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Autore: Frances    22/09/2008    2 recensioni
Mio fratello mi odia.
Se ne andrà senza un solo commento.
E d'ora in poi, mi rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna."
[ Byakuya & Rukia - Byakuya x Hisana ]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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III  Scene of a Weeping || Declaration of guilt { • Silent tea ceremony • }

 

« Rukia.»

Lei sobbalzò ingoiando un sussulto, quasi fosse stata sorpresa a compiere gesti inconsulti. Si voltò meccanicamente, le braccia rigide lungo i fianchi fasciati dallo stretto e semplice kimono di taffettà violetta.

« Ti ho spaventata?» domandò Byakuya, le braccia incrociate e nascoste nelle maniche dell’abito; i capelli sciolti – liberi dal kenseikan – gli ricadevano sulle spalle e sul volto, sfiorandogli il collo. Rukia lo guardò per qualche istante, gli occhi che si sgranavano in maniera impercettibile, poi le guance le si colorarono appena mentre scuoteva energicamente il capo:

« No, Byakuya Niisama…a…» fece una pausa «…vi prego di perdonarmi, avevo la testa altrove…» si rannuvolò di colpo, le sopracciglia che si corrugavano in una maschera di desolazione.

Byakuya dischiuse le labbra, tentando di interpretare la sua espressione. Continuava a non capire.

« Vorrei che mi assistessi nella cerimonia del the, Rukia.» la informò, senza mezzi termini, cosa che le fece alzare lo sguardo immediatamente « Ne hai voglia?» avrebbe dovuto essere una richiesta cortese, ma le parole che gli scivolarono dalle labbra tuonarono perentorie e definitive come un ordine.

Rukia parve sorpresa ma annuì senza una sola esitazione:

« Certo, Niisama…» i suoi grandi occhi blu brillarono per istante « Sarà un onore per me!»

Byakuya annuì:

« Capisco.» le voltò le spalle, facendole un breve cenno con una mano « Seguimi.»

I passi affrettati di Rukia si sovrapposero immediatamente ai suoi, mentre avanzavano in direzione della Chashitsu – la stanza in cui l’intera stirpe del clan aveva sempre celebrato il rituale del the, sin dall’antichità –. E nel loro silenzioso incedere, Byakuya cercò Rukia numerose volte, con la coda dell’occhio. Lei era contrita, fissava i propri piedi che si posizionavano l’uno davanti all’altro senza distogliere mai lo sguardo.

 

E’ colpa mia, Rukia?

Cosa posso fare?

 

Nonostante desiderasse ardentemente conversare con lei, non gli riuscì di articolare alcuna frase di senso compiuto. Anche se nella sua mente si accavallavano parole confuse – domande su di lei, su cosa stesse pensando in quel preciso istante – non fu in grado di dare loro un ordine, e si costrinse al silenzio.

Non trovava il modo di dimostrarle quanto profondamente anelasse a quel contatto con lei, a quel rapporto di familiarità che in ogni momento – strenuamente – cercava di offrirle, in tentativi impacciati che subito fallivano a causa della sua incapacità. Con quelle parole fredde che gli uscivano di bocca come a negare qualsiasi minima manifestazione d’affetto.

 

Cosa devo fare?

 

{•   ***   •}

 

La sala del thè era abbastanza piccola: contava la larghezza di pochi tatami, mentre la luce filtrava con difficoltà attraverso le finestre schermate. In fondo, nel basso tokonoma, l’ambiente spoglio era animato da una graziosa composizione di ikebana, sovrastata da un lungo dipinto di calligrafia shodō che pendeva sulla parete rientrata.

Byakuya aveva sempre interpretato il passo con il quale metteva piede in quella stanza, chinando appena il capo per oltrepassare la bassa entrata, quasi come una sorta di transizione: l’attimo in cui si immergeva completamente nel mondo che gli era stato lasciato in eredità da Ginrei Kuchiki.

