III •
Scene of a Weeping || Declaration of guilt {
• Silent tea ceremony
• }
« Rukia.»
Lei
sobbalzò ingoiando un sussulto, quasi fosse stata sorpresa a
compiere gesti
inconsulti. Si voltò meccanicamente, le braccia rigide lungo
i fianchi fasciati
dallo stretto e semplice kimono di taffettà violetta.
«
Ti ho spaventata?» domandò Byakuya, le braccia
incrociate e nascoste nelle
maniche dell’abito; i capelli sciolti – liberi dal
kenseikan – gli ricadevano
sulle spalle e sul volto, sfiorandogli il collo. Rukia lo
guardò per qualche
istante, gli occhi che si sgranavano in maniera impercettibile, poi le
guance
le si colorarono appena mentre scuoteva energicamente il capo:
«
No, Byakuya Niisama…a…» fece una pausa
«…vi prego di perdonarmi, avevo la testa
altrove…» si rannuvolò di colpo, le
sopracciglia che si corrugavano in una
maschera di desolazione.
Byakuya
dischiuse le labbra, tentando di interpretare la sua espressione.
Continuava a
non capire.
«
Vorrei che mi assistessi nella cerimonia del the, Rukia.» la
informò, senza
mezzi termini, cosa che le fece alzare lo sguardo immediatamente
« Ne hai
voglia?» avrebbe dovuto essere una richiesta cortese, ma le
parole che gli
scivolarono dalle labbra tuonarono perentorie e definitive come un
ordine.
Rukia
parve sorpresa ma annuì senza una sola esitazione:
«
Certo, Niisama…» i suoi grandi occhi blu
brillarono per istante « Sarà un onore
per me!»
Byakuya annuì:
«
Capisco.» le voltò le spalle, facendole un breve
cenno con una mano « Seguimi.»
I
passi affrettati di Rukia si sovrapposero immediatamente ai suoi,
mentre
avanzavano in direzione della Chashitsu – la stanza in cui
l’intera stirpe del
clan aveva sempre celebrato il rituale del the, sin
dall’antichità –. E nel
loro silenzioso incedere, Byakuya cercò Rukia numerose
volte, con la coda
dell’occhio. Lei era contrita, fissava i propri piedi che si
posizionavano
l’uno davanti all’altro senza distogliere mai lo
sguardo.
E’ colpa mia,
Rukia?
Cosa posso fare?
Nonostante
desiderasse ardentemente conversare con lei, non gli riuscì
di articolare
alcuna frase di senso compiuto. Anche se nella sua mente si
accavallavano
parole confuse – domande su di lei, su cosa stesse pensando
in quel preciso
istante – non fu in grado di dare loro un ordine, e si
costrinse al silenzio.
Non
trovava il modo di dimostrarle quanto profondamente anelasse a quel
contatto
con lei, a quel rapporto di familiarità che in ogni momento
– strenuamente –
cercava di offrirle, in tentativi impacciati che subito fallivano a
causa della
sua incapacità. Con quelle parole fredde che gli uscivano di
bocca come a
negare qualsiasi minima manifestazione d’affetto.
Cosa devo fare?
{•
***
•}
La
sala del thè era abbastanza piccola: contava la larghezza di
pochi tatami,
mentre la luce filtrava con difficoltà attraverso le
finestre schermate. In
fondo, nel basso tokonoma, l’ambiente spoglio era animato da
una graziosa
composizione di ikebana, sovrastata da un lungo dipinto di calligrafia
shodō
che pendeva sulla parete rientrata.
Byakuya
aveva sempre interpretato il passo con il quale metteva piede in quella
stanza,
chinando appena il capo per oltrepassare la bassa entrata, quasi come
una sorta
di transizione: l’attimo in cui si immergeva completamente
nel mondo che gli
era stato lasciato in eredità da Ginrei Kuchiki.
«
Il luogo in cui si svolge la cerimonia del thè deve
conciliare la riflessione e
deve permettere ai partecipanti di trovare la giusta via per la catarsi
interiore.» gli aveva sempre ricordato suo nonno, durante le
sue lunghe ed
estenuanti lezioni di chanoyuu – la
via del thè. Gli aveva insegnato a sedere sui talloni
mantenendo la giusta
postura, colpendolo fra le scapole con un frustino di canna ogni
qualvolta,
sfinito, suo nipote si era ritrovato ad incurvare le spalle; era sempre
stato
rigido riguardo al fatto che Byakuya dovesse imparare alla perfezione
la
disciplina dei più esperti maestri dello zen.
