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Autore: Astoria Castoldi    09/09/2014    1 recensioni
Sono passati sei mesi e non so come andare avanti. Tutti i giovedì mi siedo sulla stessa maledetta panchina, aspettando di vederlo sbucare dal sentiero che porta a casa sua, sperando che tutto torni come prima.
Ma quante possibilità ci sono? Nessuna, ormai. Me le sono giocate tutte quando ho scelto di permettergli di andarsene, quando ho deciso di dipingergli un paio di ali e lasciarlo libero.

[...] Giro pagina, ed inizio a gettare parole sul foglio.
È ora di fare un salto nel passato, di cominciare dall'inizio e parlare di questa storia.
Genere: Demenziale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo settimo.
Hometown Heroes, National Nobodies.

 

Can you hear?
The crowd is calling: "Hey, sing louder now."
You've got to show them what it means to be alive.
Dancing through the night has never been so rock n' roll.


L'odore del caffè mi penetrò delicatamente le narici, facendomi aprire gli occhi.
Era mattina e Delia se ne stava seduta sul lavello della cucina, appena accanto ai fornelli, aspettando una delle sue quotidiane dosi di caffeina. A volte mi procurava un certo senso di timore: durante la giornata era solita bere almeno un litro di quella bevanda e mi chiedevo come facesse ad essere così calma. Nessun segno di schizofrenia, nessun tic nervoso. Sempre e solo lei, con il suo dolce sorriso dipinto sul volto fresco e perfetto.
Quanto a me, era insolito trovare tracce di perfezione sul mio corpo: profonde occhiaie erano radicate sotto i miei occhi stanchi, accentuate a causa della carnagione fin troppo chiara, e i miei capelli vivevano in uno stato che definire "selvaggio" sarebbe stato riduttivo; la continua inchiostrazione e colorazione delle tavole mi aveva portato ad avere sulle mani perenni macchie di china e altri materiali, e la mancanza di coordinazione completava l'aspetto della mia persona, facendomi sembrare sempre più goffa del normale.
Ma dopotutto mi piacevo, stavo bene con me stessa; certo, il cammino per arrivare all'accettazione era stato lungo e tortuoso, ma dal punto di vista fisico la mia autostima rientrava negli standard.
«Buongiorno, tesoro.» disse Delia, cordialmente «Vuoi un caffè?»
Sbadigliai, annuendo. Quando provai a stiracchiarmi, un leggero dolore si fece sentire dalla nuca fino alle spalle.
«Lo sapevi?» continuò, fissandomi con fare provocatorio «il letto è stato inventato apposta per dormirci sopra.»
Non ebbi la forza di rispondere al suo punzecchiare; riuscii solo a mostrarle un dito medio alzato, al quale lei contraccambiò tirando fuori la lingua.
«Quel disegno mi ha distrutta. Odio le commissioni dell'ultimo minuto.» borbottai, con la bocca ancora impastata dal sonno, mentre cercavo di alzarmi dalla panca per andare in bagno e concedermi una doccia.
«Sei tu che scegli sempre la soluzione più difficile.» mi incalzò Delia.
Scossi la testa, rassegnata dall'evidente correttezza della sua affermazione.
«Amo incasinarmi la vita, non posso farci niente.» commentai ad alta voce, allontanandomi dalla cucina.