« Il luogo in cui si svolge la cerimonia del thè deve conciliare la riflessione e deve permettere ai partecipanti di trovare la giusta via per la catarsi interiore.» gli aveva sempre ricordato suo nonno, durante le sue lunghe ed estenuanti lezioni di chanoyuu – la via del thè. Gli aveva insegnato a sedere sui talloni mantenendo la giusta postura, colpendolo fra le scapole con un frustino di canna ogni qualvolta, sfinito, suo nipote si era ritrovato ad incurvare le spalle; era sempre stato rigido riguardo al fatto che Byakuya dovesse imparare alla perfezione la disciplina dei più esperti maestri dello zen.

« Tieni sempre la schiena eretta, Byakuya, qualsiasi cosa tu faccia.» glielo diceva mostrandogli compostamente quali gesti compiere per sollevarsi in piedi, tenendo le mani sulle ginocchia « Non curvarti mai. Non mostrare segni di debolezza.»

Dopo che si furono seduti sul tatami, l’uno di fronte all’altro, e nel momento in cui, con gesti moderati e meticolosi, Byakuya lasciò cadere la polvere di thè verde nella ciotola di ceramica, su di loro cadde un silenzio assoluto. Così era la cerimonia del thè: senza che alcun rumore lo disturbasse, Byakuya versò l’acqua calda nella tazza, facendo in modo che dall’hishaku di legno non colasse una sola goccia. L’esperienza gli aveva insegnato a non commettere errori.

Rukia seguì i suoi movimenti senza distogliere gli occhi un istante: quasi rapita, lo guardò mentre mescolava lentamente la bevanda, poi la accolse con gratitudine fra le mani quando lui gliela offrì, esibendosi in due cortesi e brevi inchini prima di portare il bordo ondulato della tazza alle labbra.

Ma fu quando lei poggiò la ciotola sul tavolo, che Byakuya se ne accorse.

Lo vide nella curva brusca che assunse la sua bocca e nella piega affranta che curvò le sue sopracciglia, in un moto che non aveva niente a che fare con la sua solita remissività, con quella sua inspiegabile tendenza a sottovalutarsi. Lo vide nel rapido fremito che ebbero le sue mani un attimo prima di tornare composte in grembo, nello sguardo schivo che gli rivolse per un solo brevissimo istante, prima di tornare a fissare, rossa in volto, la stuoia intrecciata sul pavimento.

Byakuya si sentì pervaso da una strana, incalzante sensazione d’urgenza. Per la prima volta da che l’aveva conosciuta, la sua sorellina adottiva sembrava disperatamente domandargli aiuto.

« Rukia.» nel rompere quel silenzio così all’improvviso sentì un brivido gelido risalire lungo la schiena; gli sembrò di aver appena violato una regola millenaria.

Lei sollevò gli occhi, atterrita:

«…cosa c’è, Niisama?» lo chiese con un fil di voce, incerta. Byakuya non si era mai permesso di interrompere la cerimonia così bruscamente.

Il giovane Kuchiki adagiò la tazza sul tavolo, senza fare alcun rumore; quando si rivolse ancora a Rukia, la sua voce aveva nuovamente assunto quel suo caratteristico tono perentorio:

« C’è qualcosa che vuoi dirmi?»

Il sangue defluì velocemente dalle guance di Rukia; guardò suo fratello per degli istanti che parvero dilatarsi all’inverosimile, con la bocca dischiusa come nell’atto di dire qualcosa. Sul volto le si leggeva un profondo smarrimento e, da qualche parte nei suoi occhi grandi e spalancati, il panico. Una paura intensa che sembra attanagliarla dal profondo, impedendole quasi di riprendere fiato.  

«…n-no, Niisama…» ebbe un’esitazione «…non ho intenzione di farvi perdere tempo…»

Con quella risposta così impersonale, Byakuya vide quel barlume di speranza, quello spiraglio che sembrava essersi aperto nella spessa parete di insicurezze che li separava, svanire così com’era apparso. Per un solo istante pensò addirittura di esserselo immaginato.

« Capisco.» bisbigliò, quasi rassegnato, posando lo sguardo sulla mistura spumosa immobile nella pregiata tazza del thè.

« …Però, Niisama…» la voce tremante di Rukia gli diede un sollievo inimmaginabile. Spostò gli occhi su di lei: sembrava che tentasse in qualche modo di nascondersi, stringendosi energicamente nelle spalle.

