.
<< Quindi ho preso la mia macchina – sì, è una Ferrari, sono fatte per essere comprate, no? - e senza neanche rendermene conto sono finito qui. Sono entrato, ho trovato il libro con i concerti per violino a terra, ho preso il mio violino dalla cassaforte e sono rimasto qui a suonare fin quando non sei arrivata tu. A proposito, hai visto se la bionda se n’è andata? >>.
<< Credo di sì, non ho sentito nessun rumore provenire dalla tua suite. Aspetta, perché tieni il violino in una cassaforte? >>.
<< Forse perché è molto costoso e ci tengo molto? >>.
Lo guardo torva.
Alex sospira pesantemente e io gli do un pugno sul braccio.
<< Ma come hai fatto ad entrare a casa se non avevi programmato di venire? >> chiedo.
<< Con le chiavi, no? >>.
<< E le avevi con te? >>.
<< Erano nella mia macchina >>.
<< Perché dopo tutto questo tempo avevi le chiavi in macchina? >>.
<< La smetti? >> chiede, esasperato.
<< Sono solo curiosa! >> mi difendo.
<< Era la mia macchina e la usavo solo io, tenevo sempre una copia delle chiavi lì perché spesso le dimenticavo. Contenta? >>.
<< Abbastanza >> ribatto, soddisfatta.
Mi accorgo che mancano un paio di quadri alle pareti della stanza. << Cosa c’era appeso lì? >>.
<< Oh, da una parte c’era un ritratto di Emma e dall’altra c’era una foto del nostro ultimo matrimonio>>.
<< Dove sono finiti? >>.
<< Li ho distrutti e buttati >>.
<< Forse dovresti fare qualche corso per il controllo della rabbia >>.
<< Non ho rotto tante cose >>.
<< Hai distrutto mezza casa >>
Alex scrolla le spalle. << Gli oggetti si possono ricomprare >>.
Accanto alla finestra, alla sinistra del piano, c’è un giradischi.
<< Non ne ho mai visto uno! >> esclamo, indicandolo.
Alex si alza dalla sedia. << L’ho comprato negli anni ’60 >>. Si avvicina. << Ha un suono migliore rispetto a quello dei cd di ora >>.
<< Ti va di farmi sentire qualcosa? >>.
Si avvicina a una vetrinetta dall’altra parte della stanza. Apre un’anta e cerca fino a prendere un vinile. Torna verso di me e lo inserisce nel giradischi. Parte una canzone dei Queen: “Don’t stop me now”. Alex inizia a cantare. E’ intonato, ma cerca di farmi ridere facendo delle smorfie. Intanto continuo a bere dalla bottiglia: inizio a sentirmi allegra. Alex canta ancora e mi trascina con lui al centro della stanza per ballare. Rido, cercando di oppormi, ma non ci riesco. Chissà che bello spettacolo siamo: due mezzi lupi con una bottiglia in mano che ballano accanto a un pianoforte durante un temporale. Inizio a cantare anche io e Alex fa una smorfia e fa finta di tapparsi le orecchie. Così canto più forte e gli saltello attorno.
<< Sai, dovremmo sistemare questa casa >> suggerisco, mentre inizia “Somebody to love”.
<< Potrei chiamare le donne delle pulizie >>.
Alzo un sopracciglio. << Perché non ti rimbocchi le maniche e non lo fai tu? >>.
<< Mmm anche questa è una soluzione. Ti andrebbe di aiutarmi? >>.
<< Perché no? Però dovrei chiedere il pomeriggio libero al mio capo >>. Gli faccio gli occhi dolci.
<< Oh, che schifo! Non fare mai più quella faccia. Sei fortunata perché hai un capo molto buono. Allora esco un attimo per fare delle compere e nel frattempo chiamo Camille >> dichiara, con un sorriso.
Alex sparisce e torna dopo mezz’ora. Mi trova nella stanza piena di foto: ho iniziato a impilare quelle buone.
<< Dove sei stato? >> gli chiedo appena lo sento dietro di me.
<< A prendere da mangiare e qualcosa per pulire >>.
<< Ottimo >>.
Mangiamo qualche panino e ci mettiamo al lavoro. Con il giradischi a tutto volume, ascoltiamo non so quante canzoni: Alex le conosce tutte. Il pomeriggio passa in fretta, riusciamo a pulire metà piano di sopra, un ottimo risultato considerando le dimensioni di quella casa, il numero delle stanze e il fatto che non siamo umani. Ci sono molte cose distrutte che devono essere ricomprate. Le ammassiamo in giardino, per buttarle. Alex sembra felice, ha un sorriso soddisfatto e l’espressione rilassata.
<< Vedo che questo pomeriggio ti ha fatto bene >>.
Si stiracchia. << Non mi sentivo così da tanto tempo >>.
<< Anche io >> dico.
<< Adesso che facciamo? >> chiede.
<< Non so, forse dovremmo lavarci. Puzzi >>.
