Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    12/09/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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  • Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra,in egual maniera le onde del destino,nel loro divenire dal passato al presente,talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. -

 

Voglio subito ringraziare i tanti, tantissimi, che si sono fermati a leggere il primo capitolo, un grazie di cuore a tutti. Ed un abbraccio forte va a chi ha voluto farmi sapere cosa ne pensava. Grazie ragazze.  Il mio augurio per tutti è che la magia della forza del destino e del nostro Harlock vi rapiscano anche stavolta.

 

2

 

       Attacco all’Arcadia

 

- Helèn si svegliò di soprassalto all’urlo dilaniante di un allarme che sembrò squarciare il buio. Osservò il soffitto di metallo dell’Arcadia e ricordò. Guardò l’orologio che convenzionalmente stabiliva il ritmo di sonno-veglia in quella eterna notte astrale. Sentì un fragore immenso provenire da babordo e la nave vibrare… Erano attaccati!

Si vestì più veloce che poté ,legò i capelli. Era un militare ma non era sulla sua nave, non sapeva bene cosa fare. Corse per il corridoio in direzione della plancia di comando, erano tutti là. Harlock era seduto sul suo grande trono rosso, le mani strette sui due teschi laterali che fungevano da braccioli, non riuscì a coglierne l’espressione. Yattaran gridava ordini all’interfono: “tutti alle torrette di fuoco presto! Presto maledizione!”  Helèn raggiunse Harlock: “che succede?” Lui inclinato lievemente il capo a sinistra, serio: “cercano te!” Disse, indicando con un movimento del capo fuori dall’immensa vetrata. “Me?” Qualunque altra parola le morì in gola. Si vedevano diversi aerei navalizzati compiere ardite manovre scaricando a più riprese il loro carico di fuoco e morte sull’Arcadia. Ad ogni colpo il metallo gemeva e la nave tremava . Harlock si alzò facendo svolazzare il suo mantello. In quello stesso istante un colpo potentissimo percorse per intero l’Arcadia che oscillò vistosamente e si inclinò su di un lato. Tutti si tennero saldamente alle loro postazioni, tranne Helèn che accanto al trono perse l’equilibrio. Sarebbe caduta ma qualcosa la resse saldamente in piedi. Harlock l’aveva tenuta per il braccio; era incredibile la forza che aveva, pensò Helèn. Si guardarono, era la prima volta che c’era un contatto tra loro. Il tempo che scorre incessante dalla notte dei tempi, perse un colpo, ma solo Harlock ed Helèn se ne avvidero. Helèn spostò lo sguardo dal viso di Harlock alla sua mano guantata, poi di nuovo a lui, che di scatto la lasciò come se una scossa elettrica l’avesse colpito. “Capitano!” La voce di Kei era un misto tra l’incredulo e l’adirato: “falla a babordo Capitano.. sono riusciti ad entrare!” Immediatamente tutti gli uomini presenti in plancia, senza bisogno di alcun ordine, incluso Yattaran, schizzarono letteralmente fuori. Helèn seguendo esclusivamente quello che il cuore le dettava,d’istinto senza pensarci con un solo balzo fu giù dalle scalette laterali del ponte di comando alla plancia, scattò veloce dove correvano gli altri. Harlock la seguì con lo sguardo. Helèn prese una pistola ed una spada dalla rastrelliera dove erano tutti gli altri a rifornirsi. La guardarono con diffidenza e si guardarono tra loro incerti se lasciarglielo fare. Lei sorrise e caricando con un colpo disse: “forza!” Ed iniziò a correre sicura dove i soldati della Gaia avevano fatto breccia. Gli uomini di Harlock non si risparmiavano. Nonostante fossero privi delle tute di protezione, intrapresero la lotta con ardore e con qualunque tipo di arma. Dovevano difendere la loro casa, la loro nave, il loro capitano. Helèn si muoveva rapida, fiera, i sensi acuiti dall’esperienza.  Colpiva e colpiva attraverso un uso magistrale della spada o si riparava un istante e sparava, si riparava e sparava ancora; incurante dei centinaia di colpi nella sua direzione. Fulminea avanzava guadagnando terreno e sparava ancora. Tutti si resero presto conto che era un’arma da guerra. Sapeva quello che faceva ed era stata addestrata per farlo. Sparava con precisione ed usava la spada da provetta schermitrice. All’incrocio tra quattro corridoi la situazione sembrava statica. Colpì ovunque e nessuna delle parti sembrava avere la meglio.

