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Autore: BlackSwan Whites    12/09/2014    6 recensioni
STORIA AD OC (ISCRIZIONI CHIUSE!)
Il mondo ha già conosciuto due grandi ere della pirateria; i sogni e le speranze di tanti uomini sono naufragati per sempre, mentre altri sono riusciti a realizzare le loro ambizioni.
Nella terza grande era della pirateria, spinta da una volontà d'acciaio, una ragazza decide di imbarcarsi per solcare i mari assieme ad altri che, come lei, hanno un sogno e degli ideali che difenderanno a costo della vita. E voi, siete pronti a seguirla?
Una ciurma, tante persone, ma una sola, grande avventura.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 4: Passati che ritornano

 

Nella sala principale del vascello…

Sottocoperta, i membri della ciurma erano riuniti attorno al grande tavolo di legno dove di solito consumavano i pasti.
La tensione nell’aria era così densa che sembrava si potesse toccare.
Non volava una mosca; l’unico suono percepibile era il lieve battito di un martello all’esterno, dove Kaith stava ultimando le riparazioni allo scafo.
Dopo circa un quarto d’ora (che però era sembrato a tutti interminabile) la porta si spalancò e ne emerse il carpentiere, sfregandosi le mani con uno strofinaccio per pulirle.
Iris gli fece cenno di accomodarsi al suo posto; poi, una volta che si fu seduto, prese la parola.
-Bene, ora che ci siamo tutti posso spiegarvi un po’ di cose. Intendo, riguardo chi sono io e, soprattutto, riguardo Kahir. Il perché lui è così importante per me e non solo, dovrebbe esserlo per tutto il mondo-
Gli occhi di tutti si voltarono in un’unica direzione, come attratti da una calamita.
Il falco se ne stava tranquillamente appollaiato su una sorta di trespolo di ottone che, per l’occasione, era stato portato accanto al tavolo (normalmente era appoggiato alla parete).
Teneva la testa bassa e le palpebre leggermente socchiuse. Il suo aspetto era fiero come sempre, ma il suo splendore era in qualche modo offuscato da quell’atteggiamento mesto; anche se non era umano, riusciva a far trasparire i suoi sentimenti, in questo caso dolore, un dolore profondo, in grado quasi di trasmettersi, come una malattia, a chi indugiasse troppo sul suo profilo.
Qualunque cosa fosse accaduta in passato, doveva essere una ferita ancora aperta; prima il capitano aveva accennato a qualcosa, a una certa Kira, ma non era entrata nei particolari. Ora era il momento di chiarirsi.
Iris riprese a parlare.
-Prima di iniziare il mio racconto, devo mostrarvi una cosa. Un dettaglio di cui nessuno a parte voi dovrà mai venire a sapere-
Detto questo si alzò in piedi; dalla sua posizione a capotavola, ogni membro della ciurma poteva vederla chiaramente.
La ragazza distese il braccio destro, come faceva solitamente per richiamare Kahir. Poi, con dita tremanti, cominciò a sfilare lentamente la polsiera.
Effettivamente, pensò Mirage, nessuno di loro aveva mai visto quella parte del loro capitano scoperta. Persino quando si lavava le braccia non toglieva la copertura.
Cosa mai poteva spingerla a tenerlo nascosto? Che segreto celava? Era un bel mistero, ma presto sarebbe stato svelato.
Con un gesto deciso, la giovane spostò anche l’ultimo lembo di tessuto, mostrando il polso. Vi spiccava una macchia nera, larga quanto esso stesso.
 

Tutti si sporsero nella sua direzione per osservare meglio il tatuaggio.
Raffigurava un paio di ali spiegate, le cui punte si ripiegavano lievemente in direzione degli avambracci; le penne erano disegnate in modo sorprendentemente dettagliato, sembrava quasi di vederle pronte a fremere scompigliate dalla brezza.
-Beh, tutto qui? È solo un tatuaggio, io ne ho molti più di te, non mi sembra un delitto…- commentò Greta, osservandosi le mani su cui spiccavano vari disegni.
Iris scosse debolmente la testa, ma Alex la precedette nel rispondere alla navigatrice.
-No, quello non è un tatuaggio qualsiasi. È una specie di marchio… credo. Ho sentito delle voci riguardo ai Custodi di Hiwa, ma non so niente su di loro. Spiegaci, Iris-
Il capitano riprese la parola.
 

-Credo che ormai abbiate tutti capito che provengo da un’isola di nome Hiwa. Si trova nel Mare Meridionale. O meglio, dovrei dire… si trovava- disse, mentre il suo sguardo si velava leggermente.
Keyra strinse i pugni sotto il tavolo. Credeva di capire già come sarebbe andata a finire la storia, e aveva buone ragioni per supporre che ci fosse di mezzo il Governo Mondiale.
-Ora ricordo qualcosa. Se non sbaglio, Hiwa era un’isola famosa per l’avicoltura, giusto?- fece Greta.
La mora annuì brevemente.
-Sì, ricordi bene. I primi abitanti sbarcarono sull’isola circa un secolo fa; una volta attraccati a terra scoprirono una incredibile varietà di specie di uccelli, molte delle quali sconosciute fino ad allora, quindi si insediarono per poterle studiare. Così cominciò una lunga tradizione di allevamento, cura ed addestramento di volatili che è durata fino ai giorni nostri.
Io sono nata diciotto anni fa.
 

