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Autore: Smaugslayer    21/08/2014    3 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock ha lasciato la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tra urla di dolore.
Di lui, John Watson conserva solo tre libri e un ricordo che si sbiadisce ogni giorno che passa. Non ha più notizie del suo migliore amico da quando è stato rinchiuso all'Ospedale di San Mungo.
Finché non se lo ritrova davanti alla prima partita di Quidditch della stagione.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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John Watson non era geloso.
 
Non era gelosia quella che provava, quanto piuttosto…
 
Non era ancora riuscito a trovare un termine adatto, ma di sicuro non era geloso.
 
Sapere che il suo migliore amico era fidanzato non lo toccava minimamente, anzi, era felice per lui. E poi Sherlock gli aveva spiegato che non faceva sul serio, era solo una questione di interessi. Ancora non sapeva spiegarsi, però, quell’improvviso scoppio d’ira nell’apprendere la notizia.
Sherlock era in pericolo di vita, e lui l’avrebbe aiutato, questo era certo, ma prima si sarebbe fatto pregare un poco, giusto per fargliela pagare.
 
Sì, ma fargliela pagare per cosa? Se aveva una ragazza buon per lui, anche John ne aveva una.
Be’, all’inizio lui non voleva che stessi con Mary, pensò. Però ora ne è felice. Segnali decisamente contrastanti.
 
Qual era il comportamento che un buon amico avrebbe dovuto assumere, in quella situazione? Tre minuti dopo essersi messo con Mary, un’amica di lei lo aveva minacciato di morte lenta e dolorosa se l’avesse ferita, ma non era sicuro che terrorizzare Janine Matthews fosse la cosa giusta da fare.
E poi da quando Sherlock ne sapeva abbastanza su come funzionava una relazione da tenerne in piedi una?
 
Ecco la soluzione! Sani, amichevoli consigli. Non si poteva però dire che John fosse un esperto, le sue relazioni non erano mai durate tanto quanto quella con Mary, e probabilmente solo perché da quando stavano insieme si erano visti sì e no quattro volte.
 
Però Mary era davvero fantastica, e lui non se la sarebbe lasciata sfuggire.
 
Restava il problema di Janine e Sherlock.
 
Janine. Perché proprio Janine? Il mondo era pieno di ragazze e lui sceglieva Janine.
 
Ma già, c’era un motivo se aveva voluto proprio lei: Janine era una pettegola, e questa era l’unica cosa che per lui contava. Che senso aveva, però, mettercisi insieme? E se Sherlock stesse provando davvero dei sentimenti verso quella Serpeverde? I Serpeverde non erano mai stati in sintonia con i Grifondoro, troppo diversi da loro, ma con i Corvonero si intendevano a meraviglia. Anche Mary era Corvonero, ci mancava altro, ma Mary era diversa. Certo, c’era sempre quel problema da risolvere, quello di Magnussen, ma lei non sembrava intenzionata a parlarne. Forse col tempo, acquistando la sua fiducia… E Magnussen dopotutto non aveva attentato alla vita di Sherlock, era stato qualcun altro. Ottimo, un problema in più, perché a quanto pareva non ce n’erano abbastanza.
 
Nonostante fossero ormai le sei di sera, la biblioteca di Hogwarts era illuminata a giorno dalle fiammelle che ardevano nei paralumi rotondeggianti e opachi. Una tempo John trovava strano che lo sviluppo tecnologico della scuola si fosse fermato ai livelli di primi dell’Ottocento, ma pian piano ci si era abituato, rendendosi conto che non sarebbe stato possibile collegare la scuola ad una centrale elettrica babbana.
 
“Ehi, John!” Mary Morstan lo salutò con un breve bacio a fior di labbra prima di sedersi accanto a lui. “Allora! Cosa ripassiamo oggi?”
 
“Potremmo rivedere Trasfigurazione…”
 
“John, non ho mai avuto problemi in quella materia, era solo un modo per passare più tempo con te” replicò lei in tono divertito.
 
“Sì, ma potremmo ripassarla comunque. Ci sono gli esami.”
 
“Non me lo ricordare! Stavo cercando di cancellare questo giugno dalla mia mente… Ah, senti, hai più parlato con Holmes?”
 
“No, è da una settimana che cerco di evitarlo. Se lo vedi, trasfigurami in qualcosa. Una tazza, un cravattino… visto che sei tanto brava.”
 
“È incredibile come si fosse fissato con Magnussen” commentò lei distrattamente. John aveva finito per raccontarle tutta la storia del tentato omicidio, e tutto ciò che ne era comportato, nella speranza che anche lei si confidasse. Invano. “Sai che Richard Knight è tornato dal San Mungo?”
 
