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Autore: ansaldobreda    19/08/2014    1 recensioni
allora, prima di tutto è la mia prima storia (vi prego non sbranatemi!) e volevo dedicarla al mio personaggio preferito di sempre, C-17. da quando ero piccola mi sono sempre divertita a creare storie insieme a lui, e vorrei raccontarvi la mia versione della sua storia, o almeno provarci :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Devo tornare alla casa dell’umano. Non ho altra scelta se voglio mangiare. E poi manca poco al risveglio di mia sorella, voglio che possa mangiare subito. Deve rimettersi velocemente, così potremmo andarcene prima da questo dannato laboratorio. Allora, l’umano ha detto di avere una moglie, quindi devo stare attento perché da quello che ho capito non esiterebbe a chiamare la polizia. Prima di forzare la finestra, ascolto: non si sente niente a parte la televisione. Apro il vetro e mi ritrovo in cucina. Mentre mi dirigo verso la dispensa, noto che sul tavolo della cucina c’è appoggiato qualcosa. Lattine, buste, cibo insomma. E una coperta. La sfioro, è molto morbida, sembra nuova. Non come lo straccio che mi ha dato Gelo. Qualcosa mi dice che tutto questo è qui per me. Deve averlo lasciato lui, che stupido. C’è esattamente quello che mi serve, quindi lo prendo. Prima di uscire controllo se qualcuno si è accorto di me. Vedo solo dei piedi spuntare da dietro un divano, la donna non sembra essersi accorta di niente. Non so perché, ma mi fermo un attimo a osservare lo schermo della tv. Vedo una donna dietro una scrivania, telegiornale. «E ora la nostra inviata da Orange Star City.» dice la donna. Le immagini che seguono mi tolgono il respiro. Non riesco più a muovermi e ancora una volta non ne so il motivo. Si vede una città, delle vetrine, gente che passeggia, tutto perfettamente normale. Allora perché mi sento così strano? Poi si vede una scuola, “Orange Star High School”, e io devo mordermi il labbro per rimanere immobile e non fare rumore. Nella mia mente ritorna la domanda che mi perseguita da quando mi sono svegliato: “Che cosa c’era prima?”. Orange Star City… Se voglio trovare una risposta, sento che dovrò cominciare da lì. Volo fuori dalla finestra e in qualche secondo sono al laboratorio. Via libera. In poco tempo nascondo tutto quello che ho preso ed esco di nuovo con una destinazione precisa.
 
