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Autore: firstmarch    09/08/2014    2 recensioni
In un futuro imprecisato, dove i matrimoni e le nascite sono controllate dalla tecnologia e dalla scienza, come possono due ragazzi sperare di rimanere insieme? Il sistema decide, non il singolo individuo.
Il sistema impone il matrimonio combinato all'età di diciotto anni, un matrimonio tra due persone che non si conoscono e hanno a disposizione solo otto settimane per farlo.
E se è già difficile per due ragazzi normali affrontare tutto ciò, come potrà essere per Justin e Scarlett, innamorati l'uno dell'altro dall'età di quindici anni? Come potranno sposare qualcuno che non amano se il loro cuore è già impegnato?
______________________________________________________________________________
Fanfiction di soli dodici capitoli, prologo ed epilogo inclusi.
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=Njxc3R-sh5w&feature=youtu.be
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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WEEK 1.

parte due.

 

 

Il giorno seguente avevamo passato solamente metà giornata con la famiglia Lannister, ma non mi era dispiaciuto affatto stare da sola per un po'. Avevo provato a telefonare a Justin più volte, ma il telefono squillava a vuoto, instillandomi dentro una punta di ansia e scetticismo. Volevo sapere come gli stavano andando le cose, avevo voglia di sentirlo, di isolarmi da tutto questo casino parlando con lui. Avevo bisogno di staccare la spina da William, Londra e tutto ciò che ne conseguiva. Quella sera stessa mi arrivò un messaggio da parte di Justin, così breve e conciso che mi venne voglia di buttare il cellulare dalla finestra.
   
“Ci sentiamo domani, fatti trovare disponibile.”
Il signorino non aveva risposto al telefono per tutto il giorno, disponibile proprio per un cavolo, mentre io mi sarei dovuta tenere pronta a una sua chiamata in qualsiasi momento della giornata? Cos'è, lo avevo disturbato mentre era impegnato con Camille?
Forse stavo solo diventando paranoica o forse sopravvalutavo la mia importanza per lui.
Fui sfuggente e sgradevole per tutta la sera, tant'è che mi rifiutai di uscire persino dopo cena. Mi rinchiusi in camera e sperai di prendere sonno in fretta, più facile a dirsi che a farsi, dati tutti i pensieri che mi vorticavano per la testa.

 

***

 

Quella mattina fu il mio cellulare a svegliarmi, preso a vibrare mostruosamente, tormentando il letto su cui ero sdraiata e su cui lo avevo lasciato.
La mia prima reazione fu quella di avventarmi su di esso, nonostante fossi ancora mezza rincoglionita dal sonno, ma una volta scoperto che non era Justin a chiamarmi, ma bensì un numero sconosciuto, tutta l'energia che avevo dimostrato di avere, mi abbandonò.
Guardai l'ora sul display prima di rispondere: le sette e ventuno. Mi portai il telefono all'orecchio sospirando, per poi lasciarmi ricadere sul letto, di nuovo.
   
“Chi è?”
   
“Chiunque tu voglia che sia”, mi rispose la voce di William dall'altro capo della linea. Sorrisi nel sentirlo parlare così.
   
“Per caso hai assunto un investigatore privato e così sei riuscito a scoprire il mio numero?”
   
“Chiamalo investigatore, chiamalo fato. Io lo chiamo “madre di Scarlett Moore”.”
   
“E tu hai detto alla madre di Scarlett Moore cos'avresti fatto con il mio numero?”
   
“Non credo lo voglia davvero sapere.”
   “E perché no?”
Era divertente parlare con lui, quasi non sentivo il fatto che fossero le sette e venti di mattina, e quasi non ne risentivo più del fuso orario.
   
“Ci sono conversazioni che una madre non sarebbe felice di ascoltare.”
   
“Conversazioni presenti solo nella tua testa, William Lannister. E ora dimmi perché mai mi chiami a quest'ora folle.”
Mentre dicevo quelle parole non riuscivo comunque a non sorridere. Per lui era un gioco e dovevo ammettere che era molto bravo nel giocarlo.
   