«
Tieni sempre la schiena eretta, Byakuya, qualsiasi cosa tu
faccia.» glielo
diceva mostrandogli compostamente quali gesti compiere per sollevarsi
in piedi,
tenendo le mani sulle ginocchia « Non curvarti mai. Non
mostrare segni di
debolezza.»
Dopo
che si furono seduti sul tatami, l’uno di fronte
all’altro, e nel momento in
cui, con gesti moderati e meticolosi, Byakuya lasciò cadere
la polvere di thè
verde nella ciotola di ceramica, su di loro cadde un silenzio assoluto.
Così
era la cerimonia del thè: senza che alcun rumore lo
disturbasse, Byakuya versò
l’acqua calda nella tazza, facendo in modo che
dall’hishaku di legno non colasse
una sola goccia. L’esperienza gli aveva insegnato a non
commettere errori.
Rukia
seguì i suoi movimenti senza distogliere gli occhi un
istante: quasi rapita, lo
guardò mentre mescolava lentamente la bevanda, poi la
accolse con gratitudine
fra le mani quando lui gliela offrì, esibendosi in due
cortesi e brevi inchini
prima di portare il bordo ondulato della tazza alle labbra.
Ma
fu quando lei poggiò la ciotola sul tavolo, che Byakuya se
ne accorse.
Lo
vide nella curva brusca che assunse la sua bocca e nella piega affranta
che
curvò le sue sopracciglia, in un moto che non aveva niente a
che fare con la
sua solita remissività, con quella sua inspiegabile tendenza
a sottovalutarsi.
Lo vide nel rapido fremito che ebbero le sue mani un attimo prima di
tornare
composte in grembo, nello sguardo schivo che gli rivolse per un solo
brevissimo
istante, prima di tornare a fissare, rossa in volto, la stuoia
intrecciata sul
pavimento.
Byakuya
si sentì pervaso da una strana, incalzante sensazione
d’urgenza. Per la prima
volta da che l’aveva conosciuta, la sua sorellina adottiva
sembrava
disperatamente domandargli aiuto.
«
Rukia.» nel rompere quel silenzio così
all’improvviso sentì un brivido gelido risalire
lungo la schiena; gli sembrò di aver appena violato una
regola millenaria.
Lei
sollevò gli occhi, atterrita:
«…cosa
c’è, Niisama?» lo chiese con un fil di
voce, incerta. Byakuya non si era mai
permesso di interrompere la cerimonia così bruscamente.
Il
giovane Kuchiki adagiò la tazza sul tavolo, senza fare alcun
rumore; quando si
rivolse ancora a Rukia, la sua voce aveva nuovamente assunto quel suo
caratteristico tono perentorio:
«
C’è qualcosa che vuoi dirmi?»
Il
sangue defluì velocemente dalle guance di Rukia;
guardò suo fratello per degli
istanti che parvero dilatarsi all’inverosimile, con la bocca
dischiusa come
nell’atto di dire qualcosa. Sul volto le si leggeva un
profondo smarrimento e,
da qualche parte nei suoi occhi grandi e spalancati, il panico. Una
paura intensa
che sembra attanagliarla dal profondo, impedendole quasi di riprendere
fiato.
«…n-no,
Niisama…» ebbe un’esitazione
«…non ho intenzione di farvi perdere
tempo…»
Con
quella risposta così impersonale, Byakuya vide quel barlume
di speranza, quello
spiraglio che sembrava essersi aperto nella spessa parete di
insicurezze che li
separava, svanire così com’era apparso. Per un
solo istante pensò addirittura
di esserselo immaginato.
«
Capisco.» bisbigliò, quasi rassegnato, posando lo
sguardo sulla mistura spumosa
immobile nella pregiata tazza del thè.
«
…Però, Niisama…» la voce
tremante di Rukia gli diede un sollievo inimmaginabile.
Spostò gli occhi su di lei: sembrava che tentasse in qualche
modo di
nascondersi, stringendosi energicamente nelle spalle.
