Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: V a l y    19/09/2008    6 recensioni
Midgar era una città brutale che puzzava di inquinamento, sfascio e corruzione. Gli abitanti conducevano una vita dura e deplorevole e alcuni di loro erano così poveri da non riuscire neppure a vivere negli slum. Così, nella disperazione collettiva la criminalità si faceva strada senza troppi sforzi. Tseng era entrato nei Turks che era ancora adolescente, amava il mondo triste e sudicio degli adulti, odiava quello scioccamente gioioso dei bambini. L'incontro con una di questi, poi, lo porterà all'ossessione...
[Fanfiction ambientata prima e durante il videogioco]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Elmyra fremette, seduta, impugnando con forza il grembiule da cucina che indossava all'altezza delle gambe. Il corpo era rigido, i muscoli tesi, le mani due violente tenaglie.
Lo sconosciuto le passò davanti per la terza volta. Rovistava tra le sue cose in cerca di qualche prova che – loro lo sapevano – non esisteva. Tanto per rendere più efficiente il lavoro che stavano compiendo, o forse semplicemente meno corrotto di quello che era in realtà con fin troppo palesamento. Per tutta casa Gainsobough c'era un via vai di guardie, di uomini delle forze dell'ordine e di ispettori.
La donna buttò lo sguardo sul dirigente della ShinRa appollaiato sul divano del salotto, che osservava di sottecchi tutta la situazione. Appena questi notò gli occhi della padrona di casa su di sé sorrise facendo cenno con la testa. L'arriso che voleva sembrare affabile non risultò tale, ma solamente viscido e crudo. Elmyra fremette nuovamente e spostò nervosamente lo sguardo sul tavolo vicino a sé, sul quale era posata la sua pistola racchiusa in un sacchetto di plastica. L'uomo che la sorvegliava di fianco se ne avvide e la richiamò con tono seccato. “Alla seconda che ti becco ti faccio male,” le aveva detto, ma la seconda era già passata cinque volte fa. Probabilmente persino quel brutale gorilla si era accorto che la povera donna non era più accecata da alcun impeto di violenza, non dopo ciò che era accaduto qualche ora prima.
Lo spavento si era impossessato di lei e la paura aveva nuovamente superato la rabbia. Non era tipo da maneggiare una pistola, né tanto meno da manette, le quali, durante tutta la durata delle due ore, le stavano stringendo così tanto i polsi da lasciarle il segno.
Voleva sparire, sprofondare da qualche parte nascosta da tutti, strangolarsi con il suo grembiule, tornare in vita e riabbracciare la figlia. Si poteva morire per poco? Nelle situazioni paradossali come quella qualsiasi via di fuga, anche la più assurda ed impossibile, sembra sempre una soglia facilmente raggiungibile.
“Signora Gainsborough,” pronunciò un uomo che le si era avvicinato silenziosamente da dietro, con una penna in mano e un taccuino nell'altra. “Non abbiamo trovato nessun indizio in casa sua, quindi ci atterremo soltanto alle testimonianze.”
Elmyra lo sapeva. E sapeva anche che la sua testimonianza contro qualunque altra di un membro della ShinRa era vana.
“E' stata autodifesa...” mormorò con la testa bassa.
“Lei ha sparato per autodifesa?” domandò l'ispettore.
“Ha sparato sua figlia,” precisò qualcun altro. Si trattava di Al, ora davanti al portone d'ingresso, la postura comoda e naturale come quella del dirigente della ShinRa. Avevano l'aria di quei trionfanti che vincono senza aver neppure cominciato a combattere.
“La... bambina?!” affermò frastornato l'ispettore. L'avevano presa, parlando di protezione, poi l'avevano tolta alla madre, parlando di disposizione. Al pensiero che si sentisse sola, spaventata, lontana o abbandonata, Elmyra lasciò ancora una volta fuoriuscire il suo istinto materno, senza riflettere sul fatto che Aeris non era realmente sua figlia, che la ShinRa comandava su chiunque, che i Turk avevano una pistola carica proprio sopra i loro pantaloni.
