Aisling O’Moore
Era
stressante attendere fuori dalla porta di una classe -della propria futura
classe- che il personale A.T.A. del piano avvertisse il docente della
prima ora che la nuova studentessa era arrivata ed aspettava il suo
consenso per entrare.
Aisling, come chiunque del resto, sarebbe entrata nel panico, non fosse
stato che per lei quella storia si ripeteva tutti gli anni, a volte
anche più volte l’anno. Smise di torturarsi le
dita quando si accorse che, se avesse maltrattato ancora un
po’ la pelle del pollice, sarebbe andata in giro con
l’osso di fuori, una cosa che sicuramente avrebbe attratto
attenzione.
Proprio quella che lei non voleva, anche se arrivare sei mesi dopo
l’inizio della scuola in un nuovo istituto ed essere alta
molto più della media, era un ottimo modo per ottenerla. Per
lo meno non era l’unica: aveva notato che, fuori dalla porta
di un’altra classe del suo stesso piano, un’altra
ragazza, probabilmente di un anno o due più di lei, alta ed
esile con lunghi capelli biondi ricci, stava subendo la stessa tortura,
ma sembrava molto più agitata.
"Sarà una pivellina del settore -cambiamo allegramente
scuola ogni quando tuo padre è di cattivo umore- ” pensò,
eppure non riuscì a non capirla, anche lei le prime volte si
era sentita piuttosto in imbarazzo, ma dopo un po’ vi aveva
fatto l’abitudine.
La ragazza alzò lo sguardo e sorrise, mostrando una
dentatura perfetta e bianchissima.
Aisling la invidiò pensando al suo apparecchio ortodontico
fisso.
Le si avvicinò, pensando di presentarsi e magari cercare di
rassicurarla.
Aisling non era mai stata un tipo estroverso, anzi, la sua timidezza
rasentava l’isolamento volontario: l’ultima
migliore amica che aveva avuto era stata al primo anno di asilo, eppure
provò un’inaspettata simpatia nei confronti della
poveretta che sembrava timida tanto quanto lei. Pensò quasi
di avvicinarsi e provare a fare amicizia, ma la bidella uscì
dalla sua nuova classe proprio mentre muoveva i primi passi.
-O' Moore, sono pronti ad accoglierti- le disse con un sorriso di
incoraggiamento.
Aisling sorrise un’ultima volta alla ragazza bionda, poi si
voltò e tornò verso la sua classe, prendendo dei
respiri profondi e preparandosi ad affrontare ventiquattro paia
d’occhi pronti a squadrarla dalla testa ai piedi e poi di
nuovo dai piedi alla testa.
All’ultimo secondo cercò di mettersi in ordine la
frangetta scompigliata, ma poi decise di lasciar perdere e di entrare,
in barba a tutto quello che i suoi nuovi compagni avrebbero potuto
pensare di lei, tanto sarebbe comunque stata la nuova, anche in una
classe di recente formazione come quella.
-Buongiorno- salutò, avvicinandosi alla cattedra dove
l’attendeva una donna piccola ed in carne con un paio di
occhiali quadrati sul naso, impegnata ad aggiungere il suo nome sul
registro di classe.
-Buongiorno, io sono la professoressa Lorenzini, insegno italiano,
storia e geografia. C’è un posto libero
all’ultimo banco della fila della finestra, accomodati e
prova a seguire, quando avrai i libri e l’orario ti
rimetterai a paro- fu gentile ma fredda, ma a Aisling non
dispiacque.
Evitò di dirle che aveva già tutti i libri e
seguì ciò che la professoressa le aveva detto. In
silenzio, con gli occhi di tutti puntati addosso, andò a
sedersi vicino ad una ragazza minuta con dei lunghi capelli castani e
gli occhi verdi.
La ragazza le sorrise, poi, sussurrando un -Mi chiamo Emma-, si
voltò a guardare la professoressa che si era alzata e si era
appoggiata alla cattedra dopo averla aggirata.
-Bene ragazzi, come avrete notato avete una nuova compagna, si chiama
Aisling O'Moore. Spero che la farete sentire a suo agio.
Sarà lei a darvi ulteriori informazioni, in seguito, se
vorrà- disse e Aisling attese la serie di domande che ogni
volta venivano poste ai nuovi arrivati.
Stranamente ne arrivò una sola, a cui lei aveva
già risposto precedentemente.
-Da dove provieni? Il tuo cognome mi sembra inglese- le chiese la
professoressa, incuriosita.
-Sono irlandese, ma vivo in Italia da quando ho sette anni- rispose,
senza dilungarsi spiegando che il padre era irlandese trapiantato in
Italia ma sua madre era italiana, di Roma, e che dopo tre anni passati
a vederla solo a fine settimana alternati in cui lei aveva dovuto
sopportare un viaggio in aereo di un’ora per arrivare a Roma
ed un’ora per tornare a Milano, i suoi genitori si erano
finalmente, e miracolosamente soprattutto, accordati
affinché Aisling e suo padre, con cui viveva, si
trasferissero a Roma così da non strapazzarla troppo.
