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Autore: Misukichan    12/09/2014    2 recensioni
Emily è una ragazza apparentemente comune. Vive con sua madre ai confini della città, vicino ad un fiume limpido. La sua vita viene sconvolta, in una piovosa giornata d'autunno, dall'intrusione, in casa sua, di un misterioso ragazzo dai capelli corvini che tenta di ucciderla e che - con sua enorme incredulità - pare riesca a leggerle nel pensiero.
Quando si sveglia, il giorno dopo, crede sia stato solo un sogno. E' a questo punto che, per la sua salvaguardia, sua madre decide di rivelarle i più misteriosi segreti legati a suo padre, che la porteranno a conoscere il più pericoloso e affascinante dei nemici.
-tratto dal primo capitolo-
Mi è capitato, un paio di volte, di riflettere sulla morte. Mi vedevo anziana, in una bella casa, con una famiglia. Non avrei mai pensato di morire giovane, per mano di un malato mentale che cerca di derubarmi.
«Malato mentale?! Pensalo di nuovo, se hai il coraggio!» il suo volto è furioso.
«Non è stato facile abbattere tuo padre, perlomeno pensavo che avessi preso da lui. Invece mi ritrovo fra le mani una mocciosa a dir poco inutile. Muori.»
-
«Tesoro, dobbiamo andarcene da qui.»
«Quello di ieri non era solo un incubo. Quel ragazzo... esiste davvero.»
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti! :D Eccoci al secondo capitolo di questa storia-esperimento. Se il primo era più un prologo che un primo capitolo, qui comincio, piano piano, a dare forma alla storia che ho già in mente, anche se ovviamente siamo solo all'inizio e c'è ancora tanto da introdurre. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e, se avete domande, non esitate a chiedere nelle recensioni! 
Un bacione e vi lascio al vostro capitolo,
M.



E così ce ne siamo andate, abbiamo abbandonato la mia unica certezza: la nostra casa, la scuola. Secondo mia madre, quella era l'unica soluzione possibile. Scappare.

«Non so nemmeno da chi sto scappando.»

