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Autore: Alvin Miller    27/08/2014    0 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL QUARTO ATTACCO

Parte 1/3: Occhio giallo su Canterlot


La sala del trono era nel subbuglio più totale.

Il seggio di Celestia, che di solito era fissato su una grande colonna dorata in fondo alla stanza, ora volteggiava nell’aria distaccato del resto del pilastro, con Discord che vi sedeva sopra crogiolandosi beatamente sulla comoda imbottitura rossa, ma non era che una piccola parte di ciò che nel complessivo il suo passaggio aveva provocato.

Le piastrelle bianche e nere del pavimento sottostante, per esempio, stavano saltellando a intervalli regolari da una locazione all’altra, modificando la propria disposizione originale nella griglia della scacchiera.  Era una burla divertente, ma in fatto di stramberie non poteva competere con il piccolo agglomerato di nubi – ampio poco più di due metri – che fioccava in orizzontale una scia di nevischio che si stava accumulando sulla parete frontale.

Che cosa dire, poi, delle vetrate commemorative che celebravano con i loro colori sgargianti i principali eventi della storia di Equestria? In una di esse – la sconfitta di Nightmare Moon – la lastra di vetro a mosaico stava ruotando su se stessa come l’elica di una ventola dell’aria condizionata (emettendo, però, aria calda e accogliente, ideale per la stagione), mentre in un’altra – il matrimonio di Shining Armor e Princess Cadance –  i due sposini fluttuavano all’interno della rosea superficie con espressioni affrante e addolorate, mentre cercavano invano di afferrarsi  gli zoccoli a vicenda. Qualcuno, poi, vedendo lo Spirito del Caos cavalcare una neo-eletta Principessa dell’Armonia nell’omonima vetrata, avrebbe certamente trovato la cosa buffa e originale, ma Twilight niente affatto.

Per commemorare la sconfitta dei Kaiju nel corso dei mesi precedenti, erano anche state commissionate delle lastre in ricordo dei precedenti attacchi, e ora in ognuna di esse un impavido Discord dominava dall’alto dei corpi dei defunti mostri, in pose eroiche, e circondandosi talvolta dalle Principesse, talvolta dalle Custodi, oppure da semplici abitanti di Equestria che lo riempivano di elogi come se fosse stato lui il loro salvatore.

A questo punto ci si sarebbe domandati che fine avessero fatto le Guardie Reali, e perché gli avevano permesso di sguazzare all’interno della sala come un puledrino dentro una scatola dei giochi.

Per avere una risposta bastava proseguire con l’elenco delle opere perpetrate dal draconequus:

Due di essi erano stati ipnotizzati e ora stavano correndo in senso orario e antiorario sulle pareti e sui soffitti della sala, senza subire in alcun modo gli effetti della gravità, come due criceti che correvano su una ruota, dove però essa era ferma e loro ruotavano. Un altro era imprigionato all’interno di una grande lastra di carbonite accanto alla colonna del trono, stretto in una morsa di puro terrore mentre protendeva in avanti la punta della sua lancia, a dimostrazione del suo futile tentativo di difendersi.

I tre militari sottoposti all’incanto caotico erano gli unici di cui si ebbero notizie, ma persino un umile contadino di campagna avrebbe saputo che non potevano certo essere gli unici ad aver tentato la difesa del trono. Qualcun altro era certamente intervenuto, ma dove fossero finiti tutti, nessuno lo sapeva.

Solo in un secondo momento, quando cioè ne volteggiò uno vicino a Twilight, le due Principesse si accorsero che c’erano piccoli serpentelli verde-prato che stavano strisciando a mezz’aria, come fossero poggiati su un’invisibile superficie sospesa. Erano forse loro le Guardie Reali assenti all’appello?

«Twilight, mia cara quanto tempo! Vieni, abbracciami, non hai idea di quanto mi sei mancata!» Discord si calò insieme al trono, ricongiungendolo al resto della colonna. Con uno schiocco delle dita fece scomparire di dosso la corona e la mantella rosso-scuro che indossava, per dopo alzarsi in piedi allargando le braccia, pronto ad accoglierla a sé.

Lei se ne rimase ferma sul posto, mutata dallo stupore e con la bocca che le precipitava dalla sorpresa.

Celestia le passò oltre, avvicinandosi all’allegro spirito del caos. «Tu non dovresti essere qui, Discord! L’accordo prevedeva che ti avrei contattato io!» Disse con un timbro di voce indispettito, svelando ai presenti trame di cui Twilight non era informata.

L’alicorno viola si accigliò, corrugandosi la fronte mentre la voce della sua testa le domandava di quale accordo la sua Mentore stesse parlando.

«Beh, credevo che ai miei amici avrebbe fatto piacere una visita di cortesia, e che quindi non avrei dovuto aspettare un’udienza formale per presentarmi. Ma è evidente che sono il benvenuto solo quando vi fa comodo!» Incrociò le braccia e si voltò dall’altra parte, imbronciato. O per essere più chiari, la testa si voltò, compiendo un arco di 180°, mentre il resto del corpo rimase impassibile di fronte a loro. «E pensare che ho anche portato i cioccolatini!» Aggiunse, prima che una scatoletta quadrata dalla pregiata fattura (sottratta di straforo da una pasticceria della capitale, mentre un cliente si stava apprestando ad afferrarne il nastro decorativo d’oro tra i denti) comparisse nell’aria per poi cadere riversando sul tappeto rosso tutto il suo contenuto.

«Non peggiorare le cose, non è il momento adatto!» Lo ammonì Princess Celestia, puntando con un cenno del mento alla direzione della giovane giumenta.

Twilight pensò e ripensò, quando poi un’intuizione irruppe nella sua testa come un Kaiju che devasta un grattacielo con una sferzata di artiglio, e si sentì d’improvviso cader addosso le pareti della sala, ma questa volta non a causa del giogo di Discord.

«Un momento!» Esclamò rivolgendosi a Celestia. «Principessa… il vostro piano per i Kaiju… non vorrete dirmi che è… LUI?!»

La testa di Discord ritornò nella giusta posizione e il draconequus si mise a braccia conserte in posizione fiera, con degli occhiali da sole neri che gli coprivano gli occhi. «In carne e caos!»

La sovrana le confermò tutto, sospirando pazientemente.

L’alicorno viola sentì un reflusso gastrico risalirle il condotto della gola, e dovette sforzarsi per reprimerlo insieme all’attacco d’isteria che le era divampato nel petto. «E… e il Programma Muraglia? E il Vello Oscuro… Principessa, non per mettere in discussione il vostro giudizio… ma io… pensavo che le nostre intenzioni fossero di proteggere le città, non di distruggere l’intera Equestria!»

«Qual è il problema, stellina? Stai forse insinuando che io, il bravo, prode, nobile e generoso Discord, sia troppo inaffidabile per un incarico così delicato?» Intorno a sé, mentre parlava, comparvero sospese nel vuoto delle cornici con foto di dubbia autenticità: in una lo Spirito del Caos stava leggendo un libro di favole ai puledrini di un orfanotrofio, in un’altra era a capo di una squadra di foal-scout, nella terza distribuiva razioni di cibo alle affamate Zebre della Savana.

«Guardati intorno!» Esplose lei ringhiando.

Il draconequus fece scomparire le fotografie e mosse lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, fornendole una scusa che le fece soffiare fumo dalle narici: «Mi annoiavo.»

«Adagio voi due.» Li riprese la Principessa del Sole prima che il confronto degenerasse. «Twilight, sono consapevole che Discord in passato non era certo celebre per essere un buon samaritano…»

Nel frattempo l’essere alle spalle della regnante aveva montato un faccino adorabile e un sorriso istigante più al draconicidio che non alla compassione.

«… ma sono convinta che le sue capacità potranno fare molto per aiutare Equestria in questi momenti bui.»

«Già, sono il memorabile “Piano D” di Canterlot! Dove la D sta per Divino, se posso permettermi!» Si auto-compiacque guardandosi attraverso uno specchio che aveva materializzato nella robusta mano da leone.

“A questo punto tanto valeva accettare l’aiuto di Bibski Doss!” Pensò di pronunciare Twilight, riallacciandosi così alla conversazione di poco prima, ma ciò che le uscì dalla bocca fu solo un urlo contrito in gemiti soffocati.

Celestia non si rendeva conto della gravità della situazione, o se così era, non era abbastanza obbiettiva nel valutare le opzioni.

Insomma… Discord?! Come poteva la Principessa pensare che un’incontrollabile calamità naturale come lui fosse un’alternativa più congeniale di… beh, qualunque cosa avesse avuto in mente l’inventore di Manehattan?!

“No, sbaglio a pensare così!” Si ammonì, reprimendo il pensiero. “Lei è Princess Celestia, ha regnato su queste terre per secoli! Devo fidarmi del suo giudizio, sono certa che sa quello che fa…”  la giumenta continuò a riascoltare la voce della sua testa, cercando di convincersi che le parole di Doss la stavano influenzando con troppa facilità, e si morse con forza la lingua per fare ammenda del suo iniziale scetticismo.

Nel frattempo, un serpentello fluttuò davanti al muso della Principessa del Sole, solleticandole il naso. Questo le fece ricordare qualcosa.

Si volse verso Discord, tramutando improvvisamente il suo atteggiamento. «Ciò non toglie che non dovresti essere qui!»

La chimera cornuta fu sottomessa alla voce imperiale della regnante.

Si sentì piccolo di fronte a lei, e per enfatizzarlo si rimpicciolì di dimensioni, arrivando a raggiungere a malapena l’altezza delle sue ginocchia.

Si mise anche a parlare con un timbro di voce più acuto, che ricordava quello di uno scoiattolo canterino. «Ho percepito una distorsione nel flusso quantico del caos» spiegò «così ho pensato di venire a indagare e a mangiarmi qualche biscotto, ma dato che non ho trovato nessuno mi sono detto “Beh, che cavolo! Sarebbe da maleducati andarmene senza salutare!” e così sono rimasto. Poi però sono arrivate le Guardie, e allora ho proposto di giocare a Risiko mentre aspettavamo il vostro ritorno, ma temo che non avessero bene in chiaro quali fossero le regole: hanno centato di arrestarmi!»

Nel frattempo, i due militari sotto ipnosi non la smettevano di sgaloppare per la stanza come levrieri impazziti.

Stanco di ascoltare il loro incessante battere di zoccoli, Discord schioccò le dita sottoponendoli a un altro dei suoi incantesimi, che li tramutò tutto d’un tratto in una singola fontana di marmo perfettamente funzionante, posta in mezzo alla sala, dove i due, ridotti a statue, schizzavano dalla loro bocca rivoli di acqua che scrosciavano educatamente sulla vasca sottostante.

Le Principesse non sembrarono gradire la nuova decorazione, almeno a giudicare dalle loro espressioni.

Discord tornò alla sua reale dimensione ed estrasse dal suo orecchio sinistro tre gallette, offrendone un paio alle pony. «A proposito, volete un biscotto?»

Dei rivoltanti grumi di cerume ne stavano caramellando la crosta esterna.

Twilight nitrì disgustata, mentre Celestia cercò di manifestare il suo ribrezzo in maniera molto più garbata. «Ehm… no, grazie.»

«Hmph, meglio così. Tanto sono appena finiti.» Le tre gallette si ridussero a una soltanto e questa finì dritta nella bocca dello spirito serpentiforme.

Per la seconda volta consecutiva la Principessa dell’Armonia trattenne un conato di vomito. Alla terza volta, ne era sicura, qualcosa ne sarebbe uscito.

«Devo convenire che intendi restare, perciò?» Chiese Celestia, oramai rassegnata all’evidenza dei fatti.

