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Autore: Mconcy    10/09/2014    5 recensioni
[Extra di "Fragili"]
Raccolta di pochi capitoli, narrati dal punto di vista di Tris, che fanno luce su alcuni avvenimenti della storia raccontata in "Fragili".
Capitoli:
- #1 Tris
"Come ti senti, Tris?"
Faccio il punto della situazione. Mi sono svegliata in un luogo sconosciuto con un ragazzo sconosciuto, ho dolore ovunque e sembra che la testa abbia deciso di esplodere a mia insaputa. E non ho assolutamente idea di cosa sia successo.
"Non molto bene, a dire il vero."

- #2 Aleen
"Non ricordo il momento preciso in cui decisi di fidarmi di lui. Semplicemente l'ho fatto."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fragili'
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Invincibili - Extra di "Fragili"




#2

Aleen





(413 giorni dopo)


"Ethan?"
"Tris."
"Cosa ti hanno fatto?
Vorrei essere forte per aiutarlo, come lui ha sempre fatto con me.
Vorrei essere forte per riuscire ad alzare la testa e reagire.
E invece me ne sto qui, sdraiata accanto a lui sulle brande consunte che abbiamo unito, a guardare il soffitto e a stringergli la mano.

Lui non risponde alla mia domanda. Non lo biasimo, è talmente stupida.
Cosa ti hanno fatto, Ethan, se non quello che questa gente fa anche a me? 
Mi immagino cosa sia successo, dal momento in cui l'hanno portato via al momento in cui è tornato nella nostra cella. Immagino il corridoio poco illuminato, sporco e maleodorante. Immagino i volti coperti delle persone dagli abiti scuri seguirlo fin dentro la Sala delle Torture, quell'enorme stanza piena di macchinari, buia per via della completa assenza di finestre. 
Riesco persino a sentire l'odore pungente di medicinale, i suoni meccanici delle apparecchiature addossate ai muri, il freddo tavolo d'acciaio al centro della stanza.
E poi sento la paura. Il dolore. Le grida.

Chiudo gli occhi di scatto. Perché la mia non è solo immaginazione. È quello che vivo ogni giorno in questo posto.
E le condizioni in cui ora versa Ethan sono sempre state le mie.

Sento le sue mani tremanti, il suo respiro pesante e il suo corpo freddo. Io gli sto vicino e basta perché non so cos'altro fare...
Di solito, al suo posto, ci sono io.

"Ethan?"
"Hmm..."

Non so cosa dire. Non è mai stata così brutta per lui. 
La maggior parte delle volte tornava stanco, ma nulla di più. Lui sopportava meglio di me.
Eppure non capisco cosa ci sia di diverso questa volta. È rientrato da un po' ormai, ma Ethan continua a tremare e a mugugnare cose incomprensibili. Fissa il soffitto con sguardo assente e mi stringe la mano ad ondate, come se volesse trovare un appiglio per non affondare.

"Ethan, raccontami qualcosa." gli chiedo senza un motivo preciso. 
Non ha senso, ma non so come reagire. Questa cosa sfugge al mio controllo.

Lui continua a non dare segni di partecipazione. Ad un certo punto si gira di lato e smette di tremare.
Così lo lascio stare e cerco di piangere in silenzio. 
Ma come al solito non ci riesco.

______________________________________________________________________

 

"Non ti ho mai detto una cosa..."

Apro gli occhi stancamente. Ethan è appoggiato con la schiena al muro di fianco a me e mi sta guardando serio. La sua mano è ancora tra le mie, ora più calda.
Mi tiro su di malavoglia, sistemandomi meglio sul materasso.

Oggi non sono venuti a prendermi, ma stranamente mi sento esausta.

"Stavi pensando?" mi chiede il mio compagno di cella con voce strascicata. Non si è ancora ripreso del tutto dall'ultima "seduta". 
"Scusa?"
"Ti ho chiesto se stavi pensando."
"No, questo l'ho capito. Ma perché me lo chiedi?" 
Ethan si stringe nelle spalle.
"Tu pensi sempre. Non volevo disturbarti "
Gli lancio un'occhiata vuota e non rispondo.

Non saprei definire il rapporto che c'è tra me ed Ethan. È tanto tempo che siamo rinchiusi qui dentro e non abbiamo mai parlato troppo.
O meglio, lui non ha mai parlato troppo.

I primi tempi rimaneva in un angolo della stanza ad ascoltarmi serio. Io gli parlavo di me, di Tobias, dei miei genitori, di mio fratello. Tutto ciò che potevo ricordare lo buttavo fuori, in modo un po' confuso e strano. Ma dovevo farlo per sentirmi viva, e lui ascoltava.

