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Autore: Invader_from_Hell    12/01/2005    5 recensioni
In condizione di totale metessi col torbido destino di queste strade.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Joyce is dead

Joyce is dead

 

 

Decidemmo di voltarci un’ultima volta insieme verso la strada, dopodiché ognuno sarebbe andato per la sua strada, almeno per un’oretta.

Una fitta nube nera si alzò ad un solo isolato da noi, levandosi sui palazzi e sulle macchine come un terribile presagio. Vedemmo la gente che, nonostante l’ora fosse tarda, si accalcava lentamente intorno alla sorgente di quel nero miasma. Nel preciso momento in cui ci incamminammo insieme verso quel luogo ancora poco definito sapevo perfettamente che quello sarebbe stato il suo ennesimo tentativo di seguirmi, di non lasciarmi solo quella notte, anche se sarebbe stato per una sola ora. Una sola ora di una sola notte nell’arco di alcuni mesi di vita. Camminava al mio fianco e non parlava, assoggettato alla mia ostinazione e alla nube torbida che si alzava sempre più alta.  Non capivamo ancora da dove precisamente si alzasse. Istintivamente l’odore lattiginoso del disastro mi suggerì l’immagine di un autoveicolo ribaltato ed agonizzante sul nero asfalto; ed in effetti quella non era l’unica spiegazione plausibile. Si poteva trattare anche di un locale in preda ad una violenta emorragia gassosa.

Quando fummo a pochi passi dalla sorgente di quella secrezione volatile fu tutto più chiaro. Sebbene avessimo tacitamente deciso di non attraversare la strada per andare a controllare di persona cosa fosse accaduto, si scorgeva chiaramente la porta di un locale straziata dalle fiamme. Era aperta come una bocca in preda ad una tortura, e perdeva fumo nero. Intorno a questa cornucopia del torbido miasma, angeli con borsette, zainetti e altri strumenti attingevano dolore e lo distribuivano ai piani più bassi della fetida rosa.

Il mio sguardo doveva essere perentorio, poiché quando fummo tornati sui nostri passi la sua resistenza si era fatta più tenue, e intravidi chiaramente la realtà di un’ora di solitudine in quelle cloache meravigliose.

Pochi passi, e sparì dietro quella porta con una scia di lacrime silenziose, in preda al terrore di aver fatto la scelta sbagliata, di aver mancato ad un impegno importante, di non aver atteso a quello che agli occhi di chiunque sarebbe stato il suo dovere.  Io non la pensavo così, ero convinto dell’importanza del mio gesto, cosciente della possibilità di fornire un campo di esistenza a tutte le idee di me.

 

Avendo già dedicato troppo tempo agli ultimi sguardi, decisi di incamminarmi lungo quelle vene sporche.

Scorrendo anonimo e labile, insieme al flusso di carta, polvere, nubi nere e ansie mortifere non coglievo improvvisamente la differenza tra me e tutto l’anonimo dolore che sembrava pervadere le strade di Londra. No, non c’era un briciolo di compassione per me in quelle impressioni. C’era una verità scritta a lettere putride su tonnellate di pagine consumate e unte. Non c’era una sola parte di me che si potesse salvare, dopo la sua dipartita, dalle esalazioni che provenivano da ogni parte della mia anima.

La notte possedeva gran parte delle persone nel mondo, mentre mi apprestavo alla discesa nell’Averno di quei soffi spenti. Non c’era la volontà di riconoscersi il minimo merito in quella severa nottata, c’era terreno per il disprezzo della mia condotta e della mia persona. Non una parte di me riusciva a non mimetizzarsi alla perfezione con l’aspetto meschino e corrotto di quelle vie polverose. Non c’era assolutamente nessuna possibilità che la mia torpida presenza potesse destare lo stupore di quelle quattro mura bigie, non c’erano gli elementi a che io rappresentassi la bianca luce che si staglia con grande contrasto e scintille contro la barriere del grigio. La sporca barriera del grigio. Assolutamente nessuna possibilità, assolutamente nessuna scappatoia. Le scorciatoie, poi, erano qualcosa di assolutamente impensabile. Non c’era nesso logico che mi rendesse padrone del flusso della mia riflessione.

