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Autore: AngyHufflepluffLewis    31/08/2014    3 recensioni
Katniss e Peeta stanno andando a casa di Finnick e Annie, nel distretto 4. Lei ha appena partorito e, Finnick vuole condividere con gli innamorati sventurati la felicità del momento. Finnick non è morto(è un modo per autoconvincermi che non è mai successo niente di simile), e vive in una piccola casetta di fronte al mare insieme a Annie e al nascituro. Katniss è afflitta da un problema però, che riguarda proprio i bambini e che la farà riflettere su una decisione importante che potrebbe cambiarla del tutto. Una decisione già stata presa da Katniss, che si ritrova a pensare se sia veramente giusta o no, per lei e soprattutto per Peeta.
Questo é solo l'inizio della storia. Dato che ha avuto abbastanza "profitto" scriverla, ho deciso di non fermarmi solo a pochi capitoli, ma di continuarla.
P.s: Ho dovuto cambiare il rating, ma non é niente di scandaloso :)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SALVE POPOLOOO!! Veniii(sono qui, come Sebastard). Il capitolo diciamo che é un'po' corto, non avevo molta ispirazione. Spero di riuscire a scrivere il piú presto possibile. Un besoo
Sempre vostra AngyHufflepluffOdair. 





Katniss POV
Corro. Scappo via perché ho paura, perché non riesco a comprendere. Effie ed Annie non provano neanche a seguirmi, e non credo che sia perché non hanno la capacità di correre velocemente quanto me.                                                                                                       
La sento ora. Quella sensazione di pura afflizione, indefinita ma motivata da ciò che purtroppo si conosce.                                                                                                                                       
Sono incinta, come volevano tutti no? Adesso però mi sorge il dubbio se era veramente ciò che volevo anche io.                                                                                                                                  
Vorrá il bambino avermi come mamma? Vorrá una come me, problematica e fredda?                                           
Io ho sempre criticato mia madre per ogni sua debolezza, ho perfino pensato di odiarla in un certo periodo della mia vita. Adesso però sono conscia di quanto dolore posso averle causato in tutti quegli anni con il mio comportamento. Forse anche il bambino che porto in grembo mi criticherà per ciò che sono, non mi amerá come madre. Ed io non potrei biasimarlo perché alla fine è così, io sono un difetto fatto persona.                                          
No, non posso essere quello che tutti vogliono che sia. Non posso essere la mamma che vorrá quel bambino malcapitato sfortunatamente dentro di me.                                     
I miei pensieri mi distraggono completamente da dove sto andando, infatti con sorpresa mi rendo conto di essere già arrivata nel bosco ancora innevato e so già che strada prendere: la casetta vicino al lago che ho conosciuto grazie a mio padre. La strada è lunga, di solito ci vorrebbe un’ora o un’ora e mezza di viaggio, ma io cammino così velocemente da percorrerla in pochissimo tempo.                                                                                               
Dopo quasi mezz’ora di strada lo specchio d’acqua mi si presenta davanti agli occhi come un’ancora di salvezza. Mi avvicino lentamente verso la casa, non so il perché, ma c’è qualcosa che mi impedisce di camminare in modo più rapido. La neve sciolta mi fa quasi scivolare al primo passo, poi al secondo prendo equilibrio fino a stabilire una camminata migliore. Mi avvicino al lago e lentamente mi sciacquo il viso. La mattina più sconvolgente  di tutta la mia vita, decisamente. Guardo la mia immagine riflessa sullo specchio e oltre alla mia faccia piena di occhiaie vedo che la mia maglietta è ancora piena di vomito incrostato. Me la tolgo bruscamente e rimango in reggiseno e mutande(tanto non c’è nessuno), per poi immergere dentro l’acqua fredda la maglietta di Peeta. La luce dell’alba è abbastanza calda per asciugarla rapidamente, e in più ho sempre un cambio di vestiti dentro la catapecchia. Mi avvicino rapidamente ad essa per cercarli, tremando in modo evidente per colpa del freddo. Quando sono davanti alla porta, vedo un ragazzo accucciato in un angolo con la testa tra le gambe tremanti. Capelli biondo oro. Mani di chi lavora farina e di chi coccola finti innocenti. Lo riconoscerei a distanze anche maggiori di queste. Peeta.
Il mio primo istinto è quello di picchiarlo a sangue, per poi abbracciarlo e baciarlo disperata. Ma stranamente, resto ferma e con i muscoli tesi come corde di violino. Vederlo in quello stato, con le mani piene di spine, i vestiti laceri e sporchi e in quella posizione da cucciolo ferito, mi fa tanto ripensare ai tempi in cui nell’arena si cercava di sopravvivere a quegli stupidi giochi. Sembra passato tanto tempo da quella rivoluzione, ma per chi come me ha sentito il sangue di altri mischiato al proprio sulla pelle, ormai è un’impronta indelebile nell’anima.                                                                                                         Perciò faccio ciò che ho fatto nell’arena: mi prendo cura di lui. È troppo addormentato per capire che adesso lo sto trascinando in modo un’po’ troppo brusco vicino al lago. Con una ciotola di pietra appoggiata nella mensola arrugginita della casa prendo un’po’ d’acqua dal lago ghiacciato. Cerco in giro per il bosco delle erbe medicinali abbastanza forti da disinfettargli e curargli le ferite superficiali alle braccia e alle gambe. Non vedo mia madre da tanto...tanto tempo, eppure i suoi pochi insegnamenti mi sono sempre stati di grande aiuto. Trovo u L’acqua accarezza la pelle di Peeta, togliendo incrostazioni e sangue dai graffi procurati sicuramente da un cespuglio di ortiche e spine. Apro la sua maglietta con uno strappo e osservo le bolle rosse e gli sfoghi che gli ricoprono il petto e l’incavo delle scapole, fino all’incontro della clavicola con il collo. “Giusto” penso “Lui è allergico alle ortiche”.                                                                                                                                                       
Uso la maglietta come straccio, la immergo delicatamente nell’acqua e la spremo sopra al suo corpo, procurandogli brividi. Non si sveglia però, e questo mi fa capire quale stanchezza deve star impedendo i suoi movimenti.                                                                 
Deve essere sceso dal treno di nascosto, più o meno vicino al distretto 11 e non poche ore fa. Il motivo di questo gesto mi è ancora sconosciuto però. “Forse gli mancavo e voleva vedermi” penso io. “No” mi contraddico “Lui non farebbe mai una cosa simile, lui non avrebbe mai e poi mai lasciato il treno per un capriccio”. E allora perché? Avrá saputo che sono incinta?                                                                                                                             
Panico. Lui non dovrebbe essere qui eppure è così, ed io sono incinta. Non c’è altra spiegazione.                                                                                                                                             
All’improvviso sento dei passi dietro di me, avvicinarsi piano piano. Afferro la ciotola(devo pur avere un’arma con cui difendermi)  e mi giro rapidamente. La ciotola colpisce con successo la testa dell’uomo a pochi passi da me, e per un momento mi sento davvero piena di me. Certo, finché non vedo che l’uomo è Gale.
Anche con lui il mio primo istinto è quello di picchiarlo a sangue, ma di abbracciarlo e baciarlo non se ne parla. Ho avuto troppo fuoco e sorprese per un giorno solo. Adesso ho due corpi stesi incoscienti e immobili al mio fianco, fantastico. Chiunque passi di qui penserà che sono un’assassina. Ed inparte lo sono. 
                                                                                                          
  
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