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Autore: Impossible Prince    03/09/2014    2 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 13 - Il Saggio
 
Il cielo era di quella curiosa tonalità di azzurro pallido che porta a domandarti se sia nuvoloso o se la sveglia sia suonata troppo presto. Il Sole non era ancora sorto del tutto e i suoi raggi avevano da poco cominciato a illuminare debolmente la volta celeste.
Gli Hoothoot chiudevano i loro occhi appesi a testa in giù sugli alberi sulle colline poste a est di Fiordoropoli mentre lentamente, i Ledyba, cominciavano a svegliarsi per iniziare a volare con il loro moto instabile che li contraddistingueva. Uno di loro, urtò dapprima un albero e poi, ripresa una traiettoria normale, andò dritto la schiena di un Heracross che venne strappato dalle braccia di Morfeo. Il pokémon Monocorno, furioso, si librò in volo e cominciò ad inseguire l’esemplare di Pentastra che si fiondò per le strade della Capitale, che a quell’ora conoscevano il significato della parola tranquillità. L’inseguimento durò poco, Heracross venne bloccato da un allenatore mattutino che lo volle sfidare utilizzando il proprio Vulpix e Ledyba si fermò sulla ringhiera di un balcone di un grattacielo.
Espeon aprì gli occhi e fissò il pokémon rosso che come d’incanto si paralizzò e cadde sulla sua sinistra, precipitando, totalmente incapace di muoversi. Solo a pochi metri da terra le sue ali ricominciarono a funzionare e ne approfittò per salvarsi e volare via da Fiordoropoli.
 
Dream accarezzò con la mano sinistra il pelo lilla del pokémon Psico che era seduto sul tavolo, sorridendo divertito per quello che il pokémon Sole aveva fatto a Ledyba.
«Sei un cane da guardia, pochi cazzi».
Tornò a guardare il computer, posto davanti ad Espeon, su cui stava scrivendo prendendo con la sinistra la sigaretta che aveva temporaneamente appoggiato nel posacenere e afferrò con la destra la tazza fumante di caffè bianca di ceramica decorata con un’immagine raffigurante Kyogre e Jirachi.
Rilesse attentamente nella mente quello che aveva digitato fino a qualche istante prima e terminata la sigaretta e il caffè, ricominciò a scrivere, pronunciando ad alta voce quello che elaborava.
Una grande frase in grassetto a caratteri cubitali capeggiava sull’intestazione del foglio, “Dream intervista Dream”  e si trattava di botta e risposta con se stesso riguardo l’incontro con Michael che tanto pensare gli diede quella notte, tanto da fargliela passare insonne. Era una sorta di riflessione, un flusso di coscienza, ma trovava che denominarlo “intervista” rendesse il tutto meno interessante dal punto di vista della medicina psichiatrica.
In questo modo avrebbe dovuto inchiodare se stesso alle proprie responsabilità, affrontare il tormento che lo stava portando a perdere anche il controllo di se stesso in un certo momento della giornata precedente.
«E poi apparve qualcosa davanti ai miei occhi».
«Cosa?».
«Era un ragazzo di sedici anni. Con gli occhi azzurri, i capelli biondi, il naso alla francese. Uno sguardo timido, docile. Sembra il personaggio di una qualsiasi serie tv americana adolescenziale, e invece non aveva nulla che potesse renderlo un personaggio da piccolo schermo. Sì, insomma, i biondi-occhi-azzurri sono sempre i bulli che se la prendono con il protagonista o con gli amici dei protagonisti, uomini e donne che essi siano. Lui... lui no. Tutt’altro, mi ricordava un gattino abbandonato.
Ma vedi, come disse Kevin Spacey in “House Of Cards”, “ogni gattino cresce per diventare gatto. Sembrano così indifesi all’inizio, piccoli, tranquilli, è bello vedere quando prendono il latte, ma una volta che imparano a graffiare fanno sanguinare, a volte, la stessa mano che li nutre”. Ecco, si tratta proprio di questo: di attaccare. E come dice Frank Underwood, la regola è una e una sola “O caccia o verrai cacciato”. Questo vale anche per noi allenatori, dobbiamo esser pronti a non abbassare mai la guardia, perché il pericolo è sempre all’orizzonte e quel pericolo, caro Dream, siamo noi stessi e per “noi stessi” intendo noi allenatori.
