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Autore: syontai    05/09/2014    6 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 52
Tentativo fallito

Jackie non sapeva nemmeno più dove stava andando, tanto era animata dalla rabbia. Il suo unico obiettivo era trovare Lara e farsi restituire le mandragole. C’era poco da scherzare con quella merce...Liquidò in fretta ogni richiesta da parte della servitù e si ritrovò a cercare in ogni angolo delle cucine, delle stanze, si azzardò perfino ad affacciarsi alla sala del trono, ben sapendo che la probabilità di trovarla lì era notevolmente bassa. Dopo innumerevoli ricerche la trovò in giardino, sul lato nord-est del castello, appena sopra il campo di allenamento, seduta su una panchina di pietra, all’ombra di un ciliegio circondato da cespugli di rose bianche. Aveva gli occhi socchiusi e si godeva l’ombra e la frescura dell’albero, forse ignara del fatto che lei si fosse già accorta dello sporco trucco. Incespicò in mezzo all’erba del prato, che necessitava di una ricca potatura e si trovò faccia a faccia con Lara, che ancora non si era resa conto della sua presenza. Una piccola fontana frusciava alla sinistra della panchina: un putto rannicchiato, con le braccia che tenevano strette le ginocchia al grembo e le ali raccolte, dalla cui bocca aperta usciva un rivolo di acqua. Tutto intorno si susseguivano sentieri di ciottoli che si intersecavano disordinatamente, senza un vero e proprio disegno geometrico, interrompendosi solo di fronte alle imponenti mura, parecchi chilometri più in là. Strinse forte il pestello che nascondeva dietro la schiena, reprimendo la forte tentazione di usarlo come arma per porre fine alla vita di quell’impicciona. Ma dando una rapida occhiata era chiaro che le mandragole non erano lì con lei e ne aveva bisogno. Inoltre non poteva rischiare che avesse dato disposizioni affinché venisse riferito tutto a Jade in caso le fosse successo qualcosa.
“Lara”. Subito richiamò le attenzioni della serva, che sollevò il capo gongolante e mostrò un sorriso rilassato. Sapeva di avere in pugno la sua alleata, la situazione si era ribaltata a suo favore. “Penso tu abbia qualcosa che mi appartenga” continuò con indifferenza Jackie con le labbra livide e ridotte a una linea sottile e gli occhi ardenti d’ira. Lara si alzò, sempre con un irritante sorrisetto, e si avvicinò alla fontana, per poi aggirarla agilmente e appoggiarsi con i gomiti sul bordo.
“Non so di cosa stai parlando...d’altronde non so neppure tu cosa stia macchinando e ad essere sincera sono stanca di essere tenuta all’oscuro di tutto quello che succede al castello. A cosa ti serve la Mandragola?”. Quella domanda così diretta la spiazzò completamente e prima che potesse pensare a qualche scusa, Lara riprese a parlare. “Attenta alla tua risposta, ho il modo di far arrivare quella sorpresina dritta alla regina e non penso che un medico ci metterà tanto a capire quale sia il suo utilizzo”. Jackie aprì la bocca per ribattere ma fu costretta ad ingoiare ogni singola parola: aveva sottovalutato quella ragazza e la sua cieca infatuazione per il principe e così aveva abbassato la guardia, non credendola capace di arrivare a minacciarla. “Il tempo passa e ancora non hai detto una parola...quanto intendi farmi aspettare, Jackie? Perché io non ho intenzione di attendere così tanto” insistesse la giovane serva, passando l’indice sulla superficie dell’acqua e compiendo dei movimenti circolari, mentre la fontana gorgogliava e riempiva così quel silenzio inesorabile.
“Va bene, hai vinto, ti racconterò tutto”. Jackie sapeva riconoscere una sconfitta e Lara era riuscita ad anticipare le sue mosse in modo parecchio astuto; aveva capito che nascondeva qualcosa da chissà quanto. Si mise seduta sulla panchina e si guardò intorno: non voleva certo che il suo segreto venisse udito da qualcun’altro; già per lei era uno sforzo disumano rivelarlo a quella che considerava una sciocca ragazzina. “La Mandragola è una pianta rarissima che si trova esclusivamente nella Palude di Jolly. Le sue radici servono per preparare una soluzione molto particolare e poco nota, in grado di gettare sulla vittima a cui viene somministrata una sorta di maledizione. Le radici infatti contengono un potente allucinogeno capace di realizzare le paure più grandi di una persona, facendole così vivere un incubo ad occhi aperti. Queste ombre costituiscono un tormento eterno di cui è impossibile liberarsi, a meno che non venga interrotta la somministrazione dell’intruglio. In tal caso esse sparirebbero con il passare del tempo. A lungo andare inoltre le visioni della Mandragola portanto alla follia”. Lara alzò un sopracciglio visibilmente sorpresa: aveva immaginato che la pazzia di Jade fosse stata causata da qualcosa, ma non pensava certo che la sua alleata avesse escogitato un piano tanto astuto e geniale. Se la regina non fosse stata più in grado di avere il controllo delle sue azioni, Jackie, sua intima confidente, sarebbe diventata di fatto colei che avrebbe preso le decisioni, insinuando i suoi pensieri in quelli di Jade e facendole credere che fossero frutto della sua testa. “Non male la tua idea, ma non penso che questo mi porti qualche vantaggio, sfortunatamente” esclamò Lara, con uno strano scintillio negli occhi. Jackie si mantenne fredda e risoluta, ma dentro stava letteralmente impazzendo: e adesso? Sicuramente la ragazza avrebbe richiesto un prezzo per il suo silenzio, sperava solo non si trattasse di qualcosa di impossibile da realizzare. Ancora non era in grado di manipolare Jade completamente a suo piacimento, quindi non era certa di poter rendere felice la sua ricattatrice.