“Aveva paura di quei due Turk!” urlò, alzandosi di scatto dalla sedia. Fu trattenuta per le spalle dall'uomo che la sorvegliava, ma ciò non bastò a farla smettere di parlare.
“Ogni giorno pedinano me e mia figlia, me la vogliono prendere e vogliono farle del male! Sono assassini spietati, sarebbero capaci di fare qualunque cosa! Tutti lo sanno, persino lei, signor ispettore! Annoti sul suo taccuino ciò che le ho appena detto e che già conosceva!” strillò a quest'ultimo con tono di sfida, riversando su di sé l'attenzione di tutti. L'investigatore cominciò a sudare freddo; muovere anche un solo dito verso il taccuino significava una condanna a morte certa. Fu salvato, per così dire, dall'arrivo del Turk, dietro cui si nascose.
“Adesso basta, Elmyra,” le consigliò Al dopo essersi appostato di fronte a lei.
“No! Io ho il coraggio di dire la verità, e la verità è che siete tutti dei criminali! Voi Turk, voi della ShinRa, e aiutandoli anche voi delle forze dell'ordine!” ingiuriò la Gainsborough. Al la schiaffeggiò forte, facendola cadere sulla sedia. Si chinò verso di lei, verso quel volto ancora più impallidito dal terrore, e stentoreo le ammonì:
“Qualunque cosa dici verrà usata contro di te.”
La donna lo fissò inebetita, sfiorandosi appena con i polpastrelli la guancia dolente. Il Turk le si allontanò e le disse, poi, prima di uscire dalla casa:
“Trovati un avvocato.”
Elmyra non disse più nulla; aveva le lacrime che le pizzicavano gli occhi, ma anche la fermezza che bastava per non farle uscire. Il dirigente della ShinRa la rassicurò dicendole che se fosse restata calma sarebbe andato tutto bene, e sorrise, viscidamente e crudamente.
Elmyra riprese a stringere il suo grembiule, maledicendolo mentalmente perché non arrivava alla gola.



Percepiva un lieve sentore di gomma e disinfettante, l'ineguagliabile odore dell'ospedale. Tseng era rimasto ad occhi chiusi, immobile, ad inalare quella cappa per mezz'ora, non riuscendo a fare altro fin quando le palpebre non obbedirono al cervello e si aprirono, lentamente, tremolanti. Dinanzi a lui c'era un cigolante ventilatore da soffitto arrugginito con eliche un po' distorte. Rimase un'altra mezz'ora così, a seguire il roteare rumoreggiante del ventilatore, senza pensare. Il perché era lì era l'unica domanda che si poneva mentalmente.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò. Erano Al e il suo inconfondibilissimo passo strisciato per terra con tacchi pesanti.
“Tseng!” lo chiamò con rassicurazione. “Cristo, mi hai fatto prendere un infarto! Mi sei caduto davanti come una pera cotta!”
Il giovane ferito, senza dire ancora nulla, continuava a guardare verso l'alto.
“Dove sono?” chiese poi.
“Sei in un ospedale collocato nell'edificio stesso della ShinRa. Così i dipendenti saranno sicuri che se moriranno non moriranno qui, o almeno si abbasseranno le probabilità,” rispose Al, e rise, quel roboante riso sinceramente divertito che era di Alabama Dimmick.
Tseng sorrise, o almeno ciò erano sembrate le striature nel suo viso, e aiutandosi con le braccia, con sforzo quasi immane, si mise con la schiena sul muro.
“Quanto tempo ho dormito?” chiese.
“Abbastanza da permettere a noi Turk di divertirci mentre la ShinRa sta usando altri mezzi per il loro ultimo caso. In vacanza il capo è stato stranamente più gentile, ha offerto birra a tutti e si è dato da fare con un sacco di donne, sai, quelle del Settore 6... per lo meno una decina!”