«Sì, pensavo di fermarmi giusto cinque o sei anni, sempre che vogliate accogliermi nelle vostre umili dimore… »

La Principessa sbuffò, cedendo arrendevolmente alle sue richieste. «Essia… »

«YUHU-HUUU!!» Petardi e fuochi d’artificio esplosero alle spalle del draconequus, facendo trasalire dallo spavento le ignari bisce che tutt’ora stavano scorrendo alla rinfusa nell’aria.

«… ma a una condizione!»

«Che paa... aarticolare genere di condizione?!» Si corresse all’ultimo, sorridendo sornione.

«Riporta la sala del trono nelle condizioni in cui l’hai trovata!» Rispose con autorevolezza, cui seguì tra i due un breve momento di muta sospensione.

«E va bene, se proprio insisti… » quindi, con uno schiocco delle dita le vetrate e le piastrelle del pavimento tornarono nel loro stato originale, con un colpo di tosse i serpentelli volanti caddero a terra per poi svanire nell’etere, e la nuvola che nevicava in orizzontale si dissolse nell’aria dopo che Discord vi ebbe starnutito sopra, portandosi via anche la montagnola di neve sulla parete.

Si armò di martello e scalpello, e con un paio di battiti in punti apparentemente casuali della base, la fontana marmorea si frantumò ritrasformandosi nelle due Guardie Reali, liberatesi anche dall’ipnosi che le aveva tramutate in trottole impazzite prive di controllo.

Dal dito indice (aquilino) dello spirito caotico parti un raggio rosso che liberò dalla sua prigionia anche lo stallone nella lastra metallica.

«Ecco fatto.» Annunciò sbattendosi i palmi, tuttavia Celestia non sembrava ancora soddisfatta del suo operato. «Non credere che non mi sia accorta di quelle!» Disse, accennando alle due anfore decorative ai lati del portone, che Twilight, constatò, non aveva notato fino a quel momento.

Erano grandi, dorate e ricche di elementi decorativi, con dentro dei mazzi bicolore di rose dai petali bianchi e neri.

Studiandole più attentamente, però, avevano anche un che di familiare, che sul momento non riuscì ad afferrare.  

«Ma andiamo! Ravvivano il feng shui!» Protestò il draconequus.

«Obbedisci!» Ordinò la sovrana, picchiando con la suola di un coprizoccolo.

Discord borbottò qualcosa sottovoce e con due colpi dei tacchi lanciò il contro-incantesimo che restituì alle anfore la loro reale forma: tutte le rimanenti Guardie Reali assenti, dai manti bianchi e neri come i fiori, riapparvero al loro cospetto, per unirsi poi ai cori lamentosi dei colleghi precedentemente liberati.

Si aiutarono tra loro a rialzarsi e si risistemarono le corazze, mentre qualcuno tra i guerrieri più giovani puntò d’istinto la propria lancia al draconequus.

«Ora posso restare?» Chiese risentito, senza badare più di tanto alle minacce che gli venivano intimate.

Con un cenno del capo, la Principessa ordinò ai militari di lasciare la stanza.

«Solo se prometti di non usurpare più il mio trono.» Rispose, sorridendogli candidamente.

«Parola di Lupetto!» Sollevò la mano destra all’altezza delle tempie e formò una “V” servendosi dell’indice e del dito medio.

Una frustrata Twilight Sparkle si fece avanti tra i due, imponendo la sua presenza. «Così… ora sarà lui a difendere le città dai mostri?»

*Boop*.

Discord si chinò su di lei e le toccò il muso con la mano da rapace. «Così sembra, mia stellina adorata. Perché, sei forse gelosa?»

«Non è del tutto esatto.» Chiarì l’alicorno dal manto bianco, rovinandogli l’entusiasmo. «Gli Elementi dell’Armonia, insieme alla Muraglia, rimangono ancora le nostre migliore opzioni di difesa.»

«Cosa?? Ma io pensavo che… »

«La nostra priorità è contenere al minimo i danni che una manifestazione porterebbe con sé.» Lo interruppe. «Non è prudente ingaggiare fin da subito uno scontro diretto con i Kaiju. Se come teme Twilight i mostri si stanno rafforzando, vorrà dire che per te sarà il momento di entrare in campo quando ogni altra alternativa sarà resa vana.»

Twilight sorrise sotto i baffi, mentre tra sé e sé sospirava di sollievo.

Grazie al cielo Celestia aveva dimostrato che tra i suoi crini era ancora abile a nascondere qualche asso.

«Bah!» Strettosi sulle spalle, Discord camminò fino alla vetrata commemorativa del primo attacco, dove un sanguinario titano dalle grandi zampe artigliate demoliva i palazzi di Manehattan tra le grida di paura dei poveri pony che cercavano di mettersi in salvo. «Uno s’impegna a rigare dritto e guarda come lo trattano!» Borbottò inginocchiandosi a terra e portandosi le mani all’altezza cuore. «O misero me, o tapino draconequus, cui animo caritatevole non trovar mezzi per dar prova a codesti suoi amici del rinnovato… ehm… “voler bene”… ch’egli ha pieno il cuore, e cui suo desiderio e voler è di farne dono! Ché nessuno mi vuol bene?»

Poi una lampadina si accese sopra la sua testa, prima di esplodere in nugoli di frammenti vetrosi. «Or che la mia mente rimembra… ma dov’è quelle delizia di puledrina cui soventi noi siam chiamar Furthersky? Lei sì che di tanto… ahm “voler bene” i zoccoli suoi son pregni!»

«FlutterSHY!» Lo corresse Twilight, acidamente. «E comunque non è qui in questo momento!»

«Oh… dispiacer grave.» Continuò, sospinto dalla corrente ispiratrice. «Qui urge un intervento dall’alto.» E schioccò le dita per l’ennesima volta, facendo sì che nell’aria comparisse dal nulla…


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Nel frattempo.

Le Custodi stavano percorrendo gli eleganti sentieri in pietra della capitale, marciando nella direzione che le avrebbe ricondotte alla stazione dei treni.

Nel mentre, chiacchieravano del più e del meno, cercando di allontanarsi come meglio potevano dai cupi pensieri che avevano accompagnato le loro ore più recenti.

Rarity non la smetteva di estasiarsi per lo sfarzo della popolazione e per le variegate meraviglie che esponevano i numerosi negozi d’alta moda. Cosa che le fece ricordare, ad un certo punto, dell’odiosa Silly Turnip che probabilmente l’attendeva da giorni all’entrata della Carousel Boutique, col suo bagaglio di obesità inammissibile e quel pessimo gusto per il vestire che non avrebbe certo sfigurato ad una serata di gala tra muli da soma.

“Ammesso e non concesso di non imbattersi in lei mentre marciamo.” Fu il pensiero che la colpì mentre cercava di scacciare da sé la brutta immagine di lei che le compariva davanti.

Pinkie Pie, intanto, se la rideva blaterando come di consueto di qualunque cosa la sua mente iperattiva concepisse, sebbene quel giorno apparisse più tesa del solito, come se si sforzasse di tenere nascosto qualcosa che la inquietava. Fatto che non mancò di farsi notare dall’occhio vigile di Applejack, che ancora non si dava pace per le domande che continuavano a sorgerle spontanee riguardo all’incubo della pony in rosa.

E Fluttershy invece? Era talmente mite e silenziosa che fu quasi come se la sua amica nemmeno ci fosse…

A questo proposito Applejack fu colta da un sospetto. Si voltò verso di lei col fiato sospeso, convinta senza un apparente motivo che non fosse più con loro, solo per appurare che infatti… stava trottando accanto a Rarity, con le lunghe ciocche della criniera rosa che le coprivano gran parte del volto.

Si girò nuovamente in avanti, rilassandosi. Cosa sarà andata a pensare?

«Voi… ahm… pensate che sia tutto a posto… lassù…» farfugliò la Custode della Gentilezza, mangiandosi metà delle parole nel tentativo di completarsi.

«Per cortesia, tesoro, potresti aumentare il tono della voce? Certe volte ti esprimi in modi davvero incomprensibili!» La richiamò l’unicorno della Generosità, sul cui dorso Spike si stava trastullando con la delicata criniera gelso chiaro, passandosi i ciuffi tra le dita delle zampe e sulle guance squamose.

«Oh… scusa Rarity, io… non volevo… non parlo più… »

Applejack sospirò vigorosamente. «Parla, zuccherino. Nessuno qui ti vuole azzittire.» Le uscì una frecciata non volutamente diretta all’amica bianco-perla.

«Ok… ehm dicevo… è già passato parecchio da quando ci siamo divise… pensate che Twilight abbia chiarito con Celestia? La Principessa sembrava davvero triste quando siamo atterrate a castello… »

«E perché non dovrebbe, scusa?» Chiese il draghetto, prendendosi una pausa dalla sua feticistica attività. «Lei è Twilight Sparkle! Non mi viene in mente nessuno più bravo lei per queste cose!»

«Spike ha ragione! Vedrai, tra qualche minuto atterrerà tra di noi in un battito di ciglia!» Disse Rarity.

«Sì, e poi io offrirò il gelato a tutti!!» Se ne uscì Pinkie Pie, senza che a nessuno fosse passato per la testa d’interpellarla. «Io ne voglio uno con sette palline: fragola, cioccolato, cocco, zucca, fragola, pizza, carota!!»

«Hai ripetuto “fragola” due volte, Pinkie.» Le fece notare l’amica dal manto arancione.

Lei la prese per il collo e la avvicinò a sé. «Ho detto SETTE PALLINE!» Ripeté ringhiandole addosso.

«Ehh… eheh… vaaa bene!»

Pinkie allentò la presa e si mise a molleggiare verso la gelateria più vicina, mentre Applejack si massaggiava la gola indolenzita. Quando, poi, la pony in rosa arrivò a metà della strada, si fermò d’improvviso per poi fare marcia indietro sui suoi passi. «Nahh, oggi non mi va.» Disse mestamente, smettendo di rimbalzare.

Il gruppetto di amiche si fissò l’un l’altro scrollandosi le spalle.

«Ehi, ragazze! Yu-huu!»

Una voce familiare le chiamò.

Si guardarono intorno smarrite, finché Applejack non decise di alzare lo sguardo oltre l’arcata del suo campo visivo.

Vide Rainbow Dash volare in picchiata verso di loro, con la faccia di chi aveva qualcosa di veramente figo da raccontare.

Atterrò a qualche metro di distanza, talmente eccitata nel compimento della manovra da finire quasi per schiantarsi sulla solida carreggiata.

«Non indovinerete mai chi ho incontrato!» Disse sistemandosi frettolosamente il piumaggio delle ali.

«Fammi indovinare, vado a istinto eh: uhm… qualche Wonderbolt che si stava allenando sulle mura della città?» La prese in giro la cowgirl.

«Molto meglio, molto meglio!»

«Oh Applejack, ma è chiaro, non ti pare? Ha avuto una squisita conversazione con quel pegaso di cui si è invaghita tempo fa!» Rilanciò Rarity.

«Ah già. Com’è che si chiamava? “Fulmine”? O qualcosa del genere… »

«Cosa?! Ehm… no, no! E comunque si chiama Soarin!» Arrossì. «E poi… lui non è neanche qui… » si mise a grattare nervosamente sul pavimento di pietra.

«E questo è un vero peccato, giusto?» Continuò la pony col cappello desperado. Sia lei che Rarity presero a sghignazzare.

«Ma insomma, non è niente di tutto ciò! Ho soltanto rivisto Gilda!»

«CHI?!?» Esplosero in coro Pinkie Pie e Fluttershy. Le altre invece smisero di ridere.

«Esatto: Gilda!» Ripeté la pegaso arcobaleno.

«E questa sarebbe la buona o la cattiva notizia?» Chiese Applejack, sospettosa.

«Eheh, non c’è un’altra notizia, solo questo!»

«Tesoro, ti sei forse dimenticata di come si è comportata l’ultima volta? Hai bisogno che te lo rammentiamo?»