Quel gattino non era un gattino abbandonato, oh no. Era un leone assetato di sangue travestito da gattino. E io ero la sua gazzella.
Mi ero rifiutato di riconoscerlo sin dall’inizio. Quando lo vidi seduto a quel tavolino del bar venni investito da un profondo disagio. Improvvisamente i miei artigli erano stati tranciati, i miei canini limati per essere il meno letali possibile.
La sua lingua biforcuta feriva la mia cute, ha cominciato a tagliarmi, a ferirmi, ad assestarmi colpo su colpo, fino a che sono dovuto scappare».
Dream sorrise, poi fece la sua domanda: «Un leone con la lingua biforcuta? Il mondo dei punk ha colpito anche la savana?».
«O magari non era un leone…» pronunciò sollevando le sopracciglia.
«E quindi? Hai parlato di leone travestito da gattino. C’era qualcosa che si travestiva da leone che si travestiva da gattino? E soprattutto, non aveva caldo sotto quel travestimento?».
«Il caldo è il suo ambiente, non a caso si parla di “caldo infernale”, oh, sì, perché quel ragazzino era il Diavolo che con la sua retorica mi ha fatto perdere la testa, mi ha confuso per piegarmi e spezzarmi.
Sono stato uno stupido perché avrei dovuto ripiegare sin da subito, avrei dovuto aiutarmi con i miei artigli, con le mie fauci per quanto quasi innocue e invece no, son rimasto sull’altare come un agnello sacrificato a Satana dalle sue bestie.
E una volta che mi sono sacrificato, involontariamente s’intende, ecco che il Diavolo assunse potenza e si rivelò possedere sette teste, come aveva predetto l’Apostolo Giovanni nel libro della “Rilevazione”. La sua e quella dei sei pokémon che possedeva e con cui decise di sfidarmi.»
«E accettasti la sfida?».
«Certo, non c’erano alternative. Perché il Diavolo è pericoloso, è insidioso. Conosce le leggi, e sai perché? Perché si è fatto uomo e le ha subite. Comprende e adopera i regolamenti degli allenatori a suo favore, e in quanto allenatore, o per meglio dire, in quanto Campione, ha lanciato al sottoscritto una sfida ufficiale che io non potevo rifiutare. E ho dovuto accettare».
Il ragazzo scosse la testa in senso di pieno dissenso con quanto detto da lui stesso qualche secondo prima.
« A me pare comunque esagerato parlare di Diavolo, e anche abbastanza offensivo, ecco...».
«Oh, insomma, come se ci sia mai importato di ferire le altre persone.
Stai diventando debole, Dream».
La verità servita su un vassoio d’argento. Lo aveva finalmente ammesso, stava diventando debole. Aveva cominciato a preoccuparsi del parere delle persone, lui che aveva scaricato senza troppe preoccupazioni una ragazza sulla soglia della guarda ranger, lui che aveva preso in giro il capogruppo della maggioranza sul quotidiano e aver criticato Repubblica Nuova ad un party ricevendo un pugno in faccia. E inutile dire come detestava cordialmente le altre persone quando gli altri sottolineavano la propria indipendenza di pensiero dalle influenze della massa e ora, proprio in quel momento, stava analizzando quel cavillo sulla sua di persona.
La sveglia impostata sul Pokégear cominciò a suonare segno che doveva cominciare a prepararsi per andare a prendere Michael all’hotel e accompagnarlo a Violapoli.
I due si salutarono freddamente e il volo tra le due città fu affrontato nel più assoluto silenzio interrotto solo una volta arrivati nel centro cittadino.
«Dream... ho bisogno che tu mi accompagni» cominciò timidamente Michael, rompendo quel muro che si era creato la sera prima dopo lo sfogo dell’ex Campione dopo esser stato criticato per il suo scetticismo nei confronti dell’affaire Jirachi.
La testa di Dream si voltò verso Michael, osservandolo curioso da dietro gli occhiali da sole a mascherina, con montatura oro: «E dove dovresti andare, di grazia?».
«Alla Torre Sprout».
Dream inarcò le sopracciglia sorpreso, la Torre Sprout era sicuramente l’ultimo posto in cui si aspettava di dover tornare. Sorrise facendo cenno a Michael di seguirlo.