Mio padre era un commerciante; spesso era via per lavoro, ricordo che rimaneva a casa solo pochi mesi prima di ripartire per i suoi viaggi.
Mia madre invece allevava are-
-Are?- domandò Mirage incuriosita. -Sono dei grandi pappagalli multicolori- le rispose distrattamente Diana. -A vedersi sono spettacolari- aggiunse sotto lo sguardo incantato della tigre.

-Comunque sia- riprese il suo racconto Iris, -data la professione di mia madre, sono stata a stretto contatto con questi animali praticamente fin dalla nascita, e devo dire che avevo una sorta di talento naturale nell’ammaestrarli. Non avete idea di quanto sia magnifica la vista di un gruppo di are addestrate in volo, sembra di osservare un arcobaleno in movimento continuo, vivo e cangiante.
Mi divertivo a creare nuovi schemi assieme a mia madre, per poi mostrarli orgogliosa a papà quando tornava a casa dai suoi lunghi viaggi.
Cinque anni dopo me mia madre ebbe un’altra figlia, che mio padre decise di chiamare Aisha.
Restò a casa alcuni mesi più del solito per prendersi cura di lei assieme a mia madre, poi dovette ripartire per un viaggio molto lungo; per metà anno non l’avremmo rivisto.
“Mi raccomando, la prossima volta che torno voglio che tu sia diventata una addestratrice provetta” mi disse, al che io gli feci notare che avevo solo cinque anni e mezzo. “E allora?” aveva aggiunto scompigliandomi i capelli, con un grande sorriso sulle labbra. “Nemmeno tua madre è in grado di ammaestrare gli uccelli come te. Scommetto che riusciresti anche ad addomesticare un falco tuono!”-
Greta sorrise debolmente nel sentire come Iris ricordasse chiaramente le parole del padre.

Doveva essere bello avere dei genitori che ti amano; per quanto la riguardava, i suoi l’avevano abbandonata da piccola sull’isola che poi era diventata il suo inferno privato.
Prima di tornare a guardare il capitano, incrociò lo sguardo di Alex, e vide che anche lei aveva un’espressione analoga alla propria. Che anche a lei fosse accaduto qualcosa di simile?
Iris riprese il racconto.
-Dovete sapere, infatti, che i falchi tuono come Kahir sono la specie più caratteristica in assoluto di Hiwa, abbastanza poco comune e, se catturata da adulta, ancora più difficile da addomesticare. Con i cuccioli è un poco più semplice, ma neanche troppo.
Una volta ammansita, però, è fedele fino alla morte e sviluppa con il suo, diciamo così, “padrone” un legame forte, un po’ come quello che avete potuto vedere tra noi due.
Oltre ad essere un simbolo di importanza, i falchi tuono erano utili alla nostra isola per la produzione di energia, per un motivo che ben potete immaginare- aggiunse, facendo cenno al falco sul suo trespolo.

Tutti avevano ancora vivo nella mente l’episodio appena occorso, in cui l’animale si era trasformato in una vera e propria “saetta alata”.
-Comunque sia, dopo questo breve discorso mio padre partì per il viaggio.
Fu l’ultima volta che lo vidi.
Dopo circa un mese, ci giunse la notizia che la nave su cui si trovava era incappata in una tempesta e che era affondata in mare aperto. Al relitto erano ancora attaccate le scialuppe, perciò nessuno dell’equipaggio era riuscito a mettersi in salvo. Il mare non restituì nemmeno le salme.
Così rimanemmo sole, io, mamma e Aisha ancora piccola.
 

Fu un trauma grandissimo; ci vollero mesi perché lo superassi.
Per Aisha fu semplice, era troppo piccola per capire, ma per me…- si interruppe un attimo per prendere fiato, lasciando la frase in sospeso.

Il resto della ciurma ascoltava in silenzio, condividendo il dolore del capitano.
Del resto, quasi tutti loro avevano perso i genitori o comunque coloro a cui avevano voluto bene, chi prima e chi dopo, per cui capivano bene cosa stesse provando nel rievocare quei tristi momenti.
Le uniche eccezioni erano Greta, che era appunto stata abbandonata, e Alex, anche lei lasciata in un orfanotrofio dai suoi parenti naturali, poi adottata da due perfidi coniugi che l’avevano maltrattata in ogni modo, costringendola anche a mangiare il frutto del mare di cui ora aveva i poteri. Ricordava con piacere di come li aveva fatti fuori tutti, genitori naturali e non, appena ne aveva avuto l’occasione.
Iris riprese a parlare.
-Però alla fine riuscii a tornare alla normalità, anzi mi lanciai nell’addestramento con rinnovata forza, sperimentando con nuove specie oltre alle are e ottenendo risultati strabilianti.
Dedicavo tutto il lavoro a mio padre, sperando che, dall’alto del cielo, potesse vedere il volo dei miei uccelli ed essere fiero di me.Così passarono altri quattro anni.
E qui entra in scena Kahir.
 

