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Autore: BellinianSwan    12/08/2014    2 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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 "Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio."
Samuel Beckett



Si era atteso con impazienza l'arrivo del famigerato Conte Leopardi. Non sapeva che aspetto avesse, ma sicuramente si augurava fosse un giovane avvenente. Un miracolo sceso dal cielo disposto a far riprendere a sua figlia i comportamenti ad adatti ad una gentildonna che si rispetti, soprattutto se nobile! Quando il maggiordomo venne nel suo studio ad avvisarlo del suo arrivo, si poté dire d'esser rimasto "leggermente" deluso, ma decise di far comunque gli onori di casa che si devono ad un aristocratico più importante di lui, seppur di un gradino più alto nella classe sociale e soprattutto ad un geniale ed illustrissimo, reverentissimo letterato.

- Illustrissimo signor Conte -incominciò inchinandosi rispettosamente - sono onorato ch'Ella abbia accettato il mio invito nella mia umile dimora... ma... La preg-...

Si interruppe, perché si accorse solo dopo che il Conte sanguinava ed era pallido, soffriva palesemente.

- Per l'Amor di Dio, ma che vi è successo al collo? - chiese spaurito - Necessitate forse di un medico?

Abbassò rapidamente lo sguardo, visibilmente a disagio.

- Ebbene... me ne vergogno terribilmente.... non ho ancora posato piede nella vostra dimora e già vi causo delle preoccupazioni... ho avuto un... - sollevò gli occhi al cielo sempre più a disagio - Un incidente... durante il tragitto...

Il Conte premeva una mano sul collo. E Alcide lo guardava sempre più preoccupato.

- Ma figuratevi, signor Conte! Al contrario, dovrei esser io a provar vergogna! Non è stato di certo un gradevole benvenuto... Ma prego... Si accomodi, non faccia complimenti.

Disse e gli indicò il divano alle sue spalle, nel grande salone in stile rococò.

- Faccio recapitare subito un medico, Eccellenza.

E chiamò un servo, ordinandogli di andare a chiamare un medico urgentemente, infine aggiunse:

- Mi rendo conto che non siete nelle condizioni per raccontarmi che cosa vi sia capitato, ma non vi nego che a stento trattengo la curiosità.

Disse il visconte con voce grave.

- Ovviamente... non siete obbligato, Eccellenza. - balbettò - Potremmo parlarne anche in un altro momento...

Giacomo gemette flebilmente, il sangue usciva senza tregua.

- Sono stato assalito - Mormorò con un filo di voce - un malinteso, un dannato malinteso...

- Oh, Signore benedetto... - gli si avvicinò, porgendogli il proprio fazzoletto. - Conte, tenete, tamponate con questo. Bisogna che premiate sulla ferita, il medico sarà qui a breve. Si direbbe una ferita da lama...

Osservó preoccupato il volto del poeta farsi sempre più pallido.

- Mi credevano l'artefice di una congiura ai danni del Granduca, sapete?

Mormorò l'altro con voce sempre più flebile.

- D-dite il vero? - balbettò il Visconte, cominciando a sudar freddo - Ohibò... ultimamente si sta armati fino ai denti. Corre voce che vogliano sopprimerlo per un colpo di Stato... ma mi auguro sia solo una voce di corridoio...

Aggiunse infine con un sorriso imbarazzato, cercando di giustificare il tutto. Cominciava ad avere già sospetti sulla figlia. Come aveva potuto osare quella scapestrata? Molestare il loro illustre ospite!

- Voi comunque non sforzatevi più... noto con dispiacere che il parlare vi affatica non poco...

Il medico, un uomo basso e tarchiato con due enormi baffi, fece il suo ingresso nella sala e gli disinfettó le ferite raccomandandogli di non sottovalutarne la gravità, fiato sprecato data la sua naturale attitudine pessimistica. Le parole del medico gli scivolarono addosso greci come la pioggia di novembre. I gesti lenti e calibrati del medico indussero a riflettere sull'abissale assurdità del tutto e si chiese se, questo senso dell' esistere apparentemente irraggiungibile fosse precluso solamente ai suoi stanchi occhi che a lungo avevano indagato perdendo di giorno in giorno l'ardore giovanile, quel fuoco che l'amaro disincanto aveva cercato di estinguere per sempre, ma del quale tuttavia era rimasto un barlume.
Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere.
Il medico gli fasciò il collo e se ne andò subito dopo aver terminato il lavoro. Il Visconte si riavvicinò al suo ospite, che nel frattempo notò avesse adocchiato il ritratto della figlia.

- Quella è mia figlia, Signor Conte...