«Ma no, ragazze, non è più così! Ora è cambiata (beh… in un certo senso)… è una dei pezzi grossi dell’Aviazione dei grifoni che stazionano sulle mura! È una Sergente della flotta!»

«Sto ancora cercando di capire quale sia la buona notizia…»

«Ooh ma insomma!»

Mentre la discussione tra la pegaso, l’unicorno e la pony di terra perseguiva, alcune scintille di magia caotica iniziarono a sprizzare dal manto giallino di Fluttershy, che finì per avvolgerla in una luce abbagliante prima che lei avesse tempo di reagire. La giumenta squittì mentre veniva ghermita dall’incantesimo, e dissolta in un attimo sotto gli sguardi inarcati delle amiche.

Le Custodi si voltavano qui e lì come a chiedersi “È successo veramente?”.

«Ehi ma… dov’è finita?!» Chiese Rainbow Dash, che fu anche la prima ad aver posato gli occhi su di lei mentre veniva dissolta.

«Era con noi un attimo fa! Qualcuno ha capito che è successo?» Applejack le interpellò uno ad uno, ma tutti ne sapevano quanto lei.

Rivolse la domanda anche a Pinkie Pie, ma quando vide la bruma di terrore sul volto della pony, il suo cuore smise di battere.

«Pinkie… va tutto bene?»

Tutto in quel momento tacque, come se una forza misteriosa avesse risucchiato dalla realtà i suoni del mondo.

I loro stessi spiriti palpitavano all’interno dei loro corpi, come se cercassero di fuggire prima che tutto andasse in rovina.

La Custode dell’Elemento della Gioia manteneva il suo sguardo fisso in un punto sull’orizzonte della città.

Le sue amiche non potevano saperlo, ma attraverso le sue pupille stava vedendo uno scorcio di quello che sarebbe successo da lì a poco.

«Pinkie… ?» Chiamò di nuovo Applejack.

Pinkie Pie farfugliò qualcosa e la sua voce uscì come un soffio leggero, come se temesse che spezzando quel silenzio profondo, il male infimo che stavano guardando i suoi occhi potesse incorporarsi travolgendo il tempo e la realtà.

Ciò che disse fu «è qui… » e poco dopo su Canterlot si riversò l’inferno.


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Fluttershy atterrò goffamente sul tappeto rosso della sala del trono, emettendo un singulto al contatto col suolo.

«Oh, or quindi eccola giungere dinanzi a noi!» Esultò Discord, applaudendo a se stesso.

Twilight corse a dare assistenza all’amica. «Stai bene?» Le chiese con premura.

«Io… credo di sì… ma che è successo?»

«Indovina… » le indicò con gli occhi dove guardare.

Fluttershy sporse il collo, e strillò con sorpresa quando vide il draconequus che l’aveva condotta fin lì farle “ciao ciao” con la mano leonina.

«Discord!!» Allontanò bruscamente da sé l’amica alicorno e si tuffò tra le braccia della chimera. «Dove sei stato? Ero così preoccupata! Pensavo ti fosse successo qualcosa!»

«Eheh, rilassati. Sono stato via solo per un po’!» Le disse allontanandola delicatamente da sé.

«Le hai ricevute le ultime lettere che ti ho inviato, vero?» Chiese Fluttershy, ansiosa.

Twilight ruotò la testa da un lato. «Voi due vi scrivete delle lettere?»

«Puoi giurarci!» Annuì Discord, facendo piovere sulla testa dell’alicorno viola una cascata di buste aperte. «Tra amici è una cosa normale, ma che vuoi saperne tu? Sei come tutte le altre: datele una corona e subito calpesterà chi le sta sotto!»

«Ehi!» Flutteshy si erse in volo e gli puntò contro una zampa. «Non parlarle così, Twilight è stata molto impegnata in questi mesi, come tutte noi! Sono certa che se avesse trovato il tempo non avrebbe esitato un secondo a scriverti! Diglielo anche tu, Twi!»

Twilight si sollevò dal cumulo di lettere forzando un sorriso fasullo «ehmh… ssì… ceerto!»

«Visto? Chiedile subito scusa!»

«Ma io… »

Fluttershy lo fulminò con lo Sguardo.

«Sigh… s-scusa Twilight, mi dispiace tanto.» Recitò in tono elusivo.

La Principessa dell’Armonia sapeva che niente di quanto pronunciato era da reputarsi autentico, ma per non sottrarre tempo a questioni ben più importanti, decise di dargliela e bere.

«Molto bene!» Si proclamò soddisfatta la pegaso. «A proposito, ma che ci fai qui?»

Princess Celestia, che aveva atteso in disparte il cessare del confronto, rispose per tutti spiegandole le ragioni che l’avevano spinta a chiedere il suo aiuto.

«Quindi sei qui per proteggerci?!» Chiese la pegaso al termine del resoconto.

«Beh. L’intenzione è quella. Volevo scriverti, ma ho pensato che dirtelo di person… »

«Ma è meraviglioso!!!» Lo abbracciò ancora una volta con tutto il suo entusiasmo, senza dargli il tempo di concludere, e lo strinse così forte da spezzargli a metà il corpo.

Nulla che la magia caotica non potesse risolvere in un istante.

Twilight alzò gli occhi al soffitto, emotivamente abbattuta, domandandosi quanto quella farsa sarebbe durata ancora.

Sfortunatamente per lei, la risposta le sarebbe arrivata di lì a pochi secondi, quando dal sottosuolo di Canterlot un’ondata di pura devastazione esplose su tutta la capitale, irrompendo nelle loro vite con la forza di un megaincantesimo.


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Princess Luna si era appena appisolata nella camera padronale, chiusa nell’oscurità dell’elegante tendaggio serrato.

L’avrebbe attesa una lunga nottata al calare del sole e sperava che con quel sonnellino potesse finalmente recuperare un po’ delle ore di sonno sufficienti a renderla operativa nel momento del risveglio. Le sarebbe bastato poter reggere il lume fino al momento del cambio mattutino.

Tanto – aveva pensato – in genere non c’era un gran da fare nelle ore notturne del regno, quindi poteva anche prendersela comoda, no?

Accoccolatasi nella calda coperta di seta, semplicemente ideali per trascorrere lietamente il sonno nella frescura di quel pomeriggio invernale, finì invece risvegliata di soprassalto da qualcosa di spaventoso che la fece ruzzolare fuori dal materasso.

Con la testa ancora offuscata dal malessere che di solito si avverte in seguito a un riposo interrotto, uscì sulla balconata ergendosi su due zoccoli accanto al telescopio con il quale lei e Celestia erano solite studiare gli astri, e vide con i suoi occhi – da una posizione decisamente avvantaggiata – la ragione del subbuglio che l’aveva ridestata dall’affetto del suo torpore.


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Dal centro della città, duecento metri più in basso rispetto al promontorio su cui sorgeva il castello, e due chilometri più in là, tra i piccoli torrenti artificiali sovrastati dai ponticelli e le varie ed eleganti caffetterie della piazza, i pony di ceto alto che riempivano le strade a quell’ora del giorno sussultarono all’unisono quando uno primo, lieve boato d’assestamento fece vibrare i vetri negli infissi e smuovere le criniere delle eleganti giumente.

Qualcuna borbottò infervorata chiedendosi cosa stessero combinando nelle mura della città per provocare tutto quel parapiglia, ma tranne qualche sguardo interrogativo e un paio di occhiate scambiate tra perfetti sconosciuti, nessuno pensò di attribuire a quella piccola e apparentemente innocua avvisaglia una nota d’importanza.

I terremoti erano ormai una realtà di tutti i giorni, cui tutti, dai più ricchi ai più poveri, avevano imparato a convivere nel corso degli anni, e la loro altitudine rispetto alle altre città di Equestria rendevano Canterlot una vera botte di ferro contro ogni minaccia che poteva incombere più in basso. O per lo meno, questo era il luogo comune cui tutti erano pronti a scommettere prima che quella giornata svelasse loro quanto, in verità, erano stati ingenui.

Quando la prima, lieve ondata lasciò il posto al tumulto che ne sarebbe seguito, i più svegli compresero fin da subito che quella botte in realtà altro non era che una gabbia da cui nessuno sarebbe potuto uscire.

Un grande sisma, il più potente che avessero mai avvertito dall’inizio della crisi dei Kaiju, e il primo che si avvertì a un’altitudine così elevata, investì la capitale facendo crepare tutte le strutture nell’area circostante e sfondando i sentieri pietrosi su cui i loro zoccoli cercavano di reggersi in l’equilibrio.

Gli alberi si scuotevano smossi dalle radici, tavolini e sedie cadevano sugli sventurati avventori dei locali, ustionando qualcuno con le roventi bevande rovesciate dalle tazze, mentre le carrozze che portavano in giro turisti e curiosi si ribaltavano su un fianco ferendo gli incauti passeggeri.

La Paura, come nessuno in città l’aveva mai conosciuta dai tempi dell’invasione dei Changelings, unita a una crescente sensazione d’impotenza, s’impadronì degli abitanti che, presi dal panico, si dettero alla fuga in una confusionaria corsa alla ricerca della salvezza.

Ma una salvezza da dove? Come sfuggire a un pericolo che sembrava essere onnipresente dovunque si andasse?

Dall’epicentro da cui l’apocalisse si stava scatenando, un debole obelisco d’avorio, totalmente indifeso dalla potenza del terremoto, crollò di peso sulla piazza, travolgendo tutto ciò che si trovava sulla sua parabola di discesa.

I pony che in quel momento si trovavano lì in basso incontrarono una morte rapida e improvvisa, tra le urla di chi, invece, era stato solo costretto ad osservare.

Mentre tutto andava a rotoli fin troppo velocemente, una ramificazione di fratture che come una ragnatela si estendeva per un raggio di trenta-quaranta metri, cominciò a sollevarsi dal centro come un cumulo di terra smosso da una talpa laboriosa in via d’emersione.

Si formò una grande collina di macerie, pietra e polvere alta decine di metri, che poi implose su se stessa inghiottendo palazzi, mezzi e innumerevoli pony che non adatti al volo o troppo scossi per reagire finirono divorati dall’enorme voragine che vi si venne a creare.

Alcuni pony tra i più lontani erano caduti in preda a una paralisi raggelante e sebbene le loro parti razionali li supplicassero di fuggire, i muscoli non davano loro retta, rifiutando di muoversi.

Furono loro i primi a vederlo: dal cratere emerse qualcosa di gigantesco, che portò con sé grandi blocchi di cristallo luccicante provenienti dalle miniere sottostanti.

Per primo si levò un grande e vertiginoso braccio, dotato di una poderosa mano a cinque dita ampia svariati metri.

Calò sulla città, aggrappandosi sul ciglio del baratro.

La seconda mano uscì subito dopo e questa cadde a pugno sul terreno, smuovendo una folata di polvere che oscurò per un momento la visibilità ai pony.

La testa del mostro e con essa il resto del corpo fuoriuscirono dalla gigantesca fossa in coda alle sue sproporzionate braccia. L’enorme titano s’inchinò sulle sue robuste gambe, ansimando pesantemente – forse per recuperare le forze – e infine si sollevò in posizione bipede, rivelando così le sue reali fattezze.

Alto forse quaranta metri (stima provvisoria calcolata sulle sue proporzioni rispetto ai palazzi di Canterlot), era rivestito da uno spesso strato di pelle coriacea grigio-plumbea, solcata da zigrinature e crepe nella cute, come quella di un mastodontico pachiderma, che lo ricopriva da cima a fondo come una pesante corazza.

La possente muscolatura delle braccia, che sembrava spezzettarsi in tre segmenti distinti come negli arti degli insetti, cadeva ai lati del voluminoso corpo che se non fosse stato così terrificante avrebbe suscitato ilarità per l’aspetto pasciuto che si portava dietro. Il tutto era sorretto da due forti e solide gambe, perfettamente equilibrate con il resto della sua fisionomia e anch’esse suddivise in tre parti segmentate.