Era il giorno del mio decimo compleanno, e stavo festeggiando con mia madre ed Aisha, quando ad un tratto sentimmo bussare alla porta.
Corsi ad aprire e mi ritrovai faccia a faccia con Alim, un signore abbastanza anziano che noi bambini conoscevamo tutti come “nonno Alim”.
Era inoltre noto al villaggio perché era un esperto di rapaci e possedeva anche alcuni falchi tuono.
Fu lui a porgermi un piccolo di questa specie, poco più di un pulcino.
“È per te”, mi disse. “Tutti abbiamo notato la tua abilità e pensiamo che tu abbia le qualità per diventare una Custode”.
I Custodi di Hiwa, a cui ha accennato prima Alex, non sono altro che coloro che possiedono un falco tuono.
Quel giorno, infatti, oltre a ricevere in dono il piccolo (a cui poi diedi il nome Kahir) mi venne impresso sul polso il tatuaggio che vi ho mostrato, come prova del mio essere Custode.
Inutile dirvi che l’addestramento andò a buon fine.
Tre anni dopo, anche Aisha (che aveva anche lei dimostrato un grande talento simile al mio) ricevette lo stesso  onore. Il suo però era un falco femmina, che chiamò Kira.
In breve, anche tra lei e Kira nacque un forte legame, come anche tra Kira e Kahir.
La vita era magnifica, i giorni scorrevano in pace, ma tutto stava per precipitare.
 

Passò un altro anno.
Era una giornata soleggiata e tranquilla. Io e Aisha eravamo a spasso assieme ai nostri falchi, quando ad un tratto vedemmo arrivare al porto una grossa nave della Marina.
In breve, al villaggio giunse un gruppo di soldati, capitanati da un viceammiraglio, che chiesero di parlare con Alim.
Non so in che modo, ma il Governo era venuto a sapere dell’esistenza dei falchi tuono, ed era intenzionato a procurarsene molti esemplari per motivi militari; noi di Hiwa avremmo dovuto collaborare al loro addestramento.
Ovviamente Alim rifiutò, così come tutti gli altri abitanti.
Fu allora che i Marine, decisi a prendersi i falchi con la forza, attaccarono in massa l’isola.
E fu un massacro; per quanto provassero a difendersi, i nostri compaesani non erano all’altezza dei soldati, ma combatterono ugualmente.
Mia madre, prima di andare ad aiutarli, accompagnò me e mia sorella al porto e ci fece partire di nascosto su una barchetta, lasciandomi alcune indicazioni su come raggiungere l’isola più vicina.
Kahir e Kira vennero con noi. E fu un bene.
Infatti, come apprendemmo poi, nell’attacco della Marina rimasero uccisi non solo tutti gli abitanti dell’isola, ma anche ogni singolo falco tuono.
Nel silenzio, si udì un gemito proveniente da Mirage.

-Li hanno sterminati tutti…- mormorò. “Proprio come gli antropomorfi” aggiunse nella sua mente.
Capiva bene la situazione, perché era molto simile alla sua.
Il capitano annuì debolmente.
-Sì, non si salvò nessuno. Gli unici scampati alla strage erano i quattro imbarcati su quel guscio di noce.
Naturalmente nessuno al mondo seppe di quel piccolo “incidente”. Il Governo mise tutto a tacere, e Hiwa tornò ad essere il regno incontrastato dei soli uccelli.
 

Dopo due giorni riuscimmo ad attaccare all’isola che mi aveva indicato nostra madre, stremate dalla fame e dalla sete.
Per nostra fortuna, fummo accolte da un oste del paese, che ci rifocillò e ci accolse in casa sua per qualche tempo.
Pensavamo di aver ritrovato la stabilità, ma ci sbagliavamo.
Un mesetto dopo il nostro arrivo, un mattino uscii assieme a Kahir per andare a svolgere alcune commissioni.
Era tutto normale, finché non notai due manifesti appesi a una bacheca. Manifesti di taglie, e le facce raffigurate mi erano familiari. Molto familiari.
Sì, perché erano la mia e quella di Aisha. Su entrambe pendeva una taglia di 44 milioni di Berry, cosa strana per una quattordicenne e una bambina di nove anni.
Guardando più attentamente, vidi una scritta che diceva che il denaro sarebbe stato consegnato a chi ci avesse catturate solo se, assieme a noi, avessero portato anche i falchi che erano con noi.
Allora capii che ciò che contava davvero era Kahir, non io. È su di lui che pende la taglia, non su di me.
La Marina vuole mettere le mani su lui e Kira per sfruttarli e creare un esercito di falchi tuono, come fossero delle macchine.
Non persi tempo e corsi alla locanda, ma era troppo tardi. La trovai messa a soqquadro, l’oste a terra svenuto.
Quando si riprese, mi disse che degli uomini del Governo avevano fatto irruzione e avevano portato via Aisha e Kira.
Avevo perso anche l’ultima persona rimasta della mia famiglia, ora ero sola, ma non mi arresi. Decisi che la Marina non mi avrebbe mai avuta.
Quel signore gentile che mi aveva ospitato mi aiutò a imbarcarmi di nascosto su una nave mercantile, dove rimasi nascosta, scendendo a terra di tanto in tanto per commettere qualche piccolo furto.
Fu nella stiva che trovai i kunai e il frutto del diavolo, così li rubai entrambi e cominciai ad allenarmi a combattere, anche assieme a Kahir.
Sognavo di formare una ciurma pirata, come aveva fatto il mio idolo di sempre, Monkey D. Rufy, e di solcare i mari alla ricerca di mia sorella.
Già, perché io sono convinta che la Marina se la sia lasciata sfuggire. Dopo qualche tempo, infatti, la sua taglia tornò in circolazione. Anche lei mi sta cercando, e io riuscirò a ritrovarla, lo giuro.
E quando l’avrò fatto, Kahir e Kira assieme potranno ridare vita alla specie dei falchi tuono.
E ancora, tutti assieme, vendicheremo la nostra isola-
 

