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Autore: SmartieMiz    11/08/2014    1 recensioni
Haruka Nanase non parla molto o meglio, non parla più. Si esprime tramite la musica che è il suo tutto.
Makoto Tachibana non parla poco o meglio, forse parla anche troppo, ma sa rispettare i silenzi e ogni singola nota di Haru. Non capisce un granché di musica, ma quella di Haru lo avvolge. Teme l'acqua, ma accanto ad Haru non ha paura.
Con lui, Makoto dimentica ogni preoccupazione. Saranno l'uno l'ancora dell'altro.
Fino alla fine.
“Dimmi, allora, cosa si celava nei suoi occhi?
Vi era l’oceano. Erano blu come il mare, gelidi come il ghiaccio e travolgenti come la musica che suonava.”

[Lievemente ispirata a “La leggenda del pianista sull’oceano” | Pairing MakoHaru | Angst a palate]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)
Rating: giallo
Genere: angst/drammatico/romantico
Pairing: MakoHaru

 

Note: Salve a tutti! In principio questa cosina qui doveva essere una OS, ma sarebbe stata una OS troppo lunga. Ho quindi cambiato idea e deciso di approfondire determinati fatti, quindi dovrei dividere questo racconto in 3 capitoli circa. Non dovrei superare questa lunghezza; in tal caso, non saranno più di 5/6 capitoli.
Si ispira lievemente al film "La leggenda del pianista sull'oceano". Questo racconto può essere letto anche senza aver visto il film, dato che sono stati ripresi soltanto alcuni fattori e la storia è ugualmente comprensibile.
Il titolo "Tasti neri e tasti bianchi" si ispira al prompt con l'omonimo nome trovato su LiveJournal.
Spero vi possa piacere! :)


 

Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

~  Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)



 






Atto I
Blu come il mare, gelido come il ghiaccio

 

1932




Makoto Tachibana non viaggiava di certo in prima classe e, anche se non poteva accedere alle zone più lussuose della nave, riusciva ugualmente a sentire le note travolgenti dell’ignoto pianista che suonava lì tutte le sere.
Makoto non capiva un granché di musica, ma quella melodia lo avvolgeva e quasi lo ipnotizzava. Era sempre presente nella sua testa ed era come una ninna nanna la notte e un canto al mattino.
Non aveva mai visto il pianista: si limitava ad ascoltare la sua musica in un cantuccio nascosto e semibuio per evitare di essere cacciato in malo modo dal personale della nave.
Soltanto l’anziana signora Doyle, donna affabile di origini irlandesi che lavorava su quella nave come cuoca, sapeva del piccolo angolo segreto del giovane e, ogni volta che gli passava accanto, gli sorrideva con fare materno. Ogni tanto intavolavano anche una conversazione e la signora offriva persino un assaggio dei suoi manicaretti al giovane ragazzo che, anziché gustare, portava ai suoi fratellini nella loro cabina.
«Sono tre giorni che stai su questa nave, giovane. Dove sei diretto?», le chiese quella sera la signora.
«America, signora. Mi trasferirò lì con i miei fratelli più piccoli. Abbiamo fatto davvero di tutto per poter comprare i biglietti».
La signora annuì. «Ormai tutti cercano fortuna in America», disse la signora con un sorriso: «Sei coraggioso, ragazzo. Non è facile intraprendere un viaggio del genere e lasciarsi tutto alle spalle».
«Lo faccio per la mia famiglia», rispose il ragazzo.
«Capisco. Non temere, Makoto. Ognuno troverà il suo posto nel mondo», fece la signora ammiccando leggermente, per poi tornare in cucina.
Makoto sospirò, pensieroso, con quella splendida musica di sottofondo.


~ 
 

Alla fine della sua esibizione, venne sommerso di applausi.
«È un ragazzo talentuoso».
«Già, lo è davvero!».
«Potrebbe ambire al successo, e invece si ostina a restare su questa nave! Ma perché? Per quale motivo?».
«Non ne ho idea. Sciocchi capricci adolescenziali, non so».
Odiava la gente che parlava senza sapere.
Nessuno avrebbe mai potuto comprenderlo. Nessuno.
Lui non suonava semplicemente ma si esprimeva, il che era totalmente diverso.
Le persone amavano la sua musica e ne godevano ogni singola nota, ma non capivano che i suoi pochi ritmi allegri e adattabili al ballo erano puramente ironici e sarcastici e dettati da un odio covato nei confronti del mondo e maturato col passare degli anni.
Gli facevano dei complimenti, ma lui alzava il capo senza dire una parola, sorprendendo tutti.
Persino un musicista lo notò quella sera. «Ragazzino, hai la musica nelle vene. Potresti diventare un grande, ti terrei sotto la mia ala protettrice. Sarebbe un onore collaborare con te!».
Ma il ragazzo rifiutava ogni proposta con un secco cenno del capo.
Quella sera gli era stato chiesto il bis di un pezzo particolarmente festoso ma il pianista, stufato, decise di suonare per conto proprio un componimento freddo e cupo.
Da una parte vi erano i complimenti, dall’altra le lamentele. Quella sera ricevette più proteste del solito.
«Ragazzino, se non accontenti il pubblico ci toccherà cacciarti e cercare un altro pianista», gli ribadì un membro del personale della nave.
Di consueto, era quella frase a scatenare sentimenti diversi e contrastanti nel ragazzo che in quelle occasioni lo spingevano a suonare soltanto per gli altri e non per se stesso.
Non avrebbe potuto sopportare l’idea di essere cacciato perché avrebbe significato scendere da quella nave e affrontare quel mondo di cui aveva tanto timore.

