Sunshine
Il
respiro regolare di Giulia lo tranquillizzava, infondendogli la strana
certezza
di aver preso la scelta giusta.
Salvati.
Ti
prego Seth, salvati.
Va’
via di qui.
Era
stato difficile, forse troppo. Cosa lo tratteneva lì? Ora
che aveva perso anche
Chris, ora che non riusciva più nemmeno a pensare a lui
senza sentirsi
nauseato, ora che Sarah era morta, cosa lo tratteneva ancora
lì?
Nulla,
se non la paura. Terrore che, ovunque fosse andato, nulla sarebbe
cambiato. Ma
non poteva permettere che la paura avesse un tale potere su di lui, non
più.
Non dopo quello che era successo a Sarah.
Era
stato difficile, sì, ma la sua valigia era ormai pronta.
Aveva radunato tutte
le sue cose, preso alcuni dei pochi risparmi che c’erano in
casa e qualche
oggetto che avrebbe potuto vendere per ricavarne qualcosa.
Giulia
aveva ragione: era bravo a sopravvivere, lo aveva sempre fatto. Aveva
dimenticato così tanti sogni… forse, forse era
arrivato il momento di
rispolverarne qualcuno. Forse era arrivato il momento di smettere di
sopravvivere ed imparare a vivere.
Lo
doveva a Sarah, a Giulia e a Jonathan. Lo doveva al bambino che era
stato, al
ragazzino forte insensibile al dolore che era smesso di esistere quando
aveva
rinunciato alla sua vita ed aveva iniziato a scavarsi da solo la
peggiore delle
fosse. Lo doveva al ragazzo che poteva diventare in futuro, quel
ragazzo che
fino a quel momento aveva rinchiuso in una gabbia troppo piccola
persino per
respirare. Lo doveva al sole, che non aveva mai smesso di ricordargli
che non
sarebbe servito a nulla perdersi nei sogni e dimenticarsi di vivere. E
lo
doveva un po’ anche a Chris, alla parte di lui che gli era
stato accanto,
credendo in parole che lui, Seth, sapeva essere false. Lo doveva a
troppe
persone per tirarsi indietro.
Era
fermo, appoggiato allo stipite della porta di Giulia, da troppo ormai.
Era
rimasto immobile per un tempo indefinito ad ascoltare il respiro
regolare e un
po’ tremulo di sua madre. Lui non ci sarebbe stato quando
quel respiro si
sarebbe spezzato una volta per tutte e nessuno lo avrebbe avvisato.
Giulia se
ne sarebbe andata nell’ombra, proprio come tutti quelli che
rimanevano in
quella periferia.
Aveva
pensato di portarla con sé per un solo, breve, attimo: era
troppo tardi per
lei, ormai. Aveva letto quella consapevolezza negli occhi tristi di sua
madre
solo qualche ora prima, mentre implorava suo figlio, il suo unico
tesoro, di
non commettere i suoi stessi errori. Portarla via con sé
avrebbe affondato
entrambi, e non era quello ciò che Giulia voleva.
Non
ci sarebbe stato nulla da rimpiangere, nulla da ricordare con
malinconia per
lui quando avrebbe raggiunto, finalmente, la capitale.
Inspirò
a fondo, muovendosi silenziosamente per non svegliare la donna e
raggiungendo
in pochi passi il comodino accanto al letto. Aveva preso una penna e un
pezzo
di carta, strappato ed ingiallito. Scrisse poche parole, solo quelle
necessarie. Nulla di troppo.
Grazie,
mamma.
Giulia
se lo meritava, dopotutto. Forse era stato ingiusto con lei, forse
l’aveva
giudicato troppo duramente. Infondo, Giulia forse aveva cercato di
essere una
madre per lui, mentre lui faceva di tutto per non essere suo figlio. Ma
di una
sola cosa era sicuro: in quel momento, Giulia meritava di essere,
finalmente,
chiamata mamma.
Aveva
preso anche una forbice. Le
mani gli
tremavano leggermente mentre le sollevava e portava la lama
all’attaccatura
della treccia. Un solo colpo, deciso, i suoi capelli divennero
improvvisamente
leggeri. Raccolse la treccia da terra, il respiro improvvisamente
affannoso, e
la posò con le forbici e il biglietto sul comodino di sua
madre.
Ancora
qualche attimo. Ancora qualche attimo per fissare il viso contratto di
Giulia prima
di uscire per sempre da quella stanza. Qualche respiro dopo, proprio
come aveva
fatto con Chris, se ne andò senza più voltarsi
indietro, chiudendo la porta
della stanza di Giulia senza nemmeno un cigolio. Se ne stava andando in
silenzio, proprio come era vissuto fino a quel momento. Non visto, non
amato,
presto dimenticato. Le droghe avrebbero annebbiato la mente di Giulia
fino a
fargli perdere ogni ricordo di lui, proprio per quello gli aveva
lasciato la
treccia: un piccolo segno, qualcosa che permettesse alla donna di avere
un vago
sentore della sua presenza anche in futuro. Quella treccia lo aveva
sempre
accompagnato in ogni errore, doveva liberarsene per dire
definitivamente addio.
