Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: _Prophecy_    09/09/2014    1 recensioni
STORIA SCRITTA A QUATTRO MANI DA PROPHECY E LIKEAPANDA:
In un mondo dove il Sole è scomparso, con la stessa facilità con cui si spegne una candela, gli uomini devono sopravvivere ai continui attacchi di ciò che rimane degli Estranei. Unica arma per difendersi, il Cuore. Ma la dèa ha lasciato una profezia:"Arriverà il guerriero del Sole, colui che porterà la luce".
L'ombra del lupo ed il leggero volo del colibrì andranno di pari passo in questa avventura. Seguiteli e forse non avrete più paura del buio.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'Ombra del Sole

“Arriverà il tuo momento se resti ad aspettare”
                                                                               
                                                                                                       — Imagine Dragons


 

Capitolo 1 
"la Pietracuore"


“La vita che volevi non è questa.”
                                                        
                                                                 — Salmo



 
Quando il grande sciamano l’aveva chiamata con quel solito sorriso incoraggiante sulle labbra, lei era avanzata tra la folla con timidezza. Era piccola e veloce, curiosa ma anche spaventata da quello che stava per accadere. Sua madre le aveva detto cosa succedeva ai bambini della tribù quando compivano sei anni –ricevevano la loro “pietra cuore”- e le aveva assicurato che non avrebbe sentito male quando l’avrebbero estratta. Eppure. C’erano sempre un “ma” o un “eppure”, in tutte le cose belle. In questo caso l’”eppure” stava per: paura. Calypte aveva paura. Una paura fantasma, che le aleggiava accanto dalla notte passata insonne a immaginare cosa le avrebbe riservato quella giornata; di che colore sarebbe stata la pietra? Cosa vi sarebbe stato al suo interno? Come l’avrebbero presa gli altri?
Per suo padre, Devak –la cui pietra cuore era di un profondo blu scuro e racchiudeva l’immagine dello squalo-, dentro vi sarebbe stato un cerbiatto, sinonimo di forza. Per sua madre, Rekah – che aveva nella sua pietra grigia una scimmia- sarebbe stata una volpe rossa.
Per la madre Calypte era sempre stata intelligente e furba, molto più degli altri bambini perciò non aveva dubitato della sua idea. E la piccola Calypte le aveva dato ragione, fino a poco prima. Ma Calypte dava sempre ragione a Rekah, a prescindere da cosa succedesse. Ora che, invece, si stava dirigendo verso lo sciamano, che non si era ancora tolto il sorriso dalle labbra (ma come faceva a essere così tranquillo in un giorno come quello?), non era poi più così sicura delle parole della madre. Tutto quello che le avevano detto, tutte le belle parole e quelle di incoraggiamento parvero scomparire quando finalmente raggiunse la postazione del capo tribù, e gli si fermò davanti. Naman era un vecchio dai capelli lunghi e ispidi di un nero notte lucido, che rifletteva i raggi del sole in modo accecante. Aveva un lungo naso aquilino, la pelle arsa dai raggi del sole e rugosa, e due occhi neri e vispi che sorridevano e parlavano senza che lui aprisse bocca. L’uomo allungò la mano verso Calypte e lei vi poggiò dentro la propria –così piccola in confronto alla sua- e la strinse forte, come se quella stretta le potesse infondere coraggio e fiducia in se stessa, mentre Naman le faceva salire i pochi gradini che l’avrebbero condotta al palco dove avrebbe finalmente avuto la sua pietra cuore. La piccola bambina sentiva il cuore in gola, le mani tremanti mentre lo sciamano avvicinava le proprie al suo petto e recitava la formula per estrarre il cuore. In lontananza, Calypte vide i suoi genitori: gli occhi azzurri del padre fieri, e quelli neri della madre in trepida attesa, le dita delle mani incrociate in trepida attesa. A un tratto, come un’improvvisa scrosciata di pioggia in estate, la bambina sentì qualcosa affondarle nel petto; andare giù, passare