Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: yoyo_whitehole    20/08/2014    0 recensioni
«Ha tradito. Ha ucciso. Ha torturato» Kevin diede le spalle al Pacificatore ammanettato, posizionandosi tra lui e la folla. «Ma non ha tradito me. Non ha torturato me, e direi che non mi ha ancora ucciso. I suoi crimini non sono contro me.»
Kevin ruotò la pistola tra le dita, allungò il braccio. Rivolse l’impugnatura alla folla.
Si chinò quel che bastava per poggiare l’arma a terra, con delicatezza. Si spostò, di lato, un solo passo; tra la folla e il Pacificatore rimase solo la pistola.
(...)
Imhor raccolse l’arma e tolse la sicura. Fissò Kevin un’ultima volta, non con l’aria di chi cercasse una conferma, o un tacito invito: con una pistola carica nella mano e un’imperscrutabile serietà nel volto.
«Uccidilo» sibilò il Pacificatore, la voce strozzata «Non avete mai avuto speranza, Capitol City vi sterminerà dal primo all’ultimo se non finite questa follia adesso. Se lo uccidete vi perdonerà…» guardò Kevin con odio disperato «Dimenticherà… Dimenticheremo tutto…»
Il gigante spostò lo sguardo sul Pacificatore, che si azzittì. Il silenzio strisciò ancora per qualche attimo, qualche attimo ancora, poi Imhor puntò la pistola.
«Io non dimentico» disse, e premette il grilletto.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caesar Flickerman, Presidente Snow, Sorpresa, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Tra persone e numeri.

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per descrivere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci è stata rivelata: siamo arrivati sul fondo. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, i capelli. Ci toglieranno anche il nome. E se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa di noi, di noi quali eravamo, rimanga."  
-Primo Levi






Lo scroscio dell’acqua che scorre. Reeva rabbrividì. Era gelida.

-Sei sicura di volerlo cambiare? E’ un colore bellissimo-  cinguettò la parrucchiera, prendendole i capelli tra le mani.
-Lo stesso dei fiori di ciliegio-  confermò fiocamente Reeva. L’odore delizioso di sapone alla fragola riempiva l’aria.
-Io consiglio il celeste- continuò la parrucchiera. –Si intonerebbe benissimo al colore dei tuoi occhi.-
Reeva scoprì di invidiarla. La invidiava perché lei poteva permettersi di essere frivola e superficiale.  –No- disse semplicemente, poi tornò a guardare lo schermo con il cuore in gola.
Sentiva male, con il gorgoglio dell'acqua nelle orecchie, ma poteva vedere benissimo Alek che marciava su un territorio di roccia grigia, con sprazzi di erba e qualche pianta a spuntare tra le insenature. 
-Lavanda-  la parrucchiera colse il suo sguardo. –E’ un colore meraviglioso, non trovate? Anche quello sarebbe…-
-No- ripeté Reeva. Non voleva essere maleducata, ma la donna si chiuse in un silenzio offeso che durò un unico, bellissimo minuto.
Le telecamere tornarono a inquadrare la ragazza del 5, poi i Favoriti in marcia. Reeva deglutì. E non c’era niente, niente che potesse fare. Solo sperare che i suoi ragazzi non morissero e veder cadere gli altri, uno dopo l’altro, rinunciando a capirne il motivo.
Solo smetterla con quella finzione, con quella maschera di bellezza.
-Mio marito ha scommesso sul tuo tributo, sai? Il ragazzo del 7- riprese allegra la parrucchiera.
-Ha fatto bene- mormorò. Improvvisamente, l’odore del sapone alle fragole diventò talmente nauseante che il suo stomaco minacciò di rivoltarsi.
Sentì la consistenza ruvida di un foglio nella tasca del vestito, lo tirò fuori. Era un suo vecchio schizzo, un tributo femminile vestito da elfo, con un ventaglio di foglie in mano e lievi brillii di lucciole che le volavano intorno.
-Prometto di non dire niente- la parrucchiera fece un risolino insensato. –Ma sai già come far vestire i tuoi tributi il prossimo anno?-
Reeva accartocciò il foglietto tra le dita, poi sorrise. –Da alberi-
-Oh- commentò l’altra, dopo un istante.
-Non ti piace?-
-Non intendevo… Solo… Sarà originale?- fece, poco convinta.
Reeva si limitò a sorridere ancora di più. Non ti deve piacere. A nessuno dovrebbe piacere.
La tintura cominciò a colare, lentamente. Coprendo il rosa, inquinandolo come una pozza di petrolio. Tanto, era solo colore.
Li vestirò da alberi, ripeté a sé stessa. L’anno prossimo. Quello dopo. E quello dopo ancora.
-Ho finito- disse la parrucchiera. Reeva si tirò su, con un groppo in gola. Batté un paio di volte le palpebre, raccolse il coraggio, sollevò gli occhi verso lo specchio. E sorrise.
I capelli le ricadevano lisci e bagnati a incorniciarle il viso, la pelle trattata anni prima perché scintillasse alla luce. Ma nonostante le lampade abbaglianti e colorate della sala, quelle ciocche non riflettevano niente. Nere, come le ali di un corvo.
Sì, Reeva sorrise. Perché non era una persona più bella, o più felice, quella che la fissava dallo specchio. Ma una persona migliore, o semplicemente una persona vera, quello sì, lo era.
 