“Sarò chiara e diretta, Jackie...prima ti ho detto di rivolere Leon ed è ancora così. Ma non mi basta, ora che sono venuta a conoscenza del tuo piano”. Prese qualche secondo di pausa, godendosi l’angoscia che traboccava dalle pupille dilatate di Jackie. “Io voglio sposarlo. Lo pretendo e mi sembra uno scambio equo: il mio silenzio per questo matrimonio”.
“Davvero credi che Leon ti sposerebbe?” sbottò innervosita l’altra. Quella richiesta non era del tutto infattibile ma non era nemmeno una passeggiata.
“Non mi interessa quello che vuole il principe, qui parliamo di quello che voglio io. E tu mi aiuterai, se non vuoi finire senza testa”.
Jackie si costrinse a ingoiare quell’ennesimo boccone amaro: non aveva scelta. Doveva fare in modo che Jade annullasse il matrimonio con Ludmilla e costringesse Leon a sposare una serva...le sarebbe servita una buona dose di fortuna per un’impresa del genere. La regina di Cuori teneva molto all’alleanza con Quadri e il loro accordo si fondava su quel matrimonio. Come avrebbe fatto a spezzarlo? Doveva cominciare ad agire sulla mente di Jade e portarla a seguire ogni suo ordine. Si, poteva farcela, ormai era un bel po’ di tempo che era sotto l’effetto della Mandragola e un tentativo per vedere fino a che punto fosse ormai priva di senno non era un’idea tanto malvagia. “Perfetto, comincerò a parlare con la regina per convincerla a far sposare Leon con te...mi ci vorrà qualche mese”
Lara storse il naso: “Così tanto?”. “Questo è il massimo che posso fare...non faccio mica miracoli!” la riprese Jackie inacidita, facendola sussultare. Quella donna continuava a incuterle un certo timore, anche se era certa di aver ottenuto ciò che voleva, ossia Leon. Già poteva pregustarsi la scena: la faccia sconvolta di Violetta mentre lei e il principe Vargas si scambiavano la promessa di eterna fedeltà; questo prima che venisse decapitata con sua estrema gioia, ovviamente. Però Jackie rimaneva pericolosa: era infida e fidarsi ciecamente di lei corrispondeva a scavarsi la fossa da sola.
“Non ho ancora capito il perché della tua fissazione con Leon...lascialo marcire nel suo amore, che presto verrà distrutto completamente. Capisco il tuo rammarico nell’essere stata accantonata in quel modo, ma perché insistere così tanto?” le chiese all’improvviso.
“Io e Leon ci siamo sempre capiti. Ci siamo aiutati e io gli ho dato tutto, ottenendo in cambio il nulla. So bene che lui può essere felice solo al fianco di Violetta, ed è proprio ciò che desidero per la mia vendetta. Lo voglio infelice insieme a me. Voglio leggere nel suo sguardo il dolore per non aver avuto ciò che desiderava, proprio come è successo a me quando ho capito che non avrei mai ottenuto il suo amore”. Si, meritava quel destino. Voleva vederlo soffrire, ormai non desiderava altro. Così avrebbe imparato cosa significava essere proprietà di qualcuno e rimanerne segnati per sempre. Lo amava, di un’amore profondo, logorante, ma quel sentimento che tanto veniva decantato le portava solo infelicità, perché quando lo guardava negli occhi leggeva una luce che non le apparteneva; quella luce apparteneva solo a Violetta e la invidiava per questo. Era contenta di potersi riscattare, anche se qualcosa le diceva che le strada da lei presa sarebbe stata irta di pericoli.
 
“Se Maxi prova a fare ancora rumore, giuro che lo butto dalla finestra” sibilò Dj, rivolto ad altre due persone avvolte nell’ombra. Era notte fonda nel castello ed era giunto il momento per loro di fare una prima perlustrazione. Con parecchia fortuna avevano evitato i turni di guardia e si erano infilati prima dentro una stanza stretta piena di armature gettate alla rinfusa e poi erano sgattaiolati fin dentro la biblioteca. Avevano rischiato di essere beccati quando Maxi al buio stava per inciampare nella stanza a causa di uno scudo addossato a un elmo. C’erano voluti i pronti riflessi di Andres per prenderlo al volo ed evitare una catastrofe.
