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Autore: ansaldobreda    11/08/2014    1 recensioni
allora, prima di tutto è la mia prima storia (vi prego non sbranatemi!) e volevo dedicarla al mio personaggio preferito di sempre, C-17. da quando ero piccola mi sono sempre divertita a creare storie insieme a lui, e vorrei raccontarvi la mia versione della sua storia, o almeno provarci :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Cosa c’era prima? Cosa c’era prima?” Sbatto la testa contro il muro e continuo a farfugliare con me stesso. Non ho idea da quant’è che vado avanti, ogni volta che sono sul punto di ricordarmi qualcosa, ogni volta che sento di essere sul punto di scoprire qualcosa di importante, ecco che la mia mente si resetta e devo ricominciare da capo. Forse è colpa di quel bastardo, il dottor Gelo. Anzi, sicuramente è colpa sua. È come se nella mia mente ci fosse un vuoto, mi manca qualcosa, mi sento incompleto. Come se la mia vita fosse un’immagine sfuocata. Mi giro verso la ragazza distesa sul lettino, forse lei si ricorda qualcosa. Ha avuto una crisi respiratoria, per questo il vecchio ha interrotto il suo lavoro su di lei, ma presto finirà e lei potrà svegliarsi, e mi racconterà tutto. È così bella, ma non mi sento attratto da lei, sento invece che devo proteggerla. Sento di provare… affetto? Sì, è così che si chiama. Affetto.
Fra qualche giorno comincia l’allenamento, anche se il vecchio sembra preoccupato. Il mio pallore non è diminuito, lui è sicuro che il suo lavoro su di me è stato perfetto, quindi comincia ad avere dei sospetti. Continuo a vomitare le pastiglie che mi dà, non mi fido, è da giorni che vado avanti senza aver mangiato niente, e posso stare sicuro che quelle dannate pillole sono l’unico nutrimento che riceverò da lui. Ho deciso, oggi starà via per molto insieme al suo assistente con la faccia da criceto, devo uscire a cercare del cibo, e magari anche dei vestiti decenti, anche se lui continua a insistere che si deve vedere lo stemma della sua organizzazione del cazzo. Stronzo. Non posso neanche vestirmi bene. Osservo la mia immagine riflessa in una parete lucida. Sussulto. La mia immagine è… morta, non mi viene in mente un altro termine per descriverla. Vedo me stesso con due profonde occhiaie, dei vestiti che non sono i miei, le maniche tirate in su per mostrare dei graffi lungo tutto l’avambraccio. E soprattutto la testa spaccata da un lato, i capelli incrostati di sangue. Mi viene la nausea. Faccio un passo indietro, chiudo gli occhi e quando li riapro vedo solo un me stesso impaurito e con lo sguardo stravolto, con l’aspetto di sempre e i soliti, orribili vestiti. Deve essere stato un calo di zuccheri, non c’è altra spiegazione. Respiro profondamente, con la coda dell’occhio vedo il vecchio uscire seguito dal suo assistente, e senza degnarmi di un sguardo chiudermi dentro il laboratorio. È meglio se mi do una mossa. Mi arrampico fino a raggiungere la piccola finestra, sfilo la grata senza la minima difficoltà. Guardo fuori, il mondo è così luminoso e verde, poi guardo in basso e mi rendo conto di stare per fare una grande, enorme cazzata. La finestra è ad almeno venti metri da terra e io non ho ancora imparato a volare. Forse è per questo che il vecchio non si preoccupa più di tanto. Che si fotta, io me ne vado lo stesso. Chiudo gli occhi e mi butto, li riapro e mi ritrovo per perfettamente in piedi, con le ginocchia leggermente piegate. Fantastico.
Cammino molto e non avverto la stanchezza, la prima casa che incontro è immersa nel bosco e piuttosto piccola. C’è una finestra aperta, entro e mi trovo in cucina, ma rubare dalla cucina darebbe troppo nell’occhio, meglio cercare una dispensa se c’è. Infatti, la stanza accanto è minuscola ma ricoperta da mensole piene di roba da mangiare. Senza il minimo rumore prendo tutto quello che posso trasportare, mi rimane libera solo una mano. Esco dalla casa, in silenzio come sono venuto, e accelero il passo per tornare al laboratorio. Ecco, come faccio a risalire? Mi arrampico su un albero con un braccio solo, e quando arrivo in cima non mi sento per niente stanco. Prego perché quei due non siano ancora tornati, poi lancio la roba che ho in mano attraverso la finestra. Per fortuna sono abbastanza intelligente da aver messo la roba più fragile nei pantaloni. Aspetto che quello che ho lanciato cada a terra con un tonfo leggero, e aspetto ancora per vedere se c’è qualcuno dentro. Poi salto e riesco ad afferrare il bordo della finestra con le mani, rimanendo sospeso a contare solo sulla mia forza. E per quello che ne so è una buona forza, infatti riesco a tirarmi su e a entrare nel laboratorio. Quando atterro non ho neanche il fiatone. Raccolgo il cibo da terra e lo nascondo dietro vari macchinari. Ne ho preso abbastanza perché mi duri qualche giorno, oggi mi limiterò a mangiare del pane.
 