 -Ho una borraccia d’acqua.  Mi hanno sponsorizzato- disse Harvey. Solo per interrompere il silenzio incerto che si era creato.
Amina alzò gli occhi dall’orizzonte a lui. Non avrebbe saputo dire se quella nel suo sguardo fosse paura, ostilità, diffidenza o tutte e tre le cose. Dopotutto, non si erano parlati molto all’addestramento, ed erano diventati alleati solo per via di Alyson e Nathaniel.
Si schiarì la voce, a disagio. –Hai sete?-            
Amina scosse la testa, poi mosse un dito in un cerchio vago prima di indicare un albero sporco di neve.
-La neve? Hai bevuto la neve?-
Annuì.
-Sembra troppo facile- mormorò Harvey. –Di solito gli strateghi la avvelenano. Ma penso che ormai tu sia fuori pericolo.-
Amina fece un sorriso timido, aprendo le dita delle mani. Era straziante non sapere cosa stesse pensando un persona.
-Sai scrivere, vero?- domandò, ricambiando il sorriso. Amina tacque, di nuovo chiusa in un’ombra di diffidenza. Poi, quasi impercettibilmente, annuì.
Harvey staccò un pezzo di corteccia da un tronco e glielo porse insieme a un sasso appuntito. La vide esitare, stringendolo forte tra le dita. Come se avesse paura.
Alyson?, scrisse infine. Aveva una scrittura minuta e veloce. –Non so dov’è- rispose Harvey. –Ma penso sia viva-
Amina fissava la corteccia con un’espressione indecifrabile. Poi con lentezza straziante, scrisse. Non gli mostrò niente, ma Harvey riuscì comunque a vederla, la frase incisa quasi con violenza. Andrà tutto bene.
Ingoiò aria. Non aveva una risposta, ma quella non sembrava una domanda.
-La mano…- notò all’improvviso. Amina si guardò i graffi che aveva nel palmo, dai quali stillava un’unica goccia di sangue, e sembrò impallidire. Alzò le spalle come se se ne fosse accorta in quel momento.
-Il sasso è troppo appuntito.- cercò di ipotizzare –Posso cercarne un altro-
Non mi lasciare sola, finì di scrivere lei. Harvey la fissò stupito negli occhi verdi, ed era una preghiera terrorizzata quello che vi lesse stavolta. Come se avesse un disperato bisogno di qualcosa, bisogno di… Lui.
-Sì- promise. Lei lo guardava con un’adorazione silente che non poté che imbarazzarlo ancora di più. –Beh, no… Non lo farò-
Amina sorrise di nuovo, mentre nascondeva la mano graffiata contro il fianco. Indicò il sole.
-Sì, è l’alba- tradusse Harvey. –Dovremmo continuare la marcia-
Amina annuì, poi alzò appena le sopracciglia, interrogativa.
-Dove?- Harvey si guardò intorno, e vide solo alberi. In lontananza, non del tutto nascosti dalla foresta, due canali di lava si intersecavano perpendicolarmente.
Quando tornò a guardare la sua compagna, c’era una scritta sulla corteccia, e una scintilla strana nei suoi occhi.
Verso il fuoco?