«Non c'è bisogno di saperlo, non è importante da chi stai scappando, ma da cosa

E' strano parlare di queste cose assurde in macchina, in mezzo a centinaia di altre persone, ignare della possibile esistenza di queste... creature; gli Angeli. Sebbene sia passata ormai una settimana e mezza, non riesco ancora ad accettare l'idea che esistano, non riesco a capacitarmene. Fatico a pronunciare la parola stessa, sono ancora sotto shock.
Credo a mia madre, so che non mi mentirebbe mai in maniera così assurda, ma una parte della mia mente ha bisogno di conferme. Ha bisogno di vedere il volto di mio padre. Ho bisogno di parlargli, saperlo qui,
vederlo qui.
«Dove stiamo andando di preciso?» chiedo a mia madre. Sta guidando in autostrada già da parecchie ore, so che è stanca. Sul suo viso è dipinta un espressione corrucciata, ma decisa.
«Ti porto da una mia cara amica, mi ha sempre aiutato con te.»
«Pensavo te la fossi sempre cavata da sola.»
«Lei è speciale» si giustifica lei, come a volerla difendere. «Se lei non ci avesse aiutate entrambe, non saremmo qui, ora» conclude, cercando di mettermi a tacere.
«Di chi si tratta?» la mia curiosità, alla fine, vince sul resto.
«Aspetta e vedrai» mi risponde lei, enigmatica.
Siamo in Michigan, lo so perchè è il luogo della mia infanzia, prima che ci trasferissimo alla casa sul lago. Ricordo ancora quei luoghi, seppur lontani, ancora vagamente familiari.
Mi sporgo dal finestrino, le cuffie alle orecchie, intenta ad osservare tutto quel verde spontaneo.
Sbuchiamo in una via di case alquanto anonime, progettate tutte allo stesso modo. Noto che mia madre, dopo aver osservato bene gli edifici, accosta di fianco al marciapiede, spronandomi a scendere dalla macchina.
Non ho idea del quartiere in cui mi trovo, né del perchè siamo qui.
In questo caso, so di dovermi solo fidare, di mia madre e... del mio istinto.
La casa è piuttosto semplice, non c'è nulla che attiri la mia attenzione in particolare. Delle campanelle annunciano il nostro arrivo e, dopo pochi minuti, una signora piuttosto in carne ci accoglie all'interno, dove un delizioso profumo di coockies mi invade le narici e mi ricorda i vecchi tempi.
«Avete trovato traffico, Madlyn?» la signora, di cui ancora non so il nome, si rivolge a mia madre. Il fatto che mi stupisce è la confidenza con cui lo fa, come se la conoscesse da sempre. Poche persone conoscono il vero nome di mia madre.
«Non più di tanto, ci siamo fermate a fare un paio di soste. Non ci sono stati incidenti, come speravamo.» Madlyn, mia madre, le lancia uno sguardo eloquente, a cui prontamente l'altra risponde.
Finalmente, la donna dai capelli forti si gira verso di me: «Sei cresciuta tantissimo, Emily» poi continua: «Io sono Kea.»
La sua figura è scura, rotonda e le sue braccia sono tatuate. Se la sua sola figura mi incute timore, il luogo in cui vive è strano il doppio. Le pareti sono tutte tappezzate di orologi di diversi tipi e dimensioni, che provocano un continuo ticchettìo udibile in ogni parte della casa.
Il mio sguardo viene attirato da una strana caffettiera che sta producendo uno strano rumore, sembra quasi stia per esplodere.
«Deduco dal suo sguardo che tua figlia non sia ancora a conoscenza di nulla, mi sbaglio?»
«Siamo state attaccate ieri. Ho dovuto parlargliene subito.»
«Perchè, altrimenti non l'avresti fatto?» chiedo secca.
Le due donne si scambiano un altro sguardo espressivo.
«Emily, so cosa stai provando in questo momento.»
«No, lei non lo sa. Non sa nulla di me.» Tutta questa situazione assurda comincia a darmi sui nervi. Non sopporto quando sono all'oscuro delle cose per troppo tempo, la mia poca pazienza è svanita nel nulla.
«Nessuna notizia dall'Angelo Bianco?» chiede la più anziana, accompagnandoci ad un tavolo di legno.
«Nulla, Kea.» La voce di mia madre sembra incrinarsi.«Non c'è molto da fare, se non nascondersi. Non abbiamo forza; abbiamo bisogno di qualche contatto. Per il momento bisogna che Emily si ambienti alla sua nuova realtà scolastica.
Sono stanca di essere ignorata, mi schiarisco la voce.
«Se permettete, avrei qualche domanda a cui pretendo una risposta, dopo tutto il tempo che mi avete fatto aspettare.»
Le due donne si voltano verso di me, mi rivolgo a mia madre: «Come hai fatto a sconfiggerlo, ieri?»
«Se ti riferisci all'Angelo Nero, non l'ho sconfitto, è scappato.»
«Come?»
Kea rovista tra alcune sue cianfrusaglie, poi tira fuori una collana. Una lunga e spessa catenina argentata sostiene una perla azzurrina, è molto bella.
«Con questa. Ci sono molte cose che devi sapere, ma non così in fretta. Mettiti questa al collo, e non liberartene per nessuna ragione, mi hai capita?» guardo la catenina e poi Kea. «Che cos'è?»
«Ti proteggerà.» E' l'unica cosa che mi risponde.

~
Entro decisa la porta di quella che è la mia nuova scuola. Da una parte, so che mi mancherà la vecchia e i pochi amici che avevo, dall'altra so che non sarebbe potuto essere come prima, perciò, piuttosto che un cambiamento parziale, meglio cambiare completamente. La nuova scuola è più grande, i corridoi più ampi e gli studenti più numerosi. Secondo mia madre, più grande è la scuola, meglio è per me e per la nostra discrezione.
Entro nell'ufficio della segreteria, pronta a consegnare tutti i moduli per l'iscrizione. Alla scrivania è seduto un uomo dalle spalle larghe, girato di spalle. Non so cosa stia facendo, sembra quasi stia contemplando il muro davanti a sé.
Mi schiarisco la voce e attendo, in attesa che l'uomo si giri.
Quando vedo che non lo fa, mi avvicino alla scrivania, «Ehm, mi scusi, sono la nuova studentessa che ha chiamato ieri...» non faccio in tempo a terminare la frase che l'uomo si gira sulla sua sedia girevole e mi sorride, un luccichio nei suoi occhi glaciali.
Mi irrigidisco.
«Salve, Emily.» Il suo sorriso si allarga, la luce nei suoi occhi non mi piace. Sto per piangere.
«Ti stavamo aspettando. Sono sicuro che ti troverai divinamente nella tua nuova scuola.» Sempre quel sorriso sghembo.
«Signorina Parker? Può gentilmente mostrare alla signorina Van Alen le sue classi?»
Una ragazzina magra e abbastanza bassa appoggia sul bancone delle pagine che stava sfogliando, gli rivolge un sorriso estasiato e subito mi richiama a se, portandomi fuori dall'ufficio, lontano dal ragazzo dai capelli corvini.
«Ciao, io sono Paige Parker, piacere di conoscerti, tu devi essere-»
«Chi era quell'uomo?» la interrompo bruscamente. Il mio respiro è corto e posso sentire il battito del mio cuore in gola. Sono agitatissima.
«Oh, intendi l'aiuto ufficio? E' Mr. Black, anche se lui preferisce Leonard.» ridacchia lei. Poi continua: «Sembra attragga un sacco di personale, ehm, qui a scuola, ma anche studentesse. Ed è giovanissimo!» Le guance le si colorano di un rosa acceso.
«Da quanto tempo lavora in questa scuola?»
«Da circa due settimane» mi sorride lei, allegra. «Ma dimmi, come mai tutte queste domande su di lui?» ammicca lei.
Mi mordo la lingua.
«Senti, devo andare un attimo in bagno. Tu aspettami qui, va bene?»