La sua testa era un perfetto ovale tagliato a metà sull’asse latitudinale, liscio e di una sfumatura leggermente più chiara rispetto al resto del corpo, ed era in apparenza coriaceo, come se fosse fatto di puro osso, oppure cheratina solidificata come le corna di un rinoceronte.

C’era come un taglio che solcava il suo capo, e partiva dalla base del collo per poi salire in longitudine fino alla cima, come una specie di stranissima cicatrice che tuttavia non sembrava affatto una vecchia ferita di battaglia, ma bensì parte stessa della morfologia dell’essere.

Ma il particolare che spiccava sul resto, tanto da inquietare da sé, quasi quanto la stazza del mostro, era lo spaventoso mono-occhio giallo-acre che stava fissando gli abitanti della città dal centro dell’ovale, con una minuscola pupilla nera avvolta in una corona di rossi capillari.

«Celestia!»

Princess Luna entrò di corsa nella sala del trono, trovandovi i presenti affacciati alle vetrate trasparenti.

Di tutte, Fluttershy era l’unica a mostrare una reazione emotiva ben definita: lacrime di angoscia le inondavano la faccia in singulti di pianto, che le mozzavano il fiato ogni volta che tentava di prendere aria.

Le Principesse e lo Spirito del Caos invece guardavano tutto con innaturale freddezza, troppo incredule per esprimersi.

«Quello è… un Kaiju… » mormorò Celestia, con gli occhi che le si inumidivano. Se non si fosse controllata presto anche lei avrebbe fatto compagnia alla pegaso gialla.

«Ma com’è possibile?! Sono passati solo quattro mesi…!» Mentre lo diceva, Twilight si rese conto di essere stata fin troppo ottimista con le sue previsioni.

Era preparata all’ipotesi di doversi scontrare con un nemico più forte del solito, ma mai avrebbe pensato di vederne uno con così largo anticipo.

Fin’ora quella dei sei mesi era stata una regola non scritta che aveva sempre conclamato la sua esattezza con sufficiente puntualità, e benché il Terzo Attacco fosse sopraggiunto con un lieve anticipo di un paio di settimane rispetto alla precedente manifestazione, si erano comunque fatte trovare pronte per respingerlo prima che potessero sorgere ingiurie alla città di Las Pegasus.

Ma adesso…

Un nuovo Kaiju, contro il quale erano assolutamente impreparate, era emerso nel bel mezzo di Canterlot. La capitale di Equestria. Il regno di Princess Celestia e di Princess Luna, sul cui feudo sorgevano le città dei pony e di tutte le altre razze senzienti.

In poco tempo avrebbe dato il via al suo attacco, e la Nazione avrebbe avuto un’altra Manehattan da compiangere.



*(Questa parte di capitolo - ed insieme le successive sequenze di lotta - sono state scritte sulle note di questa colonna sonora:  https://www.youtube.com/watch?v=IHYsx9lBUXY. Ascoltatela mentre leggete per godere al massimo dell’esperienza)*


Il Kaiju scosse il corpo per liberarsi dalle scorie che si erano accumulate nelle infossature della sua corazza.

I blocchi di macerie che ne caddero furono per lui nient’altro che fuliggine, ma erano abbastanza grandi da poter uccidere un pony che incautamente si fosse fatto trovare sulla loro linea di caduta.

Il mostro voltò la testa verso un gruppo di abitanti fermo un centinaio di metri più in là, fissandoli con il suo unico occhio, che immobile e privo di palpebra puntava dritto su di loro.

Poi si girò, scuotendo la capitale col suo passo pesante.

Squadrò i palazzi che ascendevano nei dintorni. Studiò la conformazione delle torri e della variopinta architettura eretta su vari livelli della montagna, come uno scrupoloso demolitore che pianificava per tempo il modo più efficace per radere al suolo il suo obiettivo.

Incontrò di nuovo gli sguardi confusi del suo minuscolo pubblico ed emise un flebile verso, che un giorno avrebbero descritto come un grugnito mischiato al russare di un vecchio grassone bisunto.

Dal fascio di carni nere che avrebbe dovuto essere il collo uscì una folata di vento maleodorante che si espanse per interi chilometri lungo le strade, anche lì dove la sua mole non aveva ancora infierito su cose e pony.

Due lembi di scura pelle si aprirono come delle labbra, rivelando una fila di orridi denti scimmieschi deformi e oscenamente devastati. Erano gialli come il suo occhio e incrostati da metastatiche carie che in più punti avevano trapanato tanto da attraversarli da parte a parte.

Torrenti di bava densa e putrescente tracimarono dalla carnosa bocca, rilasciando effluvi irrespirabili che puzzavano di carogna e deterioramento.

Il Kaiju gonfiò ventre e petto, così tanto che per un momento i più illusi credettero che stesse per esplodere. A quel punto qualcuno trovò la forza di battere in ritirata, capendo cosa stava per succedere, ma non tutti ebbero la stessa prontezza di spirito.

Il Kaiju spalancò le mascelle e scaricò su Canterlot un urlo ciclonico, assordando chiunque nel suo raggio d’azione.

Pony di ogni razza vennero spazzati via dai venti del ruggito, mentre le finestre degli edifici nel circondario si polverizzarono in schegge taglienti. Le crepe sulle pareti più deboli si espansero a tal punto che alcune costruzioni finirono per collassare su se stesse, svanendo dalla mappatura della città.

Il ciclope richiuse la bocca e mentre gli infortunati cercavano di capire cosa fosse avvenuto, cominciò a infierire su qualunque cosa, sferzando la capitale con le sue colossali braccia.

I palazzi vennero scoperchiati da dita larghe interi metri, le pareti sventrate da pugni che si abbattevano come palle da cannone potenziate da incantesimo distruttivi.

Nulla sembrava in grado di resistere alla rabbia del Kaiju.

Il destino dei pony sotto di lui dipese unicamente dalla casualità del momento: qualcuno trovò miracolosamente la fuga sgusciando tra le macerie in caduta, molti altri, invece, si spensero senza che nessuno potesse soccorrerli, schiacciati dai detriti o, ancora peggio, dagli sconfinati piedi della creatura.


Un plotone di Guardie Reali pegaso si precipitò nella sala Reale, in risposta a una convocazione di Princess Celestia.

«Ai vostri comandi, Maestà!» Esordì uno di loro.

«Dirigetevi alle mura e comunicate che il Punto di Raccolta è stato appena trasferito!»

«Ricevuto! La nuova destinazione?»

Celestia si consultò in silenzio con la sorella, e la Principessa della Notte annuì con decisione.

«Cercate il Capitano Spitfire. Ditele di radunare tutti qui a castello!» Rispose l’alicorno dal manto bianco, imbastendo un atteggiamento d’urgenza.

I pegasi del plotone trasalirono, confrontandosi tra loro per verificare se tutti avessero provato la stessa sensazione, ma nessuno obiettò alla sua decisione.

«Sarà fatto, vostra Maestà.» Obbedì lo stallone in testa al gruppo, battendosi uno zoccolo alla fronte, per poi congedarsi con gli altri lasciando la sala.

Twilight, Fluttershy e Discord stavano nel frattempo osservando il disastro che il Kaiju stava provocando in città.

«Dannazione, ci servono gli Elementi dell’Armonia! Subito!!» Urlò Twilight, zampettando sugli zoccoli impazienti.

«Dimmi che li hai portati, Twi! Vero che li hai portati?!»

«No, li ho lasciati a Ponyville quando siamo partite!» Rispose alla domanda di Fluttershy.

«Oh cielo! Allora cosa facciamo?! Siamo spacciate!!»

«Mantenete la calma, forse c’è un modo. Discord, credi di poterla condurre fino al villaggio giusto il tempo di raccoglierli?»

«Sarà un gioco da puledri, Celestia.» Rispose lui, sicuro di sé.

«Che accidenti stiamo aspettando allora, muoviamoci!!» Scattò Twilight, ghermendolo per l’irsuto collo.

«Presto fatto.» Il draconequus si liberò dalla sua presa e lanciò uno dei suoi incantesimi.

Entrambi svanirono nel vuoto della sala.


Con un rapido flash balzarono dall’apocalisse della capitale alla tranquillità di Ponyville, dove la priorità degli inconsapevoli abitanti era ancora centrata sull’allestimento delle decorazioni per la Festa del Focolare dell’Amicizia.

Se anche qualcuno avesse allungato il collo in direzione del picco di Canterlot, difficilmente avrebbe scorto qualcosa di rilevante, a parte forse qualche colonna di fumo appena percepibile dagli occhi più attenti.

Twilight si ritrovò nel corridoio al pianterreno della Golden Oaks e galoppò verso lo stanzino in cui l’attendeva la teca con dentro gli Elementi dell’Armonia.

Indossò fin da subito la sua corona e ripose i rimanenti nella sua personale sacca da viaggio, senza perdersi neanche per un momento nel salutare l’amichevole Gufolisio che l’aveva raggiunta per accoglierla dopo giorni di assenza.

Corse fuori dalla stanza quasi urtandolo, scusandosi con poco garbo mentre gli dava le spalle, e tornò di fretta dal draconequus.

«Eccomi, li ho presi!»

«Vuoi che ti aiuti a portarne qualcuno?» Si offrì Discord, educatamente.

«Sono ancora schermati contro di te, non potrei darteli neanche se volessi!»

«Ancora?! Ma non è giust… »

«MUOVITI!!» Lo rimproverò.

Piegato dalla sua voce tonante (forse anche lei ne stava sviluppando una come le Principesse), il draconequus la riportò subito a Canterlot.


La pegaso giallo-canarino finì di asciugarsi le lacrime che da minuti le stavano rigando gli occhi e si mise al collo il suo Elemento.

«Dobbiamo trovare le ragazze! Se siamo veloci forse facciamo ancora in tempo a salvare la città!» Disse Twilight, richiudendo la fibbia della bisaccia per mezzo del corno.

«Spero tanto che stiano bene… »

«Hanno Pinkie Pie con loro, sono praticamente intoccabili.»  

Mentre lo diceva, il suo pensiero ricadde invece sui suoi genitori, che abitavano non molto distante da lì.

Chissà se sapevano cosa stava succedendo in città?

Un brivido le corse lungo il garrese.

“E se il Kaiju avesse deciso di prenderli di mira?!

«Principessa, noi andiamo!» Avvisò voltandosi di scatto verso la sua Mentore.

«Cercate di fare attenzione là fuori, senza di voi gli Elementi sono inutili!»

Twilight annuì a denti stretti. Fluttershy solo dopo aver ingurgitato una voluminosa massa di saliva.

«Buona fortuna ragazze, il destino di Canterlot è nei vostri zoccoli.» Concluse Princess Luna con solennità.

Le due Custodi galopparono verso il corridoio che dava all’uscita del palazzo e senza spiccicar parola spiccando il volo non appena raggiunsero uno spiazzo di luce all’aperto.

Nella sala del trono il viso della Principessa del Sole era divenuto un alone di dolorosa cupezza, che avrebbe potuto avvilire anche il più gioioso dei puledri.

Ella guardò di nuovo attraverso la lastra di vetro trasparente, flettendo in avanti le orecchie per costringersi ad ascoltare ogni singolo rumore che proveniva da Canterlot.


 Era colpa sua se si stava verificando tutto ciò.

 Era tutta sua.

Colpa sua. Sua. Sua. Sua.


Era questa la litania che si ripeteva nella sua testa quando Luna le andò vicino, toccandole una spalla con il fresco metallo della sua calzatura. «Andrà tutto bene sorella, vedrai. Le ragazze sistemeranno tutto.»

Celestia uscì dalla sua trance solo per emettere un lieve singulto. «Non sarebbe mai dovuto succedere… avremmo dovuto prevederlo… IO avrei dovuto prevederlo… »

«Eh-ehm… » Discord si avvicinò cautamente a loro, preoccupato del dire qualcosa che potesse alterarle in un momento così teso. «Io che faccio? Me ne sto in panchina aspettando che tutto finisca?»