Quindi è passato poco tempo, pensò Tseng, ma si trattenne la spiacevole considerazione nei riguardi del suo odioso capo per sé. Non fosse stato il suo superiore ma uno stronzo qualunque allora la cosa sarebbe stata diversa...
“Ma ora si torna al lavoro. Devo andare a testimoniare al tribunale per il caso Gainsborough. Indovina dov'è collocato il tribunale?” chiese ironicamente Al.
“Non lo so, Dimmick, in qualche posto dove i dipendenti saranno sicuri che se verranno arrestati non verranno arrestati lì o per lo meno si abbasseranno le probabilità?” tentò seraficamente Tseng.
Alabama si sganasciò dalle risate, rudi, potenti e quasi spaventose. “Non sembri tipo da umorismo, ma ti è uscita bene, ragazzino; ti è uscita proprio bene!” e tra un riso e l'altro, quasi involontariamente, aveva portato lo sguardo sul suo orologio da polso.
“Merda. Se non mi presento tra qualche minuto mi uccidono, e lo fanno qui, altro che ospedale collocato nell'azienda che rassicura i dipendenti!” e si avviò ancora divertito verso la porta.
“Dimmick, che mi è successo esattamente?” chiese Tseng prima che uscisse.
Al rimase per un attimo fermo, girato di schiena. “Lascia perdere,” disse solamente. “Pensa soltanto a riposarti. Anche i cowboy a volte devono riposare!” e finito di dire ciò, arrangiò scherzosamente una finta pistola con le dita.
Fu in quel momento che Tseng rammentò tutto, appena dopo che il collega aveva chiuso la porta: il sangue vischioso che gli macchiava la manica della camicia, il fiato e il sudore più pesanti del solito, la pistola che gli danzava davanti per colpa di un oscuro gioco di gravità instabile, e più di ogni altra cosa ricordava un nome: Aeris Gainsborough. Agguantò il lenzuolo quasi strappandolo, irretito da una rabbia che l'aveva reso dissennato, poi si rimise subito composto, com'era sempre abituato a fare da soldato perfetto che era. Restò venti minuti a pensare, poi scese dal letto e afferrò la giacca blu posata sullo schienale di una sedia. Quando se la infilò la spalla gli dolette per un attimo; emise un rantolo rauco e sofferente, ma non se ne badò. Indossata la giacca con sotto nient'altro che delle bende che gli ricoprivano metà busto, si avviò verso la porta.
Il corridoio brulicava di ogni sorta di lavoratore. C'erano uomini in giacca e cravatta, contabili, ragionieri e magistrati adempi a calcolare le finanze della ShinRa; donne succinte ed eleganti, segretarie, avvocatesse, prostitute raccolte per strada che si trovavano lì per chissà quale ostico compito; lunghi camici bianchi che toccavano quasi terra, matematici e scienziati con in mano sempre una cartella, che fosse clinica, che fosse sulla meccanica, che fosse un'azzardata ipotesi o che fosse una scoperta celeberrima; infine spazzini e lavacessi che forse una volta, prima di essere stati degradati a quei lavori sgradevoli, erano qualcosa di più.
