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Autore: _Leviathan    15/08/2014    3 recensioni
Frank Iero e Daisy Snowdon sono migliori amici. Frequentano il liceo a Westwood, nel Minnesota, e hanno un compito da portare a termine: Scattare delle fotografie che facciano vincere loro il concorso di fotografia della scuola.
Daisy è sicura di aver trovato la location perfetta: L'ex Ospedale Psichiatrico di Westwood.
Solo nel momento in cui Daisy e Frank si recheranno lì, si renderanno conto che quel luogo nasconde un terribile segreto.
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Importante: E' stata da me modificata gran parte del capitolo quattro, consiglio a tutti di rileggerlo prima di cominciare la lettura del quinto. 
Ringrazio come sempre le adorabili persone che recensiscono e seguono la storia, siete meravvvvvvvigliose v.v***



 
Capitolo 5.


 

Era come trovarsi su Marte.
Il mondo che avevamo conosciuto fino a pochi giorni prima non c’era più. Era stato spazzato via per sempre.
La città non sembrava più la Westwood in cui ero nata e cresciuta, somigliava più ad un campo di guerra bombardato e abbandonato.
Dopo tre giorni (erano passati davvero tre giorni? O eravamo rimasti chiusi là sotto per più tempo?) gli incendi si erano spenti, le nubi di fumo erano scomparse.
Il sole brillava in cielo, non una nuvola copriva l’arcata cobalto.
Per un momento mi immaginai Lewis Spencer, l’omino del meteo, che annunciava: “Si prospetta una fantastica giornata di sole a Westwood, perfetta per portare i vostri amici a quattro zampe a fare un giro al parco comunale. Ah, dimenticavo, la città è andata a fuoco.”
Frank mi guardò in modo strano, e allora mi resi conto di star ridendo nervosamente. Smisi all’istante.
- Tutto bene, D? –
Pensai che mai parole più stupide fossero uscite dalla bocca di Frank Iero.
Per qualche strana ragione a me sconosciuta, gli risposi che si, andava tutto bene.
Ma eravamo come due uomini mandati in avanscoperta in un nuovo mondo.
Cosa dovevamo fare? Dove dovevamo andare? C’era ancora qualcuno? Dov’erano finiti tutti? Che cos’era successo? Era ancora pericoloso stare lì fuori? Il resto del mondo aveva fatto la stessa fine? Era meglio uscire di giorno o di notte? Che cosa ci aspettava là fuori? In che modo ci saremmo difesi, se qualcuno o qualcosa ci avesse attaccati?
Non lo sapevamo. Ma il piano era semplice: Riuscire ad arrivare vivi a casa mia.
In effetti, era molto più semplice a dirsi che a farsi.
L’auto di Frank, rimasta nel garage, era andata a fuoco assieme a casa sua e a tutta la città. Quindi l’opzione “troviamo un’altra macchina, cerchiamo di metterla in moto e andiamo con quella” era decisamente off limits. A meno che non avessimo avuto un immenso colpo di fortuna, ma sapevo che non sarebbe successo. Io non ero mai fortunata.
Camminavamo ormai da un’ora.
Io, Frank e il mio zainetto, che conteneva cibo sufficiente per due o tre giorni al massimo. Una volta finito, non sapevo come avremmo fatto a trovarne altro. Non volevo pensarci, ma era una delle domande che si ripetevano regolarmente nel mio cervello, e non mi dava tregua.
Avevamo evitato di comune accordo l’ospedale scegliendo così di fare il giro più lungo. Ci avremmo messo di più, ma infondo cosa cambiava? Non avevamo più orari, non dovevamo fare più nulla che rientrasse in uno schema preciso. Solo vagabondare in cerca di una speranza.
Non avevamo ancora incontrato anima viva, il silenzio che aleggiava tutto intorno a noi era opprimente.
Perché era scoppiato un incendio? Se era vero che il problema principale era un virus, non aveva senso.
Sovrappensiero, non prestai attenzione a dove stavo mettendo i piedi. Inciampai in un sasso e caddi a terra.
Frank fu subito accanto a me, mi aiutò a rimettermi in piedi.
- Tutto bene? –
Annuii.
Camminammo in silenzio per altri dieci minuti.
- Frank? –
- Si? –
- Perché non c’è nessuno? –
Sospirò. – Me lo stavo chiedendo anch’io. –
Scossi la testa. – Non possono essere morti tutti. –
Non rispose, si limitò ad una smorfia che non riuscii ad interpretare.
Un’altra cosa strana era che non avevamo trovato neanche un cadavere. Era come se tutti fossero scomparsi nel nulla. Westwood non era grande, ma era comunque impossibile che tutti fossero scomparsi. Il pensiero che gli unici in città fossimo rimasti io e Frank, per quanto inconcepibile, cominciava a darmi i brividi.
Non era affatto divertente. Non era come nei film.
Non era emozionante e non dava adrenalina.
Era solo triste e angosciante.
Eravamo quasi arrivati nel quartiere in cui abitavo, e la cosa che notammo immediatamente fu che il paesaggio stava mutando. Le tracce dell’incendio diminuivano, le case non erano distrutte. Della gente, però, ancora nessuna traccia.
Mi chiesi ancora come fosse possibile. Le città vicine, le altre città degli Stati Uniti e del resto del mondo, non avevano saputo nulla? Non era possibile che non sapessero.
E allora perché nessuno arrivava?
Forse erano già venuti. Forse avevano fatto evacuare tutti mentre noi eravamo nascosti. Era possibile, e ciò mi diede un barlume di speranza. Forse Rachel era riuscita a mettersi in salvo. Involontariamente sorrisi, anche se solo per un istante. Ero lungi dal potermi sentire sollevata.