L’alicorno bianco rifletté a testa basta, sbuffando fuori aria trattenuta, che dentro di lei stava diventando tossica. «Preghiamo affinché il tuo intervento non si riveli necessario… »


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Sulle mura della città lo scenario dell’attacco era seguito con grande timore dagli occhi sbigottiti delle Guardie Cittadine e dai giovani cadetti dell’Aviazione dei pegasi e dei grifoni, che ancora non si sentivano pronti a confrontarsi con un’avversità di tale portata.

Gilda percorreva in avanti e in dietro la via del cammino di guardia in attesa di ricevere i suoi ordini.

Sebbene le urla della popolazione terrorizzata arrivassero fin lì e a ogni secondo che passava un altro edificio di Canterlot (con dentro quasi sicuramente qualche pony in pericolo) veniva raso al suolo, era consapevole che un’azione disorganizzata avrebbe portato con sé solo ad un aumento della conta dei morti e a un rapido sfoltimento di una delle già ridotte forze difensive della città, ciononostante l’attesa la stava logorando.

La parte peggiore non era però la consapevolezza delle vite che stavano spirando in quegli attimi, ma la necessità di tenere a bada le teste calde dei pivellini che bramavano di tuffarsi nella mischia neanche vi fosse stato un premio alla fine del giro, oppure al contrario, dei deboli spauriti che non provavano altro desiderio che battere in ritirata il prima possibile.

«Non è il momento di farsi cogliere dalle emozioni!» Diceva a ognuno di loro senza fare distinzioni tra pavidi e coraggiosi. «Perdere il controllo significa perdere la Capitale, e con essa ogni speranza di predominare sui Kaiju!»

Per fortuna aveva dalla sua qualcuno dalla zampa forte: si chiama Feather Scratch, anche se un tempo aveva il permesso di rivolgersi a lui solo come Sergente Maggiore Scratch, del Sesto Reggimento degli Aviatori.

Ai tempi dell’Accademia era il Mentore sotto il cui severo regime Gilda aveva imparato tutto quello che ora sapeva del mestiere.

Forte e possente, con un fisico anziano temprato da anni di lotte e una pelliccia scura come l’antracite, era il genere di Istruttore che a un esame superficiale spiccava per il suo sorprendente autocontrollo, capace di mantenere il piumaggio azzimato anche nelle situazioni più concitate.

Gli piaceva vestire elegante, e questo tratto era ben deducibile dai motivi barocchi che decoravano la sua armatura blu cobalto, floridi di curve smussate in costante contrasto con gli appuntiti motivi tribali della consuetudine grifona.

In verità quello che si osservava nella superficie era solo una mera illusione della sua personalità, catenacci che Feather Scratch si auto-imponeva per destinare le sue energie al combattimento.

Quando lottava, infatti, la sua calma quasi solenne voltava il fianco a una grinta draconica, che trovava la sua massima espressione nell’atto di sguainare gli artigli. A quel punto il mite veterano d’età avanzata si trasformava in un animale assetato di sangue.

Successe così durante i primi giorni all’accademia: Gilda arrivò con la convinzione di trovarvi pestaggi facili con cui sfogare la sua rabbia mai abbastanza espressa, per poi uscirne come un’eroina tra i suoi simili allo scadere del periodo di Leva.

Finì invece per conoscere il Sergente Maggiore Scratch (anche se sarebbe più consono dire che le fu imposto), la cui ideologia del rispetto e della buona condotta contrastava con la spavalderia della ragazza.

Si sfidarono ufficialmente in un duello corpo a corpo dopo una settimana di duro astio e vane punizioni.

L’aggressività di Gilda parlò per lei e la convinse della sua assoluta superiorità sul “Vecchio”, ma quando dopo tre round (dalla durata complessiva non superiore ai centoventi secondi), tra lividi su tutto il corpo, piume arruffate e almeno un paio di costole incrinate, la giovane incauta si ritrovò con uno squarcio sulla guancia destra, infertole alla fine dello scontro dal Sergente Maggiore come penitenza definitiva per la sua sfrontatezza, imparò la lezione che sarebbe stata alla base dei suoi principi per il resto degli anni a venire: «L’obbedienza» le spiegò mentre la teneva a terra ferma con una zampa «è il fondamento di ogni società civile. I pony obbediscono alle regole dell’Armonia per garantire alle nostre terre di vivere e prosperare, mentre noi, come grifoni, abbiamo il dovere di obbedire alle regole che i nostri superiori ci impongono, poiché essi hanno affrontato battaglie che noi non possiamo ancora immaginare, e sono sopravvissuti al solo scopo di insegnare a noi come fare altrettanto. Dimenticare – o peggio rifiutarsi – di onorare il loro comandamento porterà quasi sempre alla vostra inesorabile rovina.»

Gilda lo guardò fisso nei suoi occhi d’argento e annuì, e quel taglio fu per lei la prova più indelebile della fine della sua antefatta Persona.

Una volta guarita, la cicatrice che avrebbe esibito sarebbe stata per lei il monito della sua stoltezza, un’effige fatta di un’infanzia scanzonata che non aveva più posto negli anni che si sarebbero avvicendati.

Gilda ne uscì diversa quel giorno, ne uscì umiliata (e nulla rode peggio al fegato di un grifone che una macchia di sporco sul proprio onore), ma anche rinata.

Da quel momento obbedì ai comandamenti del suo Sergente Maggiore come nessun altro nella sua camerata avesse mai accettato di fare, distinguendosi per la sua forza e per la rabbia che finalmente aveva imparato a incamerare nella giusta direzione.

Nel giro di una manciata di anni era già salita di grado a sufficienza da sedere affianco alle cariche più alte nella mensa dell’accademia.

In seguito, divenuta Sergente Istruttrice a sua volta (la più giovane nella storia dell’Aviazione dei grifoni), i rapporti tra lei e Feather Scratch si evolsero ancora di più prendendo una piega completamente inedita: non più costretta a stare sull’attenti dinanzi alla sua presenza, finirono per diventare amici.

Qualcuno dalla lingua particolarmente scivolosa parlava a sproposito del fatto che tra i due fosse nata una storia, assumendo addirittura a questo il merito della rapida promozione della grifona.

Chiunque avesse mai osato tanto, finì per incontrare i suoi pugni sul centro preciso del becco, e nulla importava quanto poteva essere solido, i cazzotti di Gilda facevano SEMPRE un male del Tartaro!

Tuttavia, in rare occasioni non era impossibile che fantasie di questo tipo attraversassero anche i suoi pensieri, ma finivano ogni volta a doversi confrontare con i rapaci del suo raziocinio, che planavano in picchiata per convincerla che il divario di età era troppo manifesto per prenderle davvero in considerazione.

Così finirono per rimanere ciò che l’Aviazione aveva prestabilito per loro: colleghi di lavoro alle prese con giovani mai abbastanza domati, che nel privato si facevano compagnia a vicenda così come avrebbero fatto un’allieva con il suo Maestro.

Ora i ricordi le scorrevano come foglie sospinte dalla brezza, alimentati dal lento sfregare del suo artiglio nell’insenatura della cicatrice.

Il Capitano Spitfire arrivò poco dopo, atterrando malamente in uno dei campi d’allenamento per le reclute.

Gilda non se ne accorse nemmeno.

«Rapporto immediato, avvicinatevi tutti!» Ordinò, mentre si risistemava la divisa smossa dal vento sollevando gli occhiali di protezione all’altezza della fronte.

I presenti si compattarono intorno alla pegaso, lasciando spazio ai leader delle varie fazioni di avvicinarsi al centro.

Gilda si accorse finalmente dell’assembramento che si stava venendo a creare, e si unì con una planata a Feather Scratch.

«Ci sono delle novità, e non sarà facile metterle in atto, perciò mi aspetto che tutti facciano la loro parte per il bene di Canterlot. Andiamo con ordine e facciamolo in fretta. Punto Primo: il nuovo punto di raccolta non è più in città – che come sappiamo è attualmente sotto attacco – bensì a castello. Ciò vuol dire che il compito degli Wonderbolts non sarà più dare supporto ai grifoni, ma fornire assistenza sul campo ai civili. Alcuni dei miei pegasi stanno già prestando soccorso ai feriti e temo che presto avranno bisogno di un grosso zoccolo, e questo è il punto Secondo. Il punto Terzo, invece, è che di conseguenza la Muraglia dell’Armonia non sarà più istituita qui sul confine, bensì a Palazzo… »

Un coro di mormorii sdegnati si levò dalla cinta di ascoltatori.

«Questo vuol dire che dovremo trasferire tutte le truppe stazionarie passando in mezzo al campo di battaglia! E quelli che non volano?! Cosa diavolo vi aspettate da noi?!?» Chiese un unicorno dal manto castano, che sulla sua armatura aveva le effigi dei Capitani delle Guardie.

«Gli ordini sono ordini! Non farmi perdere tempo con cose che già so! Ognuno qui ha la sua dannatissima gatta da pelare e nessuno è veramente preparato alla situazione che stiamo affrontando!»

Il Capitano delle Guardie fu zittito, ma ciò non gli impedì di borbottare qualche lamentela condita di moccoli tra sé e sé.

«Dovresti essere onorato di indossare quelle medaglie.» Lo accentò la rigida pegaso. «Se il Principe Shining Armor fosse ancora tra le fila di Canterlot avrebbe mosso suggerimenti ben migliori dei tuoi. Qualche suggerimento tattico per la causa forse, di sicuro non chiacchiere acerbe da checca isterica!» Si voltò verso gli altri con fare di sfida. «Ci sono altre domande idiote o iniziamo a darci dentro?»

Gilda mosse una zampa in avanti. «Dove sono finite le Custodi degli Elementi? A questo punto avrebbero già dovuto essere in azione.»

«Hanno avuto dei contrattempi di non so che genere, ma mi è stato riferito che la Principessa Twilight si è appena messa in moto.»

Gilda annuì.

Dunque Rainbow Dash e le sue compagne stavano per entrare in azione, questo significava che la giornata poteva ancora concludersi per il meglio.

«Bene allora. Muoviamoci! Gli ordini li conosciamo!» Disse rivolgendosi ai suoi sottoposti, ma senza lesinare un po’ di messinscena per gli occhi del Sergente Scratch.

Alcuni Wonderbolts spiccarono subito il volo condotti da Spitfire, mentre altri si aggiunsero alla flotta solo dopo essersi equipaggiati con bardature piene di kit di pronto soccorso.

Le truppe di unicorni della Muraglia scesero in strada e cominciarono a correre a perdita di fiato tra le strade diroccate di Canterlot, mentre sulle loro teste la furia del Kaiju ciclope irrompeva su qualunque ostacolo si frapponesse sulla sua strada.

Gilda e Scratch andarono verso le casse dei rifornimenti, e si equipaggiarono con rapidità delle loro attrezzature lancia-dardi.

«Pronta a entrare in azione?» Le chiese il grifone maschio con una scintilla di euforia negli occhi leggermente strabuzzati.

«E tu Vecchio, riuscirai a starmi dietro?» Stuzzicò lei, mentre finiva di caricare la propria fondina di ferro fissandosela poi sul dorso e al resto dell’attrezzatura.

«Cercherò di volare a marcia ridotta. Ne soffrirei se dovessi uscirne umiliata!»

«Mettiti l’animo in pace, non hai più l’età per queste cose!»

Terminarono di prepararsi e adunarono intorno a sé i rispettivi gruppi di cadetti, una ventina circa tra femmine agguerrite e maschi bellicosi.

«Avanti pulcini, è il momento di guadagnarsi il becchime! Voglio tutto il primo squadrone con me, gli altri seguano Il Sergente Maggiore Scratch! Azioni rapide e precise! Nessuno faccia l’eroe, o vi impalerò di persona con le vostre stesse attrezzature!»