“Hai due opzioni, Moore. La prima: esci il più in fretta possibile dall'hotel e vieni con me. La seconda: esci il più in fretta possibile dall'hotel, ma mi fai entrare. E allora sì che tua madre si pentirebbe di aver dato il numero della sua figliola a un simile ragazzo.”
Scoppiai a ridere prima di potermi controllare. Era incredibile come osasse mettermi così in imbarazzo senza neanche conoscermi. Justin non lo avrebbe mai fatto...ma la cosa non mi dava fastidio, anzi, le sue proposte, seppur messe sul ridere in questa maniera, stuzzicavano irrimediabilmente la mia curiosità. Dove avrebbe voluto portarmi? Mi scocciava ammetterlo, ma ero impaziente di saperlo.
   
“Ti ricordo, Lannister, che l'ultima volta in cui ho deciso di fidarmi ciecamente di te e delle tue idee, mi sono ritrovata su una ruota panoramica a quasi duecento metri da terra. La mia più grande paura.”
   
“Non hai torto, Moore. Questa volta niente di pericoloso, giuro.
Lo sentii ridacchiare e io non potei non fare lo stesso. Ero già in piedi prima che finisse la frase.
   
“Stupiscimi, William Lannister.”
Chiusi la chiamata senza aspettare una risposta, non volevo farlo attendere troppo. L'errore che commisi fu quello di dimenticarmi di mettere in borsa il cellulare, abbandonato sul comodino accanto al letto.
 

   “Siamo arrivati?”
Erano ormai passate due ore da quando ero salita in macchina con William e ancora non sapevo dove fossimo diretti. Avevo detto a mia madre che sarei tornata a casa quella sera stessa, ma se il viaggio fosse durato ancora molto, sarebbe stata dura ritornare in tempo.
   
“Peggio dei bambini, Moore.”
   
“Smettila di chiamarmi per cognome, dall'Accademia ci siamo già usciti.”
   
“Io ti chiamo come voglio, Moore. O preferisci Miss Moore?”
Era continuamente uno scherzo per lui.
   
“Mi faccia capire, Mr Lannister, io non posso chiamarLa William, ma Lei può chiamarmi come vuole? È un dittatore, per caso?”
   
“Come desidera, Moore. E per la cronaca, siamo quasi arrivati.”
Scendemmo dall'auto dopo dieci minuti e io non potei fare a meno di controllare che ore fossero sul cellulare. Il cellulare... dove diavolo lo avevo messo?
   
“Cerchi qualcosa?”
   
“Il telefono, ma credo di averlo lasciato in hotel.”
Dovevo avere un'espressione omicida, perché non potevo aver dimenticato il cellulare. Justin mi avrebbe chiamato quel giorno stesso, che avrebbe pensato se non gli avessi risposto?

Lasciai stare la borsa che mi ero portata dietro e iniziai a camminare per lasciare che la rabbia verso me stessa passasse. Sentii William seguirmi, ma non mi fermai.
   
“Ho io il cellulare. Se hai bisogno di chiamare i tuoi, posso benissimo prestarti il mio.”
   “No. No, grazie.”
Avevo caldo, un caldo mostruoso. Mi resi conto di non sapere dove stessi andando, così iniziai a rallentare fino a fermarmi.
   
“Ehm...dov'è che dobbiamo andare?”, chiesi vergognandomi del mio scatto d'ira. Che stupida dovevo sembrare.
   
“Anche se te lo dicessi, tu non sapresti come arrivarci.”
William era appena dietro di me, potevo immaginare il suo irresistibile sorrisetto da “so tutto io” sulla sua faccia. Mi voltai un po' troppo in fretta, perché mi scontrai contro di lui. Per fortuna era più alto di me di molti centimetri o a quest'ora la mia testa avrebbe incontrato la sua e mi sarebbe spuntato un bel livido in fronte per la botta.
   