«A proposito di quello che è successo ieri sera, com’è che il tuo Jirachi ha alcune colorazioni differenti da quelle con cui è stato rappresentato nella Grotta dei Tempi di Ceneride?».
Dream increspò leggermente le labbra, indeciso in un primo momento se rispondere alla domanda oppure no, convinto nel profondo che era l’ennesimo modo del ragazzo di interrogarlo maliziosamente sugli eventi accaduti la sera precedente. Contò mentalmente fino a dieci, il tempo necessario per far sbollire la voglia di sbranarlo e poi rispose pacatamente: «La leggenda vuole che fossero finiti i colori...».
«Cosa? Scherzi?»
«No, affatto. L’Imperatore di Hoenn aveva minacciato che se il lavoro non fosse finito entro un preciso periodo di tempo avrebbe ucciso il pittore e la famiglia. Preso dal panico, perché non c’erano i colore e procurarseli avrebbe richiesto troppo tempo, utilizzò l’azzurrino al posto del rosso.
Ora, quella della Grotta dei Tempi è la prima raffigurazione di Jirachi. Quelle successive le hanno fatte utilizzando come base il ritratto voluto dall’Imperatore. Ecco spiegato l’arcano».
«E tu come hai fatto ad ottenerlo?»
«Diciamo che ci ha presentati Mew...».
Michael strabuzzò gli occhi e gridò: «Hai Mew?!».
«Bitch, I’m Dream» rispose lui ironico.
«Ma è impossibile! Non si è neanche sicuri della sua esistenza, tu... Tu non sei umano!» continuò Michael gridando.
«Vuoi abbassare la voce, di grazia? Ti stanno osservando tutti» fece Dream continuando ad osservare la strada davanti a sé.
«Hai catturato Mew!» esclamò il ragazzino soffocando la propria voce.
«Se per questo bevo vini e non so come si pronunciano, nessuno ha mai fatto un caso di stato per questo...».
E mentre Michael spiegava per quale motivo non era normale aver catturato il piccolo pokémon Rosa, la Torre Sprout cominciava a stagliarsi all’orizzonte.
La torre, la più alta costruzione di Violapoli, venne eretta nel 1200. Era una pagoda di tre piani, alta trenta metri costruita nella zona nord della città, raggiungibile dopo aver superato il Lago Sprout, un piccolo laghetto poco profondo attraversabile grazie ad un ponte in legno. Al centro dell’edificio era stato costruito un grande pilastro di legno mobile per bilanciare la torre in caso di forti terremoti o violente lotte di pokémon nei piani superiori. Fu costruita in onore di una famiglia di origini giapponesi, gli Sprout, che aveva migrato a Johto nel sesto secolo dopo Cristo. Si trattava di artigiani che nel tempo libero insegnavano ai giovani di Violapoli definiti “puri di cuore” la loro dottrina che consisteva nell’imparare la “nobile arte del entrare in contatto con la profondità dello spirito dei pokémon”. La durata del percorso spirituale non era fissata, poteva durare pochi giorni o interi mesi, dipendeva tutto dalle capacità dell’allenatore di apprendere gli insegnamenti del Maestro Vico. Tutte le più grandi personalità della storia erano stati allievi della Torre Sprout: Dream, Rosso, Giovanni, persino Lance poteva vantarsi in qualche modo di aver frequentato quella speciale scuola; la leggenda narra che l’allenatore di Ebanopoli si era recato dal Maestro Vico per chiedere di ricevere l’addestramento, ma questi si rifiutò quando percepì che il ragazzo possedeva tutta la conoscenza che poteva trasmettergli.
I saggi della Torre Sprout erano così importanti per la formazione degli allenatori che tutti gli insegnanti della Scuola per Allenatori di Violapoli erano stati loro allievi. Da qui nacque un importante e duratura collaborazione tra i due istituti nata nei primi del Novecento e continuata senza mai interrompersi. Gli allievi della Torre avevano a disposizione delle camere all’interno della Scuola per Allenatori per seguire meglio l’addestramento.
 
Dream aspettò che Michael finì di fotografare il panorama con il proprio Interpoké per poi cominciare ad incamminarsi sul ponte per accedere alla Torre Sprout.
