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Autore: La Kurapikina    29/08/2014    0 recensioni
Parigi, periferia. Un ragazzo di diciannove anni, Seth. Il sole, la luna. Una vita da rimettere insieme.
Dalla storia:
Lui non aveva bisogno delle indagini per sapere la verità. Lui sapeva già.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sunshine

 

Il respiro regolare di Giulia lo tranquillizzava, infondendogli la strana certezza di aver preso la scelta giusta.

Salvati.

Ti prego Seth, salvati.

Va’ via di qui.

Era stato difficile, forse troppo. Cosa lo tratteneva lì? Ora che aveva perso anche Chris, ora che non riusciva più nemmeno a pensare a lui senza sentirsi nauseato, ora che Sarah era morta, cosa lo tratteneva ancora lì?

Nulla, se non la paura. Terrore che, ovunque fosse andato, nulla sarebbe cambiato. Ma non poteva permettere che la paura avesse un tale potere su di lui, non più. Non dopo quello che era successo a Sarah.

Era stato difficile, sì, ma la sua valigia era ormai pronta. Aveva radunato tutte le sue cose, preso alcuni dei pochi risparmi che c’erano in casa e qualche oggetto che avrebbe potuto vendere per ricavarne qualcosa.

Giulia aveva ragione: era bravo a sopravvivere, lo aveva sempre fatto. Aveva dimenticato così tanti sogni… forse, forse era arrivato il momento di rispolverarne qualcuno. Forse era arrivato il momento di smettere di sopravvivere ed imparare a vivere.

Lo doveva a Sarah, a Giulia e a Jonathan. Lo doveva al bambino che era stato, al ragazzino forte insensibile al dolore che era smesso di esistere quando aveva rinunciato alla sua vita ed aveva iniziato a scavarsi da solo la peggiore delle fosse. Lo doveva al ragazzo che poteva diventare in futuro, quel ragazzo che fino a quel momento aveva rinchiuso in una gabbia troppo piccola persino per respirare. Lo doveva al sole, che non aveva mai smesso di ricordargli che non sarebbe servito a nulla perdersi nei sogni e dimenticarsi di vivere. E lo doveva un po’ anche a Chris, alla parte di lui che gli era stato accanto, credendo in parole che lui, Seth, sapeva essere false. Lo doveva a troppe persone per tirarsi indietro.

Era fermo, appoggiato allo stipite della porta di Giulia, da troppo ormai. Era rimasto immobile per un tempo indefinito ad ascoltare il respiro regolare e un po’ tremulo di sua madre. Lui non ci sarebbe stato quando quel respiro si sarebbe spezzato una volta per tutte e nessuno lo avrebbe avvisato. Giulia se ne sarebbe andata nell’ombra, proprio come tutti quelli che rimanevano in quella periferia.

Aveva pensato di portarla con sé per un solo, breve, attimo: era troppo tardi per lei, ormai. Aveva letto quella consapevolezza negli occhi tristi di sua madre solo qualche ora prima, mentre implorava suo figlio, il suo unico tesoro, di non commettere i suoi stessi errori. Portarla via con sé avrebbe affondato entrambi, e non era quello ciò che Giulia voleva.

Non ci sarebbe stato nulla da rimpiangere, nulla da ricordare con malinconia per lui quando avrebbe raggiunto, finalmente, la capitale.

Inspirò a fondo, muovendosi silenziosamente per non svegliare la donna e raggiungendo in pochi passi il comodino accanto al letto. Aveva preso una penna e un pezzo di carta, strappato ed ingiallito. Scrisse poche parole, solo quelle necessarie. Nulla di troppo.

Grazie, mamma.

Giulia se lo meritava, dopotutto. Forse era stato ingiusto con lei, forse l’aveva giudicato troppo duramente. Infondo, Giulia forse aveva cercato di essere una madre per lui, mentre lui faceva di tutto per non essere suo figlio. Ma di una sola cosa era sicuro: in quel momento, Giulia meritava di essere, finalmente, chiamata mamma.

Aveva preso anche una forbice.  Le mani gli tremavano leggermente mentre le sollevava e portava la lama all’attaccatura della treccia. Un solo colpo, deciso, i suoi capelli divennero improvvisamente leggeri. Raccolse la treccia da terra, il respiro improvvisamente affannoso, e la posò con le forbici e il biglietto sul comodino di sua madre.