“Scusate, ma non sono un gatto, e al buio non vedo un tubo!” rispose piccato Maxi, avvicinandosi alla tenue fiammella che risplendeva poco sopra l’indice del mago. “Questo non significa che puoi sentirti libero di comportarti come un elefante!” ribatté Dj, mentre esaminava gli scaffali della strana libreria da cui sentiva provenire una forte energia: estraeva un libro e osservava attentamente nel foro sperando di cogliere qualche indizio. Non sembrava un meccanismo difficile: doveva solo trovare gli interruttori per aprire il passaggio. Andres faceva la guardia vicino all’entrata della biblioteca per essere sicuro che non sopraggiungesse nessuno. Scartò subito quelli più polverosi: era convinto infatti che Jade controllasse che la spada fosse al suo posto periodicamente e si concentrò su quelli più curati; se infatti l’unico scopo di quei tomi era nascondere un meccanismo e farne da contrappeso non erano certo letti spesso. Scorse l’indice della mano sinistra alla ricerca di titoli noiosi e comuni che non invogliassero alla lettura, mentre con quello della mano destra continuava a farsi luce; ne trovò una decina parecchio promettenti. In una mezz’ora trovò quegli che gli interessavano e infatti togliendoli uno ad uno si sentiva il click di un meccanismo. Quando estrasse l’ultimo si sentì un rumore soffocato, poi la libreria schizzò in avanti rischiando di travolgerlo e scivolò di lato mostrando l’ingresso di un passaggio buio.
“Mi sento un genio!” esclamò il mago, voltandosi soddisfatto verso gli altri. Andres cercò di scrutare oltre quel buco, ma non si vedeva assolutamente nulla. Un bagliore dorato però illuminava il fondo: che fosse il riflesso di una luce? Forse la Spada di Cuori poteva illuminarsi. Scosse la testa incerto e si rivolse ai suoi compagni: “Entriamo?”. Di fronte a quel futuro ignoto tutti presero a guardarsi scossi da una profonda paura di ciò che si sarebbe potuto celare una volta attraversato il corridoio. Maxi deglutì quindi fece cenno di si, seguito da un altrettanto timoroso Dj, che temeva di non essere di alcuna utilità in quel frangente. La fonte di energia magica che avvertiva era forte e antica, qualcosa che sembrava trasmettersi dalla notte dei tempi. Gli procurava dei brividi lungo la colonna vertebrale e addirittura sembrava volersi insinuare nella sua testa per dissuaderlo. O forse per attirarlo nella trappola, non riusciva a dirlo con sicurezza. La luce divampò sempre di più nello stretto corridoio di pietra, pieno di ragnatele e polvere, tanto che Maxi starnutì. Dietro di loro l’ingresso rimaneva aperto, quindi c'era sempre la possibilità di tornare sui propri passi qualora se la avessero dovuta vedere brutta. Il bagliore dorato era sempre più insistente diventando addirittura accecante. Isintivamente si portarono le braccia davanti al viso per proteggersi e quasi rischiarono di inciampare addosso ad un piccolo scalino che conduceva dentro la stanza più strana e spaventosa che avessero mai visto.
Sembrava la realizzazione di un incubo. Priva di porte e finestre, la stanza era semplice e spoglia dalla pianta rettangolare. In fondo c’era una teca di vetro con dentro la spada di Cuori, ma acciambellato intorno ad essa un enorme serpente dorato, dalle sembianze di un fantasma, dormiva pigramente, facendo uscire la lingua biforcuta in un sibilo sommesso. Nel buio completo la luce proveniva unicamente da quell’essere mostruoso. “Oh, dannazione!” si lasciò scappare Andres a bassa voce, mentre osservava il corpo del guardiano che doveva superare certamente i dieci metri. Dj era rimasto a bocca aperta e in un religioso silenzio: di qualunque cosa si trattasse lui non ne aveva mai sentito parlare. Cercò di ripassare a mente tutto ciò che sapeva sulle creature magiche ma da nessuna parte era contemplato un enorme serpentone dorato. Forse erano ancora in tempo a scappare a gambe levate, ma arrivati fin lì almeno un tentativo per cercare di prendere la spada gli sembrava doveroso. D’un tratto gli venne in mente la favola dei topolini che gli raccontava il padre e in quella stanza si sentì proprio un topo in trappola.
“Chi ci prova?” domandò con voce tremante Maxi, che dovette fare un notevole sforzo per pronunciare quelle tre parole. Era sicuro che di lì a poco le gambe sarebbero crollate sul pavimento seguite da tutto il resto del corpo, ma non voleva apparire sempre come il debole della situazione, anche perché di pericoli ne avevano affrontati parecchi fino a quel momento. Andres fece per proporsi, ma il sibilio proveniente dalla creatura gli fece uscire solo aria. “Ci vado io, ho capito” concluse, cercando di darsi un tono, ma fallendo miseramente al solo fissare per un secondo dalla parte della teca. In punta di piedi, cercando di fare più attenzione possibile, Maxi si avvicinò sempre di più, fino a raggiungere il corpo dorato del serpente. Fece un altro passo ed ebbe un breve capogiro. Più avanzava più si sentiva debole e incapace di controllare i suoi movimenti. Qualcosa gli risucchiava le forze come una sanguiuga. Si voltò verso i due compagni con gli occhi socchiusi e l’equilibrio instabile e vide che lo stavano incitando in silenzio. La vista si fece appannata e quando trovò la forza per focalizzarsi nuovamente sul fondo della stanza, Andres e Dj si stavano sbracciando. Erano arrivati addirittura ad urlare qualcosa di incomprensibile. Silenzio, o il serpente si sveglia!, pensò intimandoli con lo sguardo. Non riusciva nemmeno a parlare, gli sembrava uno sforzo immenso. Si girò di nuovo e con estrema sorpresa vide solamente la lucente teca dentro cui giaceva la spada. Beh, ormai aveva praticamente fatto; mosse la mano a rallentatore chiedendosi come mai non riuscisse a mettere forza nella braccia e con la coda dell’occhio si rese conto perchè i suoi compagni erano tanto spaventati. Due occhi dal colore del miele, ipnotici e profondi lo osservavano con vivo interesse. Il serpente giaceva con la testa alla sua altezza e lentamente lo intrappolava tra le sue spire. Non sentiva lo stritolamento, ma era come se un veleno mortale gli venisse iniettato alla base delle gambe e la cosa peggiore era che non riusciva a muoversi. Ripensò alla morte della madre e del nonno, ripensò ai suoi propositi di vendetta nei confronti della regina Natalia e si sorprese di quanta strada era riuscito a fare, ma a quanto pare quella era la sua fine. Aveva sperato in una morte un po’ più gloriosa di quella, l’idea di essere ammazzato da una serpente di notte in una stanza segreta non era proprio confortante. Dj si fece avanti e corse fino a raggiungerlo, quindi pronunciò una formula che non riuscì a comprendere e una luce azzurra scaturì dalla sua mano, frastornandolo. Il custode fissò quella luce per qualche secondo e il mago lo afferrò per il braccio trascinandolo a fatica lontano. Il sangue tornò ad affluire al cervello e la vista tornò ad essere nitida, più si allontanavano.