fra le costole e stringersi in una morsa letale al centro del torace. Non nascose la smorfia di fastidio, perché non era dolore quello che provava, mentre Naman estraeva la mano dal suo petto. Protese le mani a coppa, pronta a ricevere il tanto atteso dono. Impaziente? Sì, ma non poteva darlo a vedere, dopotutto si trattava di una cerimonia ufficiale. Percepì un leggero peso, caldo al tatto, una pietra un po' smussata. Grezza. La luce le tremolava davanti le palpebre chiuse –le aveva serrate quando lo sciamano aveva estratto la mano. Aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu un lieve, quasi timido, sfarfallio affrettato. Qualcosa simile ad un colibrì si dibatteva frenetico dentro al Cuore. Il suo Cuore, verde come l'acqua di una laghetto montano. Indomito, freddo, irraggiungibile. « Colibrì: Calypte è il tuo nome » decretò lo sciamano. I loro occhi, entrambi vispi e curiosi, si spostarono sulla pietra che lo sciamano aveva poggiato fra le dita. Poi, come colpito da un fulmine rinsavente, Naman si rivolse verso la folla e aprì le braccia, come per poter circondare tutti i presenti con la sua presenza confortante. « Prima che ve ne andiate, amici miei, vorrei raccontarvi una storia. » La bambina al suo fianco sorrise, mentre si portava la pietra al collo e la legava a esso con un pezzo di corda nera sottile. Le piacevano le storie, specialmente quelle di Naman perché erano piene d’avventura e bene che vinceva sul male. Calypte si sedette sul piccolo palco e incrociò le gambe, poggiando i gomiti su esse per spingersi in avanti. Lo sciamano le carezzò la testa e iniziò: « Ci fu un tempo in cui le tribù convivevano pacificamente e la dea Awan le osservava dall’alto compiaciuto del lavoro che aveva creato. Awan donava alle terre degli uomini fertilità, così come alle loro donne; faceva scorrere i fiumi con delicatezza e li riempiva di pesci, in modo che i suoi protetti potessero cibarsene. Fece loro dono di animali forti e robusti per tirare i carri, i buoi, e di esseri più veloci e aggraziati quali erano i cavalli. La pace sulla terra del sole durò per molti anni. Ma, un giorno, un gruppo di uomini provenienti da terre straniere prese a far dilagare caos e morte. Sangue colava sul terreno, grida appestavano l’aria e i fiumi, prima azzurri e pieni di pesci, si riempirono di cadaveri. » La bambina portò d’istinto una mano al cuore, stringendo forte la pietra tra le dita piccole e sottili. Naman continuò, facendo volteggiare lo sguardo scuro su tutti i presenti. « Awan, infuriata con la gente straniera e con gli uomini delle terre del sole che avevano tradito la propria gente, si alzò dal trono su cui sedeva da anni e gridò. Sotto il comando della sua voce, le terre fertili si aprirono e il sangue colò nelle profondità degli abissi di roccia e vuoto. Uomini e donne che avevano macchiato i propri corpi con il tradimento volarono giù, sempre più in basso verso il nulla degli abissi delle ombre seguiti dagli stranieri e le loro armi distruttive. Awan li maledisse, tutti. Divennero incubi. Fantasmi, sagome nere senza anima e sentimenti, con la sola consapevolezza del vuoto che cresce in loro e la bramosia della luce che vedono riversarsi dall’alto. Impossibile da raggiungere. » A Calypte non piaceva questa storia, la spaventava. « Ma, il dio non si dimenticò di chi aveva tenuto fede al giuramento a lui fatto, quello di proteggere la propria gente », lo sciamano lanciò un’occhiata sorridente alla bambina, « e donò loro la conoscenza del cuore puro: ogni uomo, all’età di sei anni, avrebbe estratto il proprio cuore dal petto e questo avrebbe assunto la forma di una pietra di colori diversi per ognuno, al cui interno sarebbe sostato spirito animale o una pianta o, ancora, un elemento della natura, che l’anima dell’uomo aveva tenuto celato al mondo esterno. La pace tornò a regnare sulle terre del sole; i campi tornarono fertili e i fiumi limpidi; gli animali si rinvigorirono, così l’uomo. Ma, si