Dopo i primi mesi ci sono stati leggeri cambiamenti. Ethan si avvicinava di più, sorrideva ai racconti divertenti delle mie esperienze passate, annuiva durante i miei deliri. Niente di ciò che raccontavo doveva avere un senso per lui, anche perché quello che mi iniettavano ogni giorno mi rendeva instabile e stanca.

Non ricordo il momento preciso in cui decisi di fidarmi di lui. Semplicemente l'ho fatto.
Lo so che dovendo condividere una cella così piccola ed un'esperienza così orribile è quasi automatico dover fidarsi l'uno dell'altro.
Ma ora, guardandolo, ho come la convinzione che l'avrei scelto comunque come amico fuori da qui.

"Allora?" chiede ancora lui inclinando un po' la testa.
"Allora cosa?"
"Eri persa nei tuoi pensieri?"

Lascio la sua mano e mi appoggio al muro di fianco a lui stringendo le gambe al petto. Una fitta alla gamba mi coglie all'improvviso, facendomi gemere. Ho uno strano livido violaceo sul ginocchio, probabilmente a causa dell'ultima "seduta".

"Forse." rispondo con un sospiro. Ethan sa benissimo che in realtà la mia risposta è sì.
Annuisce con un sorriso.
"Pensavi a lui?"
"Forse."

Il suo respiro frammentato mi solletica l'orecchio. Fisso la porta di acciaio per un po', poi chiudo gli occhi.
Cerco di riportare alla memoria il suo viso, i suoi capelli, i suoi occhi. Lo immagino qui davanti a me, sorridermi timidamente e porgermi una mano.
Poco fa pensavo all'ultima volta che ci siamo visti, al Dipartimento, e me lo immaginavo esattamente così.
Sorridente e pronto a portarmi via con lui.

Forse se fossi andata in città insieme a lui...

"Un giorno lo dovrò conoscere, questo Tobias. Credo di conoscerlo meglio di te a questo punto."
Ethan accenna una risata, ma smette subito a causa della tosse convulsa che lo prende subito dopo. È davvero a pezzi.

"Non credo che lo conoscerai mai."
"E perché?"
"Guardati intorno."

Il mio tono è diventato improvvisamente duro. Deve smetterla di illudersi.
Deve smetterla di illudermi.

È sempre così, Ethan. Ottimista, positivo.
È convinto che un giorno usciremo da qui, mentre io ho perso le speranze alla seconda o alla terza "seduta".
Anche se mi tenessero la porta aperta, non credo riuscirei ad alzarmi in piedi e ad uscire di qui. Le torture a cui ci sottopongono prosciugano energie e lucidità mentale.

Guardo Ethan e mi rendo conto di essere stata troppo dura. Anche lui sta passando i miei stessi problemi, ed io non sono nessuno per farlo stare peggio di così.
"Scusa," dico. "Sono solo un po' stanca."

Lui annuisce e torna a sorridermi debolmente.
"Volevi dirmi qualcosa prima?" chiedo, ricordando il motivo per cui mi aveva chiamata.
"Forse."

Ethan fa una smorfia di dolore e si appoggia meglio al muro. Noto una ferita ancora fresca sul suo collo.
"Non ti ho mai detto," inizia. "come sono finito qui."
Le sue parole attirano immediatamente la mia attenzione.
"Beh, a dire la verità" replico io "non mi hai mai detto niente di te."

La sua bocca si piega in un sorriso.
"Hai ragione. Sei sempre tu quella che parla..."
Non ho la forza di fingermi arrabbiata o offesa per la sua stupida battuta, così mi limito a fissarlo.
Ethan prende un grosso respiro. Fissa il muro.

"Se sono qui molto probabilmente la colpa è mia." La sua voce diventa subito dura e distante. Cerco di concentrarmi sul suo viso con tutte le mie forze. Non posso lasciare che il mio cervello si offuschi come al solito.

"Vengo da una famiglia di Candidi." comincia. "Mio padre e mia madre erano dei pezzi grossi lì dentro. Lavoravano in tribunale, a stretto contatto con i capifazione."
Ethan si schiarisce la voce.
"Non andavo molto d'accordo con loro."

Comincio a sentire freddo. Non so se è per il suo tono di voce, così diverso da quello a cui sono abituata, o per la cella perennemente ghiacciata. Mi stringo comunque nella coperta piena di strappi che abbiamo per le brande.