 

~

 
La musica si era interrotta. Doveva essere l’una.
Intorno a quell’ora, il salone incominciava a sfollarsi. In mezz’ora, la grande sala era vuota.
Makoto non si mischiava in mezzo alla folla: a giudicare dagli abiti avrebbero potuto notare che di certo non era quello il posto in cui poteva stare uno del suo rango. Aveva imparato ad attendere che il salone si svuotasse completamente e così fece anche la terza sera.
Tuttavia, il salone non era davvero vuoto quella volta. Non appena uscì dal suo nascondiglio segreto, si scontrò con qualcuno.
«Scusami, non volevo…», mormorò Makoto in preda all’imbarazzo.
Di fronte a lui vi era un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi blu come l’oceano, intensi e profondi.
Lo sconosciuto si limitò a scuotere il capo. Era vestito elegantemente: indossava un completo nero e una camicia bianca. Aveva una fisionomia delicata e sottile.
Makoto non seppe nemmeno spiegarsi il perché, ma si ritrovò a pensare che quel ragazzo avesse l’aria di un musicista e non di un riccone come tutti gli altri. «Tu sei il pianista della nave, vero?», osò chiedere per accertare la sua ipotesi.
L’altro annuì, quasi impercettibilmente. Makoto si ritrovò a sorridergli e porgergli amichevolmente la mano. «Io sono Makoto Tachibana, piacere di conoscerti! Adoro la tua musica».
Il pianista sembrava piuttosto esitante nei suoi confronti, difatti si dileguò proprio poco dopo, senza nemmeno dire una parola e senza nemmeno accettare quella stretta gentile.
Makoto sembrava scosso. Tornò nella cabina di terza classe che condivideva con i suoi fratelli che già dormivano beatamente, cercando di dare poco peso all’accaduto.

 

~

 
La mattina, Makoto si svegliò con non poca fatica alle sei e mezzo. Camminava per la nave con Ren e Ran, i suoi fratellini, e li incitava a fare silenzio.
«Questa nave è così bella, non smetterò mai di dirlo!», esclamò il piccolo Ren con due occhioni pieni di meraviglia.
«Già! Si sta meglio qua che nelle cabine», disse invece la piccola Ran.
«Shh! Stiamo in posti dove non dovremmo stare, fate silenzio», diceva loro Makoto con premurosità fraterna.
Makoto fece il suo ingresso nelle cucine. A quell’ora vi era soltanto la signora Doyle che incominciava a preparare la ricca colazione per le famiglie agiate della prima classe.
«Signora Doyle!», i due bambini le si avvicinarono con un gran sorriso.
«Buongiorno, cari!», rispose lei, ricambiando il sorriso.
«Cosa c’è oggi per colazione?», chiese Ran.
«Spero non di nuovo il pane nero!», esclamò Ren.
«Ma insomma! La signora Doyle è già così gentile con noi, dovreste soltanto ringraziarla», parlò Makoto, serio.
La signora scosse il capo, ridacchiando. «Sono bambini», fece, poi disse loro: «Accomodatevi pure».
I bambini presero posto ad un bancone. Soltanto in quel momento, Makoto notò che il posto accanto al suo era occupato dal pianista della nave. Nei tre giorni precedenti non l’aveva visto lì nelle cucine. I ricordi di quella notte gli ritornarono in testa.
«Ciao! Io sono Ren, lei è la mia sorellina Ran e lui è il mio fratellone Makoto! Tu chi sei?», chiese il bambino al ragazzo.
Il pianista lo guardò, impassibile. Makoto si portò una mano in fronte. «Ren, non disturbare gli altri passeggeri!».
La signora Doyle si rivolse ai suoi ospiti. «Tè al latte e brioche per oggi. Va bene?».
«Grazie, signora Doyle!», dissero i due bambini in coro, visibilmente gioiosi.
Makoto si rivolse all’anziana cuoca. «Signora Doyle, mi dispiace molto, sono mortificato, mi dia pure del pane nero e lasci questo cibo alle fam…».
«Nah! C’è cibo in abbondanza per tutti», la interruppe la signora cercando di rassicurarlo con un sorriso affabile, poi si rivolse al pianista e disse: «Ecco, Haruka».
Il ragazzo fece un cenno di ringraziamento.
«Haruka!», esclamò Ran, esaltata: «È un ragazzo con un nome femminile proprio come te, fratellone!».
Makoto serrò i denti, visibilmente imbarazzato. Il pianista si voltò e lo fissò per qualche secondo.
Makoto percepì tutto il gelo dello sguardo di Haruka su di sé e sentì improvvisamente come se fosse stato imprigionato da una voragine.
Haruka distolse lo sguardo, consumando la sua colazione. Makoto pensò a lungo a quegli occhi blu come il mare e gelidi come il ghiaccio.


 

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