Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Kourin    23/08/2014    2 recensioni
Un venticello fresco fa frusciare le foglie rosse degli aceri, una si stacca e finisce sull'acqua. Faccio per toglierla, ma tra le increspature vedo qualcosa di strano. E' il volto di un bambino che ha capelli di alghe e occhi di serpente. Mi spavento, poi ricordo che la malattia ha cambiato per sempre il mio aspetto. Non riesco proprio ad abituarmi a vedermi così. A pensarci bene, neanche queste mani che tremano ancora e sanno di erbe medicinali sembrano le mie.
Storia gemella di Tōryanse. Stavolta i protagonisti sono Shin e Naaza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Sekhmet
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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4 - Yakushi




“No...” continuava a ripetere una bella voce, che sembrava quasi un canto. Alleviava il dolore che Naotoki sentiva nell'animo, donandogli un appiglio mentre le correnti strappavano i suoi sentimenti per trascinarli verso il fondale che sarebbe divenuto la loro tomba.
Aprì gli occhi aspettandosi trovare il mare, ma lo trovò prigioniero in due sottili anelli verde-azzurri. Iridi divorate da pupille che tentavano di rifuggire l'orrore, senza riuscirci.
“Sui...ko,” annaspò. Ma il ragazzo inginocchiato di fronte sembrava non sentirlo.

Quando era stato Nāza, Naotoki non aveva mai provato veri sentimenti nei confronti di Suiko, o almeno così gli era sembrato. Aveva lasciato che fosse il samurai ad odiarlo, sapendo che si trattava della strada migliore per condurlo ad Arago. Ma ora, per quanto cercasse di richiamare la freddezza che era appartenuta al Generale del Veleno, Naotoki finiva per perdersi nella corrente torbida dei sentimenti umani.
Perché non si è accontentato di ciò che gli avevo detto? Che cosa ha ottenuto nel sapere quanto io fossi stato stupido e ingenuo?”
Le acque che circondavano il castello di Arago irrompevano nei canali sotterranei, l'umidità saturava l'aria gelida nei corridoi, la nebbia avvolgeva armature impegnate in battaglie incessanti. Memorie che Naotoki non riusciva più a controllare, come se tutto d'un tratto avessero smesso di appartenergli.
Suiko non deve sapere che cosa significa essere un Demone. Non è il suo destino. Potrà soffrire a causa della mia forza, ma non a causa della mia debolezza.”
Si aspettava di toccare da un momento all'altro il gelo immobile che gli aveva custodito sentimenti, di venire risucchiato dal vuoto d'affetti che gli aveva garantito la sopravvivenza nell'immenso palazzo abitato da spiriti immortali.
Eppure dispiacere e paura continuavano ad amalgamarsi in un vortice continuo, senza lasciare mai che il cuore affondasse davvero.
Poi Naotoki capì.
Non sono i miei ricordi. Che diavolo stai combinando, ragazzino?”