Giacomo ebbe un impercettibile sussulto, causato dal velato tono di disprezzo con cui il Visconte aveva pronunciato tale parola, con sgomento si rese conto di quanto conoscesse quel latente dispregio, pensò a sua madre, certo che avrebbe risposto nello stesso modo, con agghiacciante rassegnazione. Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero.
Alcide non riusciva a capire come mai lo fissasse con quella insistenza, come se vi stesse cercando qualcosa.

- Qualcosa non va, Conte?

- No. Assolutamente.

Mormorò torturandosi accanitamente le labbra inferiori con gli incisivi. Voleva capire, comprendere quel segreto che sembrava poter placare quella bufera che da anni oramai consumava lentamente il suo animo, e di conseguenza il suo fisico, già straziato dagli impetosi studi

- Sarete stanco dal viaggio, mi sono già preoccupato di farvi preparare una stanza, Eccellenza. I vostri bagagli sono già stati disfatti e sistemati. Se e quando avrete voglia di riposare, potrete chiede al maggiordomo... - e mentre parlava si voltò verso la porta alle sue spalle, distante qualche metro, dove stava l'uomo perfettamente eretto, accanto alla porta che, vedendosi indicato, rivolse un profondo inchino all'ospite - ... lui penserà a guidarvi fino alla camera.

Affermò rivolgendogli un gentile sorriso.
Ed il Conte, con passo incerto si diresse verso il maggiordomo, desideroso di offrire un po' di riposo alle sue stanche membra.
Fu un istante, effimero, breve come un battito d'ali, vide un'esile figura sfuggirgli dinnanzi e senti un doloroso tuffo al cuore, quella vaga e indefinita essenza di lavanda aveva già inondato le sue narici mescolandosi all'odore del suo sangue due ore prima, sulla carrozza, era una delle sue poche certezze. Sentì un brivido risalirgli lentamente la spina dorsale, si strofinó gli occhi sospirando lievemente. Forse la debolezza e lo spavento stavano semplicemente avendo la meglio sul raziocinio...
Il maggiordomo lo sentì rivolgere al suo padrone una parola di ringraziamento, prima di vederselo camminare stentatamente verso di sé, provava... non ribrezzo, era... come un sottile timore reverenziale e un'impressione di certo non positiva, vedendo la sua schiena deforme. Quell'uomo poteva arrivargli si e no a metà braccio!

- Prego, Eccellenza... per di qua.

Gli rivolse queste gentili parole con un sorriso altrettanto generoso e ponendo una mano lungo la porta, che tenne aperta, gli fece cenno di precederlo nell'anticamera del salotto, che avrebbero attraversato, per poi salire al piano superiore e raggiungere quella che tra le tante stanze degli ospiti gli era stata assegnata.
Si sdraió impacciatamente, senza togliersi gli abiti, per un istante riuscì persino a sentirsi privo di quel dannato corpo, che tanto odiava e che tuttavia si era trovato a difendere. La solitudine lo strinse di nuovo nella sua morsa, era l'unica donna a non provare ribrezzo nel divenire un tutt'uno con lui, fino ad assorbirgli l'anima. L'unica e la sola.
Gertrude aveva assistito alla scena, in silenzio, guardando da dietro la fessura della porta della sua camera, che aveva lasciato socchiusa per poter vedere.
Vide quell'uomo, così goffo e impacciato, aveva un'andatura strana, oscillante, e quella gobba... Quando si fu calmato tutto, s'infiltrò nella stanza. Voleva vederlo meglio e da vicino. Non sapeva perché, ma le sembrava misterioso. E il mistero è facile che attiri. Si guardò intorno velocemente e si addentrò. Era proprio di fronte alla sua camera. Lo osservò. Muovendosi silenziosa nella stanza. Era proprio lì. Sdraiato sul grande letto matrimoniale. Sembrava un morto, di quanto fosse pallido. Ne osservò la fisionomia. Era magrissimo e piccolissimo. Nella carrozza sembrava più grosso. Rimase una decina di secondi o forse più. Quel tanto che bastasse per imprimere la sua immagine nella mente, poi uscì, richiudendo la porta alle sue spalle.
Il Conte sentì un rumore lontano, ovattato quasi provenisse da un altro mondo, forse si era aperta la porta? Ad ogni modo decise di non permettergli di sottrargli quella quiete immobile tanto vagheggiata durante il giorno. Avvertì qualcosa posarsi su di lui, si portò lentamente una mano al volto, senza aprire gli occhi. Non era nulla di materiale, forse uno sguardo benevolo o una brezza leggera che accarezzó il suo pallido volto sfregiato dalla sofferenza, scavato dalle lacrime. Stette bene, per un istante. Un altro rumore, e di nuovo la solitudine, prepotente aguzzina. C'era qualcosa nell'aria che addolciva il suo respiro, quasi cullandolo. Era un profumo intenso e delicato allo stesso tempo, un lieve profumo di lavanda...
La ragazza andò a cambiarsi, togliendosi la giacca e raggiunse il padre, dopo aver chiesto indicazioni ad una domestica.