Tseng s'imboccò in quella marmaglia senza che nessuno facesse caso a lui e al suo volto irato e insidioso, tanto erano affaccendati nel loro lavoro. Prese le scale, seguì le indicazioni ed infine fu davanti al grande portone giudiziario della ShinRa Corporation. La porta aveva entrambe le grosse ante di legno aperte e chiunque, interessato o passante, poteva assistere al grande teatro che si era allestito all'interno. Erano tutti ammassati come delle formiche sopra un briciolo di pane, seduti su file di sedie congiunte, appoggiati al muro o in piedi nel retro; il loro briciolo di pane, la loro pagnotta personale, era la curiosità di quel fatto un po' strano. Era una donna, si sussurravano l'un l'altro, che aveva sparato a un funzionario di tutela e ricerca – per non dire assassinio e spionaggio – della ShinRa. Altri puntualizzavano che a sparare non era stata la donna, ma sua figlia, di soli sei anni. Al aveva finito di testimoniare giusto in quel momento e stava sedendosi in mezzo all'uditorio. Un avvocato tutto pomposo, grasso e tarchiato disponeva con enfasi le sue considerazioni del caso. Era l'avvocato della ShinRa, mentre quello dato all'accusata per obbligata protezione giudiziaria era un uomo emaciato e paonazzo, un po' stempiato, che se ne stava raggomitolato in un angolo estremo della stanza accanto alla cliente, seduto come un cane in procinto di essere bastonato. Tseng entrò nella stanza e si nascose da tutti come tutti, in mezzo a tutti, in piedi vicino alla parete della porta.
“Che merde, mi verrebbe voglia di ucciderli,” sentì dire da qualcuno seduto poco distante da lui. Era un tizio di strada, uno dei tanti che viveva nelle catapecchie di Midgar, con gli scarponi di cuoio sporchi di fango ben in vista appoggiati sullo schienale della sedia di fronte. Aveva l'aria di incauto menefreghismo di tutti bulli a metà strada tra i bambini e gli adulti, che vivono quindi di puerilità e fermezza. Quegli stessi che se mandati davanti a un plotone d'esecuzione avrebbero continuato a difendere le loro idee a voce alta e rabbiosa, anche con le canne dei fucili puntate su di loro. Quel ragazzino dalla cresta alta era accompagnato da un suo simile: aveva ciuffi pencolanti rossi infuocati, un vestito umile e sporco come quello del compagno e un paio di occhiali da sole.
“E' vero, sono delle teste di cazzo che lavorano solo secondo i loro interessi,” disse questi, sgangherato come l'altro, le braccia dietro la testa e la postura maleducatamente rilassata. “L'altro giorno c'è stata una sparatoria tra bande. Sono morte un sacco di persone, civili compresi. C'era una donna con un bambino; cristo, un bambino che riusciva appena a camminare. Sono morti così, tutti, annebbiati dalla rabbia e dalla fame – perché è questo che fa agire così: la fame –, ma quando qualche caro ha chiesto un processo, quelli della ShinRa hanno risposto che non ce n'era bisogno, che il caso era chiuso. Hanno tristemente arginato la cosa in un articolo di giornale e hanno arrestato i sopravvissuti di entrambe le bande, senza processo. E guarda ora, solo perché hanno ferito un Turk... guarda come si sfoggia quell'avvocato grasso, guarda cosa hanno messo in scena solo per questo.”
Il tono del ragazzo era gravoso. Poteva passare qualunque riccone della ShinRa, poteva essere il presidente stesso, non gliene sarebbe importato niente, persino se fosse stato un Turk. E lo aveva, in effetti, proprio dietro la schiena, che ascoltava senza dire niente. Ascoltava e basta, come aveva sempre ascoltato gli ordini di un superiore, le prediche di un generale, le suppliche di un nemico che stava per morire, i racconti sconci dei soldati che giocavano a carte. Ascoltava con la testa alta, senza esprimersi, arrabbiarsi, amareggiarsi o eccitarsi come i porci che giocavano a scala quaranta mentre descrivevano minuziosamente ogni amplesso avuto nella settimana, con la moglie di casa o la puttana del giorno. Rimaneva impassibile e silenzioso, perché anche se al tempo aveva solo quindici anni era lui il più adulto di tutti.
Non avrebbe ucciso quei due vandali di strada, a meno che non gli fosse stato ordinato. Per il resto lasciava scorrere le cose, come una macchina umana che non ha reazioni se non stabilite da qualcun altro.
“Appena avremo l'età per essere indipendenti, ce ne andremo, Johnny. Ci prendiamo una macchina e scappiamo da questo inferno,” esordì quello con la cresta. “Sì,” rispondeva l'altro, “cazzo, sì!”