“Ehi, ehi, calma i tuoi bollenti animi, Miss Moore.”
Lui non si mosse dal posto, mi tenne solo ferma per le braccia. Lo guardai di traverso.
   “Smettila con questi appellativi, William.”
Non era il momento giusto per stuzzicarmi.
   
“D'accordo, Scarlett Moore. Permettimi di darti il benvenuto a Stratford-upon-Avon, città natale di Shakespeare.”
Mi guardai intorno e mi chiesi come avessi potuto essere così stupida da non accorgermi di dove fossimo.
   
“Mi concederai l'onore di essere la mia Giulietta, quest'oggi? O Cleopatra o Titania, regina delle fate, ma non credo che Oberon sia stato molto carino con la sua sposa...”
Mi porse la mano con il palmo rivolto verso l'alto e in quel momento non potei evitare di sorridere.
Allungai la mia mano e la posai sulla sua, per poi lasciare che me la sfiorasse con un bacio. Non staccò gli occhi dai miei neanche quando si abbassò sulla mia mano.
   
“Solo per oggi, mio signore.”
   
“Mi piace “mio signore”, mi piacerebbe essere chiamato così anche domani e dopodomani e il giorno...”
   
“Solo oggi.”
   
“D'accordo, Miss Moore.”
William mi sorrise soddisfatto, mentre ci incamminavamo verso il centro della città, senza ancora aver lasciato la mia mano.

 

Camminammo tutto il giorno e la cosa mi stancò meno di quanto mi aspettassi. Quella di oggi era stata una full immersion nel mondo di Shakespeare, un flashback nel sedicesimo secolo, ma non mi era dispiaciuto affatto, anzi, era stata di gran lunga una gita interessante. Questa volta “interessante” non alludeva minimamente ad altri aggettivi.
Dovetti ammettere di essermi persa nel guardare William, ogni tanto, ma solo per poco. Le vere distrazioni provenivano dalla mia testa. Continuavo a tormentarmi per la telefonata di Justin. Non avrei saputo proprio come giustificare la mia assenza. Avrei potuto dirgli che me lo ero dimenticata in hotel, ma il fatto che non potessi andare a prenderlo per tutto il giorno aveva come conseguenza un'unica domanda: cosa avevo fatto di tanto importante per non tornare in hotel per tutto quel tempo? Avrei dovuto dirgli la verità, dirgli che ero stata da sola con William, in un'altra città, lontani dalle nostre famiglie, e che mi era pure piaciuta la gitarella da lui organizzata.
Non c'è stato niente di male nel farlo, Scarlett, non hai fatto niente per cui tu debba sentirti in colpa.
Erano circa le sette e mezza, quando ci fermammo in un ristorante che difficilmente avrebbe fatto entrare due diciottenni come noi, oltretutto neanche vestiti eleganti. A dispetto di quello che credevo, nessuno ci disse niente sul nostro abbigliamento non del tutto consono, anzi, scoprii che ci era stato riservato un tavolo abbastanza in disparte.
    “Potrei addormentarmi in macchina se arriviamo a casa tardi, sai?”, gli dissi io mentre assaggiavo il dolce appena portato dal cameriere, a fine serata. Lui alzò lo sguardo su di me. Non perdeva minimamente la sua aria affascinante neanche quando masticava, la guance gonfie per via del cibo. Trattenni una risata, volevo essere convincente.
   
“Nessuno te lo impedisce”, mi rispose lui sorridendo o, almeno, ci provò. Sorrisi forzatamente, tornando a fingere di concentrarmi sul dessert.
   
“Non ti sarei di grande compagnia.”
   
“Siamo insieme dalle sette di stamattina.”
Appoggiai il cucchiaino nel piatto in cui mi avevano portato il dessert e lo guardai dritto negli occhi.
   
“Vorrei essere in hotel per un orario decente, se non ti dispiace.”
Per la prima volta lo vidi spazientirsi. Mi pentii immediatamente dei miei toni bruschi. Dopotutto ero lì per conoscerlo e lui stava organizzando delle cose carinissime per me, mente il mio unico pensiero era quello di attaccarmi al telefono e parlare con Justin.
   
