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Autore: CieloNotturno    13/08/2014    3 recensioni
“Scusa, dovrei ordinare”
Dissi con un tono decisamente elevato di acidità nella mia voce. I suoi occhi si alzarono dal recipiente che stava pulendo e si incontrarono con i miei. Erano verdi come era verde il prato dei parchi di Buenos Aires, verde come l’acqua cristallina del mare, verde come il colore della speranza.
“Mi scusi signorina, cosa desidera?” la sua voce era un insieme di note gravi che miscelate insieme creavano un’armonia mai sentita. Deglutii ritrovandomi per la prima volta con la gola secca e con le parole attaccate al palato.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mi dispiace..”

Mi disse. Mi guardava negli occhi con i suoi mortificati, di un verde che mi faceva girare la testa. La sensazione era strana, molto simile a quella che provai anni fa quando, per la prima volta, mi ubriacai. Malibu. 6 Agosto 2011. La data mi rimase impressa nella mente, per aver custodito la sensazione più strana, brutta ma allo stesso tempo eccitante che avessi mai provato.

“Di..Dello spettacolino che hai visto..intendo” continuò premendo le labbra tra loro rendendole una linea sottilissima, invisibile alla vista delle persone a distanza di qualche centimetro da noi.

Deglutii e inumidii alla meglio il palato per evitare che le parole rimanessero, ancora, attaccate lì, facendomi prudere la gola e bruciare gli occhi.

Con Calma. Ti ha solo parlato.

“Figurati”

Sorrisi, soddisfatta di come il mio tono fosse fuoriuscito dalle mie labbra, in modo sicuro. Come nel mio solito, quando non avevo lui davanti agli occhi.

Ancora non avevo capito il perché di quelle strane sensazioni, quell’agitazione e quella mancanza di sicurezza che mi invadeva prendendo possesso di me e facendomi cambiare completamente da come ero solita a comportarmi.

Quella era la terza volta che lo incontravo, poteva mai essere un caso?

Non avevo mai creduto nel destino, e quindi mi convinsi che non poteva essere altro che una coincidenza e che, probabilmente, non sarebbe ricapitato vedere quegli occhi da bambino furbo e quel sorriso imbarazzato. Improvvisamente sentii la gola secca e il bisogno di bere qualcosa, qualunque cosa potesse annaffiare le mie pareti disidratate.

Alzai di nuovo gli occhi a lui e lo scoprii sorridere, più tranquillo di quanto fosse prima.

“Allora..bè..se sei qui vuol dire che vorrai qualcosa da bere”

Sorrisi inconsciamente, notando le fossette che si erano formate ai lati delle sue labbra, mentre mi sorrideva.

Strinsi la mano attorno alla gamba coperta dalla gonna marrone chiaro vellutata.

Cosa sto facendo? Pappamolla

Mi ripetei in mente una, due, tre volte.

“Perspicace”

Feci un piccolo sorriso di scherno cercando di reprimere all’interno del mio stomaco le emozioni che avevo provato fino a qualche secondo prima, nell’intento di far ritornare la vera me. La vera Violetta. L’acida e punzecchiante a cui non importava di far rimanere male qualcuno, perché quel male che avrebbero provato non sarebbe mai stato pari a quello che provava lei ogni singolo giorno.

Poggiai il gomito sul tavolo, portando il mento sulla mano chiusa a pugno e guardai che gli angoli della sua bocca erano ancora all’insù, non come mi aspettavo.

Sentivo le interiora attorcigliarsi e combattere tra di loro in due schiere. Una era sollevata dal fatto che il mio scherno non l’avesse toccato, e l’altra era delusa del fatto di non aver centrato il bersaglio.