Ripeteva quella cantilena invigorito da quella sola cosa che poteva appagare la loro giovinezza. Era l'unica prospettiva che riusciva a illuminare i loro occhi.
“E con quale coraggio!” urlò improvvisamente Palmer, l'avvocato della ShinRa, rivolgendosi alla giuria, uscendo dal tono altolocato e ampolloso precedente attirando l'attenzione di Tseng. Gesticolava teatralmente come un attore melodrammatico. “Con che coraggio possiamo lasciare quella povera bambina nelle mani di una madre così snaturata, che porta con sé una pistola! Si comincia così e si finisce per farla diventare una piccola assassina! La sua innocenza, così unica e preziosa, viene calpestata a questo modo per colpa di una donna degenerata! Dobbiamo difendere quella povera figlia, accudirla tra le nostre sicure mani, provvederla di ogni sicurezza e bene materiale e renderla il più possibile una bambina felice. L'infanzia è un passo importante per un essere umano, che non dev'essere mai stroncato. Pensate al bene della bambina, signori giurati, e al bene di qualunque altro bambino che potrebbe trovarsi al posto suo.”
Con queste parole colme d'enfasi terminò la sua artificiosa messa in scena, ispirando aria con eloquenza, finendo poi di sospirare con rammarico.
“E con questo ho finito!” riferì al giudice, rimettendosi comodo sulla sua sedia accanto ad Al. I giurati uscirono dalla sala in fila per entrare in una stanzetta piccola ed emaciata, a decidere attorno a un tavolo il verdetto. Bastò poco, forse neppure un minuto: erano già usciti e si erano già riposizionati nell'aula del tribunale. Il più anziano di tutti si alzò e aprì un foglio piegato in quattro.
“Riteniamo l'accusata colpevole, in quanto non ha dimostrato adeguata assistenza a sua figlia,” riferì a tutta la sala. Non ci fu neppure il tempo che qualcuno si opponesse che il giudice decise, subito:
“La pena sarà un mese di arresti domiciliari, mentre qualche entità superiore provvederà al bene della figlia, che la accudirà in un luogo più adeguato di casa sua. Il caso e chiuso.”
Dalla sua alta cattedra con scanno il giudice batté il martello della fine del processo. Seguì un nervoso confabulatorio generale, considerazioni dapprima sussurrate, poi proferite a voce alta, e le prediche di una donna che per un mese non avrebbe più rivisto sua figlia.
“Le faranno del male! Le faranno del male!” urlava Elmyra con tormento bloccata da una guardia, con le braccia aperte in direzione della figlia, mentre tre addetti della ShinRa trascinavano Aeris per un braccio per il corridoio gremito di gente arrabbiata, tra le due file di pancate. Per un momento, per colpa di tutte quelle persone, i tre che dovevano occuparsi di Aeris restarono bloccati nella marmaglia, inveendo contro di loro, minacciandoli con manganelli e arresti imminenti. Si fermarono proprio di fronte al portone d'ingresso, dove si trovava Tseng, a un metro da loro. La bambina era sconvolta e spaventata, racchiusa in una gabbia umana di sconosciuti che si affollavano tutti addosso a lei. Buoni, cattivi, lei non capiva nulla. Lo sconforto derivava dal fatto che l'avevano tolta dalle braccia della madre. La stretta della guardia attorno al suo esile polso era accanita e le faceva male. Tra tutto quell'abbaiare collettivo, quella folla impazzita, quel reclusorio di gente accalcata, Aeris poté solo intravedere una persona già conosciuta. Veniva tirata e sballottata, ma in qualche modo riusciva a mantenere gli occhi fissi su Tseng. Allungò la mano libera sulla manica del ragazzo, trattenendola debolmente tra le dita, lo sguardo che scongiurava un aiuto. Il Turk la fissò, pacato e disinteressato, si scrollò di dosso la bambina facendo un movimento secco con il braccio e con l'apatia con cui l'aveva guardata se ne uscì dalla porta.