"In realtà non c'era un vero motivo. Voglio dire, non che fossero cattivi con me, o anaffettivi. No, era solo che... erano troppo... diversi da me."
Ci ritroviamo entrambi a corrugare la fronte.
"Per loro era tutto bianco o nero, niente mezze misure."

Lo guardo perplessa.
"Ethan, tutti i Candidi sono così... o almeno dovrebbero esserlo. È la loro filosofia."
"Lo so, lo so," dice velocemente. "Ma loro erano gente importante, Tris. Gente che ispirava le altre persone, dei modelli di vita. I Candidi perfetti."
Annuisco senza convinzione. Non vedo il problema in questo. Anche i miei genitori erano considerati dei perfetti Abneganti. Erano punti di riferimento per tutti gli altri. E quindi?

"Erano... troppo. Io non ero così." continua Ethan. "La loro condotta impeccabile mi faceva infuriare. Venivo costantemente ripreso perché non potevo macchiare la buona reputazione della famiglia. Ma io non arrivavo mai al loro livello."
Mi guarda per la prima volta da quando ha iniziato a raccontare e mi rendo conto di capirlo pienamente. Non è forse questo il motivo per cui lasciai gli Abneganti? Non mi sentivo anche io fuori posto, troppo poco come loro?

"Quindi hai cambiato fazione?" chiedo piano.
"Diciamo che sono stato obbligato a cambiarla, ma lo avrei fatto comunque."
Mi mordo le labbra, desiderosa di sapere il resto. Ethan sospira.

"Mi hai detto che sei stata sottoposta al siero della verità un paio di volte, giusto?"
"Sì."
"Bene, noi Candidi eravamo sottoposti a quel siero ogni settimana. Ci costringevano a sputare fuori ogni nostro segreto, ogni nostro più intimo pensiero, per toglierci la voglia di mentire."
Annuisco. Ricordo che una volta Christina mi aveva detto la stessa cosa.
Christina.
No, non posso permettermi di pensare a lei ora.

"Il punto è che io ne ero totalmente immune."
Cala uno strano silenzio tra di noi. Entrambi pensiamo alla stessa parola.
"Eri... un Divergente?" chiedo con gli occhi sgranati. Ricevo un'alzata di spalle in risposta.
"Ero cosciente e nel pieno delle mie facoltà durante ogni singola seduta." spiega ghignando. "Non saprei spiegarti la sensazione che provavo. Sentivo uno strano formicolio quando il siero entrava in circolo, e subito dopo una leggera pesantezza. Ma dal punto di vista mentale ero assolutamente lucido. È una sensazione strana..."

"Fidati," lo interrompo improvvisamente. "La conosco benissimo."

Ethan mi squadra con quei suoi occhi chiarissimi, per niente sorpreso.
"Anche tu..?"
"Sì. Sono una Divergente." O forse dovrei dire: sono una geneticamente pura, proprio come te. Ovviamente non lo faccio, sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare. Magari un giorno. 
"Quelle volte che venni sottoposta al siero della verità riuscii a mentire, o comunque a controllare quello che dicevo."

Ethan annuisce con ammirazione, poi si perde con lo sguardo nel vuoto, pensando a chissà che cosa.
"Scusa, ti ho interrotto. Quindi sei stato costretto a lasciare i Candidi per questo?" dico cercando di riportarlo sulla terra. Lui si gira di scatto e, dopo aver aggrottato per un secondo la fronte, torna serio e continua a parlare.

"Beh, più o meno... In realtà nessuno sapeva del mio piccolo segreto a parte una persona. E nessuno sospettava niente perché nonostante potessi mentire, io ho sempre detto la verità."
Ethan non mi da modo di chiedere chi sia quella persona che era a conoscenza del suo segreto, perché subito mi lancia un'altra frase curiosa.
"Beh, almeno fino a quel giorno."

"Quale giorno?" chiedo immediatamente.
"Il giorno prima della Scelta." mi risponde con un sospiro. "Dovetti affrontare l'ennesima seduta di Siero della Verità, ma quella volta decisi di fare di testa mia. E feci un disastro."
Comincia a massaggiarsi distrattamente il collo e a lanciarmi occhiate furtive.
"Ero arrabbiato con i miei. La foto della nostra famiglia era stata pubblicata sul giornale di quella mattina insieme ad un lungo articolo che elogiava l'incorruttibile condotta dei miei genitori. Ed era tutto vero, Tris. Tutto ciò che quello stupido articolo diceva su di loro era dannatamente vero."
Ethan scoppia in una risata amara.
"Quanto li odiavo... i miei genitori e la loro perfezione. Qualcosa che portava gli altri a dire che non sarei mai stato alla loro altezza." dice scuotendo la testa. "Ma in fondo avevo solo sedici anni, e sentirsi diversi a quell'età ci porta ad ingigantire le cose."