È passato qualche giorno di allenamento, il vecchio mi sta facendo combattere contro una specie di androide molto limitato, ma anche molto veloce. Non abbastanza però. Dopo qualche minuto gli ho tranciato la testa metallica via dal corpo con un calcio, poi gliene tiro un altro in mezzo al torace, lasciando un buco da cui spuntano vari cavi. È divertente osservarlo mentre si tasta il corpo e cerca la testa sopra al collo, preso dal panico. «Va bene così.» dice il vecchio, io invece mi sto divertendo un mondo. Con un altro calcio gli trancio metà delle gambette, lui si ritrova scaraventato a terra e inizia a contorcersi e a strisciare. «Basta così!» Non è abbastanza. Fra le mani formo una sfera di energia e la lancio contro l’androide, dando vita a una bella esplosione. L’unico braccio rimasto integro si muove ancora. Il vecchio mi raggiunge e osserva con lo sguardo grave la mia opera d’arte. «Perché?» mi chiede.
«Mi sembrava divertente.» gli rispondo con lo sguardo più innocente del mondo. Lui se ne va, io lo seguo.
Il cibo sta per finire, appena posso devo ritornare a prenderlo. «Io e il mio assistente staremo via per due ore e venticinque minuti. Non devo trovare niente fuori posto al mio ritorno.» Perfetto. Non potevo sperare di meglio. Saluto la ragazza anche se so che non può sentirmi. Il dottore ha ripreso il suo lavoro su di lei, ormai manca poco. Esco. Anche questa volta cado i piedi, cammino velocemente perché ormai so dove andare. Questa volta in casa c’è qualcuno, faccio il minimo rumore, e riesco comunque a portarmi via il bottino.
 