Fuori dall'aula, per un attimo, un solo attimo, l'indifferenza si distrusse in un indecente sorriso di insana soddisfazione.













-------------------------------------------------------
Li avete riconosciuti i tre personaggi secondari di FF7, vero? XD Ci ho messo un bel pochetto per pubblicare il secondo capitolo, ma sono in periodo esami... anzi, non avrei neppure dovuto permettermi di scrivere questo secondo capitolo. XD Quindi avviso che molto probabilmente il terzo arriverà un po' a rilento come il secondo...
Per il resto:
@j3nnif3r: “Io vorrei incoraggiare il pairing TsengxRosalia! XDDD”
xDDDDD Ecco la mia soap su di loro in due righe: dal loro ultimo amplesso lei è rimasta incinta, tornerà da lui a chiedergli di fidanzarsi; dapprima Tseng è esitante, poi accetta e nascerà una bellissima bambina dai lineamenti asiatici che chiameranno, guarda caso, Yuffie. I due vivono felici, fin quando dei malfattori rapiscono la bambina e un famoso imperatore di un certo paese chiamato Wutai la salva, allevandola come sua figlia. Rosalia, straziata dal dolore, si suicida. Tseng, affranto, continua il suo lavoro da Turk, pensando sempre e continuamente a lei.
Questo è ciò che è successo tra i due...
...
...
No, non è vero. xD
Però le date tra la nascita dell'ipotetica bambina e Yuffie coincidono, oltretutto i lineamenti asiatici li hanno sia lei che Tseng (o almeno così me li sono sempre immaginati, visto i nomi che hanno...), quindi, chissà, potrebbe anche essere vero... xD
Sono felicissima che la mia storia ti piaccia. *_* Tseng è un personaggio di cui fino a qualche settimana fa non mi sarei degnata neanch'io, e, sì, Elmyra, una sciocchezza, per lo meno una volta, penso io, la deve aver fatta. Non è umanamente possibile che sia sempre restata calma dopo anni e anni di minacce e persecuzioni, su. XD Il fatto che la ShinRa recluta ragazzini e bambini è un elemento ripreso dall'altra mia oneshot su Reno, che sarà collegata con questa longfic. Volevo dirlo all'inizio, ma me ne sono scordata. XD
@BaschVR: spero di aver aggiornato abbastanza presto secondo i tuoi desideri. XD Grazie dei complimenti (davvero ti piace così tanto? Me felice! *_*) e ancora più super-iper-mega-extra-ultra-strafelice che anche la tua fanfiction sia incentrata sulla coppa TsengxAeris. Giuro che quando ho letto questa frase son saltata di gioia! XD Ed è bello che, sì, entrambi abbiamo avuto la medesima idea vista da due punti distinti. Anche la tua storia mi ha presa (l'ho già detto nei commenti, ma tant'è xD) e la seguirò come tu stai facendo con la mia! :)
@MoMomaramao: “complimenti, mi piace molto questo pairing... sebbene, devo ammettere che non l'avevo mai preso in considerazione prima di dieci minuti fa XD”
Ma LOL! XDDDDD Be', io non l'avevo preso in considerazione prima di qualche giorno antecedente alla data di pubblicazione del primo capitolo, quindi più o meno siamo sulla stessa onda. XD
“sparato con un calcio rotante tra i miei preferiti!”
E io pregherò Chuck Norris affinché questa storia sia di tuo gradimento! *_*
*comincia a sentire una potente presenza attorno a sé*
*ha invocato il nome del Dio in modo blasfemo, senza inchinarsi o baciare una sua foto*
*si rende conto del danno che ha fatto*
*comincia a pregare sperando di non essere punita con un calcio rotante* xD
Grazie della recensione!