Si sentono dei rumori provenire dal corridoio, ma cessano immediatamente. Per fortuna forniscono una valida distrazione e riportano Ethan sul discorso di partenza.
"Comunque sia, quel giorno mi sottoposi al siero e, per vendetta, cominciai a dire un sacco di menzogne su di loro. Dissi cose che non stavano né in cielo né in terra, per esempio che mio padre era un corrotto, che mia madre picchiava me e mia sorella per farci tacere sui segreti della nostra famiglia... cose di questo genere."
"Wow."
"Già, accusare di disonestà un Candido non è esattamente una cosa leggera."
"E come ne sei uscito?"
Ethan sorride tristemente.
"Beh, ufficialmente ero sotto siero, quindi nessuno dubitò della mia sincerità. Ma ovviamente rovinai la mia famiglia. I miei genitori vennero licenziati e dovettero trovarsi altri lavori meno prestigiosi. La comunità cominciò ad evitarli, ma di più non so, perché la mattina dopo cambiai fazione e mi rifugiai dai Pacifici. Ero sicuro che mio padre non sarebbe mai arrivato a cercarmi tra di loro per farmela pagare."

Annuii sconvolta. Non avrei mai pensato ad una storia del genere dietro al rassicurante viso di Ethan.

"E non si venne mai a sapere che avevi mentito durante la seduta? Quella persona che conosceva il tuo segreto non lo rivelò nemmeno quando te ne andasti?"
Alla mia domanda gli occhi di Ethan diventano duri e lontani. I suoi muscoli si tendono e il suo respiro si fa nervoso.
"No, non mi tradì." Mi guarda dritto negli occhi. "Quella persona era mia sorella."

Ethan ha una sorella. Questa notizia è ancora più sconvolgente della precedente. Lui non mi ha mai fatto intendere che c'è ancora qualcuno a cui tiene fuori di qui.

"Tua... sorella?"
"Sì, era più piccola di me di quattro anni." dice velocemente. Non ci vuole molto a capire che vuole evitare l'argomento. Eppure questa sua reazione mi fa pensare che c'è qualcosa di estremamente importante legato a sua sorella. Forse il suo segreto non è rimasto tale così a lungo.

"Vuoi... vuoi parlarmi di lei?"
Ethan mi guarda col terrore negli occhi. Una dozzina di emozioni gli attraversano il viso mettendomi in estremo imbarazzo. Non voglio metterlo in difficoltà, non deve farsi problemi a dirmi che non vuole parlarne. Sto per dirgli proprio questo quando si decide a rispondermi.

"Sono stato pessimo nei suoi confronti... Quando ho sputato veleno sui miei non ho pensato che ci sarebbero state ripercussioni anche su di lei. E poi l'ho abbandonata."
"Non dovevi rimanere per lei." dico convinta. Ethan mi fissa.
"Sì, ma non dovevo andarmene per loro."
Quasi non riconosco più la sua voce. Ha ancora gli occhi di ghiaccio quando si sdraia di fianco a me con un gemito di dolore.

"Ci scrivevamo ogni tanto. A volte mi offrivo volontario per andare in città con i camion e la incontravo in posti sicuri. Avevo paura che scoprissero anche il suo segreto, così mi assicuravo che non facesse il mio stesso errore."
Quindi anche sua sorella...
"Era una Divergente, sì." spiega Ethan leggendo la domanda nei miei occhi. "E anche lei, nonostante ne avesse la possibilità, non mentiva mai durante i test. Il giorno della Scelta decise di rimanere con i miei genitori nonostante la diffidenza della gente. Non voleva far loro del male ancora una volta."
"Una scelta molto altruista." commento con un sorriso.
"Già," conviene lui. "Ma in realtà la sua vera aspirazione erano gli Eruditi. Era molto intelligente e curiosa. Guardava il mondo con occhi diversi dai miei."

Solo ora mi rendo conto di uno strano particolare. Un brivido mi attraversa la schiena seguendo la spina dorsale fino al collo.

"Ethan. Perché ne parli al passato?"
So già quale sarà la sua risposta, me lo sento. È stato stupido anche solo chiederlo.
Ethan, dammi torto.

"Perché lei è morta un anno fa." 
La sua voce è un sussurro, così flebile che devo sdraiarmi accanto a lui per capire le sue parole successive. Gli prendo la mano, come fa sempre lui quando la notte affronto i miei incubi.

