Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe
Segui la storia  |       
Autore: Angie Mars Halen    13/08/2014    2 recensioni
Fin dal loro primo incontro Nikki e Sharon capiscono di avere parecchi, forse troppi, punti in comune, particolare non indifferente che li porta ad aggrapparsi l’uno all’altra per affrontare prima la vita di strada a Los Angeles, poi quella instabile e frenetica delle rockstar. Costretti a separarsi dai rispettivi tour, riusciranno a riunirsi nuovamente, ma non sempre la situazione prenderà la piega da loro desiderata: se Sharon, in seguito ad un evento che ha rivoluzionato la sua vita, riesce ad abbandonare i vizi più dannosi, Nikki continua a sprofondare sempre di più. In questa situazione si rendono conto di avere bisogno di riportare in vita il legame che un tempo c’era stato tra loro e che le necessità di uno non sono da anteporre a quelle dell’altra. Ma la vita in tour non è più semplice di quella che avevano condotto insieme per le strade di L.A. e dovranno imparare ad affrontarla, facendosi forza a vicenda in un momento in cui faticano a farne persino a loro stessi.
[1982-1988]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8
A DAY LATE, A DOLLAR SHORT





Il pick-up di Brett arrestò la sua lenta corsa lungo North Clark Street verso le dieci di mattina, dopo aver percorso la strada che da Mount Lee portava a West Hollywood a suon di stenti e fermandosi con uno sbuffo ogni dieci minuti perché qualcuno aveva bisogno di scendere per vomitare. Non era stato un viaggio piacevole né comodo, almeno per quanto riguarda quelli che erano stati relegati nel cassone. Vince non riusciva a tenersi dentro niente e per chi gli erano vicino, ovvero la tipa che aveva rimorchiato, Tommy e Mick, il tragitto si era rivelato un vero e proprio inferno. Forse avremmo dovuto prenderlo come un cattivo presagio visto quello che accadde quando ci fermammo davanti alla palazzina nella quale abitavano i Mötley Crüe.

Il primo a scendere da quel bordello ambulante su quattro ruote motrici fu, contro ogni aspettativa, Vince. Barcollò verso le scale esterne che conducevano alla porta del loro appartamento sorretto dalla sua volenterosa amica. Nel momento in cui iniziò a salire i gradini, una voce cupa e autoritaria che proveniva da dietro di noi attirò la nostra attenzione.

“Signor Sixx?” chiamò austera. “Polizia di Los Angeles.”

Nikki aggrottò la fronte e abbandonò i sedili posteriori con struggente lentezza. Due poliziotti, entrambi con le braccia incrociate e gli occhiali scuri calati sul naso, lo aspettavano impettiti sul marciapiede.

“Abbiamo la lettera di un avvocato che la obbliga a lasciare l’interno 2 al numero 1124 di North Clark Street che, da quanto ci risulta, è occupato da altre due persone e ha subìto ingenti danni a causa di frequenti feste notturne e incendi dolosi sempre, e aggiungerei anche fortunatamente, domati prima che potessero degenerare,” comunicò il poliziotto tutto d’un fiato.

Un attimo dopo Vince tornò indietro, sbraitando e agitando una mano in aria, sempre seguito dalla tipa. “Quella cazzo di porta non si apre e io voglio entrare ma non ci riesco.”

“Non ce n’è più bisogno,” lo informò Tommy con gli occhi ancora spalancati per la sorpresa. “Ci hanno sfrattati.”

A quel punto si scatenò il putiferio. I tre inquilini iniziarono a discutere con gli agenti, i quali continuavano a ripetere che avevano il solo compito di accertarsi che abbandonassero l’appartamento entro mezzogiorno e, dato che ci mancava poco più di un’ora, c’era abbastanza tempo per lamentarsi anche col proprietario del famigerato interno 2, ovvero un signore anziano che spesso era costretto a presentarsi alla porta e intimare agli affittuari di smetterla di dare fuoco ai pantaloni di PVC di Nikki perché usciva fumo dalle finestre e la puzza gli impestava la casa.