sa, nulla dura per sempre e da anni le ombre, gli incubi tentano di risalire dal baratro che Awan gli ha imposto. E purtroppo, miei cari amici, Awan non sarà a proteggerci quando la guerra inizierà: il suo potere è andato perso dopo lo sforzo che ha fatto per proteggere noi. Il suo popolo. Per questo noi ci avvaliamo dei nostri giovani uomini per proteggere le difese della tribù, perché sono forti e posso garantirci sicurezza, e delle nostre giovani donne perché si prendano cura di loro e li istruiscano a tenere un comportamento dai saldi piedi a terra. » Dieci anni e mezzo dopo, la giovane Calypte era intenta a scappare da una furiosa rettrice. I capelli neri della ragazza volavano nell’aria fredda di una delle torri situate nel villaggio. La sua risata conferiva a quell’ambiente morte una parenza di vita, mentre le grida della donna la distruggevano del tutto. Ogni tanto in uno dei corridoi a Caly capitava di incontrare qualche coetanea, che la guardava scuotendo la testa e gridandole dietro a sua volta. Poco le importava. Quelle ragazze, che presto sarebbero diventate donne mature, non avevano mai avuto ambizioni oltre a quella di essere madre, mentre Calypte volva di più. Non le importava di avere una famiglia, dover crescere dei figli e mettere il cibo in tavola. Lei voleva vedere le Terre del Sole, esplorare le caverne che –come sue padre le aveva raccontato anni prima- si erano formate vicino ai torrenti dei fiumi e vedere i boschi. La pietra cuore che portava al collo brillò di luce vivida quando la ragazza voltò per l’ennesimo corridoio… e si ritrovò faccia a faccia con Naman. Sorpresa. Quell’incontro significava che il suo tentativo di fuga verso la libertà era, miseramente, andato in fumo. Lo sciamano la guardò per nulla sorpreso, carezzandosi la fronte con una mano. Ormai la vecchiaia iniziava a farsi sentire anche per lui, pensò Calypte. Il tempo gli aveva procurato copiose ciocche grigie, che avevano preso il posto del nero corvino; gli occhi scuri erano diventati più opachi e la postura meno eretta. Questo non significava che però Naman fosse cambiato. Difatti, dopo pochi secondi di silenzio sorrise. « Ah, ecco la mia fuggitiva. » Con una mossa veloce, Naman e gettò un braccio attorno al collo e cominciò a camminare. Alla giovane non rimase altro che seguirlo. Lo sciamano sapeva di terra e bacche, segno che era uscito nei campi fuori dalla tribù per procurarsi gli ingredienti che gli servivano per tutte le sue pozioni. « Avanti figliola raccontami, questa volta perché fuggivi? » Caly si portò una mano fra i capelli e li tirò leggermente. Stupida, potevi correre più veloce!, si disse maledicendosi. « Voglio uscire dalle torri, Naman. Voglio uscire e vedere cosa c’è la fuori. » Si fermò di proposito davanti a una delle finestre collocate nella torre e sospirò, portandosi una mano al cuore pulsante sul suo collo. Sotto di lei si estendeva il villaggio, con quel suo colore marroncino e oro che la paglia donava ai tetti. Ma poco le importava di quello, Caly sapeva che c’era li e cosa sempre ci sarebbe stato. Quello che attirava la sua attenzione si trovava lontano dalla torre dove stava lei ora; oltre le mura c’erano i campi verdi e rigogliosi e le fattorie con tutti quegli animali che lei non aveva mai potuto vedere da vicino, perché a nessuno del villaggio era permesso uscire senza motivo. Solo i contadini e i soldati varcavano quella soglia che, adesso, a Caly sembrava talmente lontana da diventare invisibile. Eppure non lo era, brillava di una strana e invitante luce sotto il cielo azzurro, e sembrava gridare il nome della ragazza con forza ma, al tempo stesso, talmente piano che solo lei riusciva a sentirlo. Poi spuntò Naman accanto a lei, e tutto tornò silenzio. L’anziano incrociò le mani dietro la schiena e puntò lo sguardo nella stessa direzione di quello della ragazza. Sospirò. « Oh, giovane colibrì, vorrei poterti dire che puoi uscire da qui. Ma sarebbe una bugia. Sei