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Autore: ansaldobreda    09/08/2014    1 recensioni
allora, prima di tutto è la mia prima storia (vi prego non sbranatemi!) e volevo dedicarla al mio personaggio preferito di sempre, C-17. da quando ero piccola mi sono sempre divertita a creare storie insieme a lui, e vorrei raccontarvi la mia versione della sua storia, o almeno provarci :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi fa male la schiena. Il mio corpo è percorso da enormi brividi, non riesco a fare altro che muovere la punta delle dita. Solo questo è una sensazione stranissima, mi provoca una fitta alla testa e un attacco di tosse. Qualcuno si muove vicino a me, lo sento. Il movimento delle mie dita diventa sempre più fluido, apro e chiudo la mano. Poi provo a sollevare le palpebre, sono così pesanti, sento una goccia di sudore freddo percorrermi la fronte, la luce sembra perforarmi le cornee. Quando il mondo comincia a prendere una forma definita, mi accorgo di essere un una specie di ospedale, anche se la mia mente lo identifica come laboratorio. Alzo lo sguardo, vicino a me c’è un uomo, un uomo molto brutto. Non mi piace come mi guarda, mi sento dannatamente scoperto, forse perché sono nudo. Sollevo la schiena, deve essermi uscita una strana smorfia. Mi sento così strano, è come se il mondo fosse ovattato. Ci osserviamo, non dico niente, deve essere lui a parlare. Prima di farlo mi porge una coperta, io mi ci rifugio dentro, cercando di guardarlo con lo sguardo più neutro possibile. «Benvenuto» mi dice poi «io sono il dottor Gelo, il tuo creatore.» Creatore. La mia mente elabora questa parola, scopro che è un sinonimo di padre. Dunque è così. «Sai qual è il tuo compito?»
Ancora una volta la mia mente lavora da sola, è come se tutte queste cose le avessi già dentro. «Obbedirti.» Appena mi rendo conto di quello che ho detto mi viene la nausea. Perché dovrei obbedirgli? Solo perché è mio padre, o meglio, creatore? Non ha senso.
«Bene.» Mi fissa con uno sguardo soddisfatto. «Il tuo nome?»
«Diciassette.»
«Bene, bene.»
«Ho sete.» il suo sguardo compiaciuto se ne va, e al suo posto appare una smorfia stupita.
«Come?» Sorrido dentro di me, ho detto qualcosa che non si aspettava.
«Ho sete.» Si gira verso un lavello e subito dopo mi porge un bicchiere di metallo. Lo afferro con una mano, stringendo la coperta con l’altra. Mentre bevo, metà del liquido mi scende lungo le guance. Poi lui si volta di nuovo, e io sono colto dall’impulso di scendere da questo lettino maledetto, mi spingo con le braccia ma le mie gambe tremano, non reggono il mio peso, e crollo ai suoi piedi con un tonfo. “Ti prego, non mi aiutare, non abbassarti”. Non lo fa. Mi sollevo con le braccia e mi ritrovo in piedi davanti a lui. Mi stupisco nel vedere che è molto più basso di me. «Come ti senti?» mi chiede.
Vuoto. «Strano.»  Sposto dietro l’orecchio una ciocca di capelli che mi è rimasta davanti agli occhi, le mie mani toccano qualcosa di freddo. Orecchino. Noto che il vecchio ha in mano una pillola, poi raccoglie il bicchiere e lo riempie di nuovo. «Che cos’è?» Non ricevo risposta. Prendo la pillola fra le dita, la ingoio e poi bevo.
«Io starò fuori per qualche minuto, poi potrai lavarti e vestirti. Non toccare niente.» Esce dal laboratorio senza voltarsi mai indietro, deve fidarsi molto di me, o di sé stesso. Io mi precipito subito verso il lavello, e senza pensarci mi caccio due dita in gola, ma l’unico risultato sono qualche colpo di tosse e un po’ di saliva. Provo ancora, spingendo le dita più in fondo, questa volta riesco a vomitare. Qualunque cosa mi abbia fatto ingoiare, ora non c’è più. Pulisco in fretta, mi rimane del tempo per guardarmi intorno. Ci sono macchinari di ogni genere e un manichino di metallo. Il mio sguardo si sofferma sull’unica finestra, molto piccola e molto alta, che fa entrare un quadrato di luce nella stanza, tagliato dall’ombra delle sbarre. Perché faccio questo? Ho vomitato quello che mi ha fatto ingoiare, ho già trovato una via di fuga. Perché? In fondo, è lui che mi ha creato. Continuo a guardarmi intorno, quando mi giro vedo una ragazza, distesa su un lettino molto simile a quello dove stavo io, e con un tubo in gola. Mi avvicino a lei, le sfioro la guancia. Non ho idea del come, tanto meno del perché, ma io, insomma, è come se l’avessi già vista. Qualcosa mi dice che le assomiglio, anche se non mi ricordo minimamente il mio aspetto. Ricordo? Sono nato oggi, come faccio a ricordare?
 