Dopo tre quarti d’ora di dispute, risse evitate per miracolo e minacce, uno dei due poliziotti estrasse la lettera dell’avvocato dalla busta, la quale conteneva anche la lista dei danni da risarcire al proprietario. Quei tre disgraziati furono così obbligati a raccattare le loro quattro cose e a stipare tutto dentro il furgone di Tommy, un barcone del ’73 che stava insieme grazie a diverse riparazioni effettuate dalle mani inesperte di qualche meccanico improvvisato disposto a prendere pochi spiccioli per piantare un chiodo da una parte, un pezzetto di lamiera da un’altra, o passare una mano di vernice di una tonalità leggermente diversa laddove un muretto assassino o uno sportello avevano lasciato la loro firma.

Abbandonato definitivamente l’appartamento che la loro sottospecie di manager aveva procurato loro dopo aver miracolosamente convinto il proprietario ad affittare quel buco a una band di scavezzacolli, si presentò un altro problema, seguito da una domanda che ultimamente sia loro che noi ci eravamo posti troppo spesso.

E adesso dove cazzo si va?

Vince si intrufolò nel furgone borbottando e recuperò la sacca che aveva riempito con i pochi vestiti che possedeva e una vecchia chitarra elettrica. Ne uscì barcollando e si allontanò con la bionda, la quale si era offerta di aggiungere un materasso a casa sua apposta per lui. Anche Tommy aveva una cara amica disposta a ospitarlo – forse era già la sua fidanzata, non lo sapevo con certezza. L’unica cosa che avevo capito era che quella tipa era completamente fuori di testa. Era una smilza di un metro e settantacinque con i capelli gonfi e biondo platino, gli occhi perennemente iniettati d’ira e un grosso problema: era fottutamente gelosa. Una volta Rita aveva fatto il grande errore di avvicinarsi a Tommy per salutarlo e si era ritrovata con quella tipa attaccata al collo come un gatto a cui hanno appena pestato la coda. Fortunatamente Rita era muscolosa e le fu sufficiente uno spintone per spedire l’altra abbastanza lontano per finire di salutare Tommy e filarsela prima di ritrovarsela nuovamente addosso. Quella donna era pazza, ma di lei sapevamo solo che l’avevano rinominata Bullwinkle.

Quanto all’ultimo rimasto, non poteva contare sulla gentilezza di nessuna ragazza conosciuta un mese prima né tantomeno su una vecchia fiamma. Mick si scomodò per parlare per la prima volta in tutta la mattina e sottolineò il fatto che lui non si sarebbe di certo mostrato disponibile a ospitarlo, allora Nikki sbuffò e si lasciò cadere sul ciglio del marciapiede, il basso e la chitarra impilati di fianco a lui e uno scatolone con dentro i suoi oggetti personali tra i piedi.

Io ero stata per tutto il tempo con i gomiti appoggiati sul bordo del finestrino aperto e solo ora mi degnai di schiodare per ritornare a sedere, anche se avrei tanto voluto scendere e fare qualcosa per Nikki. Sapevo che non avrebbe fatto fatica a trovare qualcuno che lo ospitasse dal momento che aveva alcuni amici disposti a farlo, ma il problema che mi assillava di più era un altro e di natura ben diversa. Adesso che Vince aveva cambiato casa e si era trasferito dalla tipa bionda, avrei ancora avuto qualcuno disposto a procurarmi la cocaina? Mi morsi un labbro e mi lasciai cadere pesantemente contro il sedile, più nervosa che mai.

“Riportiamo a casa Mars,” disse Steven dopo aver ripreso posto accanto al guidatore. “Poi, già che ci siamo, torniamoci anche noi. Ho bisogno di dormire.”

Mise in moto il pick-up e, dopo aver riaccompagnato Mick nel suo piccolo appartamento vicino al mare, ritornammo alla nostra amata tana. Rita filò nella nostra stanza come un automa, Steven collassò sul divano del salotto e io seguii Brett con una certa insistenza finché non si voltò insospettito dal fatto che gli stessi camminando dietro.

“E adesso che problema c’è?” domandò con insofferenza, la spalla appoggiata alla porta della sua stanza. “Se cerchi altra roba sappi che non ne ho. Forse posso darti del whisky, sempre ammesso che me ne sia rimasto un po’.”

“Volevo chiederti...” cominciai con la voce incrinata per la stanchezza e l’imbarazzo che provavo nel porgli quella domanda. “Non ti dispiace per gli altri? Non pensi che siano stati sfrattati troppo brutalmente?”