Fu allora che Helèn vide Harlock saltare giù da una balaustra in alto e con una capriola atterrare con fluida eleganza al centro del fuoco incrociato e cominciare a piroettare con fredda determinazione insieme alla sua fida spada e colpire con letale precisione. Indomito, senza traccia alcuna di paura. Helèn rimase per un lungo istante ammaliata. Un fascino spettrale gli aleggiava intorno; la morte era la sua compagna in quei momenti. Duettava con lui e per lui, sorridendogli sardonica ed incredula d’avere ancora una volta per se’ un partner tanto magnifico. Tutti gli uomini si spostarono più avanti, certi che non avesse bisogno di loro. Anche Helèn lo superò correndo. Lui la seguì con lo sguardo. Ancora fuoco e proiettili. “Yattan, Kaito copritemi!” Gridò Helen riuscendo ad entrare nella stanza successiva, ma ciò che vide non le piacque. Uno dei pirati giaceva a terra con un vistoso squarcio su una coscia, che si teneva con una mano. Uno degli uomini in armatura correva verso di lui per finirlo. Helèn comprese che non ce l’avrebbe  fatta a raggiungerlo correndo. Si diede uno slancio in avanti e con una giravolta  su se stessa, facendo leva solo su di una mano, nell’altra aveva la spada, si ritrovò in piedi davanti all’uomo a terra, a mo’ di scudo. “Ci sono!” Disse rivolta a lui. Iniziò così un duello con uno, due soldati. Lei non si muoveva da lì e non si sarebbe mossa. Le gambe lievemente divaricate e piantate al suolo a protezione del ragazzo, sembrava una statua di marmo. Ad un tratto un proiettile colpì il fermo che le legava  i capelli che ricaddero quindi liberi sulle spalle cominciando con lei ad ondeggiare in quel duello di morte. Fu così che Harlock sopraggiungendo la vide. Sembrava una dea greca, maestosa, imperlata di sudore, coperta dei suoi stessi capelli, pronta a tutto. Come poteva esserci tanta grazia, bellezza , forza e volontà ed anche violenza nella stessa persona? Si chiese. Aveva incontrato molte donne guerriere nella sua lunga vita. Anche Kei lo era, ma Helèn a differenza delle altre, combatteva senza paura della morte. Caduti due uomini, un terzo si dette alla fuga o così parve ad Helèn che lo inseguì. Rimasero soli in uno stretto corridoio. Helen iniziò a far roteare la spada ,quando gli sentì pronunciare il suo nome ”Helèn!” si bloccò. Il soldato modificando il colore della visiera del suo casco si mostrò a lei. “Ennosuke!” Fece lei abbassando l’arma, incredula e riconoscendo quei profondi occhi azzurri. Erano stati compagni nell’accademia della flotta. “Helèn vieni via con noi! che fai qui?” Gli sentì dire. Helèn si guardò alle spalle temendo l’arrivo di qualcuno. “Enosuke va via! Ti prego vattene! Battete in ritirata e ..ti prego! Io… io sono morta!” così dicendo Helèn si portò il pugno destro sulle labbra e poi sul cuore. Era un segno convenzionale, un codice, che usavano tra loro i militari. Voleva dire ‘nella parola e nell’onore’* e faceva diretto riferimento al loro codice d’onore. Helèn era stata il suo capo un tempo, e lui con un cenno d’assenso obbedì anche stavolta. L’uomo si allontanò ordinando via radio la ritirata. Il cuore di Helèn batteva all’impazzata, i polmoni pompavano vorticosamente aria, l’adrenalina scorreva furibonda nelle vene. Aveva tradito!! Aveva tradito!! Non sarebbe mai più potuta tornare indietro! Mai più! Guardava fisso un punto per terra. Che stava facendo? Che stava facendo? Ripose le armi meccanicamente nelle fondine. A chi, a cosa stava dicendo addio lo sapeva bene. Guardò per un attimo verso il punto in cui Enosuke era corso via. Si voltò disperata dalla parte opposta e Harlock era lì che la guardava. E come sempre accadeva quando il loro sguardo si incrociava, lei si calmò. Il tempo rallentò e tutto intorno parve diventare relativo. “Stai bene?” Le chiese lui passandole rapidamente uno sguardo indagatore su tutto il corpo. Helèn mosse qualche passo nella sua direzione “NOOOOO!” Avrebbe voluto gridare ma non lo fece, disse solo:  “sono un medico. Io salvo vite, non mi piace uccidere.” Fece qualche altro passo; gli fu a pochi centimetri. Avvertiva il calore che il  corpo di lui stava producendo per lo sforzo della battaglia. Dovette alzare il capo per guardarlo, lei gli arrivava solo alle spalle. Fece scivolare lentamente lo sguardo sulla sua guancia sinistra. Lui pensò stesse guardando la sua cicatrice, ma lei sollevata la mano destra con il pollice, gli tolse una piccola traccia di sangue, poco più che un graffio, causato probabilmente da qualche scheggia d’armatura. Così facendo posò anche le altre quattro dita sul viso e sembrò quasi una carezza.