Prima di partire si accorse dell’imbragatura allentata di una delle sue giovani reclute.

«Fermò lì!» Lo arrestò, riempiendolo d’insulti mentre si offriva di risistemargliela.

Finì di agganciargli le fibbie e stringergli le cinture, elargendogli in pegno uno scappellotto dietro la nuca, seguito da un poderoso calcione sul sedere.

“Come un uccello che spinge la sua prole giù dal ramo per insegnargli a volare.” Pensò divertita, mentre si univa in volo con il resto delle squadre.


In città i civili continuavano a darsi alla fuga senza sapere che cosa fare.

Gli Wonderbolts si prodigavano di soccorrere quanti più feriti potevano, dando priorità ai puledrini di terra e alle loro madri, seguiti dalle famiglie di unicorni, sollevandoli in aria e conducendoli al castello o, quando non era possibile, lontano dalle zone colpite.

Ovunque nelle strade si cercava di diffondere la voce del nuovo punto di racconta, gridandolo a squarciagola o con qualunque mezzo avessero a disposizione, ma in cuor loro si sapeva che non tutti avrebbero appreso la notizia. Qualcuno avrebbe seguito la ragione e avrebbe confluito nella direzione intrapresa dagli altri, ma per quanto riguardava i dispersi nascosti tra le macerie, che non potevano muoversi o ascoltare gli appelli che venivano diramati , la loro sorte era affidata negli zoccoli della provvidenza.

Il Kaiju si accanì contro una delle torri più alte di Canterlot, un grande ed elegante complesso residenziale con un motivo a spirale giallo e bianco sulla guglia che culminava con un pinnacolo a forma di stella a otto punte.

Venne strappato a metà dal ciclope e fatto scaraventare a terra, spazzando con sé un intero isolato.

Le due squadre di grifoni avevano appena raggiunto i paraggi del quartiere quando tutto successe, e videro con i loro stessi occhi le famiglie del circondario finir schiacchiate dall’edificio in caduta.

Una goccia di sudore slittò tra le livree di Gilda seguendo il binario della cicatrice che le rigava il volto, e per poco non evaporò a causa del bollore che le pervase il corpo.

L’odio s’impadronì di lei per un attimo, prima di riacquistare il controllo.

Mosse il collo alla ricerca del suo amico e Maestro, che le rivolse un cenno d’inconfondibile intesa.

«Bene, pivelli. Caricate le vostre armi e preparatevi a colpire, attaccheremo per primi! Voglio una SkyArrow perfetta e sincronizzata! Squadra due: andategli intorno e cercate di conquistarvi la sua attenzione!»

Sì udì un «Ricevuto!», levatosi dal coro di grifoni in uniforme.

«Raccomando a tutti la massima attenzione: non conosciamo gli schemi comportamentali del nemico. Mantenete l’occhio vigile e state pronti a reagire a ogni eventuale contrattacco!» Aggiunse in seguito Scratch.

I cadetti annuirono e tutti i membri del suo squadrone scattarono in avanti puntando all’attenzione del mostro.

Feather Scratch guidò la manovra, sbraitando a ciascuno dei sottoposti la direzione da intraprendere per circondare il Kaiju in una sorta di vortice contenitivo, come un nugolo di moscerini tra i giunchi di una palude.

Il ciclope si accorse subito dei nuovi arrivi e tentò di scacciarli con movimenti lenti e pesanti: una scrollata di spalle, un braccio sollevato che poteva tranquillamente essere scansato con una piroetta acrobatica. Nulla che una squadra di grifoni addestrati non potesse sostenere.

Il Kaiju però non si fermava. Completò un altro passo, impassibile ai loro tentativi di distrazione, poi ne fece un altro, un altro e un altro ancora.

La sua marcia non si arrestava, e con essa il bilancio delle ferite sulla città.

Feather Scratch, in un tentativo avventato, volò davanti alla faccia ovale del ciclope, puntandogli all’occhio nello stesso modo in cui farebbe una zanzara particolarmente curiosa.

La manovra produsse finalmente una reazione e il mostro alitò una ventata di marciume sul naso del Sergente Maggiore.

Scratch si sentì la gola pizzicare e gli occhi inondarsi di lacrime, e quasi non vide la manata dall’alto che stava indirizzandosi contro di lui.

La eluse per un soffio, rendendosi conto che con un solo istante di esitazione in più sarebbe finito all’altromondo.

Poco più in là, alla testa del secondo squadrone, Gilda cominciò a guidare i suoi cadetti sul fronte del mostro.

La “punta di freccia”, composta da una formazione di dieci aviatori, leader compresa, volò sul fianco sinistro del Kaiju mantenendosi a una debita distanza di sicurezza.

Si allontanarono di circa duecento metri, quanto bastava per accumulare un sufficiente quantitativo di tempo per preparare l’ingaggio.

A quel punto, Gilda fece virare lo SkyArrow in modo che lo squadrone si ponesse dinanzi al prospetto del titano, in linea d’aria con il bersaglio.

Scratch dette ordine ai suoi di ritirarsi, liberando così il loro campo visivo.

Gilda impugnò saldamente tra le dita la leva di pressione della lancia-dardi, caricando il colpo che avrebbe presto indirizzato al petto dell’avversario.

«Preparatevi, fuoco al mio tre!» Urlò, concentrata ora come non mai nel compimento della manovra.

Il plotone mise a sua volta in carica l’attrezzatura di ciascuno e si preparò al segnale della leader.

«Uno… » pronunciò Gilda, e lì calcolò a mente quanto doveva attendere prima di procedere con il…

«… due… », quindi fece confluire l’energia sulla punta delle dita, mentre si apprestava a chiudere con…

«… TRE… »

Avevano raggiunto la distanza ideale per scatenare l’attacco.

Potevano sfruttare la spinta cinetica della loro velocità, sommata alla potenza delle lancia-dardi, in più, avevano sufficiente spazio per retrocedere in vista della successiva manovra. Era giunto il momento di fare…

«…FUOCO, ORA!!»

La molla di rilascio interno proiettò il giavellotto lungo il teniere del dispositivo innestato.

Subito dopo, Gilda virò verso il basso, dando così spazio agli altri membri della formazione di completare l’azione.

Una ad una, le quattro file della SkyArrow spararono i propri dardi con uno stacco di un secondo l’una rispetto all’altra, tuffandosi poi in picchiata per riassemblarsi col plotone di Gilda, in attesa di constatare gli effetti della manovra.

I dardi si conficcarono nello sterno del Kaiju, nel punto dove l’armatura protettiva di pelle sembrava più spessa, componendo una sorta di ponte sui suoi muscoli pettorali.

Il ciclope incassò i colpi emettendo un lamento sommesso.

Si fermò sul posto e curvò la testa per analizzare la zona colpita. Piccole gocce di liquido nero come il catrame tracimarono dai contorni delle ferite, ungendo anche parte del legno delle aste.

Ne strappò alcune con le dita e indirizzò il suo unico sguardo sui grifoni che gli roteavano intorno.

Li fissò per alcuni secondi, digrignando i denti che sfregarono tra loro in un acuto cigolio, prima di rispedirle agli arcieri che le avevano scoccate.

Gilda e Scratch, e con essi le giovani reclute, dovettero schivare le loro stesse munizioni, che attraversarono la volta del cielo ad altissima velocità (più di quanto potessero mai raggiungere con le loro attrezzature), sparendo nell’orizzonte azzurro.

«Wo-ho!» Esclamò Scratch, dopo essersi riassestato in volo. «Forse lo abbiamo fatto innervosire, ragazza!»

La Sergente Grizelda guardò il Kaiju spuntarsi i dardi rimanenti e posare di fronte a loro, con le braccia allargate lungo i fianchi e i muscoli dei bicipiti tesi sotto lo strato cutaneo.

«Facciamolo incazzare allora! Ruotiamogli intorno e cerchiamo di colpire ogni punto di carne scoperta che riusciamo a trovare!»

«Suggerisco di concentrare il fuoco sul collo e sull’occhio allora! Poco fa ho avuto l’impressione che siano gli unici punti che è davvero interessato a difendere!»

«Faremo così allora! Occhio a dove sparate e cercate di mantenere le distanze dai suoi attacchi, ma soprattutto non azzardatevi a sparare a me o al Sergente Scratch!»

Volarono così al secondo round contro il ciclope, che tentò di sbarazzarsi subito di loro con una frustata del braccio.

I grifoni lo evitarono disperdendosi nell’aria, facendo sì che l’arto finisse la sua corsa contro un edificio inerme.

Scratch, alla guida di un piccolo contingente sfruttò l’attimo per coordinare una rapida manovra al bulbo oculare del mostro, ma i dardi che vennero scoccati finirono invece per infossarsi sullo spesso cranio ovale del mostro.

Il Kaiju tentò invano di respingerli con una gomitata e si ritrovò con un giavellotto conficcato tra un molare e l’incisivo inferiore della bocca.

Gilda imprecò maledicendosi per la sua imprecisione, mentre metteva in carica il prossimo colpo da lanciare. Non sopportava l’idea che un mostro tanto imponente fosse così difficile colpire, e per poco non fece la fine che toccò a un’altra coppia di grifoni, i quali non furono svelti quanto lei ad evitare il successivo schiaffo del gigante.

I due furono scaraventati via dal palmo del mostro, roteando fino al suolo dove li attese una morte per fratture multiple al cranio e alla colonna vertebrale.

Gli aviatori si allontanarono di un poco e si disposero tutt’intorno, cominciando a tempestare il Kaiju di una pioggia di dardi: tale manovra era detta SkyStorm.

Le frecce che giungevano al nemico s’impalavano sul suo corpo facendogli emettere ogni tanto non più di qualche brontolio pacato, in contrapposto al sangue che zampillava da ogni apertura, ma non dava permesso a nessuno di avvicinarsi al suo occhio.

Se avvertiva il presentimento che gli squadroni stavano tentando delle azioni su quel determinato bersaglio, trovava sempre il modo per difendersi o impedire ai dardi di andare a segno, e così: o si voltava dall’altra parte, o si rannicchiava a terra, o trovava riparo celandosi dietro una torre.

A un certo punto, forse messo alle strette dalle manovre degli squadroni, oppure resosi conto di essere troppo lento rispetto ai voli imprevedibili dei grifoni, decise di punto in bianco di battere in ritirata, rifiutando di proseguire lo scontro.

Tornò a occuparsi di ciò che aveva interrotto all’inizio: distruggere Canterlot. E per quanto riguardava le punte che gli venivano infilate sul dorso durante il minuto seguente, vi reagì alla maniera della più assoluta indifferenza: come se la sua pelle in quei punti fosse stata resa insensibile da vari strati di cute supplementare.

Un temerario cadetto tentò di sorprendere il Kaiju volandogli sopra la testa, per poi tentare un attacco a bruciapelo parandosi di fronte alla sua strada. Prima però che la sua zampa raggiungesse la leva di rilascio della lancia-dardi, il ciclope lo schiaccio tra le sue mani alla stessa maniera di una mosca ronzante.

Gilda osservò la chiazza di rosso e le intelaiature di ferro scorrere sui palmi della creatura, e si sentì nuovamente divampare.

Avevano appena perso tre validi membri dei loro squadroni (che ora si andavamo a sommare alle altre vittime della giornata), mentre le ferite del mostro sarebbero guarite senza lasciare di sé neanche una cicatrice. Al più, gli sarebbero germogliati dei brufoli infetti, pronti a esplodere alla minima sollecitazione, ma niente di peggio. In compenso non c’era ancora traccia delle Custodi degli Elementi, che se non si fossero sbrigate avrebbero dovuto irradiare la loro magia da sopra le carcasse della città.

Per giunta, ora il Kaiju se ne stava andando nella più assoluta indeferenza, come se non gli importasse più niente dei suoi avversari, se non considerarli alla stregua insetti da ignorare.