<< Ehi vacci piano, anche tu sei un po’ sudata >>.
<< Che ne dici di tornare? >>.
<< Che ne dici di rimanere qui? >>.
<< Non ho i vestiti >>.
<< Ti direi che non è un problema ma so che mi tireresti qualcosa >>. Alza le mani, con un’espressione innocente sul volto.
Gli lancio un’occhiataccia.
<< Ci sono i miei vecchi vestiti, anche se fanno un odore strano perché sono stati conservati per molto tempo >> dice Alex.
<< E’ da un pomeriggio che indosso questa tuta che odora di naftalina, ormai ci sono abituata >>.
<< Allora andiamo >>.
Ci laviamo a turno e indossiamo dei vestiti di Alex. Mi dice che ce ne sono alcuni di Emma, se voglio, ma non è molto convinto nella sua offerta, inoltre non mi sentirei a mio agio. E poi era così bassa!
<< Sto più a mio agio in questa tuta >> dico. Mi ha dato una tuta rossa e bianca. Lui ne indossa una blu e verde.
<< Certo, sembra un sacco di patate su di te >> mi prende in giro.
<< Almeno eviti certi pensieri impuri >>.
Sbuffa. << Io non faccio pensieri impuri su di te >>.
Chiamiamo Thomas per dirgli di non aspettarci per la cena e continuiamo a mangiare altri panini, seduti sul divano del salotto del piano di sopra. E’ uno dei pochi mobili che si è salvato. << Fortunatamente so quanto mangi e ne ho comprati per dieci persone >> borbotta Alex indicando i panini.
<< Lo dici come se tu mangiassi poco >> ribatto, tirandogli una bottiglia di acqua. La prende al volo.
Improvvisamente suona il mio telefono. Era in mezzo ai vestiti bagnati, che sono ancora sulla spalliera della sedia, al piano di sotto. Scendo e vado a prenderlo. E’ Seth. Rispondo, mi siedo a terra e gli racconto della mia giornata mentre lui mi racconta la sua. Niente di nuovo o di importante. I succhiasangue sono sempre lì, depressi. Mamma e Charlie stanno bene. I mutaforma sono sempre i soliti e sono tanti e poi …
<< Leah, ecco, penso che tu debba saperlo >>.
<< Cosa? >> chiedo.
<< Riguarda Sam >>.
Sbuffo. << Ha avuto un altro imprinting? >> chiedo, sarcastica.
<< No, ecco, lui, ehm … >>.
<< Allora? >>.
Seth sospira. << Sta per avere un bambino >>.
Ci sto un po’ a percepire la notizia.
<< Ah >> è il mio unico commento.
<< Mi dispiace >>.
<< Seth, perché dovresti dispiacerti? Capita >> dico, con una voce che non sembra neanche la mia. E’ finta.
Sento dei passi alle mie spalle, deve essere Alex.
<< Lo so, però lui … >>.
<< Seth, va tutto bene, non devi preoccuparti per me. Adesso devo andare, Alex mi sta chiamando >> mento.
<< Salutamelo >>.
<< Certo, ci sentiamo domani >>.
<< Ti voglio bene >>.
<< Anch’io >>.
Stacco il telefono e fisso il tavolo rotto davanti a me. Dobbiamo proprio sistemare questa stanza. Inizio a vederci sfocato.
<< Leah? Va tutto bene? >>.
Sono seduta a terra, Alex si avvicina, in piedi. Viene da dietro. Alzo la testa per guardarlo, alla mia destra. << Certo che ti piace proprio origliare >> dico, piangendo.
Si siede accanto a me, alla mia destra e mi mette il braccio sinistro attorno alle spalle, tirandomi verso di sé.
<< Ehi >> sussurra.
 Mi stringo le gambe con le braccia e piango silenziosamente. << Va tutto bene >>.
<< Non si direbbe >>.
<< Davvero, l’ho superato. E’ solo che a volte è difficile dimenticare il passato, soprattutto quando lo tiri fuori tutto in un giorno >>.
Appoggio la testa sulla sua spalla, chiudo gli occhi e lui mi scosta i capelli dal viso con la mano libera.
<< Lo so, piccola Leah, credimi. Lo so >>.
Gli bagno la tuta con le lacrime, ma non mi importa. Sono troppo infelice per farci caso. Sopporta il mio sfogo per non so quanto tempo. Alla fine le lacrime finiscono, ma non mi sento svuotata come le altre volte in passato. L’infelicità fa posto alla speranza e alla consapevolezza. Alex, una persona diversa da mio fratello, è lì, per me. Il mio amico Alex. Questo vorrà pur dire qualcosa, o no? Per me vuol dire molto più di quanto sia disposta ad ammettere. Ho gli occhi pesanti e gonfi, ho versato troppe lacrime e mi sento sfinita. Odio piangere.
<< Leah, tu sei una donna. Non dubitarne mai. Sei una delle donne più forti che abbia mai conosciuto >> sussurra Alex poco prima che mi addormenti.
   
 
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