“Ma cosa...” imprecò Dj, non appena si fu reso conto che l’incantesimo da lui lanciato non aveva avuto alcun effetto sulla creatura: avrebbe dovuto addormentarla e invece era solo vagamente intorpidita, nemmeno per merito suo. Un sibilo acuto gli fece accapponare la pelle: quella sorpresa non era stata di suo gradimento. L’animale si erse con il dorso fino a tocccare il soffito e mostrò le fauci come avvertimento di un attacco imminente.
Impedimentum Ventosum”. Un vento forte cominciò a soffiare dal nulla circondando i due e tentando di proteggerli. Era come se un ciclone avesse devastato la stanza e loro si trovavano proprio nell’occhio. Il serpente però non sembrò affatto impressionato e con una codata penetrò la difesa senza difficoltà e li scaraventò addosso a una parete. Dj si risollevò rapidamente, seguito da Maxi. Era ancora sconvolto: non solo aveva superato una delle sue barriere difensive più potenti senza battere ciglio, ma era riuscito anche a colpirli materialmente sebbene sembrasse un fantasma. Non si era mai sentito indifeso prima d’ora come in quel momento. Si morse l’interno della guancia, trattenendo un urlo terrorizzato di fronte alla consapevolezza che erano spacciati. Andres però lo afferrò per il braccio risoluto. “Dobbiamo andarcene di qui” esclamò con una freddezza impressionante, come se non si fosse reso conto che erano di fronte a un gigantesco mostro in grado di risucchiargli le energie e di respingere ogni sua magia. Indicò il corridoio, mentre osservava il serpente che faceva ondeggiare la testa quasi in segno di scherno. Forse non li avrebbe attaccati, forse era stato creato solo per proteggere la spada e non per uccidere. Altrimenti non si sarebbe spiegata l’assenza di catene per tenerlo relegato là dentro. Infatti mentre attraversavano la stanza, appiattiti alla parete la creatura si limitava ad osservarli attenta, pronta a scattare al primo passo falso. A tentoni trovarono il corridoio che li avrebbe portati in salvo e cominciarono a correre, mentre la luce si fece sempre più fioca e tornarono immersi nell’oscurità.
“No, ragazzi, parliamone! Un serpente del genere dentro un castello!” ebbe la forza di dire Maxi, accasciandosi sul freddo pavimento della biblioteca e cercando di riprendere fiato.
“Io non capisco come faccia a proteggere una spada...si tratta di un fantasma, o no?” si chiese il mago, con il respiro ancora irregolare per la corsa fatta.
“A me le sue fauci sono sembrate un motivo sufficiente per voler stare alla larga da quel coso” disse nuovamente Maxi, con gli occhi sgranati per il terrore.
“Quello senza dubbio, ma...non è possibile che abbia attraversato così la mia barriera, è come se la magia non avesse alcun effetto. Ma è impossibile! Insomma perfino l’incantesimo più potente deve avere un punto debole; non esiste una magia invincibile!”. Andres continuava a fissare insistentemente il punto da cui erano venuti. “Sarà meglio richiudere tutto. Non dobbiamo far capire a nessuno che abbiamo provato a introdurci lì dentro per prendere la spada”. Era deluso dal disastroso fallimento, ma almeno non era successo nulla di irrimediabile. Il solo pensiero di essere stato vicino ad uno degli oggetti magici che gli servivano per portare a termine la missione però gli faceva perdere la lucidità.
“Andiamo, così non va proprio!”. Andres, che proprio quel giorno aveva compiuto quattordici anni, quella che veniva definita l’età della comprensione, si rialzò imbestialito e incrociò le braccia al petto offeso. Quanto gli dava fastidio quel tono da saputello di Serdna. E dannazione, non era nemmeno il maggiore, erano gemelli!