Brett arricciò il naso e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “No. Tanto hanno già trovato un posto in cui andare.”

“Non Nikki,” lo corressi prontamente.

“E allora?”

Iniziai a sfregarmi nervosamente le mani. “Potremmo ospitarlo noi. Il divano è libero e non ci dorme mai nessuno a parte Steven quando si addormenta dopo il lavoro.”

L’espressione assonnata del mio amico tramutò in una quasi inorridita. “Non se ne parla, Sharon. Io Nikki Sixx in casa non ce lo voglio, neanche se mi pagasse l’affitto tutti i mesi senza lasciare arretrati, cosa che non credo farà dal momento che non ha nemmeno i soldi per respirare.”

Mi irrigidii e strinsi i pugni lungo i fianchi, ancora stupita per il cinismo con cui Brett aveva parlato di Nikki. “Te l’ho solo chiesto, non ti ho detto che adesso vado a cercarlo e lo porto qui. Volevo sapere che cosa ne pensavi ma, come immaginavo, non vuoi.”

“Hai visto come hanno conciato la loro vecchia casa, vero? Vuoi che sfrattino anche noi?”

“Assolutamente no, però io lo avrei ospitato senza problemi.”

Brett mi guardò di traverso e incrociò le braccia come era solito fare quando, da ragazzini, combinavo un’idiozia e lui si sentiva in dovere di rimproverarmi. “Posso sapere cosa ci trovi di interessante in quel tipo? Per caso ti porta la roba anche lui?”

Rabbrividii improvvisamente e nascosi istintivamente le braccia dietro la schiena.

“Non mi porta niente,” confessai sottovoce, come se stessi ammettendo di aver commesso un errore irrimediabile.

Brett fece un lungo sbadiglio e scivolò un po’ con la spalla contro lo stipite. “Allora perché ti interessa così tanto? Lascialo perdere, che cazzo... è un buon compagno di baldoria, ha una band che spacca il culo a tutta Los Angeles, ma non ha niente di speciale.”

“Brett, hai presente quando inizi a parlare con qualcuno e, indipendentemente da chi sia, ti sembra di conoscerlo da anni?” gli domandai evitando inutili giri di parole. “È come se avessi ritrovato qualcuno che ho perso tanto tempo fa.”

Il mio amico scosse il capo fingendosi divertito e si passò una mano aperta sul viso. “Vaffanculo, Sherry.”

Lasciai cadere le bracca lungo i fianchi mentre sentivo gli angoli degli occhi che bruciavano. “Perché mi rispondi così?”

“Nikki è bravo a scrivere pezzi e sa come divertirsi, però non penso sia la persona di cui hai bisogno. Ti porterà solo dei guai.”

Abbassai lo sguardo e osservai di nascosto Brett mentre si lasciava cadere a peso morto sul letto, sfinito dalla sbronza infernale della sera precedente. Non aggiunsi altro in mia difesa né glielo lasciai intuire con una smorfia, e siccome ero troppo stanca anche per camminare verso la mia stanza, presi il posto di Steven, il quale aveva optato per il divano per lo stesso motivo per cui io stavo dormendo sul suo materasso nell’angolo della stanza.

Mi sdraiai supina e appoggiai le mani all’altezza dello stomaco, concentrata ad ascoltare il silenzio della casa interrotto da qualche lieve e familiare rumore: il respiro pesante di Brett poco più in là, il ticchettio dell’orologio della cucina, il rumore del rubinetto del lavandino che perdeva, gli inquilini del piano di sopra che parlavano, e il rumore delle automobili sul viale. Tirai il lenzuolo fin sotto al naso e mi appallottolai su un fianco, come facevo da bambina quando sentivo i miei genitori che discutevano nel salotto della nostra casa di campagna. Mia sorella dormiva a due metri da me e se mi azzardavo a chiederle di prendermi con lei perché volevo un abbraccio mi mandava via in modo sgarbato, lo stesso che aveva utilizzano il giorno in cui l’avevo salutata prima di partire per Los Angeles. Anche adesso volevo che qualcuno mi abbracciasse.

Sollevai la testa dal cuscino e riconobbi nella penombra la sagoma di Brett che dormicchiava portandosi di tanto in tanto una mano sulla fronte per scostare i capelli, allora mi alzai e, quatta come un ratto, raggiunsi il pavimento ai piedi del letto e mi inginocchiai sulle piastrelle fredde. Allungai un braccio e mossi appena una spalla del mio amico, che sbuffò senza aprire gli occhi e biascicò per domandarmi che cosa accidenti volessi.