“Davvero? No, non sapevo. Sherlock lo sa?”
 
Lei sorrise. “Se gli parlassi…”
 
“Che lo faccia lui, per una volta. Io non ne posso più.”
 
“E se invece studiassimo quello che abbiamo fatto oggi a Incantesimi?” propose lei cambiando completamente argomento, cosa di cui John le fu grato.
 
Si immersero in complicati incantesimi –quel genere di incantesimi che a nessuno verrebbe mai in mente di inventare e che gli studenti dell’ultimo anno sono costretti a studiare a memoria perché “sono importantissimi, ragazzi”- fino all’ora di cena, quando finalmente richiusero i libri con immensa soddisfazione e con la sensazione di aver sprecato due ore per niente.
 
In Sala Grande notò vagamente Molly Hooper seduta al tavolo di Serpeverde insieme a Jim Moriarty. Che ci faceva con quell’idiota? Tra l’altro, chissà cosa aveva voluto dire a Sherlock l’ultimo giorno dell’anno.
 
“Dai, vieni a sederti da noi” disse Mary. “Tanto non c’è nessuno.”
 
“C’è Sherlock.”
 
“John…”
 
“Okay, okay, vengo.”
 
Ovviamente, incrociarono proprio Sherlock. Il ragazzo era seduto da solo e stava osservando critico una coscia di pollo; dopo aver lanciato un paio di occhiate circospette per la sala, la posò con cautela sul piatto e agguantò invece una fetta di crostata.
 
No ti prego Mary non sediamoci lì…”
 
“Ciao, Sherlock.” La sua ragazza si sedette esattamente di fronte al suo migliore amico con un sorriso smagliante in volto.
 
“Ciao” borbottò John.
 
“Ah, John, devo parlarti” disse Sherlock senza distogliere lo sguardo da una torta alla crema posata qualche metro più in là.
 
“Com’è che aspetti sempre che sia io a venire da te?”
 
“Veramente è stata Mary a venire, e ti avrei cercato comunque, per la cronaca. Nell’ultima settimana –esattamente da quando ho scoperto che Magnussen non era colpevole- hanno iniziato ad accadere certi fatti.”
 
Certi fatti? E com’è che noi non abbiamo notato nulla?” domandò Mary inarcando le sopracciglia.
 
“Perché sono stati fatti passare sotto silenzio, per non allarmare l’intero corpo studentesco. E naturalmente da dopo Capodanno un sacco di persone sono ritornate a scuola, perché Sherlock Holmes non può seguire in pace delle indagini, o avere una lista ristretta di sospettati, no…”
 
“Che cosa è successo?”
 
“Mi sono stati fatti degli indovinelli.”
 
“Oh, wow.” John incrociò le braccia dietro la testa e si inclinò all’indietro, allontanandosi dal tavolo, cercando di assumere un’espressione stupita. “Indovinelli. Tipo ne Lo Hobbit, quando Bilbo e Gollum sono nella caverna? Dev’essere stato terribile.”
 
“Circa, solo che gli indovinelli riguardavano vecchi delitti, o eventi misteriosi accaduti qui a Hogwarts.”
 
“Quante volte è successo?”
 
“Tre. Due la settimana scorsa e una ieri notte. Dovrò affrettare il mio piano e usare Janine prima del previsto.”
 
Usare Janine.” John proruppe in una breve risata sarcastica. “Andiamocene, Mary.”
 
“Ma non ho ancora finite le polpette!”
 
“Torneremo più tardi.”
 
John afferrò la fidanzata per un polso e la condusse fuori dalla Sala Grande. Aveva voglia di tirare un pugno a qualcosa, possibilmente alla faccia di Sherlock Holmes, quell’emerito idiota.
 
Mary Morstan osservò John Watson dare sfogo ai propri sentimenti con un’ampia gamma di espressioni facciali in meno di dieci secondi. Il ragazzo passava dalla rabbia al ribrezzo al fastidio, a…
 
“John! Calmati, ora. Com’è che improvvisamente ti dà fastidio tutto ciò che quel poveretto dice?”
 
Lui sospirò. “Non ne ho idea, forse è semplicemente un brutto periodo.”
 
Mary conosceva la risposta, sfortunatamente. “Ci vediamo stasera, che ne dici? Io ho intenzione di mangiarmele, quelle polpette.”
 
“Certo. Qui fra un’ora?”
 
“A dopo. Vai in Sala Comune?”
 
“No, credo che mi fermerò in Biblioteca.”
 