“Scusami, sono solo stanca”, dissi prima che potesse rispondermi.
   
“Se hai finito, vado a pagare il conto.”
Vidi che era serio, così non mi azzardai a dire più di un “sì, grazie”. Non osai parlare nemmeno una volta usciti dal ristorante, mentre camminavamo vicini verso il centro della cittadina. Dopo una decina di minuti in completo silenzio, mi decisi a rompere la barriera che si era creata tra di noi.
   
“Scusami per prima, Will. Non intendevo essere così sgradevole.”
Usai un tono così formale che quasi mi vergognai di me stessa.
   
“Vorrei solo che tu la smettessi di pensare continuamente a quel ragazzo. Forse ho sottovalutato i tuoi sentimenti per lui, sono più seri di quanto immaginassi.”
Rimasi in silenzio un secondo di troppo.
   
“Mi dispiace, Will, è difficile per me...”
   
“Lo è anche per me, Scarlett. Ti conosco da quattro giorni e già non mi dai alcuna chance. So che pensi ad un altro e sento che qualunque cosa faccia sia inutile.”
Il suo tono era deciso e irremovibile.
   
“Questo non è vero.”
La luce era scarsa, solo ogni tanto riuscivo a sbirciare la sua espressione grazie a quella emanata dai lampioni affacciati sulla strada.
   
“È vero se tu non deciderai di provarci con me. È la cosa migliore che tu possa fare, dato che non possiamo scegliere con chi sposarci.”
   
“Ti chiedo solo del tempo, solo quello.”
Aveva così ragione che mi faceva male ammetterlo.
   
“Abbiamo otto settimane e poi ci sposeremo. Non voglio sposare una donna che è innamorata di un altro.”
   
“Mi stai dando una scadenza? Non posso garantirti che entro quella data non penserò più a Justin.”
   
“Justin.”
Mi era scappato, ma ormai era troppo tardi. Sembrò riflettere un attimo su quell'unica parola, come se ci fosse effettivamente da riflettere su un nome, poi parlò.
   
“Cosa posso fare, Scarlett?”
   
“Quello che stai già facendo.”
   
“E cosa starei facendo?”
Ci eravamo fermati, accanto a noi vi era un parco da cui giungevano le urla divertite di alcuni bambini, ma la mia attenzione era rivolta a William, di fronte a me, così vicino da sentire il calore del suo corpo. Non sapevo bene come tradurre la sua espressione. Esitava, in attesa di una risposta, ma, allo stesso tempo, vedevo i suoi occhi percorrere il mio corpo in tutta la sua altezza. La sua vicinanza mi stava mettendo a disagio, molto.
   “Questo.”
Allargai le braccia a indicare metaforicamente la gita di oggi e le sue attenzioni, ma con quel gesto riuscii anche ad allontanarmi leggermente da lui.
   
“Devi promettermi una cosa”, mi disse lui, il tono di voce così basso da farmi rabbrividire. Questa volta, quando si avvicinò di nuovo a me, non mi azzardai ad allontanarmi. Rimasi immobile, aspettando che mi dicesse altro.
   
“Promettimi che farai di tutto per non pensare a lui e che ti impegnerai a farmi sentire a mio agio quanto lo sto facendo io per te, una volta venuto in Canada.”
Non sono a mio agio, pensai.
   
“Queste sono due cose, però”, risposi io, riuscendo ad accennare un sorriso. Adesso mi stava mettendo in imbarazzo.
Il mio petto si scontrò delicatamente contro il suo. Senza che me ne fossi accorta, William si era avvicinato ancora di più a me. Ma se da una parte avrei voluto spingerlo via, dall'altra non riuscivo a muovere un dito, in attesa di ciò che sarebbe successo.
   
“Promettimelo”, mi sussurrò all'orecchio, dopo essersi abbassato su di me. Vidi con la coda dell'occhio la sua bocca troppo vicina al mio viso, tanto che un brivido mi percorse tutta la schiena.
   