La giornata si svolse come al solito, tra la calma apatica del negozio e la curiosità di cosa sarebbe successo quella sera; data la mancanza di affluenza di clienti, mi permisi di staccare mezz'ora prima del normale orario di chiusura.
Mi cambiai d'abito, giusto per rendermi un attimo presentabile, e mi truccai esagerando con l'eyeliner nero come da abitudine. Evidentemente mi piaceva sembrare una a cui hanno tirato due pugni ben assestati negli occhi.
Alle sei e mezza, Delia venne a prendermi in auto davanti al manga cafè. La sua puntualità mi faceva sempre venire i brividi.
Il locale dove si sarebbe tenuta la festa si trovava nella zona di Baltimora chiamata Downtown: poteva essere considerata il centro della città, un tranquillo agglomerato di quartieri e negozi vicino al mare. A causa del mio lavoro e l'appartamento che Delia ed io avevamo affittato (lontani anni luce dal porto o qualsiasi forma di svago giovanile), non avevo idea di come raggiungere il posto, ma fortuna volle che in quel periodo la mia coinquilina lavorasse come organizzatrice di eventi e che più di una volta si fosse già trovata ad avere a che fare con quel locale.
Arrivammo al luogo d'incontro in leggero anticipo, esattamente come previsto dalla tabella di marcia mentale che Delia aveva stabilito; ad aspettarci trovammo Zack e Alex, assieme a qualche amico della band. Sebbene questi ultimi non li conoscessi di persona, i loro volti mi sembrarono familiari. Pensai di averli visti girovagare per la scuola ai tempi dl liceo o qualcosa di simile, ma non diedi molta importanza alla cosa.
«Allora, quali sono?» chiese Delia, tirandomi una leggera gomitata per attirare la mia attenzione.
Le indicai velocemente i due ragazzi e ricevetti in cambio un assenso dal retrogusto soddisfatto.
«Davvero niente male...» riuscii a sentirla sussurrare.
Si voltò a fissarmi, con uno sguardo malizioso dipinto sul viso.
«Beh, cosa aspetti a presentarmeli?» chiese infine, ridendo. 
Scossi la testa e l'accompagnai da Zack e Alex, i quali si mostrarono felici di vederci. Purtroppo però le presentazioni furono rapide, poiché interrotte da un violento schiamazzare. Improvvisamente tutti i ragazzi presenti di fronte al locale corsero verso la stessa direzione, incontro a due persone che cercavano di raggiungerci: li vidi buttarsi addosso ad uno strano tipo alto e scheletrico, dalla buffa acconciatura bicromatica. Accanto a lui passeggiava un suo coetaneo dalla stazza più piazzata e i capelli rasati a zero. Ciò che più mi colpì di quest'ultimo fu il suo sorriso: smagliante, quasi da doversi mettere un paio di occhiali da sole per non rimanere accecati.
"Potrebbe fare il testimonial per una marca di dentifrici." pensai tra me e me.
«Ecco, sono arrivati anche Jack e Rian.» disse Alex, tirando un sospiro di sollievo. Poi si rivolse a noi: «Venite, così ve lì presentiamo.»
Lo presi per un braccio.
«Aspetta. Dove metto il regalo?» gli chiesi. Dopo tutto l'impegno che avevo messo in quel lavoro, volevo assicurarmi che venisse consegnato.
Mi sorrise cordialmente, accentuando così le fossette ai lati della bocca. Pensai che avesse davvero uno splendido viso e automaticamente arrossii; la cosa mi fece in qualche modo spaventare, così mi allontanai leggermente da lui, posando lo sguardo sulla comitiva a qualche metro di distanza da noi.