Nella stanza calò il silenzio.
Tutti erano così concentrati sulla storia che nessuno sapeva come fare a recuperare le parole.
-Dunque… anche Hiwa è stata distrutta dalla Marina-
Era stata Keyra a parlare. Iris annuì brevemente.
-In che senso… anche?- domandò Mirage, alzando un sopracciglio.
La cuoca sospirò pesantemente prima di rispondere.
-Vedete… anche io provengo da un’isola che non esiste più. Se non vi dispiace, vorrei parlarvi un po’ di me-
Nessuno ebbe da controbattere, per cui fu il turno della ragazza di raccontarsi ai compagni.
 

-Nacqui diciannove anni fa in una piccola isola nell’East Blue.
Ricordo che il cielo era sempre azzurro e il sole splendeva praticamente tutto l’anno, ma i prati erano comunque verdi e lussureggianti. Insomma, il posto perfetto dove vivere.
Se non fosse stato per i miei poteri.
Infatti, fin dalla nascita ho dimostrato delle abilità… particolari, ecco-
Tutti annuirono, tornando nuovamente con la memoria al combattimento.

Effettivamente, non era da tutti sputare fuoco o triplicarsi.
-Erano poteri strani, ma a parte il poter creare delle copie di me stessa potei constatare che erano legati agli elementi naturali.
In pratica, potevo creare, controllare e plasmare a mio piacimento il fuoco, la terra, il vento, l’aria, l’acqua… fantastico, direte voi.
Ed infatti lo era.
Il mio timore era che gli altri bambini avessero paura di me per quello che ero, invece non ebbi alcun problema a socializzare con tutti i miei coetanei del villaggio.
Anzi, i miei poteri servivano a farci divertire ancora di più.
Ma, a quanto pare, nulla accade senza che il Governo lo scopra.
 

Era un giorno come tanti altri.
Io e i miei amici stavamo giocando assieme poco lontani dalle nostre case, quando udimmo un boato assordante.
Voltatici, vedemmo subito con orrore il fumo che si levava tra gli edifici, probabilmente dalla piazza principale.
Mentre ci chiedevamo cosa fosse successo, iniziando a correre verso il punto da cui era provenuto il frastuono, un’altra esplosione, molto più vicina della prima, ci fece portare le mani alle orecchie.
E ancora, proprio sopra le nostre teste, un edificio andò in pezzi, colpito da una cannonata.
Ricordo che alcuni miei amici furono schiacciati dalle macerie, morendo davanti ai miei occhi.
Occhi che si levarono, pieni di lacrime per colpa del fumo e del dolore, verso l’alto.
Fu allora che le vidi.
In lontananza, c’erano dieci enormi navi da guerra. Sulle vele svettava il simbolo della Marina.
Prima che potessi chiedere aiuto o fare qualsiasi altra cosa, sentii qualcuno afferrarmi da dietro e voltarmi.
Allora non sapevo chi fosse, ricordo solo che mi colpì molto il fatto che portasse un cappello con visiera molto calato sulla fronte, il che mi impedì di vedere i suoi occhi.
Provai a divincolarmi, ma fu inutile, il Marine era grosso almeno cinque volte me.
Lo vidi estrarre un lumacofono dalla giacca e dire poche, semplici, lapidarie parole: -L’ho trovata, procedete pure-
Poi mi trascinò via, su una di quelle navi.
Non valsero a niente tutte le mie proteste, le mie lacrime. Anzi, mi valsero un buon numero di percosse e schiaffi.
E mentre mi portavano chissà dove, fui costretta ad osservare come le altre imbarcazioni bombardavano l’isola senza fermarsi un secondo.
Su una zattera riconobbi alcuni miei compaesani che provavano a fuggire, ma furono fatti saltare in aria anche loro.
Nel tempo in cui noi arrivammo in mare aperto, della mia isola natale non rimaneva più nulla.
Avevo sei anni.
 