“Brett?” lo chiamai sottovoce. “Mi prendi un po’ lì con te?”

“Torna a dormire, Sharon. Sei fatta,” farfugliò con il viso premuto contro il cuscino.

“Non è vero,” mi difesi con voce debole. “Prendimi vicino a te come facevamo da piccoli. Per favore.”

Mi scacciò muovendo appena una mano che ritirò subito dopo, quando si accorse che quel gesto richiedeva troppe energie. “Ho male dappertutto e mi viene da vomitare. Fammi il piacere di tornare sul materasso di Steve e metterti a dormire.”

Lo osservai mentre si girava dall’altra parte lamentandosi per i crampi allo stomaco e capii che non sarei riuscita a fargli cambiare idea, allora tornai a strisciare verso il materasso di Steven. Mi sdraiai sulla stoffa ruvida e mi strinsi nelle spalle come se avessi voluto procurarmi da sola l’abbraccio di cui avevo bisogno, ancora più infreddolita di prima. Avrei tanto voluto avere qualcuno di fianco che potesse stringermi a sé e non farmi più tremare, qualcuno come Brett, l’unico vero fratello che avessi mai avuto, o Nikki. No, Nikki forse era meglio di no. Forse lui non sapeva neanche cosa significasse essere abbracciato da qualcuno che ti vuole veramente bene. Mi domandai se fosse davvero così e finii per addormentarmi con questo dubbio che mi assillava con la stessa insistenza di una zanzara che ti ronza vicino all’orecchio durante le notti d’estate mentre cerchi di prendere sonno, girandoti e rigirandoti nell’afa e calciando via le lenzuola.

Mi svegliai quasi sei ore dopo, quando tutti stavano ancora dormendo beati come pupi. Siccome non volevo svegliarli e avevo bisogno di respirare dell’aria che non fosse quella maleodorante del nostro appartamento, decisi di uscire. Mi infilai un paio di scarpe ormai logore che mi ero portata dalla Louisiana e fregai qualche spicciolo dalla tasca del chiodo di Brett, probabilmente gli ultimi che gli erano rimasti, con l’intenzione di andare a prendere un caffè nel solito bar, sperando che almeno quello mi aiutasse a riprendere le forze di cui avevo bisogno per affrontare il resto della serata. Camminai spedita fino al locale godendo del tepore del sole ancora alto alle sette di sera, la mano premuta contro la tasca a tastare le monete e pregustando l’attimo in cui avrei bevuto il mio caffè saturo di zucchero e rinvigorente come non ne bevevo da tempo. Estrassi gli spiccioli nello stesso momento in cui varcai la soglia del pub e li appoggiai subito sul bancone di marmo, sotto gli occhi della cameriera che mi guardò domandandosi cosa mi fosse successo di così terribile per ridurmi in quello stato. “Un caffè corretto, grazie.”

“Con un goccio di Jack Daniel’s?” azzardò la ragazza. Evidentemente i miei gusti si potevano dedurre facilmente basandosi sul mio aspetto.

Scossi il capo e presi posto su uno degli sgabelli.

“Latte,” la corressi.

“Stai ancora smaltendo quello di ieri sera?” si intromise una voce alle mie spalle. Mi girai e mi ritrovai di fronte Nikki che mi fissava ghignando con un gomito appoggiato sul bancone.

“Sapevo che prima o poi saresti passata di qua per il tuo caffè da post-sbronza,” aggiunse mentre si osservava una mano con fare disinteressato, poi sollevò lo sguardo e mi mostrò le iridi brillanti. “Vince aveva proprio ragione riguardo questa tua abitudine.”




N.D’.A.: Buonasera! =)
Ne approfitto per ringraziare di cuore l’autrice che ha inserito tra i preferiti sia questa storia che l’autrice Angie Mars! Poi, ovviamente, grazie anche a chi continua a recensire! ♥
Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate. ;)
Un bacio e a mercoledì prossimo!

Angie


Titolo: A Day Late, a Dollar Short - Hanoi Rocks


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe / Vai alla pagina dell'autore: Angie Mars Halen