«…sono accadute delle cose…di cui mi sento in dovere di informarvi…»

E Byakuya annuì, ripetendo quelle tre parole con lo stesso identico tono di tanti anni prima:

«…Ti ascolto, Rukia.»

{•   ***   •}

« Niisama, io sono un’assassina.» quando lo disse, la voce di Rukia non fu percorsa dal minimo tremore « La mia lama si è macchiata del sangue di un uomo innocente e di un crimine atroce.» fece una pausa prima di alzare gli occhi verso di lui e annunciare, ferma « Niisama, ho ucciso Shiba Kaien.»

Quel nome rimase sospeso fra di loro, riecheggiando nella stanza vuota e buia, mentre la polvere danzava a mezz’aria nella luce fioca.

Il cipiglio di Byakuya rimase immoto, quasi che le parole di Rukia non lo avessero raggiunto; la guardò freddamente, senza che il suo volto lasciasse trapelare qualsiasi emozione. Forse fu quella reazione a farle perdere il coraggio – l’insofferenza dipinta sul volto di suo fratello – ; tuttavia, anche se la sua voce non riusciva più a trovare la giusta determinazione, sembrava decisa a non rinunciare a quella confessione:

« E’ stato un incidente, durante una battaglia contro un Hollow. Pensavamo di essere all’altezza delle circostanze, ma in breve la situazione si è terribilmente aggravata.» le dita ebbero un fremito, serrate con forza sulle ginocchia « Il nobile Kaien insisteva di voler combattere senza che gli prestassi il mio ausilio…il Capitano era con noi…ma non abbiamo potuto fare niente. Il Capitano parlava di onore, di orgoglio…ma io…io non capivo.» Rukia chiuse gli occhi, la voce che diventava un sibilo « Volevo aiutarlo, volevo sfoderare lo shikai e soccorrerlo. Non riuscivo a capire come il Capitano potesse concepire di stare lì immobile a guardare...! Volevo fidarmi del Capitano e di Kaien-dono…ma mi sentivo così inutile! » abbassò lo sguardo sulle proprie piccole mani « Si è gettato sulla mia spada e io l’ho trafitto. E’ morto fra le mie braccia, mentre il suo sangue mi inzuppava il kimono, mescolandosi alle gocce di pioggia. Osando dirmi “grazie” per ciò che avevo fatto. E quasi non mi rendevo conto…di quanto in fretta la vita lo stesse abbandonando…io non…» scosse forte il capo « Non riesco a credere di aver compiuto un’azione tanto imperdonabile.» interruppe di colpo quel suo confuso monologo, chinando profondamente il capo: il suo tono tornò stabile « Il Capitano Ukitake si è proposto gentilmente di riferirvi di persona l’accaduto, ma non potevo permettere che le mie gesta impure che macchiano il vostro onore giungessero alle vostre orecchie per mezzo di qualcun altro. Niisama, so di non essere degna del perdono di nessuno. Sono pronta a subire le conseguenze delle mie azioni.»

 

Sono una creatura così meschina.

Non merito la tua tolleranza, Niisama.

Merito solo il tuo disprezzo.

 

Byakuya la guardò intensamente per qualche breve istante, prima di fare leva sulle ginocchia per risollevarsi in piedi.

 

Kaien Shiba.

 

Bastava che Rukia pronunciasse quel nome perché un’insopportabile sensazione di fastidio si impossessasse dell’altero ed impassibile Byakuya Kuchiki.

« Se la mia domanda non vi appare inopportuna, Niisama…» poco tempo dopo essere entrata nella tredicesima Brigata, facendo una pausa prima di proseguire, lei glielo aveva domandato mentre si dirigevano assieme, al sorgere del sole, verso la sede del Gotei Tredici «…che opinione avete di Shiba Kaien?»

Byakuya le aveva indirizzato un’occhiata bieca, con la coda dell’occhio, senza smettere di avanzare. Aveva risposto con tono incolore e rigoroso:  

« Non gradisco la sua compagnia e non mi comporta diletto conversare con lui. Inoltre non approvo gli ideali che muovono i suoi gesti. Tuttavia, Rukia,» nel riprenderla, non le aveva concesso neppure uno sguardo « non è mia abitudine rispondere a codeste domande. Sarebbe opportuno che ti curi di contenere la tua invadenza.» Lei, in risposta, si era chiusa in un silenzio desolato.