- Padre... perdonatemi.

Richiamò la sua attenzione arrivandogli alle spalle, rimanendo sulla soglia del suo studio. Egli stava riordinando la sua libreria.

- Gertrude - pensò di mormorare, anche se la sua voce grave giunse alla figlia come un ringhio. - Vi vedo stanca, mia cara. Avete avuto una giornata intensa oggi, n'è vero?

- Ho fallito, padre. - gli disse non appena terminò di parlare, quasi interrompendolo. - Non sono riuscita nel mio compito. Sono rimasta tutto il giorno a far la guardia all'entrata della città. Ho controllato tutte le carrozze che uscivano ed entravano a Firenze, ma niente. Per fortuna nessun allarme dal palazzo del Granduca. A quanto pare era solo una diceria.

- Ditemi, cara, avete per caso visto il medico uscire di qui?

Chiese cercando di non mostrarsi alterato voltandosi verso di lei e tenendo i sottili occhiali da lettura sopra il naso adunco, mentre la guardava da sopra le lenti.

- No, padre.

Rispose lei scuotendo appena il capo, fissandolo dritto negli occhi.

- Non è venuto per me... anche se dubito ve ne importerebbe... diciamo pure che Sua Eccellenza il Conte Leopardi ha avuto... come dire... un viaggio alquanto movimentato.

Lei sollevò il capo come per accentuare la curiosità che in realtà non aveva.

- Ah sì? Ed è già arrivato, Padre? So che lo aspettavate con impazienza.

- Sì... appunto. - Sibiló con sdegno. - Ma... suvvia mia cara, non mi sembra il caso di tediarvi con le mie questioni che, senza dubbio sono bazzecole rispetto all'imprescindibile ruolo che rivestite voi nella società... Ve ne prego, parlatemi della vostra missione, perché mai è fallita?

Sollevò un sopracciglio biondo.

- Beh, padre... vi rammento che apprezzo molto la letteratura, soprattutto quella dei giorni d'oggi. Grazie a voi. - fece una pausa e poi riprese - A proposito, padre... come vanno i vostri affari? Si parla bene della vostra... "roba". Sono felice per voi.

Terminò abbassando lo sguardo e sollevando le sopracciglia.

- Avete un'abilità innata nel volgere il discorso dove più vi è di comodo. Come voi credete, e sottolineo, credete di essere a conoscenza dei miei affari, io ho buoni informatori circa i vostri... errare è umano, sapete? Ma perdonare no, solo Dio può farlo a parer mio, mi sembra corretto rammentarvelo. Cosa volete da me, figlia ingrata? Pensate alla vostra coscienza e al peso che la condannate a portare ogni giorno, anziché perdere il Vostro tempo a immaginare congetture per incastrare me, vostro padre, colui che vi ha cresciuta, sfamata!!!

- Non voglio tornare su questo argomento, padre. Sapete bene come la pensi su di voi... e sulle modalità rousseauniane della mia educazione. Ebbene non esigo che voi mi perdoniate. Il perdono equivale alla pace e non è certo la pace a regnare... né tra di noi, né nel Vostro cuore. - ridacchiò appena, con la sua voce grave e melodiosa al contempo - Diciamo che... ho sbagliato carrozza.

Incrociò le braccia al petto, sorridendo con aria di sfida mentre si appoggiava con la spalla al cornicione.
Inspiró a fondo, Alcide, con la precisa volontà di sottrarle la maggiore quantità di ossigeno possibile. Sollevò un sopracciglio grigio, la rabbia lo consumava piano, ardendo silenziosamente nei meandri più riposti della sua anima. Si rese conto di essere stato l'artefice della sua distruzione, si era condannato, quella dannata notte senza luna in cui l'aveva concepita. Si era costruito da sé la gabbia, ma non per questo ne sarebbe stato prigioniero. Con gelida indifferenza puntò gli occhi su quel corpo, ora più che mai estraneo.

- Non ne avevo dubbi. - sibiló sommessamente, assottigliando le labbra per la stizza. - Certi errori si fanno una volta sola, però. Aggiunse, senza battere ciglio.