Dopo qualche ora, giungemmo al quartier generale della Marina.
Fu allora che scoprii che l’uomo che mi aveva catturata era l’allora ammiraglio Akainu-
Al sentire quel nome, Mark rabbrividì.

Tutti conoscevano bene l’assenza più totale di pietà in quell’uomo, lui in particolare, dato che era stato a strettissimo contatto con la Marina per praticamente tutta la prima metà abbondante della sua vita.
Quando era diventato grandammiraglio, poi…
Notò che anche Diana, seduta di fronte a lui, ebbe un leggero spasmo al sentir nominare Akainu, ma cercò di dissimulare.
Nel fremito, il ciondolo argentato che portava al collo le sfuggì da sotto la camicia, ma lo riagguantò rapidamente e, prima che Mark o qualcun altro avessero il tempo di osservarlo più attentamente (o anche solo di notarlo), lo rinfilò nel colletto.
La bionda riprese a parlare.
-Così scoprii che il Governo Mondiale, venuto a sapere dei miei poteri, mi aveva rapita, riconoscendomi grazie alle sfumature particolari dei miei capelli e dei miei occhi. Una volta ottenutami, avevano intenzione di addestrarmi e utilizzarmi come arma.
Insomma, mi consideravano una loro proprietà, e per ricordarmelo mi impressero a fuoco sulla schiena il loro orrendo simbolo-
Detto questo, si tolse il gilet nero e bianco che aveva sulle spalle e, voltatasi, sollevò un po’ il corpetto in modo che tutti potessero osservare il marchio che deturpava la schiena della giovane.

Era di un colore rosso scuro, come una voglia, ma si notava chiaramente che era stato impresso con un ferro incandescente.
Rey strinse i denti. Sapeva che la Marina era campione in crudeltà e arroganza, ma arrivare a fare una cosa del genere ad una bambina di sei anni… Li odiava tutti, dal primo all’ultimo.
Keyra si rivestì, poi continuò il suo racconto.
-Fu Akainu in persona ad addestrarmi. Ovviamente fu durissima; non vi dico le privazioni e le punizioni a cui ero costretta se non riuscivo in qualcosa o se sbagliavo, per non parlare delle botte…
In un certo senso, però, sono felice.
Perché fu in questo modo che imparai a controllare completamente i miei poteri e sviluppai l’haki, anche se non amo utilizzarla.
In più, imparai a maneggiare un sacco di armi, però la mia preferita rimane sempre la mia spada.
Ma la cosa migliore che mi capitò, l’unica cosa bella in tutto quel tempo, fu una amicizia che porterò sempre nel cuore.
Sebbene gli allenamenti non mi lasciassero quasi un attimo di tregua, conobbi un’anziana che lavorava nelle cucine.
Sì, lo so che sembra strano che una persona non più molto giovane sia al servizio della Marina, ma lei mi raccontò che era nata in quella base e aveva dovuto lavorarvi da sempre.
Fu lei ad insegnarmi a cucinare e a trasmettermi l’amore per i piatti che preparavo; in tutto il buio della mia vita, quegli incontri erano gli unici spiragli di luce.
E passarono gli anni, mentre nel mio cuore covavo l’odio represso per la Marina, per il Governo, per Akainu…
Finché, a sedici anni, decisi di tentare la fuga.
Riuscii a far saltare in aria buona parte della base con le mie tecniche esplosive di fuoco, per crearmi un diversivo, e fuggii a piedi, correndo sull’acqua come avevo imparato a fare durante l’allenamento.
Riuscii a portare con me Angel, la spada che mi vedete ancora oggi utilizzare.
È da allora che giro, cercando un’occasione per distruggere una volta per tutte la Marina-
 