Un gemito proveniente dall’altra stanza ridestò di colpo Helèn che corse via. Il dovere la chiamava! Corse dall’uomo che era a terra, iniziò a dare ordini perché l’aiutassero. Harlock non si voltò, cercava di mettere ordine nella ridda irrazionale di sensazioni che provava. Helèn non portava i guanti. Cosa lo aveva turbato tanto di quel contatto semplice e spontaneo? Helèn trascorse il resto della giornata ad applicare dispositivi per la calcificazione delle ossa, per le ustioni da attrito, l’utilizzo di un tessuto transgenico che garantiva la proliferazione cellulare per le ferite più profonde le portò via tanto tempo.* ”Helèn!”. Kei era sulla porta dell’infermeria. “Hai finito? Ti stiamo aspettando tutti per un boccone.” Helèn sorrise. Era distrutta e non mangiava dalla sera prima. Si tocco gli occhi con le dita. Si alzò stancamente dalla sedia della piccola scrivania, avrebbe voluto fare una doccia ma avrebbe aspettato. Nella mensa tutti erano seduti sulle panche e parlavano animatamente. Al comparire di Helèn si levò un rumoroso applauso spontaneo, qualcuno fischiò e qualcuno batté i piedi. Helen imbarazzata arrossì e si mise a sedere. Yattaran la raggiunse con in mano un bicchiere con all’interno un liquido rossastro e glielo porse, poi preso il suo disse: ”Alla tua salute Helen, grazie per tutto quello che hai fatto oggi per l’Arcadia e per noi!”  Tutti bevvero. “Ma io non ho fatto niente” disse Helèn. Shou il giovane pirata a cui aveva salvato la vita, la raggiunse aiutandosi con le stampelle: “Grazie Helèn da oggi considerami il tuo servo.” “Ma io no ho fatto niente…davvero! ” Disse Helen, tentando di dissimulare il suo imbarazzo prendendo una forchettata di quello che aveva nel piatto. Kei seduta accanto a lei con fare ammiccante: “Ti sei accorta che il capitano oggi non ti ha persa d’occhio un istante?” E lei: ”Ma io so difendermi da sola.”  E Yattaran canzonatorio mostrando la bocca bella piena: “Ma vaaa? Non ce ne siamo accorti!” Disse scatenando le risa di tutti. “Ho solo avuto un bravo maestro” disse lei, e per un istante i suoi occhi si velarono di una nera tristezza. Helèn li guardò tutti, erano un bel gruppo affiatato, e se anche non avevano l’organizzazione e la tecnica di un esercito, combattevano col cuore ed avrebbero dato la vita gli uni per gli altri. Dopo un numero di brindisi di cui Helèn perse il conto e qualche allegra canzoncina, si congedarono. Helèn raggiunse la sua camera. Come medico di bordo aveva il privilegio di una stanza un po’ più grande ed il bagno era ricavato in un grande ambiente unico lavabo-doccia. Si infilò sotto l’acqua augurandosi che non finisse mai. L’acqua calda portava via tutto, anche i pensieri. Chiuse gli occhi e lui comparve! Helen spalancò gli occhi.  Perché? Perché le era venuto in mente? Era un combattente tenace e risoluto, sembrava non dubitare mai, ma nel suo sguardo lei aveva colto un dolore profondo e lacerante. Si guardò l’avambraccio sinistro dove lui l’aveva tenuta per non farla cadere, quattro dita si distinguevano nettamente, ci avrebbero messo diverse settimana a sparire, pensò. La sua pelle, ora era così fragile... Si asciugò i lunghi capelli guardandosi allo specchio. In quello stesso istante Harlock si guardava allo specchio del bagno delle sua cabina. Si passò lentamente la mano sulla guancia dove lei lo aveva toccato. A quanti nemici aveva visto abbassare lo sguardo non riuscendo a sostenere il suo, anche i suoi uomini spesso lo evitavano. Lei invece…sembrava cercarlo per indagarlo. Cosa lo aveva turbato di quel suo gesto? Ogni volta per una frazione di secondo si sentiva perso… perché? E perché l’aveva voluta irrazionalmente e assurdamente a bordo? Uscì.