«L’anziano Vico è una persona molto attaccata alle tradizioni ed è intransigente, parecchio. Non parlare se non ti ha posto domande e quando te le pone, rispondi in maniera rapida, circoscritta. Risposte eccessivamente lunghe gli permetteranno di instaurare il dubbio dentro di te, è un mago nel farlo. E una volta che instaura il dubbio, ti spezza, ti mastica e ti sputa dall’ultimo piano della torre... quasi letteralmente».
Michael rimase con la bocca semi aperta, sconvolto da quello che aveva sentito.
«Come letteralmente?!» chiese spaventato Michael.
«Ho detto quasi...» tentò di minimizzare Dream con un sorriso sadico sulla faccia.
«Perché la cosa non mi tranquillizza?».
«Perché non hai una mente libera, perché hai i paraocchi. Vico non ha mai ucciso nessuno, al massimo mandava le persone in vacanza sul cornicione della torre...».
«Bene...» rispose Michael con un passo che si faceva via-via più incerto ogni qual volta che Dream aprisse bocca per spiegare meglio la situazione all’interno della Torre Sprout.
«Prima del test di ammissione ci sarà un colloquio per valutare se sei all’altezza del tutto. Se supererai il colloquio potrai provare la prova pratica, che consiste nello sfidare diversi saggi e se ci riuscirai, potrai accedere all’agognato addestramento. Poche persone riescono a convincere Vico a provare la sfida dei saggi, quindi vedi di non mandare tutto a monte».
I due ragazzi arrivarono davanti al grande portone d’ingresso dell’edificio. Era massiccio sebbene fosse completamente di legno scuro.
«Come mi devo rivolgere a lui?» chiese Michael con voce tremante.
«“Maestro” durante il colloquio. Se ti concederà il test dovrai chiamarlo “Sensei”, è un termine giapponese che significa insegnante. Qui sono molto legati alle tradizioni giapponesi, parlano la nostra lingua, ma utilizzano comunque i suffissi tipici del loro Paese di origine. Ah, soprattutto, devi dargli del Voi».
«Tu che grado hai?».
«L’ultima volta che sono stato qui mi chiamava Dream-kun, ma mi ha promesso che se avessi fatto grandi cose sarei stato onorificato del suffisso “dono”. “Kun” è il suffisso che utilizza nei confronti degli allievi, se sarai accettato tu sarai Michael-kun, “dono”, da quello che ho capito, viene utilizzato quando si nutre un gran rispetto per una determinata persona».
«E per te nutre un gran rispetto?»
«Sono un suo allievo e come tale si aspettava grandi cose da me e di certo non sono rimasto con le mani in mano, a differenza di Rosso» pronunciò Dream con una certa soddisfazione nella voce.
«Rosso? Il ricercato?»
«Proprio lui» disse Dream, ponendo la mano sulla maniglia e aprendo la grande porta.
Michael si incamminò verso l’interno dell’edificio e quando il suo piede destro superò l’uscio si girò indietro, cercando uno sguardo rassicurante nel volto di Dream che invece rimaneva freddo.
«Pensi che ce la possa fare?»
Dream alzò lo sguardo al cielo, spinse con forza Michael in avanti e si chiuse la porta alle spalle: «Se ce l’ha fatta Giovanni a venir preso sul serio ce la puoi riuscire a fare qualsiasi cosa».
Il piano terra della Torre si presentava come un enorme salone formato da numerose colonne in legno e due statue di Bellsprout poste ai lati del grande pilastro mobile al centro della stanza.
Non vi erano finestre e la luce prodotta proveniva esclusivamente dai numerosi ma piccoli candelabri appesi ai muri.
Dream fece strada, e cominciò a dirigersi sicuro di sé verso le scale.
Il percorso per raggiungere il terzo piano non era certamente banale, bisognava salire e scendere numerosi scalini sparsi tra i piani, passando sia per corridoi stretti ma anche per enormi saloni, sempre  con la sensazione di esser seguiti da una misteriosa aura, come se qualcuno li stesse osservando costantemente.
La sensazione sparì non appena raggiunsero l’ultimo piano.