“Io...”
Spostò la testa più a destra, trovandosi così nella posizione perfetta per...
   
“Te lo prometto.”
Mi ritrovai a trattenere il sospiro, quasi in trance, mentre il tempo rallentava e l'attimo si prolungava all'infinito. Avevo lo sguardo fisso sulle sue labbra, erano così invitanti che non potevo non desiderarle. Lì, quasi al buio, in un paese che non conoscevo, lontana da tutto e da tutti e così vicina a lui, tutto sembrava appartenere a un altro mondo.
Sentii la sua mano toccarmi la nuca e avvicinarmi a sé e prima che potessi soltanto pensare qualcosa, mi ritrovai stretta a lui, la sua bocca contro la mia. Avevo un caldo pazzesco, le guance bruciavano e sentivo crescere quasi un fuoco dentro di me, che mi imponeva di non staccarmi da William.
Poi mi ricordai dell'ultima volta che avevo baciato un ragazzo, di quanto era stato simile a quel momento. Era stato cinque giorni prima e quel ragazzo era Justin. Premetti le mani contro il suo petto e lo allontanai da me.
   
“Ma per questo credo dovrai aspettare.”
Quelle parole mi erano uscite così male...erano come un'altra promessa, come se fosse sottinteso che prima o poi mi avrebbe potuta baciare come se niente fosse. No, non doveva più succedere.
La ragione mi diceva che non c'era niente di sbagliato nel baciare il ragazzo che sarebbe diventato mio marito, ma il cuore urlava, urlava quanto fosse stato grave quell'errore, che non avrei dovuto permettere che le sue labbra toccassero le mie neanche per quei pochi secondi, che ero stata una stupida a cedere così facilmente all'innegabile attrazione che provavo per William. Sì, ero attratta da lui, ma non ne ero innamorata. Volevo Justin, non lui.
Lo vidi respirare affannosamente, come se avesse fatto uno sforzo, ma poi sorrise.
   
“Posso aspettare.”
   
“Perché l'hai fatto?”, chiesi, sentendo rabbia e fastidio crescere dentro di me. Come si era permesso?  
   
“Per vedere come avresti reagito. Per vedere se ho davvero qualche possibilità.”
Rimasi ammutolita.
   
“E allora?”
   
“E allora ho avuto le mie risposte.”
Sorrideva così trionfante che capii che non sarei riuscita in nessun modo a fargli cambiare idea.
   
“Torniamo a casa?”, mi chiese un attimo dopo.
   
“D'accordo.”
Non riuscii a dire altro, il senso di colpa era così forte da far male e la debolezza che mi aveva fatto assecondare William mi faceva incazzare.
Per tutto il tragitto fino alla macchina restammo in silenzio, anche se notavo gli sguardi di fuoco che di tanto in tanto mi lanciava, come a ricordarmi della sua vittoria. Guardai dritto davanti a me tutto il tempo. Avevo combinato un casino.
 

Era quasi mezzanotte quando rientrai in camera mia. Raggiunsi in fretta il cellulare ancora appoggiato sul comodino accanto al letto e sbloccai la schermata iniziale. Cinque chiamate perse, due messaggi in segreteria. Oh Dio, dovevo chiamarlo subito. Facendo un rapido calcolo, doveva essere tardo pomeriggio a casa, perciò non esitai un attimo nel richiamarlo.
   
“Si può sapere dove diavolo sei stata per non rispondere a cinque chiamate? Te lo avevo pure detto che ti avrei chiamata!”
Non appena sentii di nuovo la sua voce, mi sentii non una stupida, peggio.
   
“Scusa, scusa, scusa, ho dimenticato il telefono in hotel, non ho potuto rispondere, mi dispiace tanto, credimi.”
Lo sentii sospirare, irritato.
   