-Okay. Sì...- Alex vide Ester deglutire, il volto pallido come quello di un impiccato. In effetti, anche lui avrebbe preferito mille volte essere in esplorazione con Momo, in quel momento.
Persino lui, che nelle lotte di strada di ferite ne aveva viste tante. Persino lui, che si era preso un intero pugnale nell'avambraccio. Persino a lui, la sola idea di ricucire un intestino faceva venire i brividi.
Ester tagliò via con il coltellino la stoffa della tuta vicina al foro. Ronnie aveva gli occhi chiusi sotto le ciocche di capelli biondi, incollate alla fronte per il sudore, ma era chiaro che non era incosciente. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente.
Alex si azzardò a toccargli una spalla, e i suoi occhi azzurri si spalancarono su di lui. Ronnie forzò un sorriso pallido. -Cercherò di non urlare-
-È per questo che sono qui- Alex gli offrì il pezzo di stoffa da stringere tra i denti, poi passò ad Ester l'unguento. Ancora non si capacitava che dopo le loro interviste li avessero sponsorizzati, e con addirittura due medicine, di cui una era tra le più potenti sul mercato. Chiunque sia stato, non potrà farlo di nuovo.
Mancava poco. Poco, e si sarebbero dichiarati.
Deglutì. Ester aveva finito di spalmare la pomata. -Ago e filo- mormorò. Alex li prese dallo zaino, guardandola dubbioso mentre si mordicchiava il labbro, con tutta l'aria di qualcuno che sta per vomitare.
-Sai quello che fai?-
Ester spostò lo sguardo vacuo su di lui. -Posso solo sperarlo-
Alex fece una smorfia, osservando le sue mani che fissavano il filo, animate da un fremito impercettibile.
-Sembra che ti debba fidare di me- sussurrò lei a Ronnie. Il ragazzo sorrise di nuovo.
-Devo ricambiare il favore, ricordi?-. Si infilò la stoffa tra i denti e rimase immobile, con il capo abbandonato sulla coperta e gli occhi di nuovo chiusi.
Alex lo osservò esitante per qualche istante. E decise. -Vedi di restare vivo- disse. Anche perché non ho alcuna intenzione di diventare io il capo.
Senza aspettare una risposta, strinse il pugnale in una mano, con l'altra gli sollevò la testa.
-E scusa-
Lui riaprì gli occhi di scatto. –Cosa?-
Affondò l'arma. Un singolo colpo, fulmineo e mirato. Ester lanciò un urlo, mentre Ronnie si accasciava esanime sulla coperta.
-Perché... hai...-
-Non ce la facevo, va bene?- sbuffò Alex, gettando via la lama. -E fidatevi, un pomolo di pugnale sulla nuca è miglior antidolorifico che esista-
-Efficace- commentò Liam, seduto a qualche metro di distanza.
-Avresti potuto avvertire- protestò Ester, la voce incrinata.
Alex scrollò le spalle.
-Avrebbe cambiato qualcosa?-
Liam fece un sorriso pacato. -Sarebbe stato meno divertente-.
 