Si trovarono in una piccola stanza con le pareti chiare, illuminate dalla luce solare che filtrava attraverso dei pannelli bianchi posti sui muri e sul soffitto. A terra, posati contro il muro, erano presenti tre cuscini fucsia di forma quadrata, mentre, sul lato opposto era invece presente una scrivania di legno chiaro con un computer sopra. Alla scrivania era presente una donna, con i capelli castani legati dietro, vestiva un kimono di color viola.
Si chiamava Cristina, una quarant’enne che non dimostrava più di vent’anni. . Aveva un viso tondo e il naso a punta, verso l’insù. Nonostante gli abiti, tipicamente orientali, Cristina non proveniva da una famiglia del Sol Levante, era nata e cresciuta a Violapoli, nel piccolo quartiere dove la famiglia Sprout si era insediata da generazioni. Le due famiglie furono da sempre in contatto e fu solo per questo l’unico motivo per cui il Maestro Vico accettò che una persona occidentale potesse prendere il ruolo di gestione della Torre.
Michael e Dream si sedettero nella sala d’attesa e aspettarono silenziosamente che la donna diede loro il permesso di accedere nell’altra stanza.
«Ah, un’ultima cosa Michael» pronunciò Dream sottovoce, per assicurarsi che Vico, nella stanza affianco non li sentisse, «I saggi utilizzano Bellsprout e Hoothoot. Ma questo non significa che siano persone facili da battere. Non commettere questo errore di valutazione, hai davanti a te alcuni degli allenatori più forti che tu possa mai incontrare. Non prenderli sottogamba».
Quando la porta si aprì, Michael balzò in piedi improvvisamente al contrario di Dream che lo fece molto tranquillamente, osservarono due uomini calvi, vestiti con un kimono nero uscire a testa bassa e poi aspettarono un cenno della donna per entrare nella stanza.
Il salone che si apriva davanti ai loro occhi era totalmente differente da quelli visti in precedenza. Era pulito, curato, con un ampio soffitto e illuminato, come la stanza precedente, dalla luce solare.
Sul fondo era presente un uomo calvo, seduto sulle ginocchia con una lunga barba bianca che partendo dal viso scorreva lungo tutto l’addome arrivando a toccare il pavimento. Vestiva una tunica color giallo canarino con gli orli color viola. I suoi occhi erano chiusi e non si aprirono neanche quando i due ragazzi cominciarono ad avvicinarsi.
Dream e Michael si sedettero, in ginocchio anche loro, sui due cuscini davanti all’anziano e lo osservarono in silenzio per parecchi minuti, con il biondo che cominciò a guardarsi attorno con il suo fare frenetico, mentre Dream rimaneva fisso nell’osservare il suo Maestro.
«Sento… sento una forte agitazione. La percepisco come fonte di disturbo» disse Vico. Aveva una voce profonda e forte, tanto da rimbombare in tutto il locale. «Tu! - i suoi occhi si aprirono di colpo ed erano fissi su Michael - Tu! Perché sei venuto qui per disturbarmi?».
Il campione di Unima puntò i suoi occhi su Dream che invece inarcò le sopracciglia che lo invitò a rispondere, portando lievemente la testa verso il Maestro.
«Maestro, il mio nome è Michael e provengo da...».
«Non ti ho chiesto la storia della tua vita – lo interruppe gridando Vico. I suoi occhi erano quasi fuori dalle orbite e la sua voce aveva fatto tremare il pavimento di legno pregiato – ti ho chiesto per quale motivo sei venuto a disturbarmi nella mia casa. Capisci la nostra lingua? Preferisci per caso che parli giapponese?» chiese l’uomo senza diminuire il tono della voce.
«No».
«E allora per quale motivo sei venuto qui a disturbarmi?!» chiese l’uomo, tornando poi a chiudere gli occhi.
«Maestro, io sono venuto qui per chiedere, umilmente alla vostra persona, di concedermi l’addestramento».
Una risata fragorosa partì dalle fauci di Vico che aveva riaperto gli occhi: «Chiedere? Tu hai dignità per chiedere? E cosa sei?!».
«Non volevo offendervi, Maestro» pronunciò il ragazzo abbassando la testa.
«Uno scarafaggio non potrà mai offendere una montagna, anche se questa è sacra. Tu lo sai di essere uno scarafaggio?».
«Sì».
«E tu lo sai che io sono la montagna?».
«Sì!» esclamò Michael con le mani che tremavano.
«Hai paura?» pronunciò con uno sguardo sadico.