“Mi sei mancata, Scar, solo questo. Aspettavo il momento di chiamarti per sentirti e tu non c'eri.”
Nessuno mi chiamava Scar se non lui, odiavo quel soprannome, ma a Justin non interessava. Il mio nome era forse troppo lungo per i suoi gusti.
   
“Se è per questo tu non ci sei stato giovedì, Justin.”
   
“Ero impegnato.”
   
“Impegnato con Camille?”
Sospirò ancora.
   
“Te lo dirò più avanti, quando tutto sarà più sicuro.”
Sentii crescere dentro di me un sentimento così potente da sopraffare qualsiasi pensiero razionale. Gelosia.
   
“Cosa sta succedendo tra te e Camille?”
   
“Niente di cui tu ti debba preoccupare! Ma forse sono io a doverti chiedere cosa sta succedendo tra te e William.”
Rimasi in silenzio e seppi che ciò gli fece male, gli fece capire che c'era qualcosa di rilevante che non sapeva.
   
“Cos'è successo, Scarlett?”, ripeté risoluto, questa volta con un tono di voce che mi fece rabbrividire.
   
“Sa di noi. Se n'è accorto.”
   
“Che co...sa di noi?! Stai scherzando, spero! Ci denuncerà, Scarlett, è una faccenda seria, non un gioco.”
   
“No! Sa solo che sono innamorata di un certo Justin, nient'altro, figurati se vado a raccontargli la storia della mia vita dopo quattro giorni.”
Intanto però hai lasciato che ti baciasse. Strinsi gli occhi cercando di mantenere un contegno, anche se nessuno avrebbe potuto vedere cosa stessi facendo.
   “Nient'altro, d'accordo. Scarlett, mi hai fatto cagare in mano, non rifarlo.”
Poi, senza pensarci due volte, dissi ciò che non mi sarei mai immaginata di potergli dire.
   
“Credo che non dovremmo sentirci per un po', almeno fino a quando non tornerò a casa.”
Silenzio, ancora.
   
“Smettila con gli scherzi.”
   “Sono seria.” 
   
“Perché mi chiedi una cosa del genere? Perché William ti piace, è così?”
Sentivo la rabbia montargli dentro, lo sentivo dal suo tono di voce. Cercai di mantenere la calma e di ricacciare indietro le lacrime. Avevo promesso una cosa a William ed era probabilmente la cosa giusta. L'unico modo per smettere di pensare a Justin era tagliare i rapporti almeno fino al mio ritorno.
   
“Gli ho promesso di provare a conoscerlo e di non essere così scostante come lo sono stata fino ad adesso.”
   
“E questo quando è successo?”
   
“Stasera.”
Ancora silenzio.
   
“E questa promessa implica il non sentirmi?”
   
“Non posso essere carina e gentile con un altro ragazzo se nella mia mente ci sei solo tu, Justin.”
   
"Non mi sta bene, Scarlett, mi dispiace.”
   
“Mi ha dato un bacio, Justin”, dissi prima di poter riflettere. Non riuscivo a fare finta di nulla, non riuscivo a mentirgli, perché era come mentire a una parte di me.
   
“Ha fatto cosa? Spero tu gli abbia tirato uno schiaffo, santo Dio, se ti tocca di nuovo...”
Era furioso, come mai lo era stato. In altre occasioni mi sarei sentita lusingata nel sentirlo così geloso, ma adesso mi sentivo solo in colpa.
   
“L'ho allontanato dopo un attimo.”
Lo sentii in parte calmarsi, ma sapevo che se avesse realmente saputo o visto com'erano andate le cose, né io né William ne saremmo usciti indenni.
   
“E tu hai davvero intenzione di dargli una possibilità?”
   
“Sì.”
   
“Ci sentiamo al tuo ritorno, Scarlett.”
E poi chiuse la telefonata.