Ho deciso che voglio imparare a volare, questa storia dell’arrampicarmi sull’albero sta diventando noiosa. Ormai potrebbe benissimo insegnarmelo, anche se dice di aspettare. Sto guardando in basso, sono sull’orlo di uno strapiombo. Il vecchio mi sta parlando ma non ho voglia di ascoltare. Penso che se voglio imparare a volare in fretta dovrò fare da solo, quanto può essere difficile? E poi, se mi spiaccico a terra, tanto meglio. Mi spiaccico a terra… Un attimo di stordimento, poi mi giro verso il vecchio e sorrido. Osservo la sua faccia quando mi lascio cadere all’indietro. Precipito velocemente, quando sto davvero per toccare la terra una forza invisibile mi dà una spinta, e io risalgo verso il cielo, prendo velocità e urlo come uno scemo. Quando sono molto più in alto del laboratorio mi fermo un attimo, riesco a vedere la bocca spalancata di Gelo, gli occhi sgranati del suo assistente, poi riprendo velocità, mi immergo nelle nuvole, corro insieme al vento. Appena tocco terra ho già voglia di rifarlo.
Solo mentre sento il mio stomaco produrre il rumore di una porta cigolante mi rendo conto di avere fame. Non mangio da due giorni e quei due non mi scollano gli occhi di dosso. Forse non dovevo esagerare con quel dannato androide… Ormai ho deciso, andrò questa notte o mai più. Dovrò stare più attento, ma ormai ho imparato a volare. Aspetto che tutto diventi silenzioso, poi faccio sollevare i miei piedi da terra fino all’altezza della piccola finestra. Sfilo la grata sperando che il vecchio e il grassone siano già nel mondo dei sogni, poi esco e atterro davanti alla casetta nel bosco. È buia, le finestre sono chiuse. Proverò a non svegliare nessuno, ma devo essere pronto a tutto. Irrigidisco i muscoli, se uccidessi qualcuno e il vecchio lo venisse a sapere sarei fottuto. Dovrei toglierlo di mezzo, e poi chi mi insegnerebbe? Il grassone? Inoltre deve finire il lavoro sulla ragazza, quindi meglio non combinare cazzate. Basta una leggera pressione per aprire la persiana e un’altra per il vetro della finestra che dà sulla cucina. Entro nella dispensa, è completamente buio ma i miei occhi vedono lo stesso. Mi accorgo che la luce viene accesa solo per il rumore dell’interruttore. Mi giro di scatto, rimango con gli occhi spalancati a fissare un uomo piuttosto alto, con dei baffi folti e un cappello in testa con scritto “guardia forestale”. Eppure sono sicuro di non aver fatto rumore… Rimaniamo a fissarci, cerco di fargli capire con lo sguardo che sono disposto a ucciderlo, ma lui sorride. Non conosco gli umani, ma riesco a capire che non è da tutti girare per casa in mutande, canottiera e cappello. Comincio a chiedermi se gliel’abbiamo incollato. Perché ride? Che stupito, dovrei averlo già ucciso. Lui sorride ancora di più, e comincia a scuotere la testa. «Ah, topolino, topolino…» Che razza di sostanze ha preso?
«Ti conviene stare indietro.» gli dico con la voce più minacciosa che riesco a fare.
«Come ti chiami? Sei di queste parti?» Ma che cazzo gliene frega? Sta cercando di prendere tempo per aspettare la polizia? «Tranquillo, non ho chiamato nessuno.»
«Come faccio a esserne sicuro?»
«Beh, non puoi.» Basta, uccidilo! Cosa aspetti? «Allora, hai voglia di parlare?» Continuo a fissarlo negli occhi. «Pare di no. allora ti conviene sbrigarti prima che si svegli mia moglie. Puoi prendere il cibo, anche dei vestiti se vuoi. No devi rubare, prendi quello che vuoi, coperte, medicine, tutto.» Sta cercando... di fare il compassionevole con me? Come se fossi una povera pastorella orfana che si è persa nel bosco. Non so se ridere di lui o avere voglia di spaccargli il cranio.
«Perché?» Perchè stai cercando di aiutarmi?
«Beh, perché i tuoi occhi mi dicono che ti è successo qualcosa di molto brutto. Voglio aiutarti, mi sembra normale, no?» No. Non è normale, per niente, come non è normale il fatto che sei ancora vivo. Raccolgo tutto quello che avevo tirato giù dagli scaffali senza staccare i miei occhi dai suoi, non prendo nient’altro. Continuo a guardarlo mentre vado in cucina, non gli volto mai le spalle. Poi esco, volando più veloce che posso. Perché mi sono fatto aiutare? Perché? Lui è umano, è inferiore a me, non ho bisogno del suo aiuto, non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. “Di nessuno” ripeto a me stesso. Quello che è successo non deve succedere mai più.

 
 
Angolo autore: ciao a tutti!! Questo capitolo è abbastanza lungo e abbastanza un disastro… Ma io ho sempre la remota speranza che a qualcuno possa piacere ;) A presto <3
  
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