-Ecco perché è così pallida ed ha i
capelli rossi e le lentiggini- sentì dire ad un ragazzo
qualche banco davanti a lei.
Anche quella era un’esclamazione che ripetevano spesso.
Peccato che lei avesse preso capelli e lentiggini da sua madre,
perfettamente italiana.
Decisa a diventare in poco tempo la prima della classe, proprio come
era successo in tutte le altre scuole, Aisling prestò
attenzione esclusivamente alla spiegazione della professoressa,
annotandola con precisione con la sua grafia piccola e ordinata sul
quaderno degli appunti. Quando terminò anche la seconda ora
di lezione, il mercoledì le prime due ore erano di storia e
geografia, si permise di chiudere il libro e di darsi
un’occhiata in torno. La classe era di dimensioni medie,
adatta a contenere i ventiquattro studenti più uno, lei, con
le pareti verde bosco ed il soffitto bianco.
C’erano due grandi finestre, alcune cartine malandate appese
alle pareti insieme a qualche cartellone di studenti degli anni
precedenti. Dietro alla cattedra vi era la lavagna interattiva, quella
di ardesia le stava accanto, vecchia e leggermente scheggiata, sporca
di gesso. Era una classe normalissima di una normale scuola di Roma,
eppure a lei faceva venire i sudori freddi.
Nessuno le avrebbe tolto dalla mente che entro la fine
dell’anno in quella scuola si sarebbe fatta male seriamente,
e di solito le sue sensazioni non sbagliavano. Vicino a lei Emma, la
sua compagna di banco, chiacchierava senza sosta con due ragazze che si
erano avvicinate al cambio dell’ora e che, dopo essersi
presentate come Francesca e Alessia, l’avevano
volontariamente esclusa dalla conversazione, parlando così
piano che era un miracolo riuscissero a sentirsi a cinque centimetri di
distanza.
In terza ora fu la volta di greco, la professoressa Basso, nemmeno a
farlo apposta, era una donna minuta e leggermente gobba, con capelli
tinti color biondo cenere ed occhiali da vista con la montatura azzurra
tempestata da brillantini che copriva un paio d’occhi a cui,
immaginò Aisling, non sfuggisse niente. Camminava con le
ginocchia larghe, ad Aisling ricordò un po’ una
papera. Si trattenne dal ridere per educazione, ma tutta
l’ironia passò non appena la donna si accorse di
lei e le sorrise, gelandola.
-Faccia nuova, eh? Ben arrivata, io sono la professoressa Basso ed
insegno Greco. Vieni alla cattedra così vediamo che
avete combinato questi sei mesi nella tua vecchia scuola- le disse, e
Aisling capì che quella professoressa avrebbe fatto di tutto
per metterle i bastoni tra le ruote. Le chiese di tutto, a partire
dall’alfabeto, vocali lunghe, brevi e ancipiti e la divisione
delle consonanti, fino ad arrivare all’imperfetto dei verbi
in omega “ω”.
Aisling, probabilmente risvegliando la compassione di qualche santo del
paradiso, riuscì a rispondere correttamente a tutto. La
donna, soddisfatta, la rimandò al posto. Lei si
riaccomodò con il cuore in gola che non accennava a
calmarsi. Si impose di prendere i libri ed il suo fido quaderno e
scrisse parola per parola ciò che la Basso diceva, senza,
per la verità, capire un gran che.
Poco male, avrebbe risolto il problema rileggendo tutto.
Quando squillò la campana e vide i suoi compagni alzarsi per
la ricreazione decise di fare lo stesso. Uscì in corridoio,
cercando di evitare la fiumana di gente che si riversava fuori dalle
classi per scendere in cortile. Quando la calca si fu esaurita si
appoggiò con la fronte alla finestra di fronte alla sua
classe e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie, la sensazione di
gelo che si faceva sempre più intensa.
Le era successo solamente una volta prima di allora, e quando
l’aveva detto al padre avevano immediatamente traslocato, per
cui decise di cercare di fingere che non fosse nulla fino al momento in
cui non le fosse passata. Sentì distintamente risuonare un
paio di tacchi, forse quelli di un paio di stivali, e si
voltò a vedere chi fosse.
Dovette tenersi saldamente al marmo sbreccato del davanzale della
finestra per non cadere a terra tanto il gelo che l’aveva
pervasa fino a quel momento si era fatta intensa.
Vide passare una ragazza, molto bella, alta, con lunghi capelli neri
lucidi mossi, la pelle olivastra ed occhi a mandorla color nero pece,
che la fissarono per qualche secondo prima di posarsi su uno dei due
ragazzi che le stavano accanto.
Entrambi i ragazzi erano molto alti, sul metro e novanta se non di
più, per questo in un primo momento le erano sembrati molto
più grandi di quanto i loro lineamenti lasciassero
intendere; uno era biondo, abbronzato e l’altro moro e con la
pelle diafana come l’alabastro.
Aisling si accorse che con loro vi era la ragazza a cui si era quasi
presentata due ore prima. Non sembrava che apprezzasse particolarmente
la loro compagnia, a giudicare dalla smorfia annoiata che campeggiava
sul suo viso.