Frank si fermò. Lo imitai, e mi resi conto che eravamo davanti a casa mia. Era ancora perfettamente intatta, nessun segno della catastrofe, nessun segno dell’incendio che aveva colpito la parte ovest della città.
Le imposte erano socchiuse, il giardino ancora perfettamente curato, il vento leggero faceva sbattere i rami del larice sulla finestra del salotto. Come sempre. Solo che non c’era nessuno, lo sapevo. Lo sentivo.
Sembrava la dimora di un fantasma.
Un brivido mi percorse la schiena.
Frank mi stava guardando. - Vuoi entrare? –
Annuii. Era comunque meglio accertarsene.
Non appena misi piede sul vialetto di ghiaia mi sentii strana. Osservata era l’aggettivo giusto. La sensazione era talmente vivida e forte che fui costretta a voltarmi. Gli unici occhi che incontrai furono quelli nocciola di Frank, che mi sorrise appena per incoraggiarmi.
Mi voltai e continuai a camminare. Ero turbata, la sensazione non accennava a diminuire.
La porta di casa era socchiusa. La spinsi e misi un piede all’interno.
- Rachel? – Chiesi timidamente. – Rachel, sei in casa? –
Non l’avevo chiamata mamma. Mi resi conto di essere riuscita a farlo solo quando avevo temuto di stare per perderla.
Nessuna risposta. Aumentai il tono della voce e la chiamai ancora.
Niente.
Il cuore cominciò a battere forte.
- Sarà meglio che controlli tutte le stanze. – Ma nonostante tutto, avevo ancora la sensazione che lei non fosse in casa. Il presentimento di essere osservata, invece, era un poco scemato. Ma probabilmente solo perché ero entro le mura domestiche.
Feci un giro veloce per la casa, controllai armadi e sgabuzzino. Sapevo che sembrava stupido, ma io avrei potuto nascondermi persino lì, se mi fossi trovata nella sua situazione. Mi bloccai un attimo. In realtà non avevo la più pallida idea di quella che era stata la sua situazione. In ogni caso, Rachel non c’era.
Frank mi raggiunse. – Niente? –
- No. Niente. –
Si morse l’interno delle guance.
- Che ne pensi, Frank? –
Non rispondeva. Notai che stava diventando paonazzo. Si stava sforzando di non mettersi a piangere. Il senso di colpa si manifestava in lui così, sempre. Ormai lo conoscevo troppo bene. Anch’io mi sarei sentita in colpa se fossi stata lui.
Mi resi conto che in quel momento gli avrei volentieri colpito la faccia con un pungo, sentivo il bisogno impellente di rovinargli quel nasino perfetto.
Ma sapevo che non era colpa sua se Rachel non era in casa, così come sapevo che non avremmo potuto fare niente per raggiungere l’abitazione prima di quel giorno.
Feci qualche respiro profondo cercando di non alzare le mani su di lui. Sapevo che farlo non sarebbe stato giusto, ma la sola consapevolezza non bastava.
- Daisy… -
- No. Non dire niente. –
Ma purtroppo Frank era una persona che non demordeva facilmente. – Daisy, mi dis… -
- Ti ho detto di stare zitto Frank. Non è colpa tua, okay? E ora non rivolgermi la parola se non vuoi ritrovarti con la faccia sfondata. – Sotto l’aspetto linguistico non ero riuscita a trattenermi. Ringraziai il cielo che, nonostante tutti i suoi difetti, Frank avesse sempre avuto il buonsenso di capire quando poteva parlare e quando invece doveva starsene zitto.
Uscii di casa sbattendo la porta, senza curarmi di dove fosse rimasto Frank. Mi accovacciai sul vialetto e mi presi la testa tra le mani. Volevo urlare. Il nervosismo mi stava portando a pensare di compiere azioni sulle quali normalmente non avrei indugiato per mezzo secondo. Mi sarei strappata i capelli e la faccia a unghiate.
Mi alzai e tornai in casa. Presi un coltello dalla cucina tornai fuori in giardino, nel tragitto urtai Frank. Immediatamente avvertii di nuovo la sensazione di essere osservata, ma me ne infischiai. Mi diressi al larice e cominciai a prenderlo a coltellate.
Meglio l’albero che me.
Quando ebbi accoltellato gran parte della corteccia mi fermai. Lasciai cadere il coltello a terra. Fissai l’albero sventrato per minuti interi, le mani così serrate che avevo quasi perso sensibilità alle dita.
Scese una lacrima. Pigra, lenta.
Non rimase sola per molto tempo. A poco a poco altre la seguirono, sempre di più, premevano per uscire sempre più violentemente.
Frank mi circondò la vita con le braccia. Esitava. Probabilmente si stava ancora chiedendo se poteva toccarmi senza subire ripercussioni negative, ma io non avevo più voglia di prendermela con lui. Mi ero sfogata, ed ora ero completamente svuotata. Volevo solo piangere.
Mi abbandonai al suo abbraccio, piansi sulla sua spalla fino a non avere più lacrime.

 
 
 
 
Giorno 04
 
Ci siamo barricati in casa, passeremo la notte qui.
Nessuna notizia di Rachel, non abbiamo idea di cosa le sia capitato. E’ ancora viva? Non lo sappiamo. Lo spero ardentemente. Ovunque lei sia, spero che stia bene.
Mi rifiuto di credere che sia morta.
Frank parla molto poco, credo sia ancora scosso per la mia reazione di oggi. Devo assolutamente parlargli.
 
Domani mattina ripartiamo. Vogliamo uscire dalla città per vedere qual è la situazione fuori.
Vogliamo sapere che cosa è successo a Westwood. 
   
 
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