“Io torno su.”
 
La ragazza si incamminò per la strada che portava al dormitorio di Corvonero. Risolse in meno di quattro secondi l’indovinello del corvo guardiano e si distese su uno dei divanetti della Sala Comune con vista sulle montagne.
 
Bene, forse qualcosa si stava smuovendo nella mente di John. L’ingombrante presenza di Janine Matthews gli stava finalmente facendo capire cosa provava veramente, quindi l’importante era che se ne accorgesse e lo riconoscesse. Ora era necessario che lui e Holmes si riappacificassero, e soprattutto che Sherlock tirasse fuori le palle e avesse il coraggio di dichiararsi. Come se fosse possibile. Quello stupido era ancora convinto di non avere un cuore.
 
Lo stupido entrò in quel momento nella Sala e si sedette su una poltroncina di fronte al fuoco, prendendosi la testa tra le mani e rimanendo immobile con i gomiti appoggiati alle ginocchia.
Mary distolse lo sguardo, a disagio. Doveva parlare con quel ragazzo, che soffriva senza nemmeno sapere il perché. Santo cielo, la brillante Mary Morstan relegata al ruolo di Cupido della situazione, solo perché non riusciva a parlare con schiettezza al fidanzato. Del resto, c’era un motivo se era Corvonero e non Grifondoro, le Case contano. Doveva fare una bella chiacchierata con Sherlock, e magari provare a smuovere un po’ John; qualche domandina posta quasi casualmente, una frase ispiratrice o due, e forse sarebbe riuscita nel suo intento. Nel frattempo c’era la scuola di cui preoccuparsi, gli argomenti di studio avrebbero fuso il cervello a chiunque.
 
“Mary!” Sherlock si sporgeva da dietro il divanetto.
 
“Cosa?”
 
“Pensavo fossi con John.”
 
“No, è in Biblioteca. Non credo abbia molta voglia di parlare con te, però.”
 
“Devo andare da lui.”
 
“No, aspetta.” Era ora di mettere le cose in chiaro con il più stupido dei due, almeno in quel campo.
 
“John potrà anche essere un sentimentale, drammatico sciocco, ma io non lo sono, e tu lo sai.”
 
“No, hai ragione.”
 
Lo tirò per la camicia, ponendosi a pochi centimetri dal suo volto. “E allora dillo” bisbigliò.
Nessuno faceva caso a loro: un ragazzo e una ragazza in fondo alla sala, in piedi, molto vicini, già visto.
 
“Ho ricevuto dei patroni” esordì Sherlock, scostandosi gentilmente da lei. “Un gatto, uno scoiattolo e un toro, finora. Mercoledì, sabato e lunedì, cioè ieri. Tutti e tre mi portavano dei messaggi, diversi ma dello stesso stampo, da cui ho dedotto che fossero collegati tra loro…”
 
Mary alzò gli occhi al cielo. Sapeva che era lui quello idiota, ma non credeva che lo fosse così tanto.
 
“…venivo condotto in Biblioteca, nella sezione dei vecchi quotidiani a disposizione del pubblico; il patronus mi faceva un quotidiano in cui era presente un articolo su un crimine commesso a Hogwarts. Non hai idea di quanti ce ne siano stati, inizio a pensare che almeno un quarto dei maghi educati qui fosse malvagio o pazzo. Ne ho risolto uno del 1856, uno del 1922 e uno del 1966, ogni volta grazie a un indizio cruciale che l’animale mi faceva scoprire in un libro o in un altro giornale, da cui riuscivo a dedurre l’intera dinamica. Sono convinto che sia stato l’assassino a giocarmi questo scherzo.”
 
L’incredulità di Mary di fronte alla stupidità del ragazzo aveva lasciato spazio al coinvolgimento.
“E perché pensi che sia opera dell’assassino? Che ruolo avrebbe lui in tutto questo, come potrebbe…”
 
“Come ti ho spiegato, i patroni dicevano esattamente le stesse cose. O meglio, formulavano le frasi in maniera perfettamente identica. E questo include il modo in cui esordivano.”
 
“Perché? Che cosa dicevano?”
 
Per favore, aiutami” riportò Sherlock. “Non riesco a fermarlo, mi sta costringendo, fai ciò che dico o mi ucciderà.
 
Mary portò una mano alla bocca, sconvolta. “Da due settimane succede questo e tu non l’hai detto a nessuno? Se è vero, due studenti sono stati in pericolo di morte! Devi andare da Silente, ora che hai scoperto che non è opera di Magnussen!”
 