L'orizzonte era un cerchio blu scuro. Le onde si rincorrevano lente, scomparendo e danzando tra la schiuma in un caleidoscopio di cristalli di luce. Artigli d'acqua si scioglievano nella sabbia bagnata.
Una brezza fredda gli scompigliò i capelli rossi, mentre l'odore di salsedine quasi gli dava alla testa. Gli occhi di Xen si persero con una lieve vertigine nel punto in cui il mare si fondeva con il cielo, non interrotto da nulla. E si riempirono di lacrime amare.
Mai si era sentito più vicino alla libertà e mai ne era stato più lontano. Perché lo sapeva, che era tutto fittizio. Le onde in lontananza, l'orizzonte, tutto dipinto su un campo di forza a non sapeva quanti metri dalla riva. Era in una meravigliosa prigione di plastica.
Come vedere la speranza da dietro un impalpabile muro di vetro, troppo vicina perché potesse distoglierne gli occhi e troppo lontana per poterla anche solo sfiorare. Era tutto così... Sbagliato.
Lentamente, spostò lo sguardo verso il canale.
La lava si riversava nell'acqua gelida a lente, incessanti ondate incandescenti, con sibili duri e colonne di fumo che si attorcigliavano nell'aria. Il blu cupo dell'acqua era scosso da ribollii furiosi.
Era una bellezza selvaggia, spaventosa, surreale eppure terribilmente vivida. Xen si avvicinò con un timore quasi reverenziale, prima di lasciarsi cadere a gambe incrociate sulla sabbia.
Fu mentre i suoi occhi rincorrevano le sfumature sanguigne della lava che se accorse. Al centro del canale scorreva, anche se più lentamente rispetto all'alta quota, perché non c'era pendenza; ma ai margini il flusso era praticamente fermo.
Xen osservò la lunga linea venata di un rosso più scuro. Non c'erano dubbi. Stava cominciando a solidificarsi.
Ci pensò, e il dettaglio da insignifican
te divenne sospetto, da sospetto sinistro.
Cercò di mettere a fuoco, fissando inquieto il fumo. Se il canale si fosse completamente solidificato... Se la lava non avrebbe più potuto liberarsi nel mare... E se come pensava il cratere assicurava un flusso costante...
Xen si passò una mano tra i capelli, sollevando gli occhi alla cima della montagna. Troppi sé per prevedere qualcosa e troppo pochi per tranquillizzarlo.
O forse, semplicemente, non voleva capire.
 
-Ci serve un capo- disse Scarlett.
-Sono d’accordo- disse Samuel.
-Qualcuno che coordini gli attacchi.-
-Giusto-
-Come l’altra volta con gli ibridi-
-Già-
-Che comandi i turni di guardia, i ruoli…-
-Esatto-
-Che decida dove cacciare e cosa fare, che…-
-…Che sia amato dagli sponsor. Che sia carismatico, intelligente, con il senso dell’umorismo e…-
Scarlett ringhiò. –Non ci pensare nemmeno-
-Oh, suvvia. Sono certo che lo stai facendo anche tu.-
Stephen lanciò un’occhiata pigra ai suoi compagni, l’uno comodamente appoggiato a un tronco con le braccia incrociate, l’altra in piedi a pugni stretti.
 –Io non prenderò ordini da te.-

-Sì?- Samuel sbadigliò.
-Cosa ci avresti comandato di fare, alla Cornucopia? Andare in giro ad ammazzare tributi a mani nude? Se ci fossi stato anche tu, forse…-
-E’ così dannatamente poco originale-
Stephen inghiottì il pinolo con cui stava giocherellando, smettendo di ascoltarli. Aveva il sospetto non troppo vago che avrebbero finito per ammazzarsi.
Li squadrò di sottecchi, mentre si avvicinavano sempre più pericolosamente, senza smettere di berciare. O meglio, ad avvicinarsi era Scarlett, perché Samuel non sembrava intenzionato a smuoversi da quell’albero. Assassini dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Alzò gli occhi alla chioma dell’albero sopra di lui. Come me.
La sua mano scivolò nella tasca del mantello, sfiorando la scarpetta da danza che era stato il portafortuna di Coral.
Non aveva visto Scarlett ucciderla, ma un cadavere con una freccia piantata nel petto lasciava ben poco all’immaginazione. Non avrebbe dovuto biasimarla. Tutti avevano ucciso, lì, e con o senza di loro ventitré tributi sarebbero morti in ogni caso. Le scuse sembravano quasi formularsi da sé.
Solo che lei era Coral. Lui l’aveva vista vivere, sperare, disperare. Danzare sulla sabbia, una volta, mentre credeva di essere sola.
Era per quello che aveva preso il suo portafortuna, per ricordarsi che dietro ogni cadavere c’era stata una persona. Che gli importasse o meno, quella era un’altra questione, e preferiva non porsela affatto. Perché non era sicuro che la risposta gli sarebbe piaciuta.
Rievocò lo sguardo di Coral al termine dell’intervista, e cercò di imprimerselo a fuoco nella mente. Doloroso, sì, ma necessario. Lo doveva a lei, a sé stesso, o a quello che ne era rimasto da quando si era offerto.
Poi le sue dita scivolarono più giù e incontrarono il paio di forbici. Stephen iniziava a pensare che stessero sviluppando una sorta di mania febbrile che le impediva di stare ferme, perché cominciarono a giocherellare anche con quelle. Tic tic tic tic…
-Che stai facendo?- sbottò d’improvviso Scarlett, girandosi verso di lui.
Le forbici si fermarono di scatto, insieme ai suoi pensieri. Stephen alzò innocentemente le sopracciglia, mentre il silenzio si prolungava. E scoprì che il modo in cui Samuel stava cominciando a fissarlo non gli piaceva per niente.
-Oh, no, no-
-Oh, sì- sorrise Samuel. –Carismatico, intelligente, con il senso dell’umorismo…-
Stephen guardò Scarlett, e l’espressione pensosa che incontrò annientò anche la sua ultima speranza.
Sorrise tristemente. Forbici. Maledette forbici.
 