Non
visto, non amato, presto dimenticato.
Dio,
non avrebbe più permesso fosse così, non avrebbe
più permesso a se stesso di
distruggersi.
Raggiunse
il bagno fermandosi davanti allo specchio con il respiro accelerato.
Oh,
era così strano.
I
suoi capelli scuri cadevano corti e liberi sugli zigomi e sulle guance,
coprendogli appena la base del collo. Si sentiva come se stesse
fissando uno
sconosciuto dall’aria familiare, così simile a lui
eppure così diverso. Era
ancora pallido, aveva ancora gli occhi troppo chiari e i lineamenti
troppo
delicati, femminei.
Ma
era tutto così diverso, ora.
C’era
qualcosa, in quel riflesso, che lo confondeva: era come se quel
ragazzo,
incredibilmente simile e contemporaneamente terribilmente diverso da
lui, fosse
lì da sempre, chiuso in quello specchio, ad aspettarlo.
Un
destino che lo stava chiamando, un futuro che pregava
affinché lui si
accorgesse della sua presenza e lo raggiungesse.
Oh,
era tutto così strano.
Li
poteva sentire, tutti, uno per uno, i brividi che gli scivolavano sulla
pelle.
Non riusciva ad allontanare lo sguardo da quel viso pallido ed affilato
che
sembrava quasi stesse per sorridere.
Quello
sarebbe potuto essere lui.
Quello
era lui.
Sollevò
lentamente una mano passandola con delicatezza fra i capelli scuri,
tirando
piano qualche ciocca corta e liscia.
Rimase
ancora qualche attimo a guardare quel se stesso straniero, a tirare dei
capelli
che le sue dita non riconoscevano, a respirare un aria che gli bruciava
sempre
meno i polmoni.
Doveva
andarsene.
Andarsene
per non tornare mai più.
Non
era più lui ormai, non c’era nulla del vecchio
sé in quel riflesso.
Avrebbe
imparato, lo avrebbe fatto davvero, a dimenticare il suo passato, ad
uscire
dalla spirale di errori in cui lo aveva trascinato la luna.
Prese
un paio di respiri profondi prima di voltare le spalle anche allo
specchio e
chiudersi anche quella porta alle spalle.
Basta.
Perché
aveva aspettato tutto quel tempo?
Quello
non era lui.
Il
ragazzo che aveva conosciuto Chris,
che gli aveva permesso di fare di lui tutto ciò che voleva,
quello non era lui.
Basta.
Era
ora di ricominciare a respirare.
Afferrò
la sua valigia con violenza prima di dirigersi quasi correndo alla
porta e,
senza più esitare, la spalancò. Un istante, un
passo, ed era già richiusa.
A
quel punto, smise di pensare. Lasciò che il proprio corpo
prendesse le
decisioni, si lasciò guidare, correndo come mai aveva fatto
prima di allora,
verso la stazione.
Era
così facile fuggire?
Nessuna
esitazione, nessun dubbio, nessuno che cercasse di trattenerlo.
Chi,
poi? Non aveva più nessuno lì che pensasse a lui.
Chissà
se Chris sarebbe sopravvissuto. Chissà se Jonathan Smith si
sarebbe ricordato
di lui, qualche volta.
No.
Non importava più.
Nessuno
in quella periferia gli aveva mai prestato attenzione, ma non importava
più
ormai.
Nemmeno
quando sentì il tipico rumore dei treni che correvano sulle
rotaie rallentò.
Così
vicino. Era così dannatamente
vicino.
Si
sentiva… libero? Era
quella la
libertà? L’aria che gli scivolava fredda sulla
pelle, i capelli stranamente
corti che gli solleticavano il collo, i polmoni che si stringevano alla
ricerca
d’aria, le gambe che dolevano per il troppo correre, la
valigia che quasi
strisciava a terra, era veramente quella la libertà?
Oh,
sì che lo era.
Sentiva
i fischi dei treni sempre più vicini, poteva quasi respirare
l’odore della capitale.
Così
vicino.
Poi,
improvvisamente, il cielo comparve nella sua visuale sostituendo la
facciata
della stazione e il suo corpo cominciò inesorabilmente a
sbilanciarsi
all’indietro, pronto all’inevitabile scontro con
l’asfalto.
Scontro
che però non avvenne. Lasciò cadere la valigia
per aggrapparsi a quel qualcosa
di verde che era apparso davanti a lui, mentre rimaneva stranamente
sospeso a
meno di mezzo metro da terra.
Prima
che riuscisse veramente a capire cosa stesse succedendo era di nuovo in
piedi, immobile
e confuso difronte ad un ragazzo dall’aria preoccupata e
dispiaciuta.