“Allora, cosa vuoi, signorina…”

“Violetta”

Le mie corde vocali vibrarono prima che il mio cervello elaborasse a pieno quel che l’enfasi nel suo tono volesse significare. Solo in quel momento mi accorsi di aver detto il mio nome ad uno sconosciuto, o semplicemente a qualcun altro all’infuori del mio datore di lavoro e delle mie colleghe. Solitamente era Castillo che mi chiamava la maggior parte della gente, non sono mai stata tanto aperta e sentire il mio nome pronunciato da  labbra altrui all’infuori dei miei genitori mi faceva ribrezzo.

“Va bene Violetta. Allora cosa vuoi?”

Lo stomaco si fece vuoto e, se non fossi stata seduta, probabilmente sarei finita in terra. Non avevo provato ribrezzo. Niente affatto. Era..strano. Non riuscivo a spiegarlo. Era come il cappuccino alla mattina, la vasca piena d’acqua calda in inverno, l’ombra delle tettoie dei negozi nei giorni caldi e afosi, come un frappé dai mille e dolci gusti diversi che scendeva lentamente lungo la tua gola assaporando e godendoti ogni aroma presente, riconoscendone il frutto e apprezzandolo ancora di più in quello stato cremoso e freddo.

“Qualcosa di freddo”

La mia lingua aveva un piccolo falò acceso sopra di essa che scendeva piano nello stomaco facendomi andare a fuoco anche quello. Ghiaccio. Avevo bisogno solo di quello e sarei riuscita a superare altri dieci minuti di conversazione.

“Subito”

Ridacchiò prendendo due bottiglie in alto, nello scaffale. Una era di colore azzurrino e riuscivo a intravedere il liquido che si infrangeva contro il vetro come le onde si infrangevano contro il mare, mentre l’altro era di un nero pece impossibilitando la vista di quel che ci fosse all’interno.

I muscoli delle braccia si tendevano e rilassavano continuamente mentre, con movimenti esperti e veloci, miscelava in un bicchiere di vetro con all’interno due cubetti di ghiaccio, i due liquidi mettendone un po’ dalla bottiglia azzurra e un po’ dalla nera. Doveva fare quel lavoro da molto.

Si riavvicinò a me porgendomi il lungo bicchiere con dentro del liquido color giallastro.

“Ecco a te”

Presi il bicchiere con una sola mano, facendo scontrare le mie unghie colorate con il vetro creando un piccolo suono che ricordava molto quando due persone facevano toccare i loro bicchieri per fare cin cin. Abbassai gli occhi al bicchiere mentre inumidivo le labbra di quel alcolico gelato e che sapeva di amaro e dolce insieme.

Quando finii, pochi minuti dopo, poggiai il bicchiere al tavolo, finalmente rinfrescata e stranamente più lucida di quel che ero prima.

“Quanto ti devo?”

Mi schiarii la gola mentre mi asciugavo le mani umidicce di freddo sulle gambe coperte.

“Oh niente. E’ gratis. Non lo sapevi?”

Scossi la testa.

Aggrottò per un attimo la fronte facendo incontrare la pelle sotto al sopracciglio sinistro con quella del sopracciglio destro. Mi stava…guardando in modo strano.

“C’è qualcosa che non va?”

“Hai un viso familiare..ci conosciamo già?”

Una leggera delusione mi invase dentro, raggelandomi il cuore più di quanto già fosse. Ci siamo visti due volte, idiota! Quello che avrei voluto dirgli. Ma scossi nuovamente la testa, negando quel che era la realtà. Se lui non si ricordava di me, neanche io mi sarei ricordata di lui.

“In effetti..ti avrò scambiata per un’altra persona”

Alzò le spalle per poi prendere tra la sua grande mano il recipiente vuoto poggiato davanti a me, mettendolo in un lavello lì dietro, insieme ad un’altra decina di bicchieri perfettamente uguali.

Mi alzai e con un leggero buona serata a testa bassa, mi allontanai al bancone, pronta per tornare seduta al mio posto, a guardare le persone volteggiare e volteggiare ancora.

 

Ero sotto le coperte da ormai un’ora e non ero riuscita ancora a prendere sonno.