Tra i compagni calò di nuovo il silenzio.
-Beh, guardiamo la cosa positiva- disse dopo un po’ Kaith, cercando di sdrammatizzare un poco la situazione, -almeno gli insegnamenti di quella vecchia ti hanno resa una cuoca fenomenale!-
-Sì, Timber-san ha ragione, i tuoi piatti sono deliziosi!- esclamò Mirage.
Gretta scosse debolmente la testa nel sentire il soprannome che la tigre aveva dato al carpentiere. Solo lei era in grado di percepire il suo odore di legname da costruzione…
Keyra sorrise.
Era bello che i compagni cercassero di tirarla su di morale, non era mai facile rievocare ricordi tanto dolorosi.
-Beh, sicuramente non è stato solo merito suo- disse Naoaki.
Tutti si voltarono nella sua direzione. Non parlava praticamente mai; probabilmente sentire due dei suoi compagni di ciurma “confessarsi” l’aveva un po’ sciolto.
-Voglio dire,- precisò, -per certe cose serve anche una sorta di talento naturale. E molta esperienza-
Stava per aggiungere “come con le pistole”, ma si trattenne.
La cuoca rialzò lo sguardo.
-In effetti l’esperienza ce l’ho. Sapete, per guadagnarmi da vivere, prima di unirmi alla ciurma, accettavo incarichi saltuari in ristoranti, cercando di non farmi notare troppo e cambiando spesso zona.
Del resto, quando c’è chi darebbe 50 milioni di Berry per la tua testa…-
-Aspetta un attimo- esclamò Greta, -vorresti dirmi che tu hai una taglia anche più alta di quella di Iris?-
-Ma hai ascoltato fino ad adesso?- le rinfacciò Alex irritata, con gli occhiali che scintillavano dietro il ciuffo nero. -Ha appena detto di avere dei poteri unici, è sfuggita al controllo del Governo e in più ha anche fatto saltare una base della Marina. E per la cronaca,- aggiunse, -la sua è la taglia più alta di tutta la ciurma.
-E tu come lo sai?- chiese Greta, punta sul vivo dalla reazione della studiosa.
Per tutta risposta, la mora estrasse da una tasca una serie di fogli spiegazzati, per poi aprirli e disporli sul tavolo.
Erano manifesti dei ricercati, tutti appartenenti alla ciurma.
-Li ho presi a quei cacciatori di taglie che mi inseguivano- spiegò con una scrollata di spalle.
Tutti si chinarono verso il centro del tavolo per guardare meglio.
Effettivamente, la taglia di Keyra era la più alta di tutte.
-Però, 45 milioni?- disse Alex a Kaith, alzando un sopracciglio stupita.
Il ragazzo si portò una mano alla nuca, sfregandola leggermente.
-Ehm, forse è per alcuni dei miei trascorsi… sapete, prima di entrare nella vostra ciurma ero già stato pirata su una delle navi di Barbabianca-
-Barbabianca!?- esclamò Diana, sbarrando gli occhi. -Cioè, quel Barbabianca? Quello che morì nella grande guerra di Marineford?-
-Sì, anche dopo la sua morte la sua flotta non si è divisa. Quando io mi sono unito a loro il capitano era Marco “la fenice”, uno di quelli che furono i comandanti delle flotte originali. Sapete, anch’io ho capitanato una flotta, finché non mi hanno catturato e sbattuto a Impel Down… Meno male che sono evaso-
-Pivello- bofonchiò Greta sottovoce. Farsi catturare era da idioti. Più che altro la stupiva la nonchalance con cui Kaith aveva detto di essere stato rinchiuso nella più grande prigione del mondo, e per di più di esserne evaso.
Nella “classifica” delle taglie lei si posizionava quarta, subito dopo Iris, con 43 milioni di Berry.
Seguivano Mark con 37 milioni, Ellesmere con 34 milioni, Diana e Naoaki a parimerito con 30 milioni e, infine, Mirage con 25 milioni.
-Voi due non avete taglia?- domandò Keyra a Rey e Alex. Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle, mentre l’altra la guardò con un’aria di vaga superiorità. -Probabilmente quelli della Marina non sanno neanche che esisto… Non sono ancora riusciti ad incastrarmi- disse, passandosi leggermente la lingua sulle zanne da serpente che le spuntavano dal labbro.
-Bene, allora siamo a posto?-
Tutti si voltarono in direzione di Iris. Da quando il suo racconto era terminato non aveva aperto bocca.
Aveva un’espressione rilassata, la tristezza di prima era svanita, anche se Diana notò ancora una vaga ombra nei suoi occhi. Non era uno dei suoi repentini cambi d’umore, stavolta ci avrebbe messo un attimo in più a ritrovare la solarità di sempre.
-Credo di sì- rispose Rey a nome di tutti gli altri. -Non credo che potremo fare rifornimenti su quest’isola, a parte quell’ammasso di idioti è completamente disabitata-
-Ma questo non vuol dire che non possiamo guadagnarci niente- disse Alex, con uno strano luccichio negli occhi.
-Mentre scappavo, sono capitata in un magazzino dove c’erano una serie di casse. Magari contengono delle provviste, o magari i soldi di qualche altra taglia che i cacciatori avevano appena incassato…- aggiunse, con lo sguardo perso nel vuoto. Stava già fantasticando di trovare qualche piccolo tesoro e, ovviamente, di appropriarsene.
-Allora andiamo a recuperarle!- esclamò il capitano con rinnovato vigore.
 