“Se pretendi di imparare a combattere in un modo tanto rozzo...beh, non farai molta strada, fratello” sghignazzò Serdna, raccogliendo la spada di legno, costruita alla bell’è meglio. Il cortile della fattoria in cui abitavano era ormai dominato da erbacce selvatiche che crescevano disordinatamente; arrivavano perfino a coprire il recinto. “Senti chi parla! Serdna, hai le abilità fisiche del nonno...anzi, forse lui sarebbe perfino più agile” rispose a tono Andres, strappandogli l’arma di mano e menando dei fendenti a caso in aria. Il fratello sospirò, quindi si sedette poco vicino, a gambe incrociate, per studiare i suoi movimenti e analizzare cosa sbagliava. Esattamente come prima Andres diede troppa enfasi ad un colpo e finì sbilanciato in avanti, tornando di nuovo con il muso a terra. “Ahi” gemette, massaggiandosi la gamba dolorante e rialzandosi a fatica. Serdna lo guardava in modo eloquente ma comprensivo, mentre si sistemava gli occhiali circolari in modo che non gli scivolassero in avanti mentre tracciava qualcosa sul terreno con un ramoscello. Voleva far finta di nulla, ma la verità è che era curioso di sapere che cosa stesse scrivendo, quindi si avvicinò a passo lento, fino a scorgere delle figure geoemtriche, alcune intersecate tra di loro. Sotto c’erano numeri e lettere, ma di quelle cose lui non ne aveva mai capito nulla: era Serdna il genio di famiglia, lui invece aveva ereditato una discreta forza fisica unita all’agilità di una pantera. “Se tu cambiassi perno mentre sposti il peso in avanti, magari con un piccolo salto, probabilmente non perderesti l’equilibrio” si limitò a dire il fratello, alzandosi e porgendo la mano. Con un po’ di esitazione Andres gli consegnò la spada di legno, a cui era affezionatissimo e rimase a fissarlo mentre imitava, in modo molto meno fluido, i suoi precedenti movimenti. Quando fu il momento dell’affondo che gli aveva fatto perdere l’equilibrio, spostò il piede destro e con un piccolo balzo fece slittare il sinistro in avanti rimanendo così con la punta della spada dritta. Andres aprì la bocca per lo stupore: non riusciva a credere che perfino nelle arti del combattimento servisse il cervello, eppure grazie ai suoi calcoli il fratello aveva corretto l’errore che continuava a commettere.
“Se ti trovi di fronte ad un insuccesso non devi demordere, nè devi intestardirti. A volte si tratta solamente di trovare la chiave nascosta”.
“E che ci faccio? Ci apro un forziere con dentro un tesoro?” sghignazzò Andres, prendendolo in giro. L’altro lo guardò male per qualche secondo quindi scoppiò a ridere anche lui. In fondo era sempre stato così: erano due opposti, che però si completavano.
Al buio riusciva ancora a scorgere i due gemelli del passato che si rotolavano per terra a causa del troppo ridere, ma questo non lo aiutava certamente a stare meglio. Nella vita, quando sbagliava, c’era sempre stato Serdna a riprenderlo, a consigliargli la giusta via. Adesso era lui a dover consigliare agli altri cosa fare e non si sentiva all’altezza: Dj sembrava ancora sconvolto per non essere riuscito a scalfire il serpente con la sua magia, Maxi invece continuava a tremare per il terrore. Non era il momento di perdersi nei ricordi: la sua squadra aveva bisosgno di lui. A volte si tratta solamente di trovare la chiave nascosta. Come aveva detto il mago ogni incantesimo ha il suo punto debole, semplicemente in quel caso era stato ben nascosto. “Sarà meglio muoverci, prima che vengano a controllare anche qui dentro” sussurrò ai suoi compagni che annuirono distrattamente. Per prima cosa dovevano tornare nella loro stanza sani e salvi.

Quella poteva definirsi la più strana riunione che era mai stata fatta a casa del Cappellaio Matto. Seduti intorno alla tavolata gli ospiti sorseggiavano silenziosamente il proprio te, a parte la Lepre Marzolina che invece era troppo agitata per prestare attenzione alle buone maniere. A capotavola sedeva Antonio, piuttosto stressato per il lungo viaggio che aveva dovuto fare in seguito alla chiamata dello Stregatto, che sedeva alla sua sinistra. Alla sua destra invece c’era Marco, che da quando era entrato in quella casa era certo di essere finito in una gabbia di matti. Ancora si chiedeva come mai il suo maestro avesse deciso di andare a trovare quella gente fuori di testa, ma aveva rinunciato a cercare di ottenere una risposta. Si limitava a estraniarsi da qualunque tipo di conversazione. Il Ghiro sedeva sopra una montagna di cuscini e sbuffava sopra il pon-pon del suo cappello da notte che gli copriva la visuale. Beto era intento a parlare con un vaso sul tavolo, dove si trovava una rosa scarlatta, i cui petali si piegavano fino a formare una bocca. Purtroppo il tasso non aveva potuto presenziare alla riunione a causa delle radici che non gli permettevano di muoversi, ma aveva sottolineato il suo desiderio di poter partecipare e per questo aveva dato la sua delega alla rosa, imponendogli di farsi anche come suo portavoce.