“Rifletti, Mary, non posso rivolgermi a un professore. È iniziato tutto quando ho scoperto che Magnussen non era il colpevole, quindi la persona che sta dietro a tutto questo sa più di quanto noi immaginiamo, in qualche modo riesce a procurarsi informazioni su di noi.
“Aspetta un attimo. Io sono assente da due anni, Mary, è successo qualcosa prima di Richard Knight? Qualche altro mistero, o delitto, o…”
 
“Be’, un annetto e fa c’è stato tutto il casino di Irene Adler.”
Sherlock era impassibile. “Irene Adler?” domandò.
 
“Giusto, tu non puoi sapere nulla. Un lupo mannaro di nome Fenrir Greyback è riuscito a introdursi all’interno dei confini della scuola e ha morso questa ragazza di Serpeverde, Irene Adler.”
 
“Dov’è lei, ora?”
 
“San Mungo, credo che la stiano studiando da allora. Hai detto mercoledì, sabato e lunedì?”
 
“Sì, perché?”
 
“Mi serve un pezzo di carta.” Mary si corse su per le scale del Dormitorio e ne ridiscese meno di un minuto dopo con pergamena, penna e calamaio.
 
“Che cosa vuoi fare?” domandò Sherlock, incuriosito.
 
“Ripetimi le date.”
 
“1856, 1922, 1966.”
 
Lei le copiò sul foglio e iniziò a ragionare. “Da mercoledì a sabato passano tre giorni, da sabato a lunedì due giorni. Potrebbe essere una coincidenza, ovviamente. L’ultimo delitto che hai risolto risaliva a ventidue anni fa, quello precedente a sessantasei, cioè quarantaquattro anni prima, che è il doppio di ventidue, e quello prima ancora…”
 
“Sessantasei. Sessantasei anni di distanza dal primo al secondo delitto, quarantaquattro dal secondo al terzo. Ventidue anni dal più recente ad adesso, sessantasei dal secondo, centotrentadue –il doppio di sessantasei- dal primo. Si è mai scoperto come ha fatto Greyback ad entrare a Hogwarts?”
 
“Mai.”
 
“Tre delitti: sei giorni fa, tre...”
 
“Centotrentadue, sessantasei, ventidue.” Mary trasalì. “Sherlock, in qualsiasi modo la giri, il prossimo numero non può che essere uno. Sia come anno sia come giorno.”
 
“Niente patronus, stavolta.”
 
“Ti prego, dimmi che l’assassino ti lasciava sempre tutto il tempo che volevi per risolvere i casi.”
 
“Ventiquattro ore. È successo altro l’anno scorso?”
 
“Solo Irene Adler.”
 
“Devo scoprire come ha fatto Fenrir Grayback a entrare a scuola o qualcuno verrà ucciso stanotte. Mary, vai da John e resta con lui.”
 
 
No… no, non voglio… perché dovrei, poi? No, per favore… no, dai, non ha senso, andiamo… no…
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Alzi la mano chi ha capito la cosa dei numeri! Ah-ah-ah, non mentite, tra un po’ non ci arrivavo nemmeno io che l’ho ideata. Se non avete voglia di sentir parlare di matematica vi autorizzo a non leggere.
Perché io sono brava e vi spiego.
 
Sono partita da:
1x1=1             11x1=11         11x2=22         11x3=33         11x4=44;
Quindi:
11x2=22         22x3=66         33x4=132;
Poi mi sono anche resa conto che:
22x1=22         22x3=66         22x6=132;
Inoltre: 66+66=132;
I delitti sono stati risolti dal più “vecchio” al più recente. La storia è ambientata nel 1988; il primo delitto risolto risale al 1856, che dista 132 anni (66+66) dal 1988 e 66 anni dal secondo delitto; il secondo, del 1922, dista 66 anni dal primo (appunto), 66 dal presente (riferito al presente della storia ovviamente) e 44 (22x2) dal terzo; il terzo è avvenuto 22 anni prima del presente.
Questo significa che gira tutto intorno al 22: 22 anni dall’ultimo, 66 dal secondo, 132 dal terzo. Se i delitti seguono la tabellina del 22, o dell’11, in ordine decrescente il prossimo numero non può che essere quello a cui si riduce tutto, cioè 1.
Per quanto riguarda i giorni: da mercoledì a sabato ci sono 3 giorni di distanza, da sabato a lunedì ce ne sono due, quindi per pura supposizione Sherlock e Mary hanno potuto dedurre che anche questi giorni seguano un ordine decrescente, 3-2-1.
Tanto più che:
1x1=1             11x2=22         22x3=66
  
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