@Hely: amore mio! *_* Tseng mi ha sempre un po' dato questa impressione. Mi sa di persona talmente austera e attaccata al lavoro e a quei valori di adulto che, inevitabilmente, odia tutti i bambini. XD Anch'io ho un po' tentennato per la reazione che ha avuto alla fine del capitolo con Aeris, ma d'altronde ho anche ponderato che siccome è una persona tutta d'un pezzo, fin troppo, indifferente e perfetta come una macchina da guerra, potrebbe aver avuto quella reazione esagerata proprio perché si è tenuta dentro qualunque possibile emozione umana per troppo, sfogandola in modo aggressivo e quasi pazzo. Anch'io ho sempre tifato per i Turks, comunque. XD Alabama è un personaggio secondario di cui mi sono molto affezionata anch'io, anche per via di certe situazioni che avverranno in futuro... *si tappa la bocca perché se non lo fa comincia a spoilerare tutto* xD Grazie della recensione, Hely! :D
@Youffie: mi mancavano, seriamente, mi mancavano le tue recensioni chilometriche! ç_ç
“ELMYRA HA LE PALLE, MA AERIS CE LE HA QUADRATE.”
Auhauhauha! XD Più che palle è stata abbastanza incauta, la bambina, ma da una parte, è vero, una persona del genere deve per forza tenere, detto alla maniera nostra, i pall' a sott'. XD Concordo col fatto che lui, tra i Turks, sia sempre stato quello meno amato, perfino meno di Elena. Un gran peccato. u_u Da una parte non mi lamento neppure più di tanto, perché fino a qualche giorno prima della pubblicazione neppure io ci avevo mai pensato a lui (XD), ma dall'altra spero davvero di farlo piacere di più. E soprattutto son già felice che lo sprazzo che ho dato di lui sia già bastato di per sé per fartelo un po' piacere! *_*
Già, solo dieci anni tra i due... me infelice! XD La mia prima idea era una differenza d'età maggiore, ma poi sarei stata poco coerente con il videogioco; l'età di Tseng non viene mai detta, ma non gli darei mai una quarantina d'anni, ecco. XD Però il lolitismo rimane lo stesso! *_*
Stessa considerazione l'ho avuta anch'io. Insomma, a parte che ho appurato con altri che Aeris 'sto stinco di santo non lo è mai stata (gh xD), ma in ogni caso, vivendo in un ambiente così crudo e malfamato, per forza certe situazioni ti portano ad agire in modo poco decoroso... magari l'ho estremizzata troppo, ma il fatto che anche questo elemento ti sia piaciuto mi porta a pensare: e chi se ne frega se ho esagerato! XD
“Ora manca solo la parte sul por- CIOE'.”
*si schiarisce la voce, alza il capo orgogliosa e porta un megafono davanti alla bocca*
PORNOOOO! XD Scene erotiche ci saranno, l'ho già assicurato. Cioè, intendevo dire detto. xD
Il mio stile è cambiato? Non come un pokemon; intendi quindi come un digimon? *_* *adorava i digimon quando andava alle medie* xD Ora che me lo dici ci faccio caso... Da una parte credo di essere un po', senza essere troppo pretenziosi, maturata, ma dall'altra credo sia anche per via di ciò che devo trattare. Ne Il blouson noir e la bambina, per esempio, il dramma è meno presente, gioco più sulle situazioni che sulla storia in sé (anche se comunque ho già deciso che ci saranno scene pesanti, che per quel che mi riguarda possono anche mandare un po' alla malora la fanfiction, rendendola improvvisamente più tagliente, ma non me ne importa niente, è un'idea che ho nella testa da troppo xD), e per questo, essendo il “clima” più calmo e divertente, ho anche un tipo di scrittura più... sì, diciamolo... scema. xD
Comunque, se ho davvero uno stile più cinico come dici te posso solo essere più contenta, perché si incalzerà meglio con le idee che ho in mente per questa storia. *_*
Grazie per la super recensione! xD
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: V a l y