Helèn non riusciva a prendere sonno benché fosse a pezzi o forse proprio per quello . Nell’Arcadia faceva freddo. Prese da una delle casse che non aveva ancora disfatto un sacchettino e si diresse alla mensa. Fece bollire in pochi istanti dell’acqua e vi sciolse parte del contenuto del sacchetto. Sedette e bevve sperando di scaldarsi, guardava il vapore uscire dalla tazza, bevve alcuni sorsi. Si soffermò sulla chiazza tondeggiante che la tazza aveva lasciato sul ripiano lucido del tavolo. Guardando quel cerchio le venne in mente la terra e ne seguì i bordi con il dito… Gli occhi le si riempirono di lacrime, strinse forte la tazza con entrambe le mani. Harlock la osservava dal corridoio buio. Non entrò, voleva evitarla, ma lei ne percepì la presenza e si voltò dalla sua parte. Si alzò in piedi di scatto quasi fosse stata scoperta a rubare. Dallo sguardo che lui le lanciò si rese conto d’avere indosso solo una magliettina bianca che le arrivava sì e no a metà coscia, e dei calzini. Lo sguardo di Harlock si soffermò più del dovuto sulle gambe bellissime benché muscolose per poi salire al seno. Helèn per sua professione aveva un rapporto diverso dagli altri con il corpo, non le era sembrato strano uscire così, ma attraverso la lenta carezza di quello sguardo sul suo seno si rese conto di avere i capezzoli turgidi e ben in vista. “Fa freddo in questa nave.” Disse  sedendosi per coprirsi. “E’ vero” Disse lui entrando. E con la sua presenza colmò l’intero spazio della stanza. Quando arrivava, tutto oltre lui sembrava smettere di essere. ”Non dormi?” Chiese lei. Lui fissava la sua tazza. “Vuoi? è una tisana!” E senza attendere risposta si alzò a preparare una tazza anche per lui. Mentre lo faceva Harlock sedendosi al tavolo dove era lei, regalò una carezza, stavolta ai suoi glutei sotto la maglietta. “E’ la dark matter.” Lei lo guardò interrogativa. “Il freddo che senti è la dark matter che permea interamente la nave.” Poi guardando nella tazza che lei gli aveva messo davanti “ma..ma queste sono foglie!” Disse sorpreso. “Sì, è passiflora. Un’erba coltivata da un antichissimo popolo della terra: gli Aztechi. Ha un effetto calmante che induce il sonno e aiuta a contrastare gli effetti della tensione; il principio attivo è l’armina.” Era il medico che parlava. Harlock avrebbe voluto chiederle come facesse ad avere quelle foglie, chi fosse, da dove venisse, perché prima avesse gli occhi lucidi, ma riuscì solo a guardare le sue labbra che si muovevano lasciando intravedere i piccoli denti. Stava bene quando era con lei, il solo ascoltarla lo faceva rilassare ma si limitò a bere. Teneva la tazza con tutte le dita non dal manico, il sapore era buono. Poi all’improvviso disse: ”Sei una grande combattente. Perché non mi hai colpito la prima volta che ci siamo visti? Hai sparato, avresti potuto colpirmi ma non lo hai fatto.” Lei guardò per un lungo momento nella sua tazza, quasi cercasse lì la sua risposta. “Forse perché volevo morire per mano tua.” Harlock ne rimase profondamente colpito ma non lo dette a vedere. “Vuoi morire?” Le fece con una punta di sarcasmo. E lei alzandosi: ”Morire è facile. E’ vivere il difficile.” Poi sorrise e stringendosi nelle spalle: “Ho freddo! Vado.” Harlock si alzò, così la dominava nell’altezza e nella possanza fisica. Lei lo guardò. Era un uomo