Atterro sul tetto di una casa, non ho idea di dove andare, né tantomeno del perché sono venuto qui. Mi guardo intorno, sembra una normalissima città, per niente familiare. Forse ho sbagliato posto, o forse non sono nel quartiere giusto. Magari potrei provare a fare un giro. Scendo per le scale del condominio, quando esco mi ritrovo in una stradina affollata. Mi danno fastidio tutti questi umani, che ridono e saltellano intorno a me come caprioli. Decido di seguire la massa, e presto arrivo in quella che sembra la via principale. È piena di negozi e vetrine. Visto che non ho nessuna fretta potrei anche dare un’occhiata, e magari trovare qualcosa di decente da mettermi. Entro nei negozi più affollati, è come uno scherzo. Prendo un paio di jeans, delle scarpe e una maglietta da mettere sotto a quella che ho già, così il vecchio sarà contento che si vede il suo stemma. Prendo anche una bandana da annodare intorno al collo. Quando mi guardo allo specchio mi sento molto più a mio agio.
Continuo a camminare, forse per ore. Una ragazza quando mi vede passare tira fuori la lingua e sorride, perché gli umani sono così stupidi? Se non avessi altro da fare mi sarei divertito un po’. Mi accorgo che mentre cammino mi sento sempre più nervoso, inizio a passarmi le mani fra i capelli, a tormentare una ciocca, a giocherellare con un filo della maglietta e ad accelerare il passo. Ci siamo, lo sento. La via che sto percorrendo ne incontra un’altra, mi giro e mi trovo davanti la scuola che ho visto in televisione. Stringo i pugni, e impongo a me stesso di non farla saltare. Ricomincio a camminare, quando un’auto della polizia si ferma davanti a me. Merda, che cosa vogliono? Ne esce un ometto basso e baffuto. «Nicholas?» Ce l’ha con me? «Nicholas! Io pensavo che tu fossi…» Che fossi... cosa? L’uomo strabuzza gli occhi e sbuffa. «Che cosa ci fai in giro? Hai l’aria di chi ha combinato qualcosa.» Può essere che prima mi chiamassi Nicholas? Lui sembra molto sicuro. «Sai che non posso più coprirti, dopo quella volta che tu e i tuoi amici teppisti avete dato fuoco all’auto del sindaco.» Non so perché ma scoppio a ridere. Comunque, questo Nicholas deve essere stato parecchio messo male, per avere bisogno di essere coperto da un poliziotto. «Io ero un grande amico dei tuoi, sai che non voglio che tu finisca in prigione.» continua lui. Genitori! Quindi il mio vero padre, e mia madre! Aspetta… ha detto ero?
«Dove sono?» gli chiedo.
«Chi?»
«I miei genitori.» Lui mi guarda male. Allora ho sentito bene, sono morti.
«Ragazzo, ti senti bene? Sei pallido, meglio che tu vada a casa.» Casa. Forse lui sa dove abitavo.
«Sì, non mi sento bene, mi puoi dare un passaggio?» Pessima recitazione, ma lui sembra berla. Mi fa cenno di salire, e mi porta fino a davanti a una casetta grigia con un misero cortile intorno. Mi viene una fitta allo stomaco e un forte senso di nausea. Questa è casa mia? Mi sento deluso, la trovo abbastanza orribile. Ringrazio il poliziotto e aspetto che si allontani con la sua auto, poi un fascio di luce esce dal palmo della mia mano e si sente un forte botto. Cammino verso la casa, quando sono quasi arrivato all’ingresso vedo una donna bionda con un aspetto distrutto aprire la porta. Appena i suoi occhi si fermano sui miei le spunta sul volto un’espressione indecifrabile. Rimaniamo bloccati, a osservarci. Non mi ricordo di lei, non ho idea di chi sia, ma cosa importa? So solo che mi dà fastidio il modo in cui mi guarda. Poi la donna si gira e chiama qualcuno di nome Hector. I miei muscoli si contraggono, un uomo molto grosso prende il posto della donna. Appena lo guardo, so già che fine farà. «Tu?» mi dice, io mi avvicino. «Piccolo stronzetto… chi ti ha dato il permesso di ripresentarti qui?» Sì, mi sono già stufato di lui. «Non osare fissarmi in quel modo! Guarda che io ti…» Lo colpisco in faccia prima di dargli il tempo di finire la frase. Il bastardo sfonda la porta e viene scaraventato contro il muro. Fisso la mia mano, fantastico. Mi sento molto meglio adesso, è come se avessi desiderato farlo da sempre. Sfortunatamente, lui si rialza. Tenta di colpirmi, ma schivo il suo pugno con facilità. Poi lo sollevo e lo scaravento a terra, la sua testa si spacca contro un angolo del tavolo. La donna urla, io rido. L’uomo non si muove più. Peccato, mi stavo divertendo. Mentre sto per uscire dalla casa, la donna mi afferra un braccio. Mi giro, sta piangendo ma mi sorride. Perché? Mi libero dalla sua presa ed esco. Però, quando sono in strada mi fermo, sento che manca qualcosa. “Cosa hai intenzione di fare? Risparmiarla?”. Le mie labbra si piegano in un sorriso. Certo che no. Mi giro di nuovo verso la casa, la donna mi sta guardando. Alzo la mano verso di lei, al centro del mio palmo comincia ad accumularsi energia. «No! No ti prego!» la sento urlare. La casa salta in aria, con la donna all’interno. Schegge di legno e mattoni volano dappertutto.  
Sento in lontananza un rumore di applausi. Sbuffo. Proprio ora che mi stavo divertendo. Quando mi giro vedo la figura del vecchio pazzo prendere forma fra la polvere. «Sorprendente, davvero. Come hai fatto a trovare questo posto?» Non rispondo. «Beh, adesso sarà meglio che vieni con me.»
«Perché?» Sembra irritato da questa domanda, mi piace. È così facile farlo arrabbiare, e molto divertente.
Stranamente decide di risparmiarmi il solito discorso “devi obbedirmi, ti ho creato io”. «Pensavo volessi assistere al risveglio di C-18.» dice. Quindi ha finito, si sta per svegliare! I miei piedi si sollevano da terra, e volo più veloce che posso verso il laboratorio, seguito da quel vecchio clisterato.
 
Quando arrivo vicino a lei  c’è l’assistente grasso. Non voglio che la prima faccia che veda sia la sua, o quella di Gelo, potrebbe rimanere traumatizzata. Mi avvicino, sta aprendo gli occhi. Ce li ha azzurri, come i miei. Sorrido. «Nashy...» la sento sussurrare.
«Come?» Mi ha chiamato Nashy, cosa vuol dire? “Solo lei mi chiama così” mi viene in mente, ma cosa vuol dire? Perché so questa cosa? Vuol dire che lei si ricorda, si ricorda tutto! «Come?» ripeto, voglio sentirglielo ridire. Lei mi sorride. Poi Gelo mi fa spostare, e lui e il suo assistente cominciano a farle il lavaggio del cervello “tu sei un cyborg, la tua vita mi appartiene”, e la sua espressione cambia completamente.
 

 
Angolo autore: Hey there! Eccomi qui, è da tanto che volevo scrivere questo capitolo. Da quando ho creato il personaggio di Hector non vedevo l’ora di toglierlo di mezzo (muahahah) ;) E non vedevo l’ora di fare rincontrare i due fratellini, il prossimo capitolo parlerà più che altro di loro. C-18 si ricorderà o no? Beh, leggete e saprete. Come al solito grazie a tutti i lettori e a presto!!!
  
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