Ancora qualche attimo. Ancora qualche attimo per fissare il viso contratto di Giulia prima di uscire per sempre da quella stanza. Qualche respiro dopo, proprio come aveva fatto con Chris, se ne andò senza più voltarsi indietro, chiudendo la porta della stanza di Giulia senza nemmeno un cigolio. Se ne stava andando in silenzio, proprio come era vissuto fino a quel momento. Non visto, non amato, presto dimenticato. Le droghe avrebbero annebbiato la mente di Giulia fino a fargli perdere ogni ricordo di lui, proprio per quello gli aveva lasciato la treccia: un piccolo segno, qualcosa che permettesse alla donna di avere un vago sentore della sua presenza anche in futuro. Quella treccia lo aveva sempre accompagnato in ogni errore, doveva liberarsene per dire definitivamente addio.

Non visto, non amato, presto dimenticato.

Dio, non avrebbe più permesso fosse così, non avrebbe più permesso a se stesso di distruggersi.

Raggiunse il bagno fermandosi davanti allo specchio con il respiro accelerato.

Oh, era così strano.

I suoi capelli scuri cadevano corti e liberi sugli zigomi e sulle guance, coprendogli appena la base del collo. Si sentiva come se stesse fissando uno sconosciuto dall’aria familiare, così simile a lui eppure così diverso. Era ancora pallido, aveva ancora gli occhi troppo chiari e i lineamenti troppo delicati, femminei.

Ma era tutto così diverso, ora.

C’era qualcosa, in quel riflesso, che lo confondeva: era come se quel ragazzo, incredibilmente simile e contemporaneamente terribilmente diverso da lui, fosse lì da sempre, chiuso in quello specchio, ad aspettarlo.

Un destino che lo stava chiamando, un futuro che pregava affinché lui si accorgesse della sua presenza e lo raggiungesse.

Oh, era tutto così strano.

Li poteva sentire, tutti, uno per uno, i brividi che gli scivolavano sulla pelle. Non riusciva ad allontanare lo sguardo da quel viso pallido ed affilato che sembrava quasi stesse per sorridere.

Quello sarebbe potuto essere lui.

Quello era lui.

Sollevò lentamente una mano passandola con delicatezza fra i capelli scuri, tirando piano qualche ciocca corta e liscia.

Rimase ancora qualche attimo a guardare quel se stesso straniero, a tirare dei capelli che le sue dita non riconoscevano, a respirare un aria che gli bruciava sempre meno i polmoni. 

Doveva andarsene.

Andarsene per non tornare mai più.

Non era più lui ormai, non c’era nulla del vecchio sé in quel riflesso.

Avrebbe imparato, lo avrebbe fatto davvero, a dimenticare il suo passato, ad uscire dalla spirale di errori in cui lo aveva trascinato la luna.

Prese un paio di respiri profondi prima di voltare le spalle anche allo specchio e chiudersi anche quella porta alle spalle.

Basta.

Perché aveva aspettato tutto quel tempo?

Quello non era lui.

Il ragazzo che aveva conosciuto Chris, che gli aveva permesso di fare di lui tutto ciò che voleva, quello non era lui.

Basta.

Era ora di ricominciare a respirare.

Afferrò la sua valigia con violenza prima di dirigersi quasi correndo alla porta e, senza più esitare, la spalancò. Un istante, un passo, ed era già richiusa.

A quel punto, smise di pensare. Lasciò che il proprio corpo prendesse le decisioni, si lasciò guidare, correndo come mai aveva fatto prima di allora, verso la stazione.

Era così facile fuggire?

Nessuna esitazione, nessun dubbio, nessuno che cercasse di trattenerlo.

Chi, poi? Non aveva più nessuno lì che pensasse a lui.

Chissà se Chris sarebbe sopravvissuto. Chissà se Jonathan Smith si sarebbe ricordato di lui, qualche volta.

No. Non importava più.

Nessuno in quella periferia gli aveva mai prestato attenzione, ma non importava più ormai.

Nemmeno quando sentì il tipico rumore dei treni che correvano sulle rotaie rallentò.

Così vicino. Era così dannatamente vicino.

Si sentiva… libero? Era quella la libertà? L’aria che gli scivolava fredda sulla pelle, i capelli stranamente corti che gli solleticavano il collo, i polmoni che si stringevano alla ricerca d’aria, le gambe che dolevano per il troppo correre, la valigia che quasi strisciava a terra, era veramente quella la libertà?

Oh, sì che lo era.

Sentiva i fischi dei treni sempre più vicini, poteva quasi respirare l’odore della capitale.

Così vicino.

Poi, improvvisamente, il cielo comparve nella sua visuale sostituendo la facciata della stazione e il suo corpo cominciò inesorabilmente a sbilanciarsi all’indietro, pronto all’inevitabile scontro con l’asfalto.

Scontro che però non avvenne. Lasciò cadere la valigia per aggrapparsi a quel qualcosa di verde che era apparso davanti a lui, mentre rimaneva stranamente sospeso a meno di mezzo metro da terra.