 

***

 

Quel sabato passai l'intera giornata coi miei genitori, dato che il giorno seguente saremmo dovuti partire. Non avevo sorriso neanche una volta. Mia madre, quasi come se non si fosse accorta di nulla, mi informò che, il giorno seguente, mio fratello Thomas e sua moglie Felicity sarebbero andati a fare un'ecografia. Invidiai per un momento Felicity e il figlio che forse stavano aspettando, perché da quando io e Thomas eravamo entrati all'Accademia, niente era più stato come prima. Certo, potevamo vederci chiedendo permessi speciali, dato che comunque eravamo fratelli, ma non era lo stesso. Eravamo sempre stati molto uniti, ma dopo l'arrivo di Felicity in famiglia non avevo più potuto comportarmi come prima con mio fratello. L'avevo incontrata così poche volte che per me era quasi una sconosciuta. Una sconosciuta simpatica, ma pur sempre un'estranea.
Perciò l'unica cosa che dissi fu: “spero sia femmina”.
 

La sera cenammo dai Lannister. Nonostante cercai di sedermi tra mia madre e mio padre, fui costretta a stare accanto a, rullo di tamburi, William.
Fu verso la fine della cena che Cassandra propose la cosa più assurda che potesse proporre.
   
“Per noi non sarebbe un problema ospitare Scarlett per qualche giorno, se siete d'accordo.”
   
“Mia moglie ha ragione. Potrebbe tornare in Canada con noi, tra pochi giorni verremo noi da voi. I ragazzi potrebbero passare più tempo insieme”, disse il signor Lannister, seduto a capotavola.
Quando vidi mia madre scambiare uno sguardo di intesa con Cassandra, capii che era finita. Nessuno avrebbe chiesto quello che volevo io, perciò avrei dovuto mettermi l'anima in pace. Poi pensai al fatto che avrei dormito nella stessa casa di William, che sarei stata insieme a lui praticamente ventiquattro ore su ventiquattro.
   
“...il fratello di William non abita più qui da qualche anno, abbiamo una camera in più...”
Bevvi un sorso d'acqua, ma rovesciai gran parte di essa sulla tovaglia, attirando su di me lo sguardo di tutti.
Non avevo più ascoltato i loro discorsi, sapevo che tutto era già deciso.
   
“Scarlett, stai bene?”, mi chiese William non appena mi sbrodolai addosso l'acqua come una deficiente. No, non stavo bene. Avevo caldo e mi sentivo soffocare. Volevo solo tornare a casa, tornare addirittura all'Accademia. Non ce la facevo più.
   
“Ho solo bisogno di un po' d'aria.”
William annuì e si alzò dal tavolo, facendomi strada verso il giardino. Avrei evitato volentieri di rimanere ancora da sola in sua compagnia.
Dopo pochi minuti, quando ormai mi ero calmata, William parlò.
   
“Non sei obbligata a restare.”
   
“No, va bene così.”  
   
“Sei sicura?”
No. “Sì.”
   
“Partiremo o lunedì o martedì, starai sì e no un paio di giorni.”
Mi voltai verso di lui, annuì e sfoggiai il mio miglior sorriso falso.
   
“Va bene così.”
Rientrai in casa senza aspettarlo.

 

***

 

La mattina seguente mi alzai presto, nonostante avessi già preparato le mie cose per spostarle a casa Lannister. Erano le otto di mattina quando uscimmo dall'hotel. Davanti a me vi era William, appoggiato contro la sua macchina, in attesa del mio arrivo. Mi concesse solo un sorriso provocatorio e un'occhiata tagliente, prima di prendere la mia valigia e caricarla in macchina.
   
“È stato un piacere conoscervi, signori Moore. Ci rivediamo tra qualche giorno”, salutò così i miei genitori. Sperò di cavarsela, ma mia madre lo strinse in un abbraccio, ai miei occhi, esagerato. Mio padre gli strinse la mano e gli raccomandò di “prendersi cura della sua bambina”. Poi fu il mio turno ad abbracciarli.
   
“Sii gentile, Scarlett, non mancargli di rispetto. Ti voglio bene”, mi sussurrò mia madre all'orecchio, prima di lasciarmi andare dal suo abbraccio. Io mi limitai ad annuire. Lo avrei fatto, lo avevo promesso sia a me che a lui.
 