È attraverso l'armatura che Arago mi raggiunge e mi richiama, incessantemente. La risacca delle onde, il mormorio del torrente, il ticchettio della pioggia finiscono per trasformarsi sempre in tre parole: 'Vieni con me'. A volte si dissolvono spontaneamente, a volte mi oppongo, a volte fuggo come un codardo. Balzo fuori dallo stato di torpore e mi ritrovo, come ora, a scrutare l'oscurità del sotterraneo che mi tiene prigioniero.
Questo castello è un luogo al di là dei secoli, eppure non è immutabile. Le pareti trasudano, respirano, ogni tanto si scuotono in preda a improvvisi spasmi.
Dal soffitto si protendono radici contorte. D'istinto mi viene da pensare che appartengano ad alberi secolari, ma non so che cosa siano, in realtà. Mi chiedo se gli yōja siano nostri alleati oppure se a loro della sorte di noi samurai non importi nulla. Anche se indossiamo l'armatura restiamo esseri umani, dopotutto.
Tutto è cominciato quel giorno a Shinjuku. Splendeva il sole. Non ero mai stato nella valle dei grattacieli e guardavo la luce riflettersi sulle vetrate con la curiosità di un bambino. Ho conosciuto l'inferno da un giorno all'altro, mi chiedo come sia stato possibile. Anche adesso, ogni volta che torno cosciente, spero di essermi svegliato da un brutto sogno.
Sento il tabernacolo tremare, ma stavolta non è colpa degli yōja. Shū sta riprendendo ad agitarsi. Dovrei dirgli di smettere, ma so come si sente a non fare nulla, senza sapere cosa accade intorno.
Embe'? Non mi dite nulla?”
Se ti dicessi di smetterla, mi risponderesti che non è possibile perché ormai non ne puoi più,” ribatte Seiji.
Ma a me va bene anche se mi dite di smetterla! Purché mi diciate qualcosa!”
Non sono bravo a trovare argomenti di conversazione.”
Scende di nuovo il silenzio. Mi rendo conto che i ragazzi stanno aspettando un cenno da parte mia, ma non mi viene in mente niente. “Non mi viene in mente niente,” dico con sincerità.
Shū allora esclama: “Dev'essere colpa di questo posto. Non è normale. Oltre alle energie, questo stramaledetto tabernacolo risucchia anche gli argomenti di conversazione.”
Potrebbe essere utile, nel mondo degli uomini, qualche volta.”
Seiji, ma era una battuta?”
Certo che sì, che cos'altro poteva essere?”
Te l'abbiamo detto tutti che quando fai le battute tieni un tono troppo serio, così non si capisce.”
"Ti prego di scusarmi.”
Non scusarti!” sospira Shū.
Io...” Mi decido a parlare. “Io non vorrei che fosse vero. Queste maschere... Ci stanno davvero portando via qualcosa.”
Seiji si volta, sento il suo sguardo. “Che cosa intendi, Shin?”
È difficile da spiegare, è più una sensazione.” Faccio una pausa. “Saremo gli stessi quando incontreremo di nuovo Ryō e Tōma?”
Seiji tace. Deve aver smesso di fissarmi. Non mi piace, è come se lo avessi sconfitto. Almeno lui, non deve essere mai sconfitto. Abbandono la tensione dei muscoli e mi lascio andare, sorretto dalla stretta delle catene. Lo spirito infernale che fluttua su di me se ne avvede. Un soffio gelido scuote le sue vesti logore, tocca il mio corpo e disperde le energie che avevo faticosamente raccolto.
Rei, Gi, Shin.” Seiji elenca le nostre virtù una per volta, come se stesse disegnando mentalmente i tre ideogrammi. “Se Arago oltre alle energie delle armature prendesse anche i nostri cuori, non potremmo più richiamare l'armatura bianca. È questo che intendi dire?”
Non riesco a rispondere. Altri Spiriti Infernali si sono avvicinati. Le orbite vuote dei loro occhi sembrano bramarmi. È una sensazione che non ho provato nemmeno quando Arago mi aveva assorbito dentro di sé. Non vogliono la mia vita, la mia forza o la mia armatura: vogliono prendermi il cuore.
Ehi, Shin, che hai?” mi richiama Shū. “Sei la Fiducia, se perdiamo te stiamo freschi.”
Shin!” mi richiama anche Seiji. “Di’ qualcosa, la prima che ti viene in mente!”
C'era il sole su Shinjuku. Non ero mai stato nella valle dei grattacieli,” mormoro. I ricordi iniziano ad avanzare, ma appaiono sgranati e intermittenti, come una vecchia pellicola in bianco e nero.
Anche per me era la prima volta. Non ero mai stato a Tōkyō,” continua Seiji. La voce gli trema leggermente. Posso rivederlo così com'era quel giorno, con i suoi strani capelli chiari e le braccia conserte.
Io invece ero già stato lì con i compagni di scuola, ma non avevo mai visto l'NS building e nemmeno quel fast food dove abbiamo preso gli hamburger.” Quel giorno, Shū stava addentando un panino e teneva in mano una bibita, non gli importava dei fulmini che sembravano spezzare il cielo. A dire il vero non importava molto nemmeno a me.
Non avevamo paura,” constato mentre lo spirito che ho davanti serra le mani, piegando le dita in una successione di sigilli che nessun arto umano potrebbe riprodurre.
È vero!” esclama Shū con fin troppa foga. “Avevi fatto entusiasmare Nasty dicendo che eri un discendente di Motonari Mōri, quello della leggenda delle tre frecce!”
Una cantilena pare voler risvegliare le fauci della maschera, ma s'intromette un suono simile a quello di un campanellino. Precede la voce di Seiji: "Motonari Mōri aveva insegnato ai suoi tre figli di mantenersi sempre uniti. Una freccia sola può essere spezzata facilmente, ma tre no. Anche mio nonno mi raccontava quella storia.”
Mi vengono in mente lontani discorsi da bambini, ma ogni volta che cerco di mettere a fuoco l'immagine i frammenti di allineano in un disegno diverso, come in un caleidoscopio. Ciò che posso dire è solo: “Molti pensano che, se uno è molto forte, può spezzarle ugualmente."
Nessuno ha mai spezzato tre frecce sotto ai miei occhi, non mi sono mai posto il problema.”
Mi accorgo che il suono di quel campanellino è la voce di Rei, il cuore di Cortesia, che mi parla come se lo conoscessi da sempre. "Shū invece ci avrà provato di sicuro."
Mi risponde Gi, il cuore di Giustizia. Il suono caldo di un gong attraversa i ricordi e io torno a distinguerli nitidi e caldi, avvolti nel sole aranciato di un tramonto.
"No... cioé... no, perché mai avrei dovuto provarci?" balbetta Shū.
Inizio a ridere. Gli spiriti infernali tacciono e lentamente ripongono le braccia lungo i fianchi. Li osservo con tranquillità mentre dico: "Ma allora, eri riuscito o no a spezzare quelle frecce?"
"Be'..."
Shū, comunque sia la realtà, i figli del mio avo erano davvero vissuti in armonia. A me basta. Io ho sempre creduto nella forza che si ottiene nell'avere fiducia negli altri."
"Shin," dice semplicemente Seiji.
"Shin," ripete Shū.
Le sillabe che sono insieme il mio nome e la mia virtù echeggiano nelle maschere. Gli spiriti che mi avevano tormentato risalgono la volta della prigione, dove riprendono a volteggiare privi d'intento quasi fossero lembi di ragnatele abbandonate.
Io, sereno, affermo: “Sono contento di avervi incontrato, quel giorno a Shinjuku."