Diana si immerse con un sospiro di sollievo nella seconda foresta, lasciandosi il terreno scoperto alle spalle. Sollievo che durò poco.
Aveva sete. Fame, anche. E non c'era niente che potesse fare.
Si addentrò a passo stanco nel boschetto, giocherellando inquieta con il medaglione sul suo petto.
Aveva un bisogno disperato di sentirsi al sicuro, ma non poteva. Chissà, forse anche un pericolo concreto, una possibilità di reagire e difendersi l'avrebbe aiutata a non impazzire.
Ma era questo che davvero non sarebbe riuscita a sopportare. Aspettare, aspettare, aspettare, con la consapevolezza che la sua vita era completamente nelle mani nel caso e non di sé stessa. Aspettare che il senso di impotenza la bruciasse da dentro.
Diana si appoggiò contro un tronco, addentando con rabbia le poche piante che aveva trovato, nel tentativo di mettere a tacere quei pensieri. Timo, piantaggine e un'altra di cui non si sarebbe mai ricordata il nome, ma che tra tutte era la più amara.
Odiava non dover permettersi di pensare a cosa stava per perdere, a chi stava per perdere, perché aveva troppa paura di rompersi.
E odiava il fatto che non ci riusciva, a non pensarci.
Sfiorò la corteccia di un tronco con le dita, chiudendo gli occhi. Il profumo di resina e quello delle nuvole gremite di neve. Il verde quieto che aveva sempre considerato la sua casa.
Era la seconda cosa che le avevano già strappato via. La prima era stata il cielo stellato.
Perché comunque andasse non sarebbe mai riuscita a guardare un bosco senza pensare all'arena. Mai più. 
-Ma ti rendi conto di cosa stai mangiando?-
Diana alzò gli occhi di scatto. E la vide. Appollaiata sulla quercia, seminascosta dalle fronde, c'era Axe.
-Abigail- esalò.
-Parla più piano, i Favoriti potrebbero sentirci- disse Axe. -Riflessi pronti?-
Diana afferrò al volo la faretra che le lanciò, barcollando per l'impatto. Qualche freccia si riversò a terra, riflettendo la luce.
-Grazie... Per il pensiero- mormorò, allibita.
-Non serve ringraziare. Mi bastano due pasti al giorno tutti i giorni-
Axe scese dall'albero con una velocità sconcertante, si tolse l'arco dalla schiena e glielo porse, un sopracciglio inarcato e il suo sorriso sempre vagamente derisorio sulle labbra.
Tutti i suoi pensieri sul non fidarsi più di tanto sbiadirono in pochi secondi, e a travolgerla fu semplicissimo sollievo.
-Nessun'ascia?-
-Troppi...- Axe roteò la mano in aria -Giavellotti che volavano.-
Sebbene non ci fosse niente di divertente, Diana sentì un sorriso involontario fiorirle sul viso. Strinse l'arco tra le dita, quasi incapace di crederci.
-Sono profondamente commossa anch'io. Adesso vuoi andare a caccia o preferisci continuare a ruminare erbetta?-
Andare a caccia. Bastarono quelle sillabe, e l'adrenalina la inondò, calda e confortante, come una boccata d’aria dopo una lunga apnea. Per un attimo si sentì di nuovo nel suo distretto.
Non era più lei la preda.
 