 

Nascita morte dignità si stagliano con ardore sul piano esterno dell’anima mentre coraggio e sofferenza creano un violento contrasto sul piano etico-sociale Proseguire la strada verso la dignità significa accettare la propria appartenenza al mondo sporco e rinnegare tutto ciò che si è o si è voluto diventare non c’è riposo per una mente stremata che desidera intraprendere il cammino nella vie sporche e affollate della coscienza infelice dove nascono le convinzioni di gloria e veridicità nello stesso avvengono complicati processi gnoseologici che conducono l’anima all’affermazione totale della propria onniscienza malata Non c’è speranza di uscire indenni da un contrasto interno etico tra coraggio e dignità da una parte e gloria pensata e poco autostima dall’altra benché talvolta si riscontrino casi di sopravvivenza si finisce quasi sempre per preferire la morte Se non la prima morte che sembra allora sempre in ritardo rimane sempre la morte dell’anima la seconda morte temuta da Dante poiché tutti ci troviamo oggi nella selva oscura e la retta via credetemi è sempre stata smarrita per quanto si possa credere abbiamo sempre tentato di rinvenirla da qualche parte tra idea di bene e idea di giustizia Non si riscontrano casi di morte dell’anima manifesta ma solo situazioni di bilico intellettuale risolvibili con lenti pellegrinaggi dove il sole arriva meno filtrato dove l’autocoscienza si guarda allo specchio rischiarata dai raggi di un sole che vede solo la verità delle cose l’onestà intellettuale è difficile da conquistare.

 

Quella, tuttavia, doveva essere la mia serata. Le mie caratteristiche mi avevano imposto una secessione rapida e non indolore dal gruppo, ma ero fermamente intenzionato a perdermi in quella dolorosa speculazione, forte del fatto che la lontananza da casa, si sa, è per siffatte questioni il miglior analgesico.

L’eccitazione che al solo pensiero mi pervadeva si dimostrò non essere una semplice fantasia della mia mente. Essa mi prese realmente man mano che i miei piedi si sporcavano di quel peccato enorme. La rinuncia allo stato di angelo, incorrotto e privo di quella colpa terribile che è la vita, impose al mio ventricolo destro l’entrata in una macina. Insanguinato, tuttavia, scelsi di uscirne per continuare il mio tragitto. Non poteva esserci, in quella tremenda condizione di frustrata indegnità, una rapida risoluzione. Tuttavia, la visione dei palazzi grigi che si stagliavano nella notte mi ricordò che

 

Io non differisco molto da Joyce ha strappato per sempre il romanzo tradizionale gettandolo in pasto alle certezze del lettore che venivano meno in un’epoca di grande dubbio e di grande incredulità di fronte a sconvolgimenti sociali politici religiosi economici Io strappo le pagine del certo romanzo della mia vita un finale prestabilito non si adatta ai mondi delle cloache e dei miasmi che sporcano una vita pura al massimo delle sue potenzialità che può essere ciò che vuole mentre là fuori imperversa il flusso di uomini di carta persone che si sono inquadrate nel proprio mondo e sono state capaci di  trovare un posto che le rendesse soddisfatte e cariche di entusiasmo Io non sono così io strapperò le pagine del mio romanzo quando il finale sarà troppo chiaro io sono poco convenzionale io sono un flusso io sono Joyce io sono divino io sono il più grande io sono quello che nessun altro può aspirare ad essere io ho ottenuto il dono della comprensione io comprendo i destini io capisco io mi relaziono all’ambiente io mi tramuto in Joyce in  libro in coltello in sangue in casa in drammatico miasma nell’idea

 

Di me.

 

Ma Dublino è lontana…

E Joyce…

Joyce è morto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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