Corro il più non posso, sento la voce di Paige che mi richiama, ma non mi guardo indietro, devo mettere quanta più distanza possibile tra me e quell'uomo. Trovo un cartello che indica il bagno delle ragazze. La campanella suona, il corridoio si svuota in un battito di ciglia. C'è qualcosa di troppo inquietante in tutto questo.
Smetto di correre quando sono ormai davanti alla porta del bagno delle ragazze. La apro in fretta, ma quando la richiudo mi accorgo che qualcosa non va. Il lucchetto si è chiuso, non so come sia potuto accadere. La porta che prima era aperta, ora è bloccata, non c'è modo di aprirla.
«Sono contento di vederti, Emily.» mi giro di scatto. La malvagita con cui il mio nome viene pronunciato mi destabilizza.
Mi giro di scatto. «Tu!» gli punto un dito contro.
«Cosa vuoi da me?!»gli urlo, cercando di tenere quanta più distanza possibile.
«Ma come, non te l'hanno spiegato? Povera piccola... Tenuta all'oscuro di tutto.» la sua voce è ironica e pungente.
«Io lo so cosa sei!»
«
Buon per te, allora dovresti capire che non è saggio andare contro la volontà di quelli come me.» sorride, serafico.
«Dimmi che cosa vuoi
«E' semplice, voglio che mi venga restituito ciò che è stato rubato a mio padre.»
«Non so nemmeno chi sia tuo padre. Io non ho nulla. Stai lontano da me!»
«Vuoi che ti uccida?» sorride ancora lui, al limite della pazienza.
«Provaci.» il mio sguardo ora è pura provocazione, sollevo le sopracciglia, in attesa. Lui impreca, rabbioso, poi si scaglia contro di me, la sua mano si stringe attorno al mio collo.
Tempo di un minuto e lui è già lontano, si guarda la mano, rossa, piena di vesciche.
«Ma che cazzo...?!» inveisce.
Osservo il mio collo, la pietra della mia collana emette una tenue luce azzurrina, che si consuma immediatamente.
Lui mi guarda con aria minacciosa.
«Non pensare che finisca qui. Io ti osservo, Emily. Non ti lascerò sola un momento. Apparirò nei tuoi incubi più profondi, durante il giorno e la notte. Sarò sempre qui. Annienterò le tue difese, fino a quando non avrai più nessuno, sarai una povera disperata» Il suo sorriso si allarga. «Fino a quando capirai che la decisione migliore è quella di schierarsi dalla mia parte. Riavrò ciò che mi spetta, che tu lo voglia o no. Sarai mia, come mio è ciò che ti appartiene. E' una promessa
«Chiudi quella bocca! Sparisci dalla mia vita!»
Risata. «Ti piacerebbe.»

Un bussare alla porta del bagno mi distrae per un attimo.
«Emily? Sono io, Paige. Va tutto bene?»
Mi volto in fretta, il ragazzo dai capelli corvini è sparito.
Cerco di ricompormi e rallentare il respiro il più in fretta possibile, il mio corpo è un insieme di muscoli tesi e adrenalina che scorre. Bevo un po' d'acqua dal rubinetto e mi sciaquo la faccia.
«Scusa, sai com'è, l'emozione del primo giorno...» le sorrido
poi, uscendo, cercando di non rendermi ridicola e mascherare la mia agitazione. Lei risponde al sorriso e fa un gesto di incoraggiamento.


~
Nonostante il mio corpo sia in classe, la mia mente è lontana, turbata. Per tutto il resto della giornata, del ragazzo dai capelli corvini nemmeno l'ombra.
Non riesco ad andare da un corridoio ad un altro senza che nessuno mi accompagni. Non ho il coraggio di andare in bagno, nonostante ne senta il bisogno. Ho paura. O meglio, sono terrorizzata.
So che non durerei un secondo a rimanere da sola con quello una terza volta, sono consapevole del fatto che, le prime due volte, sia stata vittima di una fortuna sfacciata. La prossima volta morirò. Non voglio rischiare un'altra volta.

Papà, se come dicono sei qui, se mi stai ascoltando, ti prego. Aiutami. Mi vogliono uccidere, vogliono farci del male.

Non abbandonarci.
  
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