Quando il vecchio ritorna mi trova vicino a lei. «Hai conosciuto la tua futura compagna di squadra, vedo.» mi dice.
«La conosco?» Lui abbassa lo sguardo e sospira.
«È tua sorella.» mi dice con la stessa velocità di un colpo di tosse. Sorella. Cosa significa? Impossibile. «Meglio che te lo dica io prima che tu lo scopra da solo.» Scoprire cosa? « Tu sei un cyborg. Sai cosa significa?» Sono scosso da un tremito.
«Che sono umano.» Cioè che non mi hai creato, bastardo, e che io non ti devo niente. Vuol dire che c’è stato un prima.
«Già.»
«Come mi chiamavo?» Si volta. «Dove abitavo?»
«Non ha importanza.»
«Sì invece. Io non mi ricordo niente.»
«Meglio così.»
«Perché?»
«Stai zitto! Non dimenticare il tuo posto.» Non provo minimamente a staccare il mio sguardo dal suo, so che gli dà fastidio che lo guardo negli occhi. «Tanto perché tu lo sappia, io vi ho salvati. Non ce l’avreste fatta senza di me. Dovresti essermi grato e portarmi rispetto. Ora seguimi.» Apre una porta e ci ritroviamo in un ambiente molto più accogliente, è così che mi immaginavo una casa. Spero tanto che sia casa sua. Se così fosse, è stato un grave errore mostrarmi la strada. Mi guardo intorno alla ricerca di un qualche indizio. Per cosa? Non ne ho idea. Mi porta fino a una stanza da letto. «Lì c’è il bagno, puoi lavarti, qua c’è l’armadio, prendi quello che vuoi. Hai un’ora, e ricordati che una volta che sarai uscito da qui dovrà essere come se tu non ci fossi mai stato. D’accordo?»
«È casa sua, professore?» La mia voce esce con una certa arroganza, lui mi squadra ed esce. Sorrido. Sì, è casa sua.


Ritorno al laboratorio con addosso qualche straccio, il vecchio sta digitando freneticamente su una tastiera. Noto che vicino a lui c'è un altro uomo, grasso e con la pelle pallida e olivastra. perchè gli scienziati pazzi devono essere per forza orribili? Mi siedo sul lettino e comincio a giocherellare con un bisturi che trovo vicino a me. Rimango per molti minuti ad annoiarmi facendolo passare da una mano all'altra, seduto sul lettino, facendo dondolare le gambe. Ogni tanto il grassone alza lo sguardo verso di me. "No, non mi fai paura, è inutile". Prendo il bisturi fra due dita, cercando un modo per farlo saltare, invece l'oggetto viene piegato in due senta il inimo sfozo. Mi esce un misto fra un grido e un'espressione di stupore, il vecchio sente e si gira. «Quella non è che una piccola parte dei tuoi poteri.» mi dice. Sorrido guardando l’oggetto piegato fra le mie mani.
«Che cosa sono in grado di fare?»
«Ti allenerò personalmente, imparerai a controllare la tua forza, a volare» Volare? «e a controllare il ki.»
«Che cos’è il ki?»
«Ogni cosa a suo tempo.» L’idea mi piace molto. Forse mi conviene restare per un po’.
«Cominciamo subito?»
«No, il tuo organismo non si è ancora abituato hai nuovi circuiti, meglio aspettare.»
«Ma io sto benissimo!»
«Sei pallido, e stai tremando.» Stendo una mano davanti a me, e noto che le mie dita tremano anche se non me ne accorgo. Abbasso la mano e riprendo a giocare col bisturi piegato a metà. Mi toccherà aspettare.




Angolo autore: ciao a tutti! Eccomi qui, mi dispiace di avere aggiornato così tardi, ma prometto che il prossimo capitolo arriverà molto prima. eccoci arrivati alla seconda parte della mia storia, e sono già arrivata al capitolo dieci anche se ne manca ancora qualcuno. Lasciatemi una recensione anche piccola piccola, perchè se no non so per chi scrivo, a parte la mia bellissima supermafri <3 A presto.
  
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