Prima che riuscisse veramente a capire cosa stesse succedendo era di nuovo in piedi, immobile e confuso difronte ad un ragazzo dall’aria preoccupata e dispiaciuta.

“Perdonami,” disse il ragazzo, i capelli castani spettinati e gli occhi verdi che quasi brillavano per il riflesso del sole: “ti ho completamente travolto. Non ti avevo visto.”

Lui rimase attonito qualche altro secondo, fissandolo e sbattendo le ciglia per schiarirsi le idee, quindi si sentì avvampare non appena comprese che il qualcosa di verde che stava ancora

artigliando con forza non era altro che la stoffa soffice della maglia dello sconosciuto. Rilassò immediatamente la morsa della sua dita e cercò di ritrarsi, rimanendo però bloccato dalle mani che il ragazzo teneva ancora sulla sua schiena e con cui lo aveva sorretto.

“Non… non importa. Nemmeno io ti aveva visto,” mormorò lui, una strana sensazione ad invadergli il petto difronte al sorriso amichevole che gli stava rivolgendo l’altro: “e poi non sono caduto. Grazie a te.”

Il ragazzo castano gli sorrise ancora passandosi una mano fra i capelli e spettinandoli con un gesto automatico: “Dove te andavi così di corsa?” chiese quindi, chinandosi per raccogliergli la valigia e ricominciando a camminare senza nemmeno porgergliela.

Lui esitò un attimo, spostando il peso da un piede all’altro, poi lo seguì: “Devo prendere un treno per la città.”

Il ragazzo gli rivolse un sorriso storto e divertito: “Parte fra venti minuti, non c’è fretta.”

“Oh… non sapevo l’orario di partenza, in realtà.”

E, davvero, non si era mai sentito tanto stupido in vita sua: gli occhi verdi di quello sconosciuto gli mettevano soggezione e non poteva fare a meno di chiedersi cosa stesse pensando in quel momento.

“Capito,” mormorò quello con un sospiro, lo sguardo improvvisamente dolce, intenerito quasi: “Sei uno di quelli che fuggono.”

Lui sobbalzò, trattenendo istintivamente il fiato e bloccandosi. Quando l’altro si voltò, abbassò istintivamente lo sguardo.

“Scusami,” mormorò il castano avvicinandosi a lui e posandogli piano una mano sulla spalla, come se temesse di vederlo sgretolarsi da un momento all’altro: “Non volevo ferirti.”

Si vedeva davvero così tanto che stava fuggendo? Era veramente così evidente?

Scosse la testa continuando a fissare l’asfalto.

“Sai, io abito in città. Sono venuto qui a trovare un amico. Sto cercando un coinquilino con cui dividere le spese, comunque.”

A quel punto, lui sollevò la testa con un gesto improvviso, quasi brusco, e lo fissò cercando di trattenersi dallo spalancare gli occhi: “Cosa? Nemmeno sai come mi chiamo.”

Così ingenuo, quel ragazzo era così ingenuo.

Forse vivere in città non lo aveva mai messo difronte a tutti i pericoli che lui invece conosceva alla perfezione. Lui era parte di quei pericoli, erano stati la sua vita per tutti quegli anni.

Lui era sempre stato uno di quei pericoli.

Come poteva quello sconosciuto non pensare alle possibili spiacevoli conseguenze di tanta impulsività?

Proteggerlo, devi proteggerlo. Lui ti ha aiutato, è gentile con te. Il suo sguardo è limpido e così terribilmente ingenuo.

Devi proteggerlo da quei pericoli, devi proteggerlo dalla tua vecchia vita.

Il castano sbuffò piano per trattenere una risata e gli porse una mano: “Hai ragione. Quindi, io sono Kyle e vorrei tanto che tu, piccolo fuggiasco, accettassi la mia offerta. Non avresti un posto dove stare, altrimenti.”

Così ingenuo.

Così buono.

Devi proteggerlo.

Lui annuì piano afferrando la mano abbronzata dell’altro e stringendola con fin troppa delicatezza: “Seth.”

“Bene Seth, vuoi dirmi da cosa stai scappando?”

Lui scosse piano la testa senza allontanare lo sguardo del viso sorridente di Kyle: “No, non ancora.”

Il castano annuì senza smettere di sorridere: “Molte bene. Avremo tempo per questo. Andiamo ora, dobbiamo fare conoscenza durante il viaggio.”

Seth rimase fermo a guardare le spalle del ragazzo che si allontanavano lentamente, il loro oscillare delicato. Sollevò il viso verso il cielo azzurro e sereno e per la prima volta in vita sua sorrise al sole. Per la prima volta in vita sua fece la scelta giusta e seguì Kyle, dimenticando la luna e fidandosi, finalmente, della voce amorevole del sole.

 

 

 

 

  

 

  
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