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Autore: Melian    13/09/2014    11 recensioni
[...] «Credi ci sia ancora speranza per noi, vero?»
Bulma si staccò da suo figlio e lo guardò intensamente: era orgogliosa di lui, dell'anima così sensibile che dimostrava di avere, così umana. Gli fece un cenno veloce, mentre risaliva le scale. «Vieni con me.»
«Dove andiamo?»
«Ti farò incontrare la speranza.»
[Prima classificata al contest: "Accadde di notte", indetto da 9dolina0 sul forum di EFP]
[Terza classificata all'Origami contest giudicato da Chloe R Pendragon sul forum di EFP]
"Storia partecipante al contest "Secondario a Chi?" indetto da Ray Wings sul forum di EFP"
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Mirai!Bulma, Mirai!Trunks, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- HOPE -
Scommessa per il futuro

 

Che cosa sarebbe la vita senza speranza? Una scintilla che sprizza dal carbone e si spegne; e come nella torbida stagione si ode una folata di vento, che spira un istante e poi va morendo, così sarebbe pure di noi!”
(
Friedrich Hölderlin)

"Un eroe è colui che fa ciò che può. Gli altri non lo fanno."
(Romain Rolland)




 

La pioggia cadeva fitta, una tagliente lama gelata. Un'insistente foschia simile alle dita di inquieti spettri aleggiava sulla Città dell'Ovest.
Sembrava davvero di abitare in una città fantasma, con le strade fangose invase dai detriti, gli edifici distrutti e accoccolati l'uno sull'altro come giganti feriti e sventrati, il latrare lamentoso di qualche cane tra i rifiuti e la desolazione a perdita d'occhio svelata dalle saette che cadevano in uno sfolgorante bianco e si diramavano in una ragnatela elettrica, illuminando il cielo quasi a giorno, e subito seguite dal rombo del tuono.
Trunks osservava la violenta tempesta fuori dalla finestra; gocce che cadevano pesanti contro il vetro gli impedivano di vedere con chiarezza nel buio fondo di quella notte senza luna.
L'odore della pioggia era impastato a quello umido della terra e aveva un retrogusto ferruginoso, come di sangue.
O forse era solo la sua immaginazione a suggerirgli qualcosa di tanto macabro?
Ma l'aroma del sangue, ormai, gli era cosi familiare e gli suscitava così tanta angoscia, che si era convinto che qualsiasi cosa, in quel mondo, ormai ne fosse inestricabilmente intrisa.
Sembrava che non potesse più spuntare il sole in quell'immensa devastazione che lo circondava: tutto era immerso nella disperazione e nell'orrore.
Niente. Non c'era nulla che in quel momento suscitasse un briciolo di speranza nel suo cuore.
Sua madre era rinchiusa nell'officina al lume di un faretto elettrico che minacciava di spegnersi da un