«Tranquilla, lascialo in macchina per ora. Poi lo sistemiamo insieme agli altri.» rispose. Sembrava non essersi accorto di nulla, a differenza di Delia che mi fissava con un fastidioso sorriso compiaciuto.
Le lanciai un'occhiataccia e seguii Zack, che intanto si era incamminato. 
«Ragazzi, loro sono Sayu e Delia.» disse, rivolgendosi agli altri membri della band.
Il ragazzo dal sorriso smagliante si scoprì essere Rian, il batterista. Si presentò in modo gentile, senza risparmiare la visione della sua dentatura perfetta; la mia coinquilina si dimostrò subito socievole e così si misero a chiacchierare amabilmente. Rimasta in disparte, pensai di avvicinarmi a Jack, almeno per fargli gli auguri.
Quando mi vide, si lasciò scappare un sorriso sghembo, per poi rivolgersi ad Alex.
«Ehi, Gaskarth! È lei il regalo di compleanno che mi avevi promesso?» esclamò ridendo.
Rimasi allibita. Lo conoscevo da due secondi e già avrei voluto prenderlo a calci nel fondoschiena. Per fortuna Zack si intromise nella conversazione, salvando la situazione e l'incolumità del chitarrista.
«Jack!» lo richiamò, «Sayu è una mia amica del liceo, non il tuo giocattolo sessuale della serata.»
«Okay, okay.» rispose questo, alzando le mani in segno di resa. Poi si rivolse a me: «Comunque io sono il festeggiato, piacere.»
Lo squadrai con gli occhi ricolmi di disprezzo. Non ero mai stata una persona incline ad accettare una mancanza di rispetto dal primo sconosciuto che passa per strada.
Incrociai le braccia, facendo intendere di non voler ricambiare la stretta di mano.
«Tanti auguri, allora.» dissi fredda e mi allontanai, lasciandolo da solo con il suo goffo ed ineccepibile tentativo di presentazione a penzoloni nel vuoto.
Un inquietante silenzio circondò l'atmosfera, fino a che non udii Alex scoppiare in una risata fragorosa.
«Barakat, ci credo che passi il tempo a masturbarti con i tuoi calzini. Sei un completo disastro con le donne.» esclamò, quasi in lacrime.
Jack sembrò non scomporsi più di tanto per quella battuta: alzò le spalle e si unì alla risata del cantante, commentando qualcosa sui porno che non riuscii bene a comprendere. Nel frattempo Zack si avvicinò a me, chiedendomi se stessi bene.
«So che normalmente queste situazioni dovrebbe gestirle Roberto, ma dato che per ora non è qui ho pensato che avessi bisogno di una mano.» disse cordialmente, appoggiandomi una mano sulla spalla.
Ad udire quelle parole, mi sentii male. Non c'era più nessuno pronto a difendermi, pronto a proteggere "la sua ragazza"; se n'era andato tempo prima, lasciandomi con un mazzo di scuse patetiche in mano e un tradimento inequivocabile.
Avevo dunque imparato a cavarmela da sola, ad essere fredda e tagliente come una lama. Ad allontanare e ferire chiunque cercasse di avvicinarsi a me.
Ma Zack doveva saperlo, non mi sembrava giusto nascondere la verità proprio a lui, che mi era stato vicino i primi anni di liceo; non era corretto mentire ad una persona che con me si era sempre dimostrata tanto sincera.
«Grazie, lo apprezzo.» risposi, passandomi una mano tra i capelli per alleviare la tensione, «Ma devo dirti che Roberto...»
Non riuscii a finire la frase perché Alex ci richiamò per entrare nel locale: il concerto stava per iniziare.