destinata a diventare una madre, una compagna e una tutrice e lo sai, lo sai meglio di me che non puoi uscire perché… » « Ma se il mio destino non fosse questo? » Gli occhi verdi di Calypte trovarono quelli neri di Naman, li intrappolarono e costrinsero l’uomo a guardarla senza poter distogliere lo sguardo. « Se fossi destinata a qualcosa di grande, che non comprende fare da made o tutrice? » Una scintillio animò il suo sguardo, per un attimo pensò di scorgere un’opportunità perché Naman non la stava contraddicendo. E lui contraddiceva sempre, e subito. Pensò che forse, questa volta, ce l’avrebbe fatta a convincerlo… e invece: « Immagino che non lo sapremo mai, piccolo uccellino. » Lo sciamano le poggiò una mano sulla spalla (doveva essere un gesto affettuoso?) e la spinse via dalla finestra con dolcezza. « Cosa non ti è chiaro della frase: tira leggermente di più l’arco, soldato? » Sono circondato da idioti. Classica pensiero per un classico e rigido comandante. E Axel questo lo sapeva, ma poco gli importava. Era davvero circondato da idioti. Idioti che avrebbero dovuto salvare la tribù in caso di attacco, e che invece sembravano più portati ai lavori domestici che a maneggiare delle armi. « Nulla signore. Volevo dire, tutto signore. » Il soldato tese ancora una volta la corda dell’arma e prese la mira. La freccia volò via dalla sua presa con un fischio sordo, passò il bersaglio e colpì la ruota di un carro che stava passando. Il guidatore si fermò spaventato, gettando un’occhiata al campo d’addestramento. Axel si ritrovò a fulminare il ragazzo che aveva accanto con lo sguardo, mentre l’uomo del carro camminava verso di loro a passo sicuro. Quando gli fu davanti, porse loro la freccia e li esaminò con gli occhi azzurri ben pressanti. « Dunque? » Axel si voltò verso il soldato, che tremava leggermente. Che fosse la vergogna? « Mi dispiace molto signore, sto imparando a tirare con l’arco e non ho ancora una buona mira. » Si scusò il ragazzo, passandosi una mano fra i corti capelli color pece. I suoi occhi neri trovarono quelli d’ambra di Axel e in pochi secondi decise di eclissarsi. Rimasero li solo l’uomo del carretto dai profondi occhi azzurri e Axel. Il suo cuore, una spessa pietra rossa dentro la quale baluginavano le zanne di un lupo, fremeva continuamente scaldandogli la pelle attorno. Vedendo che l’uomo non se ne andava, Axel portò d’istinto una mano sull’elsa della sua spada e l’osservò. « Posso… aiutarla? » Domandò, la voce come la rigida discesa di uno strapiombo. Incolore, inespressiva. « E’ difficile, vero? » L’uomo se n’è uscì con un’altra domanda, mentre si passava una mano fra i capelli brizzolati dall’età. I grossi muscoli delle braccia, induritisi con gli anni, si gonfiarono sotto pressione. « Scusi? » Il ragazzo dagli occhi d’ambra rizzò le spalle, tentando di sembrare più alto nel caso quell’uomo avesse avuto brutte intenzioni. Axel sapeva usare alla perfezione spada e arco, e anche la lancia se fosse servito, ma quell’uomo era così grosso e altro rispetto a lui che dubitava avrebbe avuto qualche chance di batterlo. Arma o meno. A volte succedeva che qualche contadino impazziva, rompeva la sua pietra cuore e diventava un incubo. E i soldati erano costretto a ucciderlo. Axel non aveva mai capito perché lo succedesse, in realtà se l’era sempre chiesto. L’unica cosa che sapeva per certa era che uccidere qualcuno che fino a pochi minuti prima era stato una brava persona gli rivoltava lo stomaco. « Fare da mentore a quei ragazzi. » Con un movimento del mento, l’uomo indicò i soldati intenti ad allenarsi. Le loro corazze color terra –rinforzate con la magia di Naman per proteggerli dagli incubi- splendevano sotto solo a causa delle rifiniture d’argento. « Anche io sarei potuto essere un soldato, un comandante come te, e invece ho scelto di fare il contadino. Stupida scelta, non trovi ragazzo? » Quella domanda prese talmente alla sprovvista Axel che, senza pensarci, socchiuse le labbra