Così scesero di nuovo a terra, mentre Mark ed Ellesmere rimanevano di guardia alla nave, nel caso qualche superstite del gruppo dei cacciatori di taglie decidesse di giocare loro qualche brutto tiro, tipo rubare la nave.
La rossa si avvicinò al medico. Adesso aveva l’occasione di ringraziarlo per averla salvata dal cadere in mare, quindi decise di coglierla.
-Senti, Mark…- cominciò, cercando di vincere la timidezza.
-Sì?- disse lui, voltandosi.
-Io… ecco… volevo ringraziarti. Se non ci fossi stato tu, sarei caduta in mare e…- abbassò lo sguardo, senza terminare la frase. Se avesse detto “sarei morta” non sarebbe stata la verità, ma d’altra parte dire come stavano realmente le cose comportava rivelare tutto di sé stessa, e non si sentiva ancora pronta per quel grande passo.
Quando rialzò gli occhi, incrociò quelli verde-azzurri del medico, che le sorridevano, così come il suo viso.
Ma non era il suo solito sorriso da cascamorto, quello di quando si sprecava in migliaia di moine e complimenti a lei o alle sue compagne.
Era un’espressione sollevata, tranquilla… felice, ecco tutto.
-Beh, quando un compagno è in difficoltà lo si aiuta, no?- rispose, sempre sorridendole. -E poi io sono un medico, è il mio dovere salvare le persone-
Quell’atteggiamento rilassato e naturale, così diverso dal solito, la colpì e le diede coraggio.
La rossa si avvicinò, poi stampò un timido bacio sulla guancia del ragazzo. -Grazie- sussurrò.
“Bene, così mi sono tolta un peso” pensò, mentre sentiva il cuore alleggerirsi.
La reazione del medico fu però quella prevista: arrossì completamente, tanto che pareva che gli uscisse del fumo dalle orecchie.
Poi, con gli occhi persi, si gettò in ginocchio prendendo la mano della compagna.
Ok, era tornato quello di sempre. Con voce sognante, disse: -Oh, Ellesmere, sei davvero la più bella tra le belle, il gioiello più splendente, il sole dei miei giorni, il…- ma non finì di parlare che qualcosa lo colpì violentemente alla nuca, spedendolo a terra.
Mark scattò subito, alla ricerca del pericolo che sentiva imminente. La vita sua e, soprattutto, quella di Ellesmere erano in pericolo.
-Chi sei, vigliacco che colpisci alle spalle? Fatti vedere!- urlò rivolto al nulla.
Ellesmere, per tutta risposta, scoppiò a ridere.
Allo sguardo interrogativo dell’altro, si limitò a indicargli un punto a terra, in cui giaceva saltellante ciò che lo aveva colpito.
-No, Mark, non è un nemico, è… è un pesce!-
Il giovane fece una faccia sbalordita. -E perché mi è saltato in testa?- domandò, scioccato.
-Boh, sarà qualche scherzo di Diana... sai che si diverte da morire a parlare agli animali!- disse la rossa, senza smettere di ridere.
-Che c’entro io?- chiese di colpo la vedetta, sbucando dal parapetto della nave con un grosso barile in spalla. Evidentemente, Alex aveva visto giusto, il deposito c’era.
L’occhialuta lanciò un’occhiata storta al pesce.
 -Pesca innovativa?-disse con una punta di scherno. Ellesmere, nel frattempo, raccolse la creaturina e la ributtò in mare.
In realtà era stata tutta opera sua, ma ovviamente si era guardata bene dal dirlo.
Intanto, Diana continuava a prendere in giro il medico per ciò che era accaduto.
- In genere si deve buttare in mare l’esca perché qualcosa abbocchi, ma a quanto pare tu non ne hai bisogno, Mark, i pesci ti amano alla follia!-
-Ma piantala di sfottere e vieni ad aiutarci con queste casse!- esclamò Greta, appena arrivata a seguito della vedetta, che per risposta la fulminò come usava spesso fare. Quelle due non si sopportavano proprio.
A terra, nel frattempo, tutti gli altri membri della ciurma stavano portando alla nave il bottino, chi spingendo o trascinando casse, chi facendo rotolare barili.
Rey, Kaith e Naoaki, per velocizzare l’imbarco delle provviste, cominciarono un efficiente passamano.
Keyra, dal canto suo, stava penandosi non poco per caricarsi sulle spalle un grosso barile colmo di mele.
-Posso aiutarti?- domandò Mirage, avvicinandosi alla compagna.
-No, grazie, dovrei farcela- le rispose lei con un sorriso, tentando nuovamente di sollevare il contenitore, con scarsi risultati.
-Però, ne avevano di provviste i cacciatori di taglie…- sospirò, accasciandosi a fianco dell’oggetto della sua fatica. -Meno male che ci hai fatto caso, Alex- aggiunse poi rivolta alla mora, che passava in quella con una cassetta di patate in mano.
Per tutta risposta, quella le lanciò uno sguardo da far gelare il sangue. Si era aspettata di trovare soldi, invece quel branco di idioti aveva con sé solo frutta, verdura e alcuni barili di sidro.
Non essendo il tipo da rimanere delusa, aveva preferito arrabbiarsi con il mondo, ma cercando di non darlo troppo a vedere.
Si  aggiustò gli occhiali e proseguì imperterrita, mentre la cuoca si arrendeva per l’ennesima e ultima volta. Aveva vinto il barile, alla fine.
-Effettivamente credo che una mano non guasterebbe- disse rivolta all’amica, sconfortata.
La tigre si avvicinò sorridendo, prese il barile tra le braccia e lo sollevò senza il minimo sforzo.
Keyra la fissò sconcertata.
-Mira, ma come… come hai fatto? Quel coso è pesantissimo!- esclamò.
-Oh, beh…- fece l’altra, arrossendo lievemente. -Sai, credo che la forza sia dovuta alla mia metà animale; alle volte stupisce anche me-
La bionda continuò a guardarla a occhi sbarrati.
La gente vedendo Mirage così esile avrebbe sicuramente pensato a una facile preda, invece sotto quella pelle si nascondeva la forza di un vero felino, letteralmente.
Meno male che era un’amica, altrimenti ne avrebbe quasi avuto paura.
 