“Perdonami,”
disse il ragazzo, i capelli castani spettinati e gli occhi verdi che
quasi
brillavano per il riflesso del sole: “ti ho completamente
travolto. Non ti
avevo visto.”
Lui
rimase attonito qualche altro secondo, fissandolo e sbattendo le ciglia
per
schiarirsi le idee, quindi si sentì avvampare non appena
comprese che il
qualcosa di verde che stava ancora
artigliando
con forza non era altro che la stoffa soffice della maglia dello
sconosciuto. Rilassò
immediatamente la morsa della sua dita e cercò di ritrarsi,
rimanendo però
bloccato dalle mani che il ragazzo teneva ancora sulla sua schiena e
con cui lo
aveva sorretto.
“Non…
non importa. Nemmeno io ti aveva visto,” mormorò
lui, una strana sensazione ad
invadergli il petto difronte al sorriso amichevole che gli stava
rivolgendo
l’altro: “e poi non sono caduto. Grazie a
te.”
Il
ragazzo castano gli sorrise ancora passandosi una mano fra i capelli e
spettinandoli
con un gesto automatico: “Dove te andavi così di
corsa?” chiese quindi,
chinandosi per raccogliergli la valigia e ricominciando a camminare
senza
nemmeno porgergliela.
Lui
esitò un attimo, spostando il peso da un piede
all’altro, poi lo seguì: “Devo
prendere un treno per la città.”
Il
ragazzo gli rivolse un sorriso storto e divertito: “Parte fra
venti minuti, non
c’è fretta.”
“Oh…
non sapevo l’orario di partenza, in
realtà.”
E,
davvero, non si era mai sentito tanto stupido in vita sua: gli occhi
verdi di
quello sconosciuto gli mettevano soggezione e non poteva fare a meno di
chiedersi cosa stesse pensando in quel momento.
“Capito,”
mormorò quello con un sospiro, lo sguardo improvvisamente
dolce, intenerito quasi:
“Sei uno di quelli che fuggono.”
Lui
sobbalzò, trattenendo istintivamente il fiato e bloccandosi.
Quando l’altro si
voltò, abbassò istintivamente lo sguardo.
“Scusami,”
mormorò il castano avvicinandosi a lui e posandogli piano
una mano sulla
spalla, come se temesse di vederlo sgretolarsi da un momento
all’altro: “Non
volevo ferirti.”
Si
vedeva davvero così tanto che stava fuggendo? Era veramente
così evidente?
Scosse
la testa continuando a fissare l’asfalto.
“Sai,
io abito in città. Sono venuto qui a trovare un amico. Sto
cercando un
coinquilino con cui dividere le spese, comunque.”
A
quel punto, lui sollevò la testa con un gesto improvviso,
quasi brusco, e lo
fissò cercando di trattenersi dallo spalancare gli occhi:
“Cosa? Nemmeno sai
come mi chiamo.”
Così
ingenuo, quel ragazzo era così
ingenuo.
Forse
vivere in città non lo aveva mai messo difronte a tutti i
pericoli che lui
invece conosceva alla perfezione. Lui era parte di quei pericoli, erano
stati
la sua vita per tutti quegli anni.
Lui
era sempre stato uno di quei
pericoli.
Come
poteva quello sconosciuto non pensare alle possibili spiacevoli
conseguenze di
tanta impulsività?
Proteggerlo,
devi proteggerlo. Lui ti ha
aiutato, è gentile con te. Il suo sguardo è
limpido e così terribilmente
ingenuo.
Devi
proteggerlo da quei pericoli, devi
proteggerlo dalla tua vecchia vita.
Il
castano sbuffò piano per trattenere una risata e gli porse
una mano: “Hai
ragione. Quindi, io sono Kyle e vorrei tanto che tu, piccolo fuggiasco,
accettassi la mia offerta. Non avresti un posto dove stare,
altrimenti.”
Così
ingenuo.
Così
buono.
Devi
proteggerlo.
Lui
annuì piano afferrando la mano abbronzata
dell’altro e stringendola con fin
troppa delicatezza: “Seth.”
“Bene
Seth, vuoi dirmi da cosa stai scappando?”
Lui
scosse piano la testa senza allontanare lo sguardo del viso sorridente
di Kyle:
“No, non ancora.”
Il
castano annuì senza smettere di sorridere: “Molte
bene. Avremo tempo per
questo. Andiamo ora, dobbiamo fare conoscenza durante il
viaggio.”
Seth
rimase fermo a guardare le spalle del ragazzo che si allontanavano
lentamente,
il loro oscillare delicato. Sollevò il viso verso il cielo
azzurro e sereno e
per la prima volta in vita sua sorrise al sole. Per la prima volta in
vita sua
fece la scelta giusta e seguì Kyle, dimenticando la luna e
fidandosi,
finalmente, della voce amorevole del sole.