Fuori era buio pesto, e diversi candelabri intervallavano piatti di porcellana bianchi con sopra tartine o biscotti appena sfornati. “Nocciole!” strillò eccitato il Ghiro afferrandone uno con soddisfazione. La zampa avida infilò il biscotto in bocca in un solo boccone e le guance dell’animale si gonfiarono mostruosamente.
“Non capisco perché la ragazza si ostini a non capire!” esclamò la rosa. “La prima volta che l’ho incontrata mi era sembrata abbastanza all’altezza di Alice e lo pensa anche il Tasso”.
“Le uniche persone che ci sono arrivate finora si possono contare sulle punta delle dita” si intromise Antonio con la sua solita voce pacata. “Non possiamo aspettarci certo un miracolo. Camilla dice che comunque sta facendo progressi. Marco, potresti gentilmente attendere fuori? Abbiamo questioni molto importanti di cui discutere”.
“Vuole davvero che la lasci solo con...questi?”. Marco indicò con un’occhiata eloquente e altezzosa i presenti, ma il suo maestro fu irremovibile e facendosi una bella scorta di tè e biscotti, uscì fuori dalla casa, ringraziando il cielo che quella notte non fosse gelida come le ultime.
Non appena se ne fu andato calò un silenzio di tomba, quindi Camilla si alzò con l’aria di chi aveva appena ricordato un impegno importantissimo, e prendendo la tazza la fece vorticare al centro del tavolo. Il vapore che si levava da essa formò delle lettere dapprima sfocate, poi sempre più nitide.
“Conoscete tutti la profezia di colei che ci salverà, o almeno così si crede, dalla distruzione. In essa viene nominato un giovane dal cuore puro e penso che tutti voi concorderete sul fatto che si stia parlando di Leon”.
La Lepre Marzolina per poco non cadde dalla sedia. “Leon? Quel Leon? Ma quello è solo un rompiscatole, che non sa nemmeno divertirsi! Inoltre da quel che so è anche un assassino, non vedo proprio nulla di puro!”. Antonio agitò la mano con indifferenza: “Diciamo che il suo cuore è stato purificato dalla salvatrice, ma andiamo avanti”. Guardò Camilla con benevolenza, che dopo uno dei suoi sguardi stralunati, tornò a fissare la tazza che non la smetteva di girare, producendo parola sempre diverse che si disponevano una accanto all’altra.
“La vera e propria profezia però non è completa...noi la conosciamo interamente, dopo aver interrogato la figlia del Re di Picche. Si parla di un cuore spezzato e di un potere dettato dal dolore. E sarà proprio Leon a scegliere il destino della Prescelta”.
“Quindi siamo certi che Leon possa scegliere!” esclamò Beto, entusiasta. Antonio annuì: “Me ne ero già accorto quando sono venuto al castello. Marco mi ha raccontato del suo pentimento...un aspetto che Leon Vargas ha sempre dimenticato. E tutto succede grazie all’influenza di Violetta. Non capisco però in cosa consista questa scelta”.  
“Il problema non si pone più, perché una nuova profezia è stata incisa nella Grotta e credo che non sia possibile che venga fraintesa”. La tazza smise di girare e in aria rimasero le parole fumose, che formavano una frase: ‘Un amore distruttivo porterà uno dei due contendenti alla morte’. Nessuno disse nulla. Il Ghiro rimase a bocca spalancata di fronte a quella novità e tutti si scambiavano sguardi agitati, tutti tranne Antonio, che tirò fuori dalla tasca una pipa. La accese con un solo lampo nello sguardo e in pochi minuti grandi cerchi di fumo si sollevarono fino al soffitto. “Questo potrebbe costituire un problema. Dobbiamo quindi sperare che sia Leon a morire”. Sospirò, rivolgendo le sue attenzioni nuovamente a Camilla. “E Alice che cosa ci consiglia?”.
“Dice semplicemente di fidarci della Prescelta. Per ogni novità ci farà sapere”.
“E allora è quello che faremo”. I presenti annuirono, ma dell’atmosfera di festa di poco tempo prima non era rimasto più nulla. Adesso erano tutti angosciati dopo quella seconda profezia che metteva in discussione tutta la speranza riposta nella Prescelta.
Camilla si risedette, per la prima volta nessun sorriso sornione illuminava il suo viso. Ripensava al giorno in cui Antonio gli aveva chiesto di seguire il gruppo di rivoluzionari per aiutarli ed essere sicuro che compiessero la loro misssione. La Grotta della Profezia aveva predetto che Ana li avrebbe uccisi con i suoi poteri magici, ma grazie al suo aiuto invisibile Dj era riuscito a spezzare tutte le difese e a fuggire. Lei aveva ancora un margine di scelta, così come Antonio e Beto. Ed era successo grazie ad Alice. Adesso i rivoluzionari erano lì al castello, ma aveva interferito già troppo: adesso non c’era nulla che potesse fare per loro. Antonio gli aveva consigliato di smetterla perché sia lei che Beto stavano perdendo sempre più consistenza, riducendosi a dei fantasmi. In fondo a lei non importava di sparire per sempre, almeno avrebbe ottenuto la pace dopo quell’inferno. Con uno schiocco delle dita scomparve e si ritrovò sul tetto della capanna, stesa sul dorso a osservare le stelle. Quel mondo le aveva strappato l’unica cosa di cui le fosse mai veramente importato. Alice non era ancora giunta nel Paese delle Meraviglie quando aveva conosciuto un giovane boscaiolo di nome Sebastian. Da piccola era solita nascondersi dietro gli alberi per spiarlo e scomparire nel nulla quando lui si voltava dalla sua parte per poi riapparire sopra un ramo. Una volta però si era accorto della sua presenza e aveva cominciato a gran voce a chiamarla, dicendole che non le avrebbe fatto del male. Ma lei non si fidava degli altri e perciò rimase in disparte ad osservarlo. Sebastian, o Seba, come preferiva farsi chiamare le lasciava di tanto in tanto qualcosa da mangiare con un fiore sempre diverso: una rosa, una violetta, un girasole, un dente di leone. Cominciò a prenderci gusto e durante il giorno si divertiva ad indovinare che cosa avrebbe potuto regalarle.