 

Byakuya non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Non si era mai curato di lui ed aveva sempre ignorato la sua fastidiosa tendenza a trascurare la legge della Soul Society.

Tuttavia v’era stato qualcosa nel tono di Rukia, qualcosa nella sua espressione, in quella sua curiosa e tuttavia innocente domanda. Aveva percepito un insolito accento nella voce della sua sorellina che pronunciava il nome di Kaien Shiba – qualcosa che gli era suonato come stima devota ed illimitata –, che lo aveva letteralmente fatto infuriare.

 

Senza aprire bocca, in due lunghi passi girò attorno al basso tavolo sui cui era ancora poggiata quella tazza piena di tè verde fumante.

Rukia strinse gli occhi con forza, senza risollevarsi dal suo profondo inchino, ascoltando il rumore attutito e frusciante dei tabi di suo fratello sul tatami. Di colpo, iniziò a tremare di terrore.

 

Mio fratello mi odia.

Se ne andrà senza un solo commento.

 

E d’ora in poi, mi rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna.

 

« Alza gli occhi, Rukia.»

 

{•   ***   •}

 

Byakuya si sedette lentamente al suo fianco, mantenendo la schiena eretta; quando Rukia obbedì, mordendosi le labbra, ricambiò il suo sguardo tentennando; sembrava così terrorizzata e smarrita allo stesso tempo, facendosi sempre più piccola fra le pieghe del suo kimono viola, che per un attimo Byakuya si chiese se non stesse sbagliando tutto per l’ennesima volta. Inspirò appena, incerto, soppesando le parole per iniziare: quando aprì bocca, si accorse di non aver mai affrontato una sfida altrettanto ardua, durante tutta la sua vita, fino a quel momento:

« Alcuni individui si arrischiano ad affermare che quando un uomo ha la fortuna di nascere fra le braccia di un clan nobile, non abbia motivo di preoccuparsi di nulla. In maniera ottusa e presuntuosa osano accusarci di accidia e di lussuria, giudicandoci solo in base alle ricchezze ed alla gloria che ci siamo tramandati di generazione in generazione, fino ad oggi. Ci valutano senza conoscere o comprendere nulla di noi, schiavi di pregiudizi ingiusti. Ed è quando quegli ignoranti popolani mettono in discussione i principi che muovono le nostre azioni, che il nostro orgoglio viene maggiormente intaccato.» fece una pausa, scuotendo appena il capo « Molti di loro non posso neppure immaginare quanto possa essere ardua la vita di un nobile. Quanto possa diventare faticoso compiere anche le azioni più elementari, ogni giorno, quando sei l’uomo nelle cui mani giace la storia di un clan antichissimo; quando non puoi deludere le aspettative di nessuno e sei costretto  ad accollarti così tante responsabilità da non riuscire più a pensare ad altro.»

Byakuya chiuse lentamente gli occhi, sospirando profondamente, sentendo che lo sguardo di Rukia diventava sempre più perplesso; non le aveva mai parlato così apertamente, toccando argomenti che lo riguardavano così da vicino. Lei sembrava diventare più impaurita ad ogni parola, sempre più imbarazzata all’idea che suo fratello le stesse donando quella faticosa confidenza, sempre più terrorizzata nell’aspettativa che lui, da un momento all’altro, le infliggesse una severa punizione.

E poco prima di riprendere, Byakuya riuscì a vedere chiaramente l’enorme distanza che li separava: aveva corso così tanto per raggiungerla, così all’improvviso, pronunciando quelle poche parole, che lei sembrava disorientata, troppo spaventata e intontita per riuscire a ragionare in maniera razionale, per capire come reagire.