«…sono
accadute delle cose…di cui mi sento in dovere di
informarvi…»
E
Byakuya annuì, ripetendo quelle tre parole con lo stesso
identico tono di tanti
anni prima:
«…Ti ascolto, Rukia.»
{•
***
•}
«
Niisama, io sono un’assassina.» quando lo disse, la
voce di Rukia non fu
percorsa dal minimo tremore « La mia lama si è
macchiata del sangue di un uomo
innocente e di un crimine atroce.» fece una pausa prima di
alzare gli occhi
verso di lui e annunciare, ferma « Niisama, ho ucciso Shiba
Kaien.»
Quel
nome rimase sospeso fra di loro, riecheggiando nella stanza vuota e
buia,
mentre la polvere danzava a mezz’aria nella luce fioca.
Il
cipiglio di Byakuya rimase immoto, quasi che le parole di Rukia non lo
avessero
raggiunto; la guardò freddamente, senza che il suo volto
lasciasse trapelare
qualsiasi emozione. Forse fu quella reazione a farle perdere il
coraggio – l’insofferenza
dipinta sul volto di suo fratello – ; tuttavia, anche se la
sua voce non
riusciva più a trovare la giusta determinazione, sembrava
decisa a non
rinunciare a quella confessione:
«
E’ stato un incidente, durante una battaglia contro un
Hollow. Pensavamo di
essere all’altezza delle circostanze, ma in breve la
situazione si è
terribilmente aggravata.» le dita ebbero un fremito, serrate
con forza sulle
ginocchia « Il nobile Kaien insisteva di voler combattere
senza che gli
prestassi il mio ausilio…il Capitano era con
noi…ma non abbiamo potuto fare
niente. Il Capitano parlava di onore, di orgoglio…ma
io…io non capivo.» Rukia chiuse
gli occhi, la voce che diventava un sibilo « Volevo aiutarlo,
volevo sfoderare
lo shikai e soccorrerlo. Non riuscivo a capire come il Capitano potesse
concepire di stare lì immobile a guardare...! Volevo fidarmi
del Capitano e di
Kaien-dono…ma mi sentivo così inutile!
» abbassò lo sguardo sulle proprie
piccole mani « Si è gettato sulla mia spada e io
l’ho trafitto. E’ morto fra le
mie braccia, mentre il suo sangue mi inzuppava il kimono, mescolandosi
alle
gocce di pioggia. Osando dirmi “grazie” per
ciò che avevo fatto. E quasi non mi
rendevo conto…di quanto in fretta la vita lo stesse
abbandonando…io non…»
scosse forte il capo « Non riesco a credere di aver compiuto
un’azione tanto
imperdonabile.» interruppe di colpo quel suo confuso
monologo, chinando
profondamente il capo: il suo tono tornò stabile «
Il Capitano Ukitake si è
proposto gentilmente di riferirvi di persona l’accaduto, ma
non potevo
permettere che le mie gesta impure che macchiano il vostro onore
giungessero
alle vostre orecchie per mezzo di qualcun altro. Niisama, so di non
essere
degna del perdono di nessuno. Sono pronta a subire le conseguenze delle
mie
azioni.»
Sono una creatura
così
meschina.
Non merito la tua
tolleranza,
Niisama.
Merito solo il tuo
disprezzo.
Byakuya
la guardò intensamente per qualche breve istante, prima di
fare leva sulle
ginocchia per risollevarsi in piedi.
Kaien
Shiba.
Bastava
che Rukia pronunciasse quel nome perché
un’insopportabile sensazione di
fastidio si impossessasse dell’altero ed impassibile Byakuya
Kuchiki.
«
Se la mia domanda non vi appare inopportuna,
Niisama…» poco tempo dopo essere
entrata nella tredicesima Brigata, facendo una pausa prima di
proseguire, lei
glielo aveva domandato mentre si dirigevano assieme, al sorgere del
sole, verso
la sede del Gotei Tredici «…che opinione avete di
Shiba Kaien?»
Byakuya
le aveva indirizzato un’occhiata bieca, con la coda
dell’occhio, senza smettere
di avanzare. Aveva risposto con tono incolore e rigoroso:
«
Non gradisco la sua compagnia e non mi comporta diletto conversare con
lui. Inoltre
non approvo gli ideali che muovono i suoi gesti. Tuttavia,
Rukia,» nel
riprenderla, non le aveva concesso neppure uno sguardo « non
è mia abitudine
rispondere a codeste domande. Sarebbe opportuno che ti curi di
contenere la tua
invadenza.» Lei, in risposta, si era chiusa in un silenzio
desolato.