Naotoki ansimava. Il cuore impazzito batteva freneticamente nel torace schiacciato sotto il peso di Suiko. Gli stringeva i capelli bagnati di sudore, sentiva il respiro affannato sul collo. Erano rimasti avvinghiati, come due amanti.
“Ridammi il mio ricordo,” ordinò subito Naotoki, scuotendolo. “Non è cosa per ragazzini.”
“Non posso,” sussurrò Suiko sollevando il volto di cera. Stava per alzarsi, Naotoki gli afferrò il polso. “Non avrei dovuto permetterti di toccarmi,” disse stringendo forte, finché le dita della mano di Suiko si schiusero, rivelando l'ultima perla. Era straordinariamente brillante, screziata d'azzurro.
“Avrei dovuto aspettarmelo, dall'acqua. S'insinua ovunque,” rantolò Naotoki mentre lasciava la presa, sconfitto.
Ma Suiko non lo stava ascoltando.
Uno strano sorriso gli piegava le labbra mentre a fatica si rialzava e si dirigeva barcollando verso Yakushi. Porse all'armatura della medicina il gioiello, poi cadde privo di forze.
Naotoki riuscì ad afferrarlo prima che si ferisse.
Com'era strana da abbracciare la fede incondizionata verso gli altri, la perpetua e incrollabile certezza di non essere mai solo. Forse era questo che aveva sempre voluto carpire da Suiko. Il motivo per cui ne era stato inspiegabilmente attratto. Il motivo per cui Yakushi risuonava in maniera completamente diversa e lo incantava mentre mutava d'aspetto, avvolta dall'aura fiammeggiante di ricordi appena vissuti.
L'armatura si ammantò di una sopravveste intrisa di lacrime d'argento liquido, che si riunirono nel disegno di tre frecce. Un'onda color acquamarina attraversò il tessuto e s'incanalò lungo gli orli, disegnando piccoli vortici ornati da spuma di madreperla. Su ciascun fianco il paramento si apriva per lasciar intravedere tre spade decorate da nappe turchesi.
Naotoki disse: “Io sono il guerriero della Medicina. Era questo il mio destino, prima che mi venisse strappato.”
Piegò le dita a formare il sigillo che allontana la paura. Gridò: “Vestizione! Yakushi!”
I tamburi tornarono a risuonare con ritmo incalzante mentre l'armatura si saldava al corpo. Non era ancora del tutto abituato ai ricordi di cui era costituita, perciò ogni nuovo elemento lo sbilanciava. Per restare in piedi dovette trovare uno, dieci, cento equilibri, ma si sorprese di poterci riuscire ogni volta. Foglie d'acero rosse vorticarono tutt'intorno come fuoco e sangue, ma quando l'elmo completò la vestizione, intorno c'erano solo petali bianchi.