« La vita di un nobile è una continua ed estenuante ricerca delle legge, nel tentativo di garantire che ogni decisione presa dal governo e dal Gotei sia rispettata senza imprevisti, assicurandosi che la giustizia trionfi in ogni circostanza, con qualsiasi mezzo.» dischiuse le palpebre, tentando in ogni modo di addolcire il tono

« Rukia.» esordì « La via della giustizia non sempre è facile da percorrere. Non basta avere fiducia e  credere fermamente che l’onestà sia sufficiente perché ogni cosa vada per il meglio. A volte, per quanto possa sembrarti scorretto, è necessario sporcarsi le mani.  La mia stessa lama, Rukia, in molte occasioni » fu una confessione dolorosa e sofferta, ma il suo tono non vacillò « non ha esitato a diventare un mezzo di giustizia, quando si è rivelato necessario.»

Rukia non disse una sola parola. Si limitò a fissarlo, tremando come una foglia, le labbra serrate e le palpebre che battevano velocemente, mentre gli occhi le diventavano in fretta lucidi in un tenace tentativo di controllarsi.

« Rukia.» continuò ancora Byakuya, abbassando appena la voce « Nessuno ti biasima per ciò che hai fatto. Neppure Shiba Kaien, che nel suo ultimo respiro ha impresso le parole necessarie a ringraziarti di avergli permesso di perseguire la sua giustizia.»

E dopo quelle parole, l’espressione di Rukia subì un cambiamento repentino: la paura divenne angoscia, mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle labbra, fra i denti stretti fra di loro. Bastò una sola occhiata al suo volto congestionato ed ai suoi occhi gonfi – che con un grande sforzo era riuscita a mantenere asciutti – perché Byakuya si sentisse afferrare da una tristezza straziante.

« Capisco quanto possa essere straziante affrontare una tale disgrazia. Ciò nonostante, Rukia…» con una leggera esitazione, le mostrò lentamente le mani aperte « …le braccia di un fratello dovrebbero essere sempre pronte ad accogliere il dolore di sua sorella.»

Rukia sembrò porgli una domanda silenziosa e attonita. E lui rispose con un breve cenno del capo:

« …puoi farlo, Rukia.»

E a quel punto i sentimenti di Rukia traboccarono, senza che lei potesse fare niente per trattenersi ancora. Portando le mani alla bocca che lentamente si distorceva in una smorfia disperata, gli occhi le si riempirono di lacrime ed un lungo e penoso singulto sembrò scuoterla tutta, risalendole la gola. Si abbandonò nell’abbraccio di suo fratello in un movimento fluido e spontaneo, singhiozzando, le guance bagnate, mentre veniva scossa da profondi sussulti.

« …perdonatemi, Byakuya Niisama…» mormorò mentre il pianto le impastava la voce, nascondendo il volto fra le pieghe del suo kimono che si inumidiva velocemente, lasciando scorrere quelle lacrime che aveva trattenuto così a lungo per dimostrargli di essere alla sua altezza. All’altezza di suo fratello che non si era mai permesso di mostrare le proprie debolezze in maniera così vergognosa.

Byakuya la strinse a sé con lieve impaccio, senza muoversi o dire niente, lasciando semplicemente che si sfogasse fino a che non ne avesse più avuto le forze. Sentirla così vicina, per la prima volta, anche se lei non poteva mostragli altro che la sua tristezza, lo colmò di un tenero benessere.

 

Quando lei smise di gemere e singhiozzare, chiuse gli occhi e poggiò una guancia sul petto di Byakuya, respirando piano, gli occhi gonfi ed il volto bagnato. Sfinita e ancora profondamente sconvolta, sembrò lasciarsi cullare dal battito tranquillo e regolare del cuore di suo fratello; lui la guardava, silenzioso ed impassibile nel tentativo incerto di confortarla e di attenuare il suo dolore.

 

Kaien Shiba.

Byakuya non aveva mai avuto nulla contro quell’uomo. Si era sempre limitato ad ignorarlo, provando fastidio nel vederlo al fianco di Rukia, chiedendosi quale fosse il motivo per cui lei lo ammirasse così tanto, o come lui riuscisse a farla ridere così facilmente.

 

Tuttavia, in quelle ore che seguirono, Byakuya Kuchiki lo rimpianse profondamente.

Se solo la tua vita non si fosse interrotta così bruscamente, Shiba Kaien.

 

Forse ora Rukia starebbe ancora sorridendo.

   
 
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