Byakuya
non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Non si era mai
curato di lui ed
aveva sempre ignorato la sua fastidiosa tendenza a trascurare la legge
della
Soul Society.
Tuttavia
v’era stato qualcosa nel
tono di
Rukia, qualcosa nella sua espressione, in quella sua curiosa e tuttavia
innocente domanda. Aveva percepito un insolito accento nella voce della
sua
sorellina che pronunciava il nome di Kaien Shiba – qualcosa
che gli era suonato
come stima devota ed illimitata –, che lo aveva letteralmente
fatto infuriare.
Senza
aprire bocca, in due lunghi passi girò attorno al basso
tavolo sui cui era
ancora poggiata quella tazza piena di tè verde fumante.
Rukia
strinse gli occhi con forza, senza risollevarsi dal suo profondo
inchino,
ascoltando il rumore attutito e frusciante dei tabi di suo fratello sul
tatami.
Di colpo, iniziò a tremare di terrore.
Mio fratello mi odia.
Se ne andrà
senza un
solo commento.
E
d’ora in poi, mi
rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna.
«
Alza gli occhi, Rukia.»
{• *** •}
Byakuya
si sedette lentamente al suo fianco, mantenendo la schiena eretta;
quando Rukia
obbedì, mordendosi le labbra, ricambiò il suo
sguardo tentennando; sembrava
così terrorizzata e smarrita allo stesso tempo, facendosi
sempre più piccola
fra le pieghe del suo kimono viola, che per un attimo Byakuya si chiese
se non
stesse sbagliando tutto per l’ennesima volta.
Inspirò appena, incerto, soppesando
le parole per iniziare: quando aprì bocca, si accorse di non
aver mai
affrontato una sfida altrettanto ardua, durante tutta la sua vita, fino
a quel
momento:
«
Alcuni individui si arrischiano ad affermare che quando un uomo ha la
fortuna
di nascere fra le braccia di un clan nobile, non abbia motivo di
preoccuparsi
di nulla. In maniera ottusa e presuntuosa osano accusarci di accidia e
di
lussuria, giudicandoci solo in base alle ricchezze ed alla gloria che
ci siamo
tramandati di generazione in generazione, fino ad oggi. Ci valutano
senza
conoscere o comprendere nulla di noi, schiavi di pregiudizi ingiusti.
Ed è
quando quegli ignoranti popolani mettono in discussione i principi che
muovono
le nostre azioni, che il nostro orgoglio viene maggiormente
intaccato.» fece
una pausa, scuotendo appena il capo « Molti di loro non posso
neppure
immaginare quanto possa essere ardua la vita di un nobile. Quanto possa
diventare
faticoso compiere anche le azioni più elementari, ogni
giorno, quando sei
l’uomo nelle cui mani giace la storia di un clan
antichissimo; quando non puoi
deludere le aspettative di nessuno e sei costretto ad
accollarti così tante responsabilità da non
riuscire più a pensare ad altro.»
Byakuya
chiuse lentamente gli occhi, sospirando profondamente, sentendo che lo
sguardo
di Rukia diventava sempre più perplesso; non le aveva mai
parlato così
apertamente, toccando argomenti che lo riguardavano così da
vicino. Lei
sembrava diventare più impaurita ad ogni parola, sempre
più imbarazzata all’idea
che suo fratello le stesse donando quella faticosa confidenza, sempre
più
terrorizzata nell’aspettativa che lui, da un momento
all’altro, le infliggesse una
severa punizione.
E
poco prima di riprendere, Byakuya riuscì a vedere
chiaramente l’enorme distanza
che li separava: aveva corso così tanto per raggiungerla,
così all’improvviso, pronunciando
quelle poche parole, che lei sembrava disorientata, troppo spaventata e
intontita
per riuscire a ragionare in maniera razionale, per capire come reagire.