Ma era inevitabile che si tradisse. Quando credeva che se ne fosse andato, al tramonto, allungò una mano per afferrare una pagnotta avvolta in un fazzoletto blu, con vicino un papavero, ma incontrò la mano di Sebastian, che le afferrò il polso, con un sorriso soddisfatto. ‘Ti ho preso’, aveva detto.
“Che cosa stai facendo?” una voce la chiamava in cima al tetto, distogliendola da quei ricordi dolorosi. Camilla non rispose, si limitò a sedersi con le gambe incrociate, osservando la sguardo folle ma allo stesso tempo paterno di Beto. “Pensavo e ricordavo”.
Il Cappellaio Matto capì subito a cosa si riferiva e a passo lento si sedette di fronte a lei, guardando le stelle che si distinguevano dalle fronde e che facevano a gara per fare capolino. Intrecciò le dita delle mani pensieroso. “Questo mondo è stato molto ingiusto con te, come lo è stato con me”.
“Tu intrappolato in una catapecchia e io invece che vago da un posto ad un altro...senza poter essere felice”. Camilla scoppiò a ridere ironicamente; prese la sua coda viola e cominciò a lisciarla con la mano destra. “Nessuno può capire quella ragazza meglio di me...lei non sa che dovrà ucciderlo. Non sa che lo perderà per sempre”. Una folata di vento freddo li avvolse e Beto rabbrividì.
“Se non avessimo incontrato Alice sarebbe stato molto peggio...costretti nei nostri ruoli, incapaci di poter fare qualunque cosa desiderassimo. Si, abbiamo dovuto pagare con la nostra sanità mentale, ma non è stata una scelta di cui mi pento”.
“Essere pazzi per essere liberi” lo canzonò Camilla, soffocando una risata. Se fosse venuta prima a conoscenza della verità avrebbe potuto salvare Sebastian dal suo triste destino? Probabilmente no, ma almeno ci avrebbe provato con tutte le forze.
 
Lena si stropicciò gli occhi, svegliandosi di colpo. Pensava fosse dovuto ad uno dei soliti incubi della sua compagna di stanza, ma il letto affianco al suo era vuoto. A metà tra il preoccupato e l’assonnato scattò in piedi, ma rischio di inciampare tra le coperte e ringraziò il cielo che fosse notte così da non dover sopportare la visione dei suoi capelli sicuramente paragonabili a un cumulo di fieno. Cercò invano di reprimere uno sbadiglio, ottenendo così che gli occhi le lacrimassero. Lasciò la sua stanza, ma non appena ebbe messo piede fuori avvertì dei tremendi brividi di freddo. Mentre sbucava nel salone principale si chiedeva come mai non si fosse portata uno scialle o qualcosa in grado di proteggerla da quel gelo. Di fronte a lei c’erano le porte che conducevano alle cucine. Si morse il labbro in cerca di una soluzione; una cosa era certa, doveva agire in fretta, perché le misure di sicurezza nel castello erano strettissime. Per di più Jade cercava solo un pretesto per incolpare Violetta di qualunque cosa e trovarla in giro in piena notte le avrebbe offerto l’occasione su un piatto d’argento. I denti battevano per il freddo e prese a sfregarsi le braccia con energia. Sebbene alcune fiaccole illuminassero la stanza tutto era immerso in un silenzio di tenebra. Non appena le arrivò alle orecchie un rumore di passi, si nascose in un angolino della stanza a destra della scalinata, in modo da poter vedere chi stesse per arrivare dalla zona est. Tre figure si muovevano silenziosamente e tra di loro, aguzzando la vista, ne riconobbe uno, il ragazzo dai capelli ricci che si era fermato ad osservare Violetta. Era pieno di polvere di calcinaccio, come se fosse andato a sbattere contro un muro e avanzava barcollando. Gli altri due invece si muovevano spediti senza battere ciglio e di tanto in tanto tendevano l’orecchio per essere sicuri che non stesse arrivando alcuna sentinella.
Perchè un medico dovrebbe muoversi di notte in compagnia dei suoi assistenti?, si chiese tra sè e sè, storcendo la bocca. Non si voleva immischiare in quella storia, perché non le piaceva affatto, quindi decise che avrebbe aspettato che fossero passati per tornare alla ricerca della sua amica.