Il luogo in sé era piuttosto piccolo, ma accogliente; ai lati della sala principale erano sistemati dei divani in pelle nera e di fronte al palco si trovava una piccola zona adibita a bar. 
Mentre i ragazzi organizzavano il soundcheck, Delia ed io seguimmo gli altri invitati al guardaroba per depositare i nostri effetti personali; mi era già capitato di perdere mazzi di chiavi o cellulari durante la calca di concerti precedenti, non avevo intenzione di ripetere l'esperienza.
Dopo aver preso due birre al bar, la mia coinquilina ed io ci avvicinammo al palco; improvvisamente le luci si spensero, ad eccezione di due o tre fari blu che illuminarono il centro della scena. Alex mise la sua chitarra a tracolla e si avvicinò al microfono, prendendolo in mano.
«Hey! Noi siamo gli All Time Low e stasera vogliamo fare un po' di casino, soprattutto perché è il compleanno di Jack e non vediamo l'ora di vederlo suonare nudo!» esclamò ridendo.
Un'ovazione generale si alzò dal pubblico appena il chitarrista alzò la maglietta, scoprendo così il suo fisico scheletrico; subito dopo prese in mano la chitarra e cominciò a suonare. Riconobbi subito la melodia come l'intro di "Dammit", uno dei miei brani preferiti dei Blink-182.
"Per essere un cretino, se la cava piuttosto bene" pensai, sorridendo tra me e me, mentre Jack saltava da una parte all'altra del palco, ridendo come un bambino che ha appena ricevuto i regali di Natale. Zack e Rian erano invece più concentrati nel suonare: spesso il primo si avvicinava alla batteria, come se cercasse una sorta di comunicazione e motivazione con il ragazzo dal sorriso smagliante, mentre Alex intratteneva il pubblico con la sua voce. Erano uno spettacolo incredibile da sentire e vedere, riuscivano senza sforzo ad entusiasmare gli animi dei presenti, che nel frattempo avevano cominciato a pogare sotto il palco.
In me nacque improvvisamente la sensazione che quei ragazzi avrebbero fatto strada grazie al loro carisma e alla dedizione che mettevano nella musica; era però presto per dirlo, dato che ancora non avevo sentito un loro pezzo originale.
Decisi di lasciare i pensieri da parte e finii la mia birra in un unico sorso, per poi appoggiare la bottiglia per terra e unirmi ai ragazzi che facevano casino al centro della folla. Il tutto sotto gli occhi sbalorditi di Delia, che non era mai stata il tipo di persona che si fa coinvolgere in certe iniziative.
«Lasciami sfogare, è un secolo che non ho un'occasione per divertirmi!» le gridai, mentre venivo risucchiata dal pogo.
Tra spintoni e calci, persi un po' il senso dell'orientamento: riuscivo solo a sentire la musica di sottofondo cambiare, dando vita ad un pezzo orecchiabile e molto punk rock, ma che non avevo mai sentito in vita mia. Doveva essere una delle loro canzoni, forse appartenente al primo album.
Mi lasciai trasportare dalla musica e dalle altre persone, godendomi la performance di quella che poi scoprii essere "Coffee Shop Soundtrack"; era un brano fenomenale, una scarica di energia dritta nelle vene. Mentre saltavo, battendo le mani a ritmo di musica, riuscii a provare un senso di benessere che non mi attraversava da tempo: mi sentivo libera, lontana dalla routine e da tutto ciò che rendeva fiacche le mie giornate.
Dopo altre due canzoni mi allontanai dalla folla, tornando a fare compagnia a Delia che nel frattempo era rimasta per conto suo, seduta su uno dei divanetti.
«Ti stai divertendo?» le chiesi, dandole un bacio sulla guancia.
«Direi di sì, non sono niente male.» mi rispose distratta, sorseggiando un goccio di birra. Cercai di seguire il suo sguardo per vedere cosa la stesse attraendo così tanto e anche i miei occhi si posarono su Zack, intento ad accordare il basso nella pausa che si stavano prendendo.
«Già, Zack è davvero niente male.» le dissi io con tono malizioso.
Delia si girò di scatto verso di me; nonostante la poca luce, l'espressione di imbarazzo dipinta sul suo volto era evidente.
«Cosa vuoi dire?» chiese balbettando.
Aprii bocca per risponderle, ma il suono di una chitarra acustica catturò la mia attenzione; sul palco era rimasto solo Alex, seduto su uno sgabello ed illuminato da un unico flebile faro. Dallo strumento che teneva tra le mani uscivano note morbide, abbastanza da mettere insieme una melodia dal retrogusto triste. Ne ebbi la conferma quando il ragazzo dai capelli nocciola cominciò a cantare: la sua voce tremava, come se per lui tirar fuori quelle parole fosse soltanto doloroso. Ascoltando attentamente il testo, poi, si poteva chiaramente intendere quanto fosse un argomento struggente. Eppure continuavo a non capire come potesse essere così coinvolto, a tal punto da darmi l'impressione di trovarsi ad un passo dallo scoppiare in lacrime sul palco.
A metà canzone, gli altri membri della band gli diedero manforte con le loro voci: «Sing me to sleep...» continuavano a cantare piano, creando un coro tanto armonioso quanto triste.
Andando avanti con la melodia la voce di Alex divenne più sofferta, fino a trasformarsi in qualcosa simile ad un grido di dolore, il quale esplose alla fine in un semplice "I'm sorry."
Tutti i presenti cominciarono ad applaudire senza sosta, estasiati dalla performance a cui avevano appena assistito, Delia ed io comprese.
E mentre guardavo gli All Time Low ringraziare il pubblico e sistemare gli strumenti, mi fu assolutamente chiaro che quei ragazzi avrebbero fatto strada nel mondo della musica. Un giorno sarebbero diventati gli eroi di molte persone.

 
Ed eccomi tornata dopo tempo immemore!
Che dire? Finalmente il capitolo della festa è arrivato! E oltretutto sarà doppio!
Mi spiace davvero di essere sparita in questi mesi, ma è davvero successo di tutto!
Spero di tornare a postare frequentemente, anche se ne dubito.
Nel frattempo mi auguro vi siate goduti il capitolo e come al solito aspetto con ansia le vostre riflessioni!

Un abbraccio,
vostra Astoria.

(: 
  
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