«
La vita di un nobile è una continua ed estenuante ricerca
delle legge, nel
tentativo di garantire che ogni decisione presa dal governo e dal Gotei
sia
rispettata senza imprevisti, assicurandosi che la giustizia trionfi in
ogni circostanza,
con qualsiasi mezzo.» dischiuse le palpebre, tentando in ogni
modo di addolcire
il tono
«
Rukia.» esordì « La via della giustizia
non sempre è facile da percorrere. Non
basta avere fiducia e credere
fermamente
che l’onestà sia sufficiente perché
ogni cosa vada per il meglio. A volte, per
quanto possa sembrarti scorretto, è necessario sporcarsi le
mani. La mia stessa
lama, Rukia, in molte occasioni
» fu una confessione dolorosa e sofferta, ma il suo tono non
vacillò « non ha
esitato a diventare un mezzo di giustizia, quando si è
rivelato necessario.»
Rukia
non disse una sola parola. Si limitò a fissarlo, tremando
come una foglia, le
labbra serrate e le palpebre che battevano velocemente, mentre gli
occhi le
diventavano in fretta lucidi in un tenace tentativo di controllarsi.
«
Rukia.» continuò ancora Byakuya, abbassando appena
la voce « Nessuno ti biasima
per ciò che hai fatto. Neppure Shiba Kaien, che nel suo
ultimo respiro ha
impresso le parole necessarie a ringraziarti di avergli permesso di
perseguire
la sua giustizia.»
E
dopo quelle parole, l’espressione di Rukia subì un
cambiamento repentino: la
paura divenne angoscia, mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle
labbra,
fra i denti stretti fra di loro. Bastò una sola occhiata al
suo volto
congestionato ed ai suoi occhi gonfi – che con un grande
sforzo era riuscita a
mantenere asciutti – perché Byakuya si sentisse
afferrare da una tristezza straziante.
«
Capisco quanto possa essere straziante affrontare una tale disgrazia.
Ciò
nonostante, Rukia…» con una leggera esitazione, le
mostrò lentamente le mani
aperte « …le braccia di un fratello dovrebbero
essere sempre pronte ad
accogliere il dolore di sua sorella.»
Rukia
sembrò porgli una domanda silenziosa e attonita. E lui
rispose con un breve
cenno del capo:
«
…puoi farlo, Rukia.»
E
a quel punto i sentimenti di Rukia traboccarono, senza che lei potesse
fare
niente per trattenersi ancora. Portando le mani alla bocca che
lentamente si
distorceva in una smorfia disperata, gli occhi le si riempirono di
lacrime ed
un lungo e penoso singulto sembrò scuoterla tutta,
risalendole la gola. Si
abbandonò nell’abbraccio di suo fratello in un
movimento fluido e spontaneo,
singhiozzando, le guance bagnate, mentre veniva scossa da profondi
sussulti.
«
…perdonatemi, Byakuya Niisama…»
mormorò mentre il pianto le impastava la voce, nascondendo
il volto fra le pieghe del suo kimono che si inumidiva velocemente,
lasciando
scorrere quelle lacrime che aveva trattenuto così a lungo
per dimostrargli di
essere alla sua altezza. All’altezza di suo fratello che non
si era mai
permesso di mostrare le proprie debolezze in maniera così
vergognosa.
Byakuya
la strinse a sé con lieve impaccio, senza muoversi o dire
niente, lasciando
semplicemente che si sfogasse fino a che non ne avesse più
avuto le forze.
Sentirla così vicina, per la prima volta, anche se lei non
poteva mostragli
altro che la sua tristezza, lo colmò di un tenero benessere.
Quando
lei smise di gemere e singhiozzare, chiuse gli occhi e
poggiò una guancia sul
petto di Byakuya, respirando piano, gli occhi gonfi ed il volto
bagnato. Sfinita
e ancora profondamente sconvolta, sembrò lasciarsi cullare
dal battito
tranquillo e regolare del cuore di suo fratello; lui la guardava,
silenzioso ed
impassibile nel tentativo incerto di confortarla e di attenuare il suo
dolore.
Kaien
Shiba.
Byakuya
non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Si era sempre
limitato ad
ignorarlo, provando fastidio nel vederlo al fianco di Rukia,
chiedendosi quale
fosse il motivo per cui lei lo ammirasse così tanto, o come
lui riuscisse a
farla ridere così facilmente.
Tuttavia,
in quelle ore che seguirono, Byakuya Kuchiki lo rimpianse profondamente.
Se solo la tua vita non
si fosse interrotta così bruscamente, Shiba Kaien.
Forse
ora Rukia starebbe
ancora sorridendo.