Questo momento non fu soltanto una sconfitta per Gilda Grizelda, ma un’umiliazione inamissibile, che era andata a scuotere lo spirito stesso del grifone lambendo le sue tempra di guerriero dei cieli.

Avvertì un tintinnio metallico sulla spallina della sua corazza e scorse la zampa di Feather Scratch che le porgeva un dardo per la sua balestra.

Di principio non capì, ma si rese subito conto che sia la fondina, che il teniere della balestra erano vuoti.

Accettò il suo dono inserendo subito il colpo in canna e lesse negli occhi del suo Maestro lo stesso sentore di disagio che stava covando lei nel nido del suo orgoglio.

Allora la loro amicizia parlò per entrambi e stabilirono che non era così che si sarebbe conclusa.

Prima della sua dipartita il Kaiju avrebbe capito che i grifoni non erano tipi cui si potevano volgere le spalle.

Si ricompattarono in un unico grande assembramento e scavalcarono il nemico volando nella sua stessa direzione. Quindi si voltarono, e di nuovo si coordinarono per ripetere la SkyArrow. Ma sta volta non avrebbero atteso che uno squadrone completasse la manovra mentre gli altri se ne sarebbero rimasti in disparte a guardare: no, stavolta avrebbero agito insieme!

E così, ecco due punte di freccia prendere forma per dirigere la propria mira sul capo e suo ventre del mostro, con Gilda che guidava i suoi dal basso, nella malaugurata speranza che lo stomaco della creatura fosse più suscettibile ai colpi del dorso, e Scratch intenzionato a chiudere i conti col piccolo occhietto giallo che ogni volta lo fissava con accento di sfida, come a volerlo sfottere del suo ennesimo fallimentare tentativo.

Il Kaiju li vide e si fermò, esattamente come prima, e sembrava pronto a ricominciare da capo la battaglia, come uno stupido bestione che dal piccolo del suo intelletto si era dimenticato degli avvenimenti di qualche minuto precedente.

Tanto di cresta per i grifoni, se era davvero così.

Ogni secondo conquistato era una vita in più che veniva restituita alla luce del sole, una famiglia che trovava il proprio rifugio nella sicurezza del castello, un ferito che veniva medicato e sottratto al gelido abbraccio della morte.

Piccole monetine raccolte da un cucciolo, che accumulate nel tempo gli avrebbero donato un giocattolo.

Con i dardi in carica, le cui punte acuminate abbagliavano nei raggi del sole pomeridiano, i leader delle due formazioni stavano per cominciare il conto alla rovescia per dare al Kaiju un altro assaggio della vera grinta dell’Aviazione!

Pugni stretti sulle leve e occhi fissi sul proprio obbiettivo!

Ma il mostro... beh, il mostro aveva un’altra sorpresa in serbo per loro.

Gilda e Scratch si accorsero troppo tardi del ventre che cominciava a gonfiarsi, riempito con l’aria del loro mondo, che ora si sarebbe tramutata in una minaccia letale.

Quando il Sergente Maggiore cominciò a diramare l’ordine di ritirarsi, il ciclope aveva già ampliato la circonferenza del suo stomaco, e ora sembrava pronto a detonare in un’esplosione che avrebbe portato con sé tutta la montagna.

Il Kaiju chiuse la bocca solo per un momento, contraendo i muscoli della gola, e centrò la mira su quegli ipocriti moscerini che ora se la stavano defilando terrorizzati da ciò che stava per avvenire.

Aprì le fauci liberando un urlo che aveva la forza di tutta la magia di Equestria, investendo i grifoni che anche da quella distanza dovettero litigare con il bisogno di restare in quota e al contempo tapparsi le orecchie per non perdere definitivamente l’udito.

Gilda sentì un acuto fischio riempirle la calotta cranica, destabilizzando anche i suoi sensi dell’equilibrio e della vista.

Spalancò gli occhi e dalla sua prospettiva sfocata riuscì solo a scorgere una mastodontica massa di muscoli grigi correrle contro a una velocità inattesa.

Il Kaiju, rivelatosi ora possessore di un’agilità sorprendente, sferzò una singola manata sul primo gruppo di aviatori che trovò sotto tiro. Ma non fu, come in precedenza, il lento oscillare di una palla demolitrice contro le difese di un grattacielo pronto a resisterle, bensì una frustata inferta con un potere capace di annullare le stesse leggi della gravità sottostante!

Gilda, che si trovava nel mezzo della traiettoria, fu abbastanza rapida da curvare trasversalmente verso l’alto per evitare di striscio il palmo di mano, che si rovesciò, invece, su Feather Scratch e almeno altri cinque tra reclute maschi e femmine.

Il Sergente Maggiore era ancora troppo intontito quando la palla da cannone si abbatté su di lui, troppo rallentato da una vecchiaia incipiente che avanzava inesorabile malgrado il suo fisico mai fuori forma.

Lui, e con sé l’intero gruppo di aviatori con i quali stava per condividere quel triste destino, vennero schiacciati contro le pareti d’avorio dell’elegante palazzo, che in passato doveva aver ospitato molti cenoni d’alta classe. Il palmo della gigantesca mano attraversò i muri e finì per affondare all’interno delle costruzione, sollevando fumi di macerie tra gli sguardi imbambolati del resto dei superstiti.

Fu un intervallo breve, però.

Il ciclope stappò la mano dal buco nella parete, per tornare a caricare di pugni ogni sprovveduto che ancora osava volteggiargli intorno.

Spazzò via altri cadetti con l’avambraccio dell’arto sinistro (Gilda non seppe dire se fossero tre o quattro) e diede ancora una volta prova di un’agilità fuori dall’ordinario quando altri due tentarono di cercare rifugio nell’immensità del firmamento celeste.

Saltò in alto di almeno dieci metri, dandosi spinta con i piedi che scavarono altri crateri lungo le strade, chiudendo le sue fauci sui due sciagurati, che vennero deglutiti prima che il Kaiju tornasse al suolo.

Qualcun altro fu colpito da una spallata piombatagli contro involontariamente, troppo preso dal panico per rendersi conto che gli sarebbe bastata una semplice curvata per salvarsi la vita.

Al termine di quel mezzo minuto di follia pura, fu impossibile per la Sergente stabilire quanti erano scampati alla furia devastante della bestia, e quante invece erano le vittime.

Era frastornata dall’urlo e incredula a ciò che aveva appena visto, ma soprattutto, non voleva accettare che Feather Scratch fosse morto.

Quel vecchio grifone era un osso troppo duro da masticare, anche nonostante gli acciacchi dell’età.

Quattro cadetti le passarono davanti volando in formazione scoordinata e lei si fermò a osservarli mentre se la battevano in fuga, senza degnarla neanche di uno sguardo.

«Dove credete di andare voi?!?» Berciò lei con i pugni tesi. «TORNATE SUBITO QUI, VIGLIACCHI!!»

Ma i grifoni non tornarono mai più, e Gilda rimase da sola a fare i conti con il Kaiju.

Il ciclope si accorse di lei, e dal grugnito che emise, capì subito che aveva tutte le intenzioni di eliminarla.

Gilda si allontanò dal colpo che le fu diretto e iniziò a danzargli intorno con l’unico scopo di confondergli le idee. Voleva che il Kaiju la perdesse di vista, in modo da darle il tempo di accertarsi dello stato di Scratch.

La fortuna cominciò a girare dalla sua quando il titano si girò dall’altra parte, per scrutare ciò che vi aveva davanti.

Forse lo aveva eluso? Oppure aveva semplicemente desistito dal darle la caccia?

Fatto sta che Gilda decise di approfittarne.

Entrò nella caverna che era stata scavata dal pugno titanico, un enorme foro sul palazzo dall’ampiezza impressionante.

La maggior parte delle macerie erano accumulate all’interno, nei contorni di quello che fu il palmo del Kaiju.

Fu in mezzo a quello sfacelo, tra eleganti arredamenti ora distrutti e carcasse di metallo e legno contorti che la soldatessa trovò i loro corpi.

Alcuni erano irriconoscibili, compressi nelle loro uniformi e fusi con le lamiere delle loro attrezzature.

Altri erano stati impalati dai loro stessi dardi, in una macabra immagine che non si sarebbe più levata dalla sua testa per il resto dell’esistenza.

Ossa esplose, insieme al loro sangue, bagnavano di rosso la sala, emanando un misto di odori rivoltanti.

Gilda si avvicinò, senza far caso al sangue che pestava.

Studiò le facce di ognuno (quelle che ancora erano riconoscibili) in cerca del Sergente Scratch.

Si abituò in fretta alla vista dello scenario e a tutti quei corpi assassinati nelle rovine, ma la sensazione strana che avvertiva – quella specie di timore del peggio, mischiata alla frustrazione del non potersi dare una risposta immediata – le opprimeva il petto togliendole pezzo dopo pezzo la voglia di continuare la sua strenua ricerca.

Un blocco di parete cadde alle sue spalle facendola trasalire.

Fuori i passi del Kaiju erano ancora vicini e incombenti.

La grifona tornò a scandagliare le macerie quando si accorse di un pezzo d’armatura blu esposto da sotto un cumulo di travi divelte, che le fece risalire il cuore alla base della gola.

Scostò con la forza dell’emozione gli ostacoli che si frapponevano e finalmente riconobbe le iridi d’argento che la penetrarono nello spirito, con deboli movimenti involontari dei muscoli oculari.

Scratch era vivo, contro ogni previsione ma fedele alle speranze della sua ex-cadetta.

Per la prima volta Gilda desiderò con tutta se stessa di poterlo abbracciare, e lo avrebbe quasi sicuramente fatto, se solo non fossero stati ancora in servizio.

«Ehi Vecchio… » lo salutò, sentendosi inumidire gli occhi dalla gioia.

«Q…qual è… s-stato missione?» Domandò lui con voce roca, che a malapena sembrò fuoriuscire dal becco.

Gilda si domandò se fosse consapevole di quanto tempo era trascorso.

«Non pensarci ora. Ce la fai a muoverti?»

«N-non… zamp-pe… più… »

«Cosa?»

«Non s-sento più le… zampe… più niente.» Tentò di completare con una boccata di respiro, ma s’interruppe prima che i bronchi avessero tempo di gonfiarsi a sufficienza. Ne scaturì un’eruzione di tosse strozzata, finita la quale il grifone tentò di compensare con brevi e più frequenti sospiri annaspati.

Gilda trovò la forza di muovere lo sguardo dal suo viso al resto del corpo: l’armatura lo aveva protetto da parte della potenza del Kaiju, ma la compressione del metallo stava premendo sul torace interferendo con le sue funzioni biologiche; parte della pettorina era piegata in dentro e gli aveva perforato lo sterno producendo chissà quali danni alla cassa toracica e ai polmoni. Gilda non seppe dirselo, ma il sangue che vi guizzava fuori parlava per lui.

Più in basso, la zampa destra era ridotta in frantumi, spappolata da chissà quale forza, e la sinistra non se la passava meglio.

Le sue ali poi, dovunque fossero – se ricoperte dai detriti o completamente estirpate dalla base dello scheletro – di sicuro non erano più in grado di sostenerlo in volo.

Scratch aveva cercato di comunicarle che era insensibile dal collo in giù, e se questo era vero, significava che anche la sua schiena era ridotta in pezzi.

Questa era la notizia peggiore che potesse ricevere, persino peggiore della sua morte annunciata, perché stava significando che senza i dovuti accorgimenti non poteva spostarlo per nessuna ragione al mondo.

Erano condannati a rimanere lì, inutili e impotenti, mentre il Kaiju riprendeva la sua opera di distruzione.

Non doveva andare così.

C’era qualcosa di sbagliato nelle manovre che aveva eseguito e negli esiti che il loro scontro aveva portato. Non avrebbero mai dovuto combattere all’interno della città.