Mi giravo a destra e pensavo ai suoi occhi, mi giravo a sinistra e vedevo le sue fossette, mi mettevo dritta e sentivo di nuovo ci conosciamo già? nelle orecchie.

Emisi un verso nervoso e mi portai il cuscino sulla faccia premendolo così forte da rimanere senz’aria per qualche secondo.

Quel che mi infastidiva di più non era il non riuscire a dormire ma il pensare costantemente ad un ragazzo che a malapena conoscevo. Non mi era mai capitata una cosa del genere. Non mi ero mai trovata in difficoltà con la gente, tantomeno con i ragazzi… Allora perché con lui riuscivo a malapena parlare?!

La testa mi scoppiava e se avessi potuto staccarmela dal collo e poggiarla sul comodino, lo avrei fatto con piacere. Lasciai cadere il cuscino di lato e mi alzai dal letto, scuotendo i capelli per far cessare il prurito che mi provocavano sulle spalle.

Schiacciai con l’indice il tasto al centro del telefono poggiato sulla base dell’abatjour per scoprire che erano le 5:04 del mattino e che avevo due messaggi non letti. Sbadigliai per la stanchezza e lessi velocemente il destinatario. Diego.

 

Dolcezza eri bellissima questa sera con quel vestito. Marotti è l’amico migliore che ho mai avuto xX

 

Vediamoci domani pomeriggio alle 17 davanti al Vicius? Devo parlarti Xx.

 

Avrei dovuto andarci?

Probabilmente no, avrei dovuto ignorare ancora una volta i suoi messaggi e farmi i fatti miei, passando il pomeriggio a guardare vecchie sitcom. Invece avevo una strana voglia di vederlo, di..non sapevo cosa volevo farci ma qualsiasi cosa pur di cessare il rumore nella mia testa.

Rilessi i messaggi dopo essermi seduta al bordo del materasso e solo in quel momento realizzai che Marotti aveva aiutato ancora una volta quel depravato senza avvisarmi di nulla. A volte mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori..fossero stati con me..

Mi grattai con le unghie la radice dei capelli ancora profumati dalla splendida acconciatura fatta da Zike, ero sicura che sarebbe diventato il mio parrucchiere. Aveva decisamente conquistato me e i miei capelli con le sue mani fatate.

 

Sbuffai picchiettando le unghie al volante. L’orologio al mio polso segnava le 16:56.

Entro quattro minuti avrei dovuto essere davanti al Vicius, per incontrare Diego, ma ero intasata nel traffico di quella caotica città.

Ero ferma da più di dieci minuti, le macchine avanti non intendevano muoversi di un solo centimetro e la voglia di schiacciare la mano contro il clacson fino a quando tutti non si fossero infastiditi era tanta. Il vento che entrava dal finestrino spalancato mi faceva oscillare i capelli raccolti in una coda sottile, fatta velocemente prima di scendere. Mi si appiccicavano per la faccia e ogni pochi secondi dovevo ritirarmeli dietro le spalle, per evitare - se nel caso i veicoli intorno a me avessero iniziato a muoversi - di provocare un incidente, ed era l’ultima cosa che volevo.

“Anche tu bloccata qui eh”

Girai il viso nella direzione del finestrino, scorgendo una Fisker Karma nera, con il finestrino abbassato e un uomo con una leggera barbetta sul mento e il braccio penzolante fuori. Leon.

1..2..3..

“Già” sorrisi e sospirai sollevata. Facevo progressi, ero riuscita a rispondergli quasi subito..

 

Look At Me

Ciao! Scusate per il ritardo ma questo, per me e credo anche un po’ per tutti, è stato un periodo di vacanza e non ho passato molto tempo al computer.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre ringrazio tutti quelli che la seguono e che la recensiscono.

Volevo avvisarvi che sto scrivendo anche un’altra storia e se passate a leggerla e a darmi un parere mi farebbe molto piacere -anche se sono ancora solo al prologo-

Un bacio a tutti!

 

Cielo <3

   
 
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