-Ora- un sussurro.
Ester si girò verso Ronnie, il cuore in gola. –Hai ancora la febbre…-
-Ora- ripeté lui. E stavolta la parola d’ordine sferzò l’aria come una frustata.
Ci fu silenzio. Un silenzio carico di promesse.
-Vado a cercare cibo- disse Liam.
-Tu non conosci le piante. Andiamo insieme- propose Alex.
-Cercate Momo- aggiunse Ester. Si schiarì la voce per impedire che le tremasse. Basta con le debolezze.
Rimasero soli. L’uno accanto all’altra.
Ester rabbrividì, stringendosi nella coperta. -Fa freddo-
-Vieni qui- Ronnie la strinse a sé dal fianco sano, e lei abbandonò il capo sul suo petto. Avrebbe dovuto essere Amber a fare quella parte, ma Amber era morta. Appoggiò l'orecchio sull'incavo della spalla, distinguendo il flebile battito del suo cuore. Veloce, esattamente come il suo.
-Dovrei contare le volte che sono svenuto- disse Ronnie, in tono leggero. Ester non rispose. Rivide involontariamente ogni istante di quel maledetto giorno, il Favorito immerso in una pozza di sangue, il peso di Ronnie sulla sua spalla, la marcia pesante tra gli alberi.
La consapevolezza che presto sarebbe morto, che era tutta colpa sua, che nell'Arena non c'erano modi per salvarsi l'anima. E’ tutta questione di numeri, le aveva sussurrato Liam. Tutta questione di numeri.
-Ronnie…-  non riuscì a continuare. Non che sapesse bene cosa dire. Forse voleva chiedergli di perdonarla, ma non ne aveva il diritto. E le parole non avrebbero cambiato i fatti. –Secondo te una vita può essere considerata un numero?-
Silenzio. Il respiro di lui nell'ombra. Forse sarebbe stata l'unica risposta che avrebbe mai ricevuto.
-Una vita? No. Tante vite a confronto?- Ronnie tacque. –Che scelta abbiamo?-
Stiamo per salvare una nazione, o per dar vita a una carneficina?
Ester si rese conto che era un’altra la domanda realmente spaventosa. C’è una vera differenza tra le due cose?
-Non lo so- sussurrò. –Ron, non lo so. Ma promettimi che non perderai te stesso-
-Come?- sentì la sua voce graffiante, quasi roca. –E’ l’unica cosa che mi rimane-
Ester scosse la testa contro il suo petto.
- No- disse. -Hai anche me.-
-Allora… Non ho intenzione di perdere nemmeno te-
Ester ripensò al suo distretto, ai tramonti sull’albero. Una vita prima. Nell’arena quel mondo non esisteva più, ma lei c’era, c’era ancora. Ignorò la paura, il desiderio di fuggire e regalarsi una speranza di tornare alla sua famiglia. Per Panem, sì, ma anche per un motivo più semplice ed egoistico. Non sono pronta a dire addio a me stessa. E forse questo è l’unico modo che ho per non farlo.
Ronnie la strinse tra le braccia, senza fretta, perché si vedeva che gli costava dolore.
-Non ti lascerò andare- ripeté, lentamente, forse perché l’emozione gli bloccava la gola come a lei. –Non ora che ti ho trovato-
Ester sentì il suo odore. Lo sentì, sotto il sangue e il sudore. Caldo e rassicurante.
Si avvolse più stretta tra le sue braccia, poi accarezzò piano il filo del pugnale, tra le sue dita. Lo lasciò scivolare dolcemente fino alla spalla di Ronnie, e sentì che lui stava facendo lo stesso con la sua. La vertigine la travolse in una morsa opprimente di paura e adrenalina. Stava per succedere. Stava per succedere davvero.
-Non voglio andarmene- sussurrò. Sentì il suo fiato tiepido sulle labbra, mentre le percorreva il profilo del mento con un dito. La mano che impugnava il coltello tremò leggermente. Ester si morse la lingua, forte, sempre più forte.
I loro occhi si incontrarono, e in quello sguardo c'era tutto. Trattenne il respiro, mentre il tempo si dilatava e le iridi cristalline di lui brillavano più luminose.
E in quel momento, ne fu sicura, ogni singolo abitante di Capitol City e dei distretti li stava guardando. Un brivido ghiacciato le graffiò la schiena, un unico pensiero le trafisse la testa. Non può essere vero.
Le loro labbra furono a un soffio dallo sfiorarsi. Fu quello l'istante in cui Ester diede un colpo deciso, sorprendentemente sicuro, e il suono della tuta strappata risuonò nel bosco.
I due numeri 11, i numeri del loro distretto, caddero a terra.
Ci fu un singolo attimo sospeso, poi qualcosa nell'aria si spezzò, definitivamente. L'avevano oltrepassato. Il punto di non ritorno.
-Se distoglieste le telecamere da noi- Ronnie si alzò di scatto, e un sorriso degno della parola demoniaco gli sfregiò il viso. -Significherà che avete qualcosa da nascondere, non è vero?- 
Il cuore le martellava nel petto. Si lisciò la treccia disfatta, cercando invano di tranquillizzarsi, solo che non era vera paura quella le bruciava nei polmoni.
-Noi non ci uccideremo. Né ora, né mai. Non uccideremo nessuno che non tenti di ostacolarci-
-È finito il tempo in cui altri scelgono per noi- disse Alex, materializzandosi da dietro gli alberi, anche lui con la spalla scoperta.
-È finito il tempo in cui altri si illudono di poter prendere più delle nostre vite- disse Liam.
-Siamo noi a decidere in cosa credere- disse Momo.
-Siamo noi a decidere per cosa combattere.-
-Ora.- disse Ronnie. -Ora, perché ogni giorno che passa qualcuno muore di fame e di quella morte ci rendiamo responsabili-
-Ora. Perché abbiamo aspettato troppo tempo-
-Ora prendiamo in mano le nostre vite. Ora prendiamo quello che è sempre stato nostro.-
-Ora inizia la guerra.-
-E non potete fermarci. Non potete, sapete perché?-
-Perché noi non siamo un numero- disse Momo.
Ester inspirò una boccata d’aria, gelida, incandescente, e un sorriso infuocato si spalancò sul suo volto.
-E’ finito il tempo delle illusioni- sentì la propria voce echeggiare nella radura, dura come l’acciaio. –E’ finito il tempo di Capitol City-
 