«Sì».
«E fai bene...» Vico si alzò in piedi con uno scatto e cominciò a camminare attorno ai due ragazzi. Dream lo seguiva con lo sguardo, Michael rimaneva con la testa bassa.
«Con un cenno della mano potrei romperti l’osso del collo, se lo volessi. O aprirti lo sterno, se solo lo volessi. O spaccarti la spina dorsale. Vuoi che lo faccia?» chiese l’anziano avvicinandosi con il volto al ragazzo.
«No!».
«Da dove vieni?» ricominciò l’uomo, tornando a camminare attorno ai due giovani.
«Dalla regione di Sinnoh».
«E cosa hai fatto di importante nella tua vita da scarafaggio?».
«Sono Campione della Lega di Unima» pronunciò alzando la testa e cominciando ad osservare negli occhi Vico, che sorrise impercettibilmente per qualche secondo.
«Sei Campione e hai paura di uno stupido vecchio come me?» chiese con un tono di voce volto a sbeffeggiarlo.
«Sì».
«Mi stai dando dello stupido vecchio?».
«No!»
Vico ricominciò a ridere divertito, i suoi occhi si posarono brevemente su Dream,  poi tornarono sul Neo-Campione: «Sei confuso, scarafaggio?».
Michael annuì e poi rispose di sì.
«Una mente confusa è una mente che assorbe troppo ma è troppo pigra per capire. Una mente confusa è una mente viva. Io entrerò nella tua mente, la aprirò ai più grandi precetti della nobile arte del entrare in contatto con la profondità dello spirito dei pokémon e te la restituirò. Sarai capace di volare, sarai capace di pensare e sarai capace di vincere laddove perderai.
Io non ti renderò uomo, io non ti renderò un buon allenatore. Io ti renderò un guerriero. Difenderai i debole dall’infamia del mondo e dall’ipocrisia che lo compongono e come arma non avrai una spada, ma avrai i tuoi pokémon.
Essere un membro della Torre Sprout è un compito importante, ne accetti tutti gli obblighi e le responsabilità che ne derivano?» l’anziano apparve improvvisamente più calmo ma non meno deciso di quanto fosse in precedenza.
«Sì, Maestro!» rispose Michael sicuro di sé.
«Da oggi, per te, io sono “sensei”. I miei antenati non hanno sopportato secoli di discriminazione perché la nostra Torre venisse sporcata con la vostra cultura occidentale. Dream-dono, saluta il tuo amico, lo rivedrai a fine allenamento» gridò l’uomo facendo un gesto che tagliò l’aria.
Dream annuì, poi si alzò in piedi e porse la mano destra verso Michael che si era rimesso in piedi, «Buona fortuna, Michael. Sono sicuro che farai un grandissimo lavoro».
«Grazie, Dream».
«Michael-kun, il test per verificare il tuo addestramento comincerà alle sei di mattina. Dovrai sfidare sei saggi senza poter ricorrere all’aiuto di Centri Pokémon. Se riuscirai a batterli, io sarò qui ad aspettarti.
Mangerai quando te lo dirò io, respirerai quando te lo dirò io e andrai a dormire quando io te lo dirò. Se sarà necessario, dovrai morire anche per me. Sono stato chiaro?».
Michael guardò perplesso Dream, deglutì e poi rispose affermativamente alla domanda, Vico gli diede l’ordine di lasciare immediatamente l’edificio.
«Dream-dono, seguimi – disse l’anziano mettendosi in piedi – è l’ora del the nel Giardino», l’uomo raggiunse la porta scorrevole dietro di lui e la aprì con un gesto semplice, mostrando un enorme giardino.
Dream lo raggiunse rapidamente e cominciarono a scendere la lunga rampa di scale che dal terzo piano conduceva fino all’esterno dell’edificio.
«Dream-dono, è stata una sorpresa la tua visita».
«Spero che non vi siate offeso sensei se non sono passato per tutto questo tempo…» pronunciò Dream con evidenti sensi di colpa per la sua lunga assenza.
«Dream-dono, la Torre Sprout è un luogo di disciplina e di cultura, non di cortesia. Noi non ci aspettiamo che la gente venga a trovarci, noi ci aspettiamo che i nostri allievi portino avanti quello per cui hanno studiato».