«…a-ttene… » Scratch emise un verso che suonava più un gemito di dolore.

«Come dici?» Gilda portò il suo orecchio vicino al becco del Maestro, sperando così di risparmiargli la sofferenza di alzare la voce.

«Vattene… su-ito!» Sentì sussurrargli.

Lei scosse la testa con energia.  «Scordatelo! Non ti lasciò morire qui!»

«…allo… i… ongiu-ro!»

Non sentì le sue suppliche, perché tutta la sua attenzione si spostò ai pesanti boati che captava al di fuori del palazzo: il Kaiju era tornato.

«Vat-ene… ora!»

La grifona vide la grande mano del Kaiju stagliarsi dall’apertura, e si domandò cosa avrebbe potuto fare se avesse deciso d’infilarla lì dentro.

Guardò fugace la balestra con il dardo in carica, e si mise in posa d’attacco con una zampa sollevata all’altezza della leva. Forse sarebbero morti entrambi in quel frangente di tempo, ma lo avrebbero fatto combattendo. Fino alla fine. Come veri grifoni!

Il Kaiju sembrò sul punto di chinarsi per scrutare con il proprio occhio l’interno dell’edificio, ma un’ombra gli passò accanto, riuscendo non si sa come ad attirare la sua attenzione.

Gilda fu incitata dalla curiosità a sporgersi per scoprirlo, ma la verità è che quell’avvenimento imprevisto aveva scatenato dentro di lei una paura anche maggiore della prospettiva della morte.

Era preparata alla dipartita, e per un momento s’illuse di avere il controllo sulla scelta di come andarsene, ma quello che stava avvenendo in quel momento era qualcosa d’ignoto, un mistero che avrebbe potuto significare sia la salvezza, che un fato ancora peggiore per entrambi, e lei non seppe come comportarsi.

Sentì il Kaiju allontanarsi.

Non di molto.

Se avesse voluto, presto in poche falcate sarebbe stato di nuovo su di loro.

Gilda vide invece fare breccia nell’apertura una faccia a lei familiare, che in precedenza si era confusa tra i volti degli squadroni facendo perdere la propria identità: Rogue Fulvus.

Il cadetto, dopo aver fatto allontanare il ciclope con il colpo del suo ultimo dardo, si era manifestato dinanzi alla sua leader facendole gesto di uscire.

«Signora, venga con me la prego! Dobbiamo ritirarci subito!»

«Negativo, il Sergente Maggiore è ancora vivo, non possiamo abbandonarlo qui!»

«Signora, la scongiuro! Non abbiamo più munizioni, sono morti quasi tutti! E il Kaiju tornerà da un momento all’altro!»

Feather Scratch sollevò il collo fin dove le forze glielo consentivano, imprimendole l’ordine che mai nella vita si sarebbe permessa di rifiutare. «Vai… c-on lui! Obbedisci

La sua voce sibilante le provocò un brivido attraverso il piumaggio, ma fece anche di più. Quella parola, quel “obbedisci”, che riuscì a formulare con assoluta chiarezza, malgrado la vita lo stesse rapidamente lasciando, scatenò in lei una piena di ricordi. La scaraventò in un viaggio nel tempo, in balia delle correnti del passato, ricordandole il giorno della sfida. E non solo.

Gilda ripercorse la sua lezione e l’impegno con il quale aveva dimostrato di averne fatto una parte di sé. Ricordò gli onori della promozione e la soddisfazione che scrutava ogni volta nei suoi occhi d’argento.

Ricordava le bevute serali, e quando erano rimasti i soli in stato cosciente a fare commenti sprezzanti sui loro colleghi che giacevano intorno a loro svenuti per il troppo alcol.

Ricordi su ricordi, incanalati in una sola parola.

Scratch le aveva salvato la vita quel giorno, impartendole un insegnamento che le permise finalmente di trovare il proprio posto a Equestria, e ora lo stava rifacendo, conscio che quella parola non avrebbe significato per lei solo un imperativo marziale, ma anche qualcos’altro. Voleva che lei si salvasse, e sapeva che così l’avrebbe salvata.

“Obbedisci, soldato! E’ un ordine!”

Gilda si fermò su di lui, con gli occhi di una bambina che non voleva abbandonare un amico a lei caro.

Non voleva che morisse da solo, tra cadaveri devastati all’interno di una struttura pericolante, che sarebbe implosa da un momento all’altro.

«No… io non posso Scratch… non posso lasciarti. Come li prendo a calci nel culo tutti quegli idioti pivelli, se non ci sarai tu ad aiutarmi?»

Lo guardò sorriderle per la prima volta da quando lo aveva ritrovato, e malgrado non avesse più la locomozione negli arti del corpo, per un momento le sembrò quasi che la sua zampa artigliata le sfiorasse teneramente la guancia.

Fu un momento strano, ma anche bello, un momento che avrebbe desiderato non finisse mai.

«Ce la… a-rai» Biascicò lui, lieto che fosse lei l’araldo delle sue ultime parole.

Gilda avrebbe desiderato fare di più, trovare il coraggio di baciarlo magari, concedergli il primo momento di smielato romanticismo del loro bizzarro rapporto, e al diavolo il lavoro.

Ma non fece in tempo.

Il Kaiju era tornato per riscuotere il suo debito, e ora sapeva esattamente dove doveva colpire.

Gilda seguì il giovane cadetto Fulvus nell’ultimo salto che li avrebbe portati lontano da quell’incubo.

“Dannazione!” si rimproverò da sé: “non ho neanche fatto in tempo a dirgli addio!”

Tenne chiusi gli occhi per tutto il tempo.

Lasciò che fosse la sua immaginazione a completare per lei l’immagine di ciò che dietro di lei stava accadendo.

S’immaginò la mano del Kaiju che si abbatteva dall’alto sul palazzo, facendo di esso il sepolcro di Feather Scratch.

Immaginò (sperò) che la sua morte sopraggiungesse rapida, magari con un sorriso candido contornato sul becco.

Si augurò che i suoi ultimi pensieri fossero indirizzati a lei, mentre navigava tra i ricordi più lieti del loro passato.

Voleva credere con tutta se stessa che stesse andando così…

«D-dobbiamo trovare un’altra soluzione, Signora!»

… voleva illudersi che fosse spirato senza soffrire…

«Signora… m-mi sente?»

… in cuor suo, sperava che fosse morto prima che il giudizio del ciclope fosse calato sulla sua anima…

«GILDA!»

Qualcuno l’aveva chiamata? Era una voce maschile? Era Scratch, che in barba ai suoi timori aveva trovato modo di scappare per raggiungerla in volo?

Aprì finalmente gli occhi, solo per rispecchiarsi nelle lacrime di un giovane grifone che stava accompagnando la sua fuga verso una tappa ancora più buia.

Sì, anche Fulvus sapeva piangere. Toltosi di dosso il costume del bravo soldatino tutto d’un pezzo, anche lui era soltanto un altro ragazzo, che alla fine aveva ceduto alla pressione dello scontro.

«Che cosa c’è?» Aveva chiesto lei, cercando di mantenere la compostezza di una leader dal cuore di pietra, ma anche a lei la recita le riuscì male.

Desiderava solo raggiungere la sommità di una guglia abbastanza sicura per poi planarci sopra e dare libero sfogo alla disperazione che in quel momento la stava consumando dall’interno.

«Quello che abbiamo fatto… è stato una perdita di tempo!» Piagnucolò il cadetto, mentre una catena di lacrime lo accompagnava dai bordi dei suoi occhi. «Non possiamo vincere contro un nemico del genere! Non abbiamo i mezzi per farlo! Ci… ci serve qualcosa di più grande

Prima che Gilda avesse anche solo il tempo di chiedergli che cosa avesse voluto dire, l’ironia del destino giocò la sua carta più meschina, e il cadetto Rogue Fulvus finì travolto alle spalle da un gigantesco ammasso di pietra apparso, non si sa da dove, lungo la traiettoria del volo.

Gilda volteggiò per un po’ senza controllo, resasi conto di essere viva solo per miracolo, assistita dalla sua solita fortuna sfacciata, che non si sa perché, aveva deciso di graziarla ancora una volta.

«Noo!!» Gridò mentre masso e Fulvus piombava verso il basso.

Si voltò a guardare il Kaiju e lo vide fissarla attraverso il suo unico occhio giallo, mentre i denti digrignavano emettendo ancora quei fastidiosi stridii di placca che sfregava.

«Maledetto bastardo, giuro sull’onore degli Antichi che te la farò pagare cara, lo giuro!!»

I lembi della pelle scura intorno alla bocca del ciclope s’incurvarono, andando a comporre quello che aveva, a tutti gli effetti, la forma di un sorriso malevolo.

Sì, il Kaiju le stava sorridendo, constatò, con un sorriso compiaciuto reso ancora più terrificante da quell’unico occhio senza palpebre la cui piccola iride stringeva il fuoco su di lei.

Solo in quel momento la grifona con la cicatrice sul volto ebbe la conferma che quello che aveva di fronte non era affatto uno stupido animale in cerca di prede, ma un essere intelligente e spietato, che gioiva delle vite che ad ogni minuto riusciva a trascinare con sé.

Il Kaiju latrò anche un verso, il quale aveva tutte le apparenze di una grassa risata indirizzata ai danni della sua avversaria.

Poi si girò dall’altra parte, come se avesse deciso che con lei non avesse più nulla da spartire, e senza tanti complimenti riprese a marciare con il suo giro di vite che si sommava ad ogni momento.

Cos’era appena successo?

A Gilda bastò dare retta alle pulsazioni che avvertiva dentro di sé per capire che con quel gesto il Kaiju le aveva definitivamente e irrimediabilmente mortificato l’onore: privata del suo esercito e senza più armi o alleati a cui affidarsi, era stata castrata delle sue facoltà di combattere e obbligata a guardarlo senza poter più fare nulla per arrestare la sua marcia di distruzione della capitale.

Le aveva tolto la leadership e quindi gli affetti, per poi dominarla prendendosi gioco di lei come si fa con un contendente umiliato, e quindi lasciata a sguazzare nella pozzanghera dei perdenti.

Aveva subito una sconfitta plateale. Uno sfregio che nelle antiche tribù sarebbe stato punibile con l’esilio. Era dunque questa la sorte che le toccava? Esiliarsi dalla sua gente per vivere il resto dei suoi giorni come una nomade senza meriti, mentre nelle città la guerra contro i Kaiju seguitava anno dopo anno?

Oppure c’era ancora qualcosa che poteva tentare? Un piano di riserva che le avrebbe permesso di ristabilire il proprio onore per tornare dignitosamente a casa?

Sì, c’era, e lei era stata una sciocca a permettersi di dubitarlo.

Il Kaiju forse aveva vinto una battaglia, ma alla fine della giornata il conto lo avrebbe pagato lui.

Gilda rimase sospesa nell’aria per un po’, concedendosi del tempo per commemorare gli amici che avevano combattuto ed erano morti al suo fianco: il Sergente Maggiore Feather Scratch, il grifone a cui doveva tutta esperienza, l’eroico Rogue Fulvus, che era rimasto con lei fino alla fine permettendole di scappare, e con loro tutti i valorosi che avevano dato la propria vita per la causa di Canterlot.

Quindi partì, alla ricerca dei superstiti.

Doveva trovarli, innanzitutto, e poi, con una lavata di capo che si sarebbe narrata nei libri di storia, li avrebbe convinti a tornare sul campo.

Può darsi che nel frattempo le Custodi degli Elementi sarebbero arrivate e avrebbero terminato la battaglia prima del suo ritorno, ma se anche fosse andato così, lei ci sarebbe stata.

Avrebbe strappato quell’odioso occhio giallo dalla fossa del suo cadavere e se lo sarebbe mangiato condito con un buon contorno di patate arrosto.

E le sarebbe piaciuto, ohh se le sarebbe piaciuto!
   
 
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