-Bene, e anche questa è sistemata!- esclamò Iris con aria soddisfatta, posando a terra l’ultima cassa presa dal magazzino.
Finalmente tutte le provviste di cui si erano appropriati erano state trasportate a bordo.
Non ci era voluto molto, ma un po’ di tempo era comunque passato; il sole stava già cominciando la sua discesa verso il mare, mentre il cielo si tingeva lentamente di rosso e arancio, infuocandosi dei colori del tramonto.
Keyra, appoggiata al parapetto della nave, osservava quello spettacolo naturale che aveva il potere di incantarla ogni volta. -Allora si può ripartire, capitano- disse Rey, interrompendo i suoi pensieri (anche se non si stava rivolgendo a lei).
-Certo, leviamo l’ancora! Direzione…- cominciò Iris, presa dall’entusiasmo, ma interrottasi di colpo. Poi si voltò in direzione di Greta e ripeté, con tono interrogativo: -Direzione?-
-Nord-est- rispose prontamente la navigatrice. -A proposito, che si mangia stasera? Muoio di fame!-
Keyra sussultò. Era talmente immersa nella contemplazione che si era dimenticata di avere una cena da preparare per dieci compagni, sicuramente affamati dopo quella lunga giornata ricca di imprevisti ed emozioni.
-Beh, vai a prenderti una mela, non so se ci hai fatto caso ma ne abbiamo la stiva piena- le rispose Diana con tono ironico, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della prima.
Naoaki scosse impercettibilmente la testa: possibile che quelle due fossero sempre lì a litigare o a punzecchiarsi a vicenda?
La frase di Diana diede però una buona idea alla cuoca.
-Ehi, ragazzi, che ne dite se usassi un po’ delle provviste che abbiamo guadagnato oggi per preparare una cena “di gala”? Sapete, per festeggiare la nostra prima vittoria in uno scontro-
-Ottima idea!- esclamò Kaith, particolarmente allegro (in realtà era soddisfatto per il buon lavoro che era riuscito a fare nella riparazione della nave).
-Vengo a darti una mano- disse Ellesmere, avviandosi a seguito della compagna verso la cucina.
Nel giro di un’ora, quando la nave aveva ormai quasi raggiunto il mare aperto, le due ragazze ricomparvero sull’uscio cariche di piatti da portare all’esterno, dove era stato preparato un tavolo per mangiare all’aperto data la bella serata.
C’era di tutto, dalla carne al pesce, e i piatti erano accompagnato da molte verdure preparate nelle più svariate maniere: cotte al vapore, ridotte in purea o salse saporite, saltate in padella…
Insomma, per tutti i compagni era una festa per gli occhi, oltre che di profumi e sapori.
-Keyra, hai veramente superato te stessa!- disse Mirage, addentando una sugosa fetta di arrosto.
-Grazie- rispose la bionda, sorridendo.
È vero, era stata una giornata difficile; aveva dovuto rievocare il suo passato, tornando a fare i conti con la perdita di tutto: la sua casa, i suoi amici…
Ora, però, seduta in mezzo ai compagni della ciurma, dopo tanto tempo si sentiva davvero felice.
Lei e tutti gli altri cominciavano a formare un tutt’uno, una squadra, e la vittoria di oggi, la loro cooperazione nel combattere ne erano un esempio lampante.
Ma c’era qualcosa di più, un legame d’affetto che si andava costruendo tra tutti loro, sì, anche tra chi continuava a litigare come se non ci dovesse essere un domani.
Forse, dopo tutto, avevano trovato una nuova famiglia.
 

 

 
Angolo dell'autrice

Ciao!
Tranquilli, sono ancora viva ^-^
Ed è con molta gioia che vi presento questo nuovo capitolo, in cui come promesso scopriamo qualcosa in più sul passato di Iris (e, poi, anche su Keyra).
Consideratelo il mio regalo per l'inizio della scuola (chi è ancora sui banchi, come la sottoscritta) o per la fine dell'estate (tutti gli altri).
Spero come sempre che vi sia piaciuto e di aver mantenuto bene gli OC; per qualsiasi errore, problema o richiesta, o anche solo per farmi sapere che la storia
 vi piace (o non vi piace), recensite, mi farete felice!
Ringrazio come sempre tutti voi che leggete e recensite, o anche che leggete e basta. Nel prossimo capitolo... non so ancora bene cosa ci sarà. Probabilmente un po' di vita sulla nave, per poi avvicinarci verso la fine alla prossima isola, dove avrà luogo -rullo di tamburi- la prima vera saga!
Un saluto e un bacio a tutti,

Swan

  
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