I due arrivarono davanti ad un piccolo ponticello costruito per attraversare uno stagno di color verde scuro. Camminandoci sopra, Dream osservò per un momento l’acqua e gli parve di vedere al suo interno un Mudkip che nuotava.
«Non soffro di déjà vu, Dream-dono, ma parlando con quel ragazzo ho avuto una sensazione di già visto, di già vissuto. Ho capito perché hai voluto accompagnarlo qui e sono sicuro che parlandoci hai avuto la stessa sensazione che ho avuto io, vero?»
Il ragazzo tentennò un po’ prima di rispondere: «Vi riferite al fatto che…»
«Mi riferisco al fatto che ti ritrovi chiaramente in lui. La stessa inesperienza correlata ad una grandiosa sete di conoscenza. Non lo avrei mai accettato come allievo se non avessi riscontrato queste caratteristiche. Però... – l’uomo indugiò per un momento e per la prima volta davanti ad un estraneo – però non riesco a togliermi da dosso quella sensazione che tu provi dell’odio nei confronti di quel giovane. Oh, la percepisco chiaramente».
«Quel ragazzo... non ha alcun rispetto per le situazioni passate, per le situazioni personali. E’ un cazzo di mostro, entra dentro di te, fa tabula rasa di quello che hai, di quello che hai ottenuto, ti annichilisce e poi se ne va chiedendo ringraziamenti o aiuti. Mi creda, sense, l’altra sera c’è mancato davvero poco che gli fracassasi la testa con l’utilizzo di un masso».
«Paura delle critiche, Dream-dono?» fece l’uomo alzando perplesso il sopracciglio.
«No... cioè, non credo...».
«Sai, Dream-dono, non sono più molti i ragazzi che ci vengono a chiedere insegnamento» l’uomo posò le mani sulla ringhiera in legno del ponte, si mise ad osservare il panorama.
«Come mai, sensei?»
«Stanno facendo una campagna denigratoria nei nostri confronti. Vogliono farci chiudere. Dicono che siamo un luogo dove insegniamo la sovversione nei confronti dello Stato. Ho deciso di non accettare più tanti studenti come una volta, solo persone che so che non mi deluderanno...” chiuse gli occhi e fece un ampio respiro: «Archer!  - e tirò un colpo sul legno fino a creparlo – Atena! Maxus! Milas! Giovanni!» ripeté il gesto per ogni nome pronunciato, poi, ruotò sul posto rapidamente e camminò verso il gazebo dove era presente un piccolo tavolino con due tazze di the caldo.
Dream lo seguì rapidamente e si sedette di fronte il suo Maestro.
Archer, Atena, Maxus e Milas erano gli uomini di punta del Team Rocket prima e del Governo dopo. Alcuni di loro andarono a ricoprire la carica di Governatore delle regioni federate, altri rimasero a gestire il Partito.
«Sensei, non so se lo ha saputo, ma io ho abbandonato la carriera di allenatore di pokémon» disse Dream osservando molto attentamente Vico, cercando di captare una qualsiasi reazione sul suo volto che però non apparve.
«Tu non hai lasciato la carriera da allenatore. Hai semplicemente preso una pausa, che è totalmente differente. Prima che Rosso partisse per l’esilio, è passato a trovarmi. Avrei voluto cavargli gli occhi per esser rimasto sul Monte Argento per molti anni, ma mi ha voluto avvisare che il mio allievo prediletto, di cui non avevo notizie per molto tempo, ha delle strane idee in mente, diceva che ti sentivi mediocre.
Io – gridò l’uomo agitando la mano destra in aria - non ti permetterò di venire qui ad infestare questo posto con questa ipocrisia che ti porti dietro dicendo che ti senti un allenatore mediocre. Non ti senti un allenatore scarso, perché sai di non esserlo! Quel ragazzo ha risvegliato in te una voglia di rimetterti in gioco senza precedenti, ecco perché l’ho accettato, perché è riuscito a schiodarti dal tua comoda poltrona in pelle e a portarti qui. I mediocri non riconoscono l’importanza di un buon colloquio. Tu sei ancora qui, invece, quindi non sei mediocre. Non devi lasciar sfuggire la voglia di rimetterti in gioco o invece che essere uno dei miei migliori allievi sarai la mia più grande delusione. E adesso bevi il the, è un ordine!».