- Oh... - rise divertita e beffarda, rimanendo sullo stesso tono. - Alcide Degl'Innocenzi che dà una tregua? Cos'è, l'arrivo del vostro amato poeta vi ha reso generoso, quest'oggi?

Continuava a sfidarlo. Le piaceva torturarlo e ancor di più fargli perdere la pazienza, facendogli assottigliare le labbra ancor di più di quanto non fossero-
Il Visconte sentì la rabbia mescolarsi ai suoi fluidi corporei e scendere piano, come le gocce sui vetri appannati durante le giornate d'autunno che era solito trascorrere leggendo le poesie di colui che pur nella sua grandezza non aveva disdegnato di soggiornare da lui. Sentì la rabbia raggiungergli le viscere, o forse era odio? Ad ogni modo negarlo non faceva che peggiorare la situazione. Sua figlia era un pericolo, soprattutto per il suo ospite.
Gertrude sorrise di più, ridacchiò ancora. Sentiva bene la sua rabbia. Tirò fuori il suo pugnale e lo rigirò tra le dita, sfiorando il filo della lama coi polpastrelli.

- Non dovete temere... più tardi cercherò di chiarire la questione... - Disse osservando la lama limpida e lucente. - E cercate di calmarvi, paparino... - enfatizzò quel nome in modo dispregiativo - ... non vorrete beccarvi un malore, alla vostra età.

E scoppiò a ridere sguaiatamente.

- Voi non chiarirete nulla.

Mormorò con la surreale tranquillità di un vulcano prima di una violenta eruzione. inspirò con rabbia e le si avvicinò fino a che non avvertì il debole calore del suo respiro.

- Non permetterò che si sappia che il sangue del mio sangue ha quasi ucciso Sua Eccellenza Giacomo Leopardi. Mi sembra superfluo aggiungere che l'essere vostro padre mi procura un'indicibile onta.

Si accarezzò il mento, impassibile. La fissò di nuovo negli occhi, senza provare assolutamente nulla.

- Voi non avete assalito quella carrozza, intesi?

Le si avvicinò ulteriormente, imponendosi di mantenere la calma di fronte a quello sguardo beffardo.

- Vi proibisco di rivolgere la parola a Sua Eccellenza, in caso contrario, le porte di questa dimora si chiuderanno davanti a voi per sempre.

Lei, di tutta risposta lo guardò impassibile, per tutto il tempo.

- Carissimo papà. Voi che dimostrate tanto odio e ribrezzo verso di me... voi che avete tanto sostenuto i metodi d'educazione da un uomo che rinchiuse tutti i figli suoi in un orfanotrofio... Ditemi, cosa fate voi per guadagnarvi un minimo di riguardo da me? Cosa fate per cercare di ripristinare quell'affetto ch'io vi dava quand'era ancora in fasce? Eh?!

Lo guardava mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

- Cosa? Ditemelo!

Gli urlò in faccia e subito corse di sopra, trattenendo il pianto in petto.
Alcide strinse i pugni fino a sentire un dolore lancinante, qualunque cosa pur di sovrastare quell'enorme voragine che aveva impietosamente ridotto a brandelli la sua anima, e il suo cuore, si perché in quell'istante non vide l'impertinente e supponente Gertrude rinfacciargli I suoi limiti, bensì sua moglie alla quale Gertrude non aveva sottratto solo la vita ma anche l'intelligenza, l'arguzia e il modo di atteggiarsi. Giacomo udì al di là della porta uno straziante pianto convulso, si mise a sedere stropicciandosi gli occhi dolenti. La ferita gli pulsava sinistramente. Conosceva bene il rumore che produceva un cuore a brandelli. Avrebbe voluto esser lì, anche se non era affar suo perché il dolore é il comune aguzzino di ogni forma vivente, anche se nutre una particolare predilezione per il genere umano. Sarebbe andato a fondo di quella questione, oramai aveva deciso.
Scoppiò a piangere solamente quando fu sola. Chiusa nella sua stanza. Non doveva farsi vedere da lui. Non doveva farsi vedere debole. Non ne poteva più di quell'odio insensato che durava da vent'anni. Suo padre era tutto ciò che le rimaneva della sua famiglia. Realizzò solo dopo che il Conte stava riposando nella stanza proprio di fronte alla sua, così cercò con tutte le sue forze di calmarsi e asciugò le lacrime. Pregò che non l'avesse sentita e che suo padre, cosa molto improbabile, non l'avesse seguita.

                                                                                               
                                                                                                
Jean-Auguste D. Ingres  -  Portrait of Monsieur Bertin (Louis-François Bertin)
   
 
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