"È morta durante l'attacco degli Intrepidi ribelli al quartier generale dei Candidi."
"Cosa?" biascico incredula. 
Ethan fissa il soffitto, non sapendo forse che io ero lì in quell'esatto momento, nello stesso edificio.

"Quando ho saputo che gli Abneganti erano stati attaccati dagli Intrepidi sono corso in città disubbidendo agli ordini dei Pacifici. L'ho incontrata di nascosto e le ho detto che doveva venire con me perché in città sarebbe stato troppo pericoloso per lei."
Sospira tremando.
"Ma lei non mi ha ascoltato. Voleva rimanere con i nostri genitori allo Spietato Generale, perché sosteneva di essere al sicuro grazie agli Intrepidi rimasti "fedeli".”

Una puntura di fallimento mi stringe lo stomaco, ricordandomi che io ero una di quelle che doveva proteggerla. Dovevo proteggere tutti quanti.

"Mi ha convinto a tornare dai Pacifici, e così alla fine ho fatto." Il suo tono si fa disperato. "Lei era nell'edificio, quel giorno. Ad uno dei primi piani. Quando hanno diffuso il gas lei è rimasta sveglia ovviamente, ma non sapeva che fare. Un soldato traditore l'ha scoperta mentre tentava di salire le scale per raggiungere i miei genitori ai piani superiori e l'ha..."
Ethan non riesce a continuare. Dei singhiozzi gli scuotono il torace e in pochi secondi il suo viso è coperto dalle lacrime.
Non so cosa fare ora. Così stringo più forte la sua mano e rimango in silenzio. 
"L'ha uccisa. Un solo colpo." farfuglia. "Se l'avessi convinta... se solo l'avessi costretta..."

Stritolo la sua mano mentre nella mia mente si mischiano immagini e ricordi che non avrei voluto tirare fuori.
L'ha uccisa. Un solo colpo.
Mia madre. Will. 
Un solo colpo.

La sorella di Ethan è morta nello stesso edificio in cui mi trovavo io al momento dell'attacco. Eravamo a pochi metri forse, e chissà se non ci eravamo già intraviste a mensa o nei corridoi.
Avrei potuto salvare anche lei?

Non sono così forte anche per questo. Vorrei esserlo, ma semplicemente non posso.
Perché so benissimo cosa prova Ethan. 
Quei "se solo" che continuiamo a ripeterci ogni ora, ogni minuto, sapendo che comunque non cambieranno il presente. Forse ne abbiamo bisogno ogni tanto. 
Dare la colpa a noi stessi ci convince che la volta dopo non commetteremo più gli stessi errori. 
Spero sia vero.

Ethan non lascia la mia mano e lo stesso faccio io.
La cella che ci rinchiude fa sentire di nuovo la sua oppressiva morsa su di noi. Mentre Ethan raccontava quasi non facevo caso all'ambiente intorno a me.
Ora però ho voglia di uscire di qui. 
Ne ho bisogno.

Troppo dolore rinchiuso in queste minuscole quattro mura.

Ethan si calma dopo qualche minuto, ma rimane al mio fianco. Il suo respiro si calma e delle lacrime rimangono solo le scie umide sul viso. 
Ho fatto del mio meglio per essere forte per entrambi almeno una volta, ma non credo di esserci riuscita.
"Usciremo da qui, Ethan. Troverò un modo." gli prometto stupidamente. 
Le probabilità di scappare da qui sono bassissime, e lui lo sa. Ma a questo punto non importa più. Abbiamo bisogno di sperare.

Forse le mie parole funzionano, perché ad un certo punto, non ricordo bene dopo quanto, Ethan si gira verso di me e sussurra un nome. 
"Aleen."
"Cosa?"
Chiude gli occhi e mi stringe la mano un'ultima volta.

"Mia sorella," dice. "Mia sorella si chiamava Aleen."








NOTE FINALI:

Scusatemi O_O
Questo capitolo è arrivato con troppo ritardo. E detesto com'è venuto. Doveva essere un capitolo importante, ma l'ho rovinato, quindi perdonatemi -.-"
Spero di riuscire a pubblicare al più presto il terzo extra, anche se purtroppo ho un sacco da fare in questo periodo e tante cose per la testa...
Aspettatevi qualche one-shot delirante XD
Un saluto e alla prossima...

Mconcy

PS: Qualcuno saprebbe spiegarmi come funzionano le beta reader (si dice così)? Sono come revisori di testi? Grazie in anticipo XD
  
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