nel disperato tentativo di trovare una risposta. « Trovo che il contadino sia un mestiere nobile, signore. Senza di voi non avremmo di che nutrirci. » Axel lanciò un’occhiata alle sue spalle e sorrise: dopo tutto non erano così male, i suoi soldati. « Ora, se vuole scusarmi ho da gestire un plotone. Abbia una buona giornata. » Si voltò solo per sorridere all’uomo, come insegnatogli dalla madre e dalle regole della tribù; bisognava rispettare le persone più grandi, a prescindere dal loro aspetto, lavoro e comportamento. Tutto ciò che ricevette in cambio, però, fu un pugno nelle stomaco. L’uomo lo colpì con così tanta forza che, come se fosse stato una piuma, Axel si ritrovò a dovere puntare i piedi sul terreno per frenare la spinta inferta dall’uomo. Quando gli occhi da lupo del capitano delle guardie si posarono a terra, scorse davanti a se due linee rette perfette tracciate dai suoi piedi. Tornò a fissare l’uomo. « Si. Avrei proprio dovuto unirmi all’esercito. » Sibilò l’uomo, ma la sua voce era diversa. Il suono era uscito con un tono tagliente, raschiato in gola quasi parlare gli costasse sforzo. Gli occhi, prima azzurri come l’acqua limpida dei ruscelli, si erano colorati di un intenso color oro e le iridi attorno erano sprofondate in un colore simile alle tenebre; un nero così scuro da brillare come ossidiana. Un incubo. Per un attimo Axel osservò l’uomo con smarrimento, non era preparato a quello. Non del tuto almeno. Quel secondo di troppo, però, gli costò un altro pugno dritto nelle stomaco che lo fece volare contro le aste di alcune lance portate fuori per l’addestramento. Le armi caddero a terra con lui, sopra di lui; la lama di una gli graffiò persino la guancia destra, da cui prese a scendere un piccolo rivolo di sangue. Si rialzò velocemente, portò una mano all’elsa della propria spada e la sguainò con velocità. I suoi soldati, intanto, si erano armati e stavano aspettando i suoi ordini. Era strano, pensò Axel, come durante l’allenamento sembrassero così incapaci e poi, d’un tratto, quando si presentava l’occasione dessero sfoggio dei suoi insegnamenti. Sorrise. Dopo tutto, non erano così idioti come pensava. « Andiamo capitano, vediamo che sai fare! » Lo punzecchiò l’uomo, facendo qualche passo in avanti. Axel passò all’azione. Provò un affondo con la lama della spada: inutile. Il metallo fendette l’aria come una lama di luce e causò solo un lungo e superficiale taglio all’uomo. L’incubo ruggì, si girò e rifilò al comandante un ennesimo pugno –questa volta in faccia. Una freccia gli si conficcò in mano prima che riuscisse a ricolpire Axel. Gli occhi del capitano si sposarono velocemente fra le sue fila e sorrisero silenziosamente al ragazzo che aveva scoccato; poi si alzò e si diresse veloce verso l’incubo. Questa volta fu lui il più veloce: mentre l’essere avanzava con le braccia protese in avanti Axel alzò la lama e recise una mano all’essere. Questo gridò, colto dal dolore e dall’inaspettato gesto e il capitano ebbe il tempo di fendere nuovamente l’aria con la sua spada e tagliare via la testa all’incubo. Il moncone cadde a terra con un tonfo, seguito dal corpo e una pozza di sangue color rame. Un nuovo grido fece tremare la terra poco prima che una nuvola nera si levasse in aria, osservasse Axel con i suoi occhi gialli scintillanti e scomparisse dissolta. Che diavolo era? Axel si pulì dal sangue che gli era finito in faccia, creandosi strisce di un rosso vivo sul volto. Restò a osservare il vuoto creatosi davanti a lui, mentre il silenzio che scendeva sul campo dell’allenamento diventava talmente pesante da sembrare fatto di pietra. Che situazione strana, quella cosa li aveva presi tutti alla sprovvista. Il ragazzo fece qualche passo verso il corpo morto, senza badare alle reclute che lo fissavano stupite dall’accaduto. Rinfoderò la spada insanguinata e si inginocchiò accanto al cadavere; gli occhi del morto lo guardavano senza vedere nulla, più limpidi di quello che una volta