Era steso nell'acqua dolce, avvolto da un intenso profumo di fiori di loto che risaliva la volta celeste.
Una libellula rossa attraversò il cielo del mattino. Shin la seguì con lo sguardo finché la vide posarsi sulla spalla di una figura seduta in meditazione. Vestiva un'armatura, come il possente guardiano di un tempio. Fluttuava sull'acqua, leggero come un fiore. Il viola che gli dipingeva le palpebre e la gemma che portava sulla fronte lasciavano intuire che si trattasse di un principe di un paese esotico.
Il guerriero si accorse subito che Shin lo stava fissando. Iniziò ad aprire gli occhi con innaturale lentezza, rivelando ridi di uno strano colore chiaro, cangianti come cristalli.
“Ti sei svegliato,” disse, gentile.
Shin si liberò dal tiepido abbraccio dell'acqua stagnante e si guardò intorno. La distesa di fiori bianchi continuava fin quasi all'orizzonte, come a formare una via. In lontananza si scorgevano delle pagode, ma quando Shin cercò di individuarne le forme una carpa dalle scaglie dorate gli guizzò davanti, abbagliandolo.
“Devi essere molto stanco, dopo tutto quello che hai vissuto. Ho preferito lasciarti riposare un po'.”
Shin sentiva di non avere la forza per lasciare la bellezza e la pace che lo circondavano. “È un posto meraviglioso,” affermò.
Il principe guerriero sistemò le spade ai fianchi, raccolse l'elmo e gli andò incontro muovendo i suoi passi sulla superficie del lago, lasciando come traccia del suo passaggio piccole increspature concentriche. “Vieni, torniamo nel mondo degli esseri umani,” esortò tendendo la mano.
“Combatteremo?” chiese Shin guardando le armi riposte nei preziosi foderi.
Le labbra del ragazzo formarono un sorriso luminoso. “È naturale, è il nostro destino. Se non lo affrontiamo, non potremo mai liberarcene.”
Shin annuì e si lasciò sollevare.