Quando entrai per la prima volta in casa Lannister, non mi soffermai molto sui dettagli, ero più che altro distratta, ma quella mattina mi accorsi di quanto fosse grande e ben arredata. Al piano inferiore vi erano la cucina e il salone, il quale dava sul giardino curatissimo. Al piano superiore, invece, vi erano le tre camere da letto e altrettanti bagni: uno comunicante con la camera dei signori Lannister, uno che collegava la camera di William e quella di suo fratello e uno in fondo al corridoio. Notai subito quanto fosse stata personalizzata la camera in cui sarei stata. Era ovviamente stata di un ragazzo. I colori erano scuri, varie tonalità di blu, ma il pavimento era l'unica cosa che si differenziava, essendo bianco. Di fronte al letto vi era una portafinestra che dava su un balcone affacciato sul giardino.
   
“Se ti serve qualcosa, faccelo sapere, Scarlett. Adesso ti lascio da sola”, disse Cassandra prima di richiudere la porta alle sue spalle. Passai il resto della mattinata lì, a contemplare il soffitto e a cercare di non pensare a niente. Scesi solo una volta, per pranzo, ma tornai subito in camera mia, non avevo voglia di stare da sola con William. Purtroppo per me, venne a bussare alla mia porta non appena me la richiusi alle spalle. Non appena entrò lo guardai indispettita, ma mi ricordai immediatamente della promessa che avevo fatto.
   
“Che ci fai qui, William?”
   “Devo dirti quello che penso davvero o no?”, chiese avvicinandosi a me.
   
“Preferirei di no.”
   
“Meglio così, non credo che la verità ti sarebbe piaciuta...o forse sì”, disse, ammiccando.
   
“Dimmi ciò che hai da dire e poi sparisci”, dissi ridendo.
   
“Mi stai cacciando da casa mia, Moore?”
Io lo guardai storto.
   
“Va bene, va bene. Questo pomeriggio mi vedo con degli amici. Vieni anche tu?”
   
“Ehm...non so quanto...”
   
“Ok, alle cinque passo e ti trascino fuori.”
Detto questo uscii, senza lasciarmi la minima possibilità di controbattere. Così, quando furono le quattro e mezza, iniziai a prepararmi. mancavano pochi minuti all'orario stabilito quando il mio cellulare suonò. Era mamma.
   
“Ciao mamma. Tutto bene il viaggio?”, chiesi con voce annoiata.
   
“Scarlett, devi tornare subito in Canada.”
Mia madre era tesa e spaventata come mai lo era stata, riuscivo a sentirlo.
   
“Mamma, calmati e dimmi che sta succedendo.”
   
“Prendi il primo volo e raggiungici. Chiedi scusa ai Lannister per...”
   
“Mamma, calmati! Che cosa è successo?!”
Sentivo un gran baccano di sottofondo, ma non capivo cosa fosse.
   
“Thomas e Felicity.”
Mi bastarono quei due nomi per interrompere mia madre. Senza accorgermene alzai la voce anche io.
   
“Siete all'ospedale.”
   
“Hanno fatto un incidente, sono gravi entrambi.”
Non capii se mia madre stesse piangendo, ma avevo saputo abbastanza.
   
“Farò il prima possibile.”
Chiusi la telefonata e mi precipitai verso la porta della camera, che però si aprì in quel momento. Non appena William vide la mia espressione, si rabbuiò, ma io non gli permisi di fare domande.
   
“Devo tornare a casa.”
 


SPAZIO AUTRICE.

Capitoli sempre più lunghi, yeaah! Quindi, dopo quest'ultimo, 
abbiamo capito due cosucce: a Scarlett piace William, punto uno,
rivedremo Justin nel prossimo capitolo, punto due. Voi per chi sie-
te? La coppia Jarlett (???) o Warlett (???) Lasciando da parte questi
nomi ridicoli, spero vi sia piaciuto, il capitolo! A presto, un bacio.

 
   
 
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