era stato il cielo illuminato dal sole. Le sopracciglia del ragazzo s’inarcarono sorprese quando, dopo un’attenta analisi, i suoi occhi ambrati si posarono su una pietra caduta in mezzo a tutto quel sangue. La raccolse con cura, giusto in tempo per vedere l’ultima pulsazione d’azzurro e poi l’immagine di uno squalo che sbiadiva. Chiuse gli occhi e prese fiato, prima di rialzarsi e gettare uno sguardo alle guardie che soppesavano la situazione con lo sguardo fermo e stupito. Mise velocemente la pietra in tasca a fece segno a uno degli ufficiali di avvicinarsi. Quando l’uomo fu abbastanza vicino, Axel incrociò le braccia al petto e sospirò: « Abbiamo bisogno di Naman. Mandate subito qualcuno a chiamarlo. » Vedendo che l’uomo non si muoveva, ringhiò: « Adesso! » Passò un’ora prima che lo sciamano si presentasse da Axel. Quando lo vide, Naman accennò un sorriso e un saluto poi seguì il comandante verso il luogo in cui l’uomo era morto. Il corpo era ancora li, qualche mosca che gli girava attorno e con il terreno grondante di sangue rappreso. Una scena orribile, senza dubbio. « Oh, per tutti gli dei! » La voce dello sciamano si fece stupita quando, affiancato da Axel, si ritrovò davanti alla faccia del morto. Chiuse gli occhi e mormorò qualche preghiera, chinandosi per abbassare le palpebre al morto. « Lo conosceva? » Chiese il comandante, poggiando la mano sull’elsa d’oro della spada. Non era un gesto di sfida, solo un’abitudine acquisita con gli anni di lavoro. Colse un guizzo di tristezza negli occhi dell’anziano, prima che questo si issasse nuovamente sulle gambe e gli lanciasse un’occhiata trasversale. Gli occhi neri di Naman lasciavano intendere molto. « Era il padre di una delle ragazze della torre. Povera ragazza. » La voce era graffiata da una nota di dolcezza che, Axel lo sapeva, non sarebbe servita per addolcire la situazione. « Non capisco perché abbia dovuto fare quello che ha fatto. Strapparsi il cuore, incredibile. Aveva una così bella famiglia e… » « A questo proposito: lui non si è strappato il cuore », sussurrò Axel, e ricevette un’occhiata stupita. Si avvicinò all’uomo e cacciò quello che era stato il cuore del cadavere fuori dalla tasca. Ora la pietra era nera, sebbene contenesse ancora qualche venatura morente d’azzurro. Naman chiuse gli occhi. « Se è quello che temo, tutto questo è molto più grande di quello che siamo preparati ad affrontare. » Il vecchio lanciò un’occhiata ai soldati semplici che si stavano allenando poco più avanti. « O che crediamo di essere pronti ad affrontare. » « Può dirmi di più? A cosa devo preparare i miei ragazzi? » La voce di Axel si tenne sulla difensiva. Se c’era una qualche minaccia la fuori in agguato, una minaccia più pericolosa degli incubi, lui era pronta ad affrontarla. « La guerra è imminente. » Sussurrò Naman. « Una guerra che porterà solo devastazione e morte al nostro popolo. Ma, c’è una minaccia anche peggiore adesso. » Axel inarcò le sopracciglia. « Quale? » « Dovrò dire a Calypte della morte del padre e, credimi, non ne gioisco affatto. Dovrò anche dirgli che l’hai ucciso tu prima che le voci corrano. » « Lo capisco. » Il ragazzo annuì, prima di sospirare. Non era mai bello togliere una vita, specialmente perché il morto abbandonava una famiglia, degli amici e loro ne soffrivano. Ad Axel non era mai piaciuto farlo. « Porterà via il corpo per esaminarlo? » « Si. E dopo svolgeremo i riti, sperando che gli dei assistano il nostro caro Devak nel suo cammino verso la valle degli spiriti. » Axel guardò lo stregone allontanarsi. Avrebbe voluto chiedergli di dire alla ragazza che uccidere il padre era stato necessario, ma sarebbe sembrata una scusa per giustificare le sue azioni. Si sentiva sporco dentro, come ogni qual volta aveva ucciso qualcuno, e sapeva che –anche questa volta- avrebbe dovuto far finta di non sentire sulle proprie spalle il peso del dolore della famiglia.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: _Prophecy_