Il ragazzo con i capelli scuri la guardò, i suoi occhi, un
misto di sfumature che andavano dal grigio ardesia al blu cobalto,
quasi la ipnotizzarono, le sembrò quasi che le stesse
analizzando la mente.
Fu solo per un secondo, poi la lasciarono, per tornare a fissare quelli
della ragazza mora, come per comunicarle un assenso.
La ragazza bionda, senza farsi vedere, sillabò una sola
parola verso di lei -Scappa-.
Aisling avrebbe tanto voluto seguire il consiglio, quei due la
mettevano in soggezione, eppure, quando provò a camminare
verso la sua classe, non vi riuscì: le gambe non la ressero
e lei si ritrovò sdraiata per terra, con il respiro grosso,
preda di uno dei suoi frequenti attacchi di panico. Nessuno dei tre
ragazzi la soccorse, solo la ragazza bionda provò, ma venne
trattenuta da uno sguardo del ragazzo dai capelli scuri. Senza degnarla
di altra attenzione uscirono dalla porta che collegava il piano con le
scale.
La sensazione di gelo che pervadeva il corpo di Aisling andò
scemando dopo poco, ma il panico restò, stringendole la gola
e lo stomaco. Si accorse di essere accerchiata da tre persone, una
dottoressa che le parlava, anche se lei non riusciva a capire bene le
sue parole, e due uomini che cercavano alzarla dal marmo gelido con
scarso successo.
Quando riuscirono nell’impresa, Aisling perse conoscenza,
cadendo di nuovo.
***
Si
risvegliò in una piccola stanza gelida,
l’infermeria della scuola al suo capezzale il medico della
scuola e sua madre. Provò a mettersi a sedere, ma la testa
le pulsava dolorosamente e decise di rinunciare.
Quando si accorse che la figlia si era finalmente svegliata, Giulia
Argento lasciò cadere a terra il foglio a righe che aveva
tenuto in mano fino a quel momento e le prestò tutta la sua
attenzione, cosa più unica che rara per Asling, che si era
sempre vista anteporre il lavoro da entrambi i genitori.
-Come ti senti?- le chiese, dalla sua voce traspariva preoccupazione
genuina e Aisling si disse che probabilmente avrebbe dovuto farla
preoccupare più spesso visto che in quel modo riusciva ad
ottenere la sua attenzione.
-Come una che ha usato la propria testa come una sala per feste-
rispose, la voce roca e la bocca asciutta.
-Ci hai fatto prendere un colpo, questo non è stato un
attacco di panico normale, signorina-.
Aisling si chiese se per caso sua madre fosse convinta che a lei
facesse piacere quella situazione che si verificava più
volte al mese, e sempre quando era a scuola.
-Mamma, credimi, non so cosa sia successo. Avevo mal di testa, stavo
guardando fuori dalla finestra e ad un tratto mi sono trovata sdraiata
sul pavimento, e poi sono svenuta- raccontò, decidendo di
estromettere la sensazione di gelo e di aver visto due ragazzi glaciali
per non sembrare pazza.
Sua madre non avrebbe capito, ne era certa.
-Ti capita spesso di avere attacchi di panico?- si intromise il medico,
cercando di spegnere la tensione, che si sarebbe potuta tagliare con un
coltello ben affilato, venutasi a creare tra madre e figlia.
-Almeno tre volte al mese, ne soffro da quando ero molto piccola-
rispose Aisling con una voce che sembrava provenire da dieci metri
sottoterra per quanto era flebile.
-Posso avere un po’ d’acqua?- chiese, ed
immediatamente la madre le mise in mano un bicchiere di acqua
frizzante.
Aisling detestava l’acqua gassata, ma la bevve comunque,
dopotutto meglio quella che niente. Sua madre estrasse il cellulare
dalla borsa, ed uscì dalla stanza dicendole che doveva
avvertire suo padre.
Lei rimase sola con il medico nella piccola stanza bianca, come unico
rumore le chiacchiere di sottofondo con cui il dottore cercava di
metterla a suo agio.
Buonsalve! Dopo una vita passata solo a leggere, ho finalmente deciso insieme ad ale_van_alen di scrivere questa fanfiction. Spero che questo primo capitolo vi piaccia , recensite in tanti! :^)
BENNY: Grazie mille a BennyloveAstral per essere la mia bellissima e fantastica Beta Reader!
MOMY: Benny ti ho detto mille volte di non scrivere mentre sto scrivendo io!!
BENNY: Scusa scusa ma ho detto la verità :3
MOMY: Ma quale verità e verità, piantala e fai la seria...
BENNY: SCIMMIEEEEEE!!!
MOMY: ODDIO... O.o
ALE: Basta con tutte queste cavolate... -.-"
Seriamente, non andate a chiamare la neuro, siamo sane di mente (chi più e chi meno ù.ù). Io ed Ale saremmo veramente contente se qualcuno ci dicesse cosa ne pensa della storia (visto che la nostra Beta è a dir poco eclettica). Per cui, non ci resta che mandarvi un saluto affettuoso, per evitare che il commenti sia più lungo del misero capitolo, e alla prossima!
Momy e Ale.
E Benny di straforo :)