Peccato che Andres avesse l’occhio abituato al buio e si rese subito conto che qualcosa non andava. “Qui c’è qualcuno” mormorò al mago, attento a non farsi sentire. Riconobbe una figura rannicchiata e scese le scale rapidamente, afferrando una torcia lungo una parete e puntandola contro l’angolo buio. “E tu chi sei?” domandò sprezzante, completamente spiazzato da quella ragazzina bassa e esile dai capelli biondo cenere. Notò che stava rabbrividendo, non solo per la paura, ma anche per il freddo.
“Faccio parte della servitù...stavo cercando una persona...”. Lo sguardo del ragazzo si addolcì e le porse la mano, afferrandola. Era fredda e tremava. “Dovresti bere qualcosa di caldo” le consigliò vivamente, trascinandola insieme ai suoi due compagni nella cucina, dove cominciò a prepare un tè.
“G-grazie” balbettò Lena. Non era abituata a tutta quella gentilezza e si sentiva parecchio a disagio. Continuava a torturarsi le mani perchè si trovava in una stanza da sola con tre estranei, alla ricerca di un’amica scomparsa nel nulla. Quella notte si stava rivelando davvero insolita. Non appena strinse tra le mani la tazza di ceramica con il tè, sentì un moto di sollievo inondargli il colpo ed emise un sospiro. Avvicinò il bordo alla bocca e sorseggiò piano: era dolce. Probabilmente quel ragazzo con la cicatrice ci aveva aggiunto anche un po’ di miele. In ogni caso era squisito ed era proprio ciò di cui aveva bisogno. “Va meglio?” chiese uno degli altri due, il medico. Annuì senza dire nulla e abbassò lo sguardo sulla tazza. Di nuovo tutte quelle attenzioni a cui non era abituata: si sentiva nervosa. L’unico che non la stava degnando di uno sguardo era il ragazzo moro dai capelli ricci e lo sguardo assorto. Aveva due occhi di un castano lucido, scurito da chissà quali pensieri. Era seduto su uno sgabello e poggiava un gomito su un piano di legno.
“Non ci siamo presentati. Io sono Andres...questo è Dj, il medico di vostra maestà, e l’altro è Maxi”. Indicò i due colleghi e tornò a fissarla con uno sguardo penetrante. Tempo aveva fatto alcuni apprezzamenti su Andres, e tuttora continuava a pensare che fosse affascinante, ma la metteva in soggezione. Quella cicatrice nascondeva un dolore tutt’altro che fisico e non era certa di voler indagare più a fondo. “Il mio nome è Lena” ebbe la sola forza di dire, prima di posare la tazza su un ripiano vicino ad una tinozza. “E sto cercando la mia compagna di stanza. Stanotte mi sono svegliato, ma non c’era. Voi forse l’avete incontrata” sussurrò speranzosa. Maxi alzò lo sguardo, improvvisamente interessato.
“Non abbiamo incontrato nessuno, mi dispiace” ribatté Dj, scrollando le spalle. Lena si abbattè per quella risposta, non che ci avesse sperato veramente, però la sua ricerca in quel modo ripartiva da zero.
“Sai dirci il suo nome?”. La domanda proveniva da Maxi, che aveva le braccia conserte e un’espressione severa. Prima di allora non aveva detto una parola e per questo Lena trasalì nel sentire la sua voce di colpo.
“C-certo...si chiama Violetta”. Quel nome ebbe un effetto devastante all’interno della cucina: Maxi sbiancò e sgranò gli occhi, Dj guardò con un accenno di terrore e proeccupazione Andres, il quale non aveva smosso un muscolo. Il ragazzo ricambiò lo sguardo e annuì, irrigidendo la mascella. Quel gruppo le stava sicuramente nascondendo qualcosa ma non aveva il coraggio di chiedergli cosa. Erano già stati fin troppo gentili con lei...non meritavano certo l’interrogatorio di un’impicciona!
Andres si passò i polpastrelli delle dita sulle tempie con aria stanca, ma risoluta. “Dobbiamo trovarla”. 









NOTA AUTORE: Premetto che sono una persona orribile perché non sono riuscito a rispondere alle vostre bellissime recensioni. Davvero, io vi imploro di perdonarmi, ma questo mese per me è stato e credo sarà un inferno, già mi sembra un miracolo che riesca ad aggiornare settimanalmente, e quindi niente, vi porgo le mie più sincere scuse. Venendo a noi, comunque (si, potete lanciarmi i pomodori), questo capitolo è diverso dagli altri, perché troviamo un po' tutti tranne Violetta che teoricamente è il personaggio principale. Lara ha incastrato Jackie, Andres e i suoi compagni hanno fallito la missione (e per il dispiacere di molti il serpente non si è mangiato Maxi xD) e per di più abbiamo una prima interazione tra Lena e il trio, PARECCHIO IMPORTANTE. In più il finale ci lascia un po' appesi (tanto per cambiare) perché non si capisce se l'assenza di Violetta sia dovuta al fatto che è in pericolo. Anche il blocco della riunione a casa di Beto è importante, e dovrebbe darvi alcuni importanti indizi e frammenti su questa storia complicatissima (ma io so che a voi piace arrovellarvi su queste cose...io ci ho messo settimane a metterla a punto, ma ok xD). Detto questo, vado di frettissima, vi ringrazio per le recensioni bellissime e spero che anche questo capitolo vi piaccia....grazie a tutti, e buona lettura! :3
syontai :D 
  
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