“Dici che tornerà presto?”
“È la quinta volta che me lo chiedi.”
“Lo so, è che non riesco a stare fermo ad aspettare. Non sono come te, io.”
“Non posso saperlo con assoluta certezza. Ma al momento non abbiamo alternative, è un dato di fatto.”
“Ma perché continuo a chiedertelo?”
La domanda cadde in un silenzio immobile. Il mattino, invece, continuò a mutare. Nubi grigie si rincorsero senza sosta nel cielo, aprendo e chiudendo orizzonti sulla superficie del mare, facendolo apparire a tratti verde, a tratti azzurro. Ma quel verde e quell'azzurro non erano più gli stessi quando la direzione del vento si cambiava.
Shū, sentendosi preso per l'ennesima volta alla sprovvista, si rannicchiò tenendosi la testa tra le mani, nella speranza di riuscire a trovare anch'egli conforto nella ragione.
Il Mare Interno era incredibilmente complicato, eppure era proprio dalle sue profondità che era giunto il grido di Shin. Shū l'aveva sentito forte, tanto che aveva mollato tutto ed era corso fin lì, a caso, come un pazzo, finché la distesa d'acqua mutevole non aveva fermato la sua corsa. Avrebbe potuto tuffarsi, ma poi? Non avrebbe potuto trascorrere ore a scandagliarlo.
Mentre correva avanti e indietro lungo la costa per cercare qualcosa che non si poteva trovare, aveva incontrato Seiji. Se ne stava a fissare l'orizzonte sul molo di uno stabilimento industriale abbandonato, come se essere lì fosse la cosa più naturale del mondo.
Si trattava di un luogo macabro e lo stridere delle lamiere scosse dal vento contribuiva a renderlo sinistro. Shin avrebbe sicuramente rifuggito un luogo simile, eppure anche Shū, una volta fermatosi, aveva percepito qualcosa di diverso.
“Senti, Seiji...” Shū stava per parlare di nuovo, ma il sole che apparve all'improvviso lo zittì. Una lama di luce tagliò un nuovo orizzonte sull'acqua, proprio davanti a loro.
Da quella ferita emerse Shin.
Guardava verso l'alto, come a cercare il sole.

Shū lo chiamò, ma lui sembrava non aver sentito, da tanto era impegnato a respirare. Non lo aveva mai visto riprendere fiato dopo un'immersione, doveva essere rimasto in apnea davvero a lungo. Anche Seiji sembrava sorpreso, tanto che si era chinato e aveva appoggiato la mano sul cemento, pronto a buttarsi tra le onde.
“Shin!” chiamò.
Shū lo precedette. Sì tuffò, si divincolò dalla corrente, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: “Shin!”
Shin si guardava intorno, come se non avesse idea di dove si trovasse.
“Shin!” chiamò ancora Shū tra una bracciata e l'altra finché Shin, finalmente, si voltò.
“Shū ! Seiji!” esclamò.
Mentre alzava il braccio per salutare i compagni, sul suo volto si apriva un sorriso sincero.






Note

L'NS building (NS biru in giapponese) è stato costruito nel 1982. Lo si vede avvolto dalle ragnatele degli spiriti infernali a inizio serie, più tardi diventa lo scenario nella seconda ending: è lì che si festeggia il compleanno di Ryō.
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguire “Lasciami guarire”, sguazzando insieme a Shin e Naotoki in questo mare di angst e ricostruzioni storico-religiose assai allegre ;)
Grazie a SoltantoUnaFenice, PerseoeAndromeda e Tanit per le recensioni.
Grazie a Ryanna, che mi aiuta sempre a scovare gli onnipresenti, a me invisibili, orrori disseminati nel testo.
Per il momento mi prendo una pausa, ma conto di tornare ad affliggere i poveri Samurai Troopers in un prossimo futuro.
Arrivederci!

Kourin

P.S. Pubblicità Progresso Jidai Geki: Volete vedere che cosa succede quando non si crede alla leggenda delle tre frecce? Recuperate lo splendido "Ran" di Akira Kurosawa!

 

  
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