Dream portò la tazzina alla bocca, soffiò delicatamente e poi lo assaggiò, la temperatura era ottima, cominciò a berlo lentamente.
«Lo so come ti senti  - ricominciò l’uomo pacatamente - pensi che ti accuserebbero di incoerenza, non sai come affrontare il pensiero delle persone se torni a fare quello che facevi una volta. Sono tutte sciocchezze! – Vico batté con forza il pugno sul tavolo – Sei un allenatore, è il tuo destino, mi sono spiegato?».
«Il punto, sensei, è che temo di non avere più la forza…».
«Forza! E’ di questo che si tratta allora? Non ti ho insegnato ad esser forte. Ti ho insegnato ad esser coraggioso, abile e saggio.
Quello che ti manca è la gioia di fare il tuo mestiere, ma sono pronto a fornire una terapia rigenerante per far sì che tu possa tornare ad essere il grande allenatore che vidi anni fa alla Conferenza Argento.
Il primo settembre ti recherai a Borgo Foglianova, nella tua città natale. Assisterai alla consegna dei diplomi ai nuovi allenatori, così ti ricorderai del passato e accetterai il tuo futuro.
C’è stato un tempo, molti anni fa, in cui decisi di prendermi una pausa dal mio incarico. Decisi di girare per il mondo, di conoscere nuove città. In dieci anni di viaggio ho imparato meno di quanto potessi imparare in due mesi da anziano della torre, e sai perché? Perché non era il mio compito quello del viaggiatore. Avevo dimenticato le mie origini e senza radici l’albero cade».
Dream non rispose, continuando a bere il the.
«Pensi che sia un discorso conservatore?» chiese l’anziano continuando ad osservare Dream.
«In tutta sincerità – rispose il ragazzo, ponendo la tazza sul tavolo – sì, sensei».
«E hai ragione, io sono un conservatore e non me ne vergogno. Perché cambiare le cose quando funzionano?
Vedi, nonostante teniamo alle tradizioni, non siamo insensibili al progresso tecnologico. Quando si ferma un certo oggetto, prima di buttiamo capiamo se possono essere le batterie ad essere scariche, le cambiamo, e questo comincia di nuovo a funzionare. Alla tua carriera si sono scaricate le batterie, ora gliele ricarichiamo o non mi chiamo più Vico.
In tutta onestà, sei un giornalista piuttosto mediocre, fai interviste cattive, pretenziose. Lo stesso non si può dire di te allenatore. Se non sapessi chi sei, mesi fa avrei scritto una lettera alla tua direttrice chiedendo il tuo licenziamento, ma non l’ho fatto perché capii che avevi bisogno del tuo tempo. Ma lo vedo nei tuoi occhi che è tutto finito. Non hai più bisogno di una pausa, ora devi solo ricominciare e hai paura di farlo. E’ normale, ma se ti aspetti che io rimanga inerme nel leggerti insultare ragazzini, ti sbagli di grosso. Mi sono spiegato?».
Dream lo osservò per qualche istante in silenzio, poi rispose affermativamente.
La seconda bomba in due giorni sulle certezze che Dream aveva. Ormai la diga era stata rotta e l’acqua stava scendendo a valle, distruggendo tutti i villaggi. Simulò di stare bene, mentre dentro di sé sentiva l’aria venire meno, soffocare e la bombola dell’ossigeno era lì, a pochi passi davanti a sé.
E avvenne la scissione dell’anima. Se un Dream era agonizzante a terra, cercando disperatamente di avvicinarsi all’ossigeno, un altro Dream lo osservava soddisfatto tenendo in mano una Pokéball che lanciava in aria saltuariamente, riacciuffandola in mano con sicurezza.
Gli tornò in mente quando il giorno dopo della sua nona vittoria alla Lega si trovava in solitaria sulla spiaggia di Olivinopoli, osservando il tramonto. Un giovane gli si avvicinò e cominciò ad insultarlo e a dirgli che doveva lasciare posto agli altri. Dream non lo guardò mai negli occhi, ma prima di volare via su Pidgeot pronunciò a bassa voce: «La verità è che non vi libererete mai di me, fatevene una ragione» ed ora, una parte di sé, voleva tornare ad uscite di quel tipo.

   
 
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