davvero notevole, e fece quello che lei non si sarebbe mai aspettata: si tolse il mantello e glielo mise sulle spalle. Helèn fu travolta da un misto di sensazioni, un odore intenso di pelle e tabacco, di uomo e legno antico ed un dolcissimo tepore l’avviluppò. Era come essere tra le sue braccia e per la primissima volta un pensiero le attraversò la mente. Come sarebbe stato? Affondò il viso all’interno del bavero, posandovi, labbra e naso ed aspirò profondamente. “Hai un buon odore.” Disse guardandolo. Harlock si stupì di tutta quella spontanea sincerità. Decidendo di ritrovare la sicurezza di sé e del suo ruolo disse: ”Domani dobbiamo parlare! Devi dirmi chi sei, perché ci hanno cercato ed attaccato per te, e come mai hai quelle foglie”. Lei non si rabbuiò, gli sorrise invece, illuminandolo come un raggio di sole. “Sono Helèn, non ci attaccheranno più, e le foglie sono della pianta che è nella mia stanza, comunque domani verrò da te a rapporto.” Si incamminarono per il corridoio, lei sembrava avere uno strascico piuttosto che un mantello per quanto era lungo. Camminavano l’uno accanto all’altro con una lentezza ed una tranquillità tale che sembrava lo facessero tutte le sere da sempre. Harlock si ritrovò a pensare che quando gli era accanto, uno strano senso quasi di pace lo pervadeva. Ad un tratto lei ruppe il silenzio: “Sai, è strano ma da quando sono qui sull’Arcadia sento come una presenza…” Harlock si voltò ad osservarla. “Non saprei come definirla, come se…come se qualcuno mi seguisse e guardasse sempre…Assurdo vero?” Sorrise. In quel preciso istante, con un grido stridulo, un grosso rapace arrivò dal nulla posandosi sulla spalla destra di Harlock. “Ecco la risposta che volevi.” Fece Harlock. La ragazza che con una mano si teneva il mantello, allungò l’altra verso l’animale che abbassandosi, quasi inchinandosi, accettò le sue carezze sul capo. “Strano...di solito non è così socievole.” Raggiunsero la stanza di lei “in ogni stanza c’è un piccolo camino a fiamma elettrica”* le disse lui. Helen si tolse con garbo il mantello rendendoglielo. “Grazie, a domani... A proposito, hai delle bellissime spalle.” Si scambiarono un altro lunghissimo sguardo entrambi consapevoli che in un altro tempo e in un altro spazio non si sarebbero lasciati. Lui si allontanò e lei si chiuse la porta alle spalle, sicura che quell’odore l’avrebbe accompagnata tutta la notte e forse non avrebbe avuto i suoi soliti incubi. Harlock non si rimise il mantello, sapeva che se lo avesse fatto l’odore di lei lo avrebbe travolto.

 

 

 

* Segno convenzionale del codice militare e tecniche mediche di mia invenzione.

 

Grazie alla mia beta mia collega ma soprattutto cara amica Erika che non ha mai visto il film ma che adora questo Harlock e mi accoglie con ‘che bellooo’ ogni volta che mi rende un capitolo.

Grazie ad Harlocked con la quale e grazie alla quale la settimana scorsa sono stata autrice di un ‘parto’ :-D tu sai di che parlo cara… madrina….non smettere mai di donare…

Capitolo dedicato ad Angelfire  anche tu sai perché cara.

I personaggi ed i luoghi descritti sono di chi li ha inventati primo tra tutti Leiji Matsumoto ma anche Shinji Aramaki e Harutoshi Fukui grazie per averci riportato il nostro Capitano dopo tanti anni.

  
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