···
 
Un silenzio ghiacciato strisciava nella stanza degli strateghi.
-Uccidili- sibilò Lucius. –Questa è una dichiarazione di guerra. Uccidili subito, o…-
Bartheon batté il pugno chiuso sul tavolo. Lucius tacque.
-Ucciderli significa temerli, pezzo di genio- continuò a fissare lo schermo, con una calma che era solo in parte simulata. –Significa martirizzarli-
-E allora cosa dovremmo fare?- Per una volta, non c’era traccia di disprezzo nel tono del suo Secondo.
Spezzarli. Bartheon sospirò piano, fissando il tributo dell’11 con ammirazione mista a tristezza. Vorrei avere scelta.
-E’ la mia arena. Ho tutte le carte che mi servono- intrecciò le dita e vi poggiò il mento. –Cominceremo dalla ragazza-
Lucius tacque per un po’. –Cosa succederà? Se avranno successo?-
-Beh, suppongo…- Bartheon alzò le sopracciglia e lo guardò. –Che avrai guadagnato un avanzamento di carriera. Stratega del vino?-
-Sì, signore?-
Bartheon sbuffò. Rispondeva sempre così. –Qual è il tuo compito?-
-Versare… Vino?-
-Allora perché il mio bicchiere è vuoto?-
Tornò a fissare lo schermo. Cinquanta anni prima era stato una testa calda, piena di amore per le sfide. Non sapeva quando l'aveva perso di preciso. Forse si era sgretolato gradualmente, sparatoria dopo sparatoria, smarrito nel sangue, bruciato nelle trincee.
Così, Bartheon sospirò soltanto, portandosi il vino alle labbra.
E guerra sia.



E’ finito il tempo di Capitol City.
Lì vicino, nascosta dietro un albero, Alyson ascoltò. 
Ascoltò tutto. Rimase immobile per un lungo istante, 
poi si voltò e si allontanò lenta tra le ombre.
Le ombre del tramonto.

 ______________________________
Note dell'autrice che ha finalmente capito come mettere i margini
 
O quasi.
Salve gente! Ebbene sì, sono ancora in grado di pubblicare in quasi due settimane. E di non fare o quasi capitoli chilometrici. Anche se il prossimo mi sa che sarà parecchio più lungo, non ho altra scelta.

Ovviamente, le frasi melense di Ronnie ed Ester non hanno nessun pretesto di essere profonde o sensate, era giusto un teatrino da mettere su e ai capitolini sarebbe bastato per concentrare le telecamere su di loro. E avrete capito che l"emozione" era per tutt'altra cosa. Il mio genere di romanticismo. 
Da adesso in poi, l’alleanza non potrà più ricevere sponsor. Muahahah (?) Bartheon non farà arrivare nulla, significherebbe mostrare che la nazione è solidale con Ronnie. A proposito, Barthy ha settanta anni ma dovete immaginarvelo sui cinquanta, perché (contradditemi se sbaglio) immagino che i trattamenti capitolini abbassino l'età dimostrata di circa quindici anni. 
La storia di Reeva – il fatto che si tinga i capelli e tutto – è sempre stata indicata dalla creatrice, Kirlia. E a me è piaciuta troppo per non descriverla. Lei sarà la stilista di Johanna nei 75°.
Oggi nessun morto, ma non vi preoccupate, rimedierò in fretta. Da adesso in poi i capitoli saranno strutturati sempre notte-giorno, con anche salti temporali; quindi, se tra i pensieri dei personaggi non ci sono quelli che vi aspettate, può essere semplicemente perché non è la situazione adatta. Per questo nessuno pensa a Nathaniel o ad Amber, sarebbe stato forzato, ma non vuol dire che non l’abbiano già fatto. Io seguo solo un flusso di pensieri spontaneo.
Altra cosa, mi sembra inutile specificarlo ma avrete capito che oggi mi va di cianciare: nei POV quello che pensano i personaggi non è necessariamente quello che penso io. Se Ester si crede spacciata è perché è confusa, disperata mezza traumatizzata, non vuol dire che per me lo sia. E cambiano anche le opinioni sui personaggi, sulle situazioni e ogni cosa: non c'è neanche l'ombra di oggettività, cerco di filtrare tutto. Insomma, non fidatevi troppo dei personaggi.

However, questo capitolo non mi soddisfa molto (altro dejavu) . Mah, facciamo che quando uno lo farà, vi avviserò.
Dal prossimo iniziano i nuovi POV. Non avrei mai pensato di dirlo, ma la loro storia è addirittura più esaltante da scrivere che l'arena. E infatti ho già pronte sei versioni diverse dei primi tre paragrafi (??)
Spero che la storia vi stia piacendo, e se qualcuno mi può spiegare com'è matematicamente possibile che io abbia scritto in totale tredici capitoli e questo per efp sia il quattordicesimo...

 


(Lo so, si legge male. E ho dovuto modificare l'immagine su paint perché non si vedevano le scritte, e questo è il capolavoro risultante. No, okay, lo migliorerò prima dei prossimi.
"Alleanza" sta per Ronnie, Alex, Ester, Momo, Liam. Le scritte sono l'area generale in cui si trovano i tributi mentre le palline l'ubicazione precisa. A quelle più grandi corrispondono le alleanze più grandi. E le scritte in bianco sono i morti recenti, muahahah.)



PS: Mio fratello ha messo a punto un simulatore di combattimenti fra tributi, basato su abilità, situazioni, dadi e strategia. E' qualcosa di bellissimo; abbiamo provato a far scontrare l'alleanza di Ronnie con i Favoriti, tutti armati e in campo aperto. Sono morti, in ordine: Momo, Scarlett, Alex, Samuel, Ester, Liam, Stephen e Ronnie è rimasto in piedi. O quasi, perché è finito con una gamba mezza mozzata.
In conclusione: sperate che non si incontrino mai. Perché, ora come ora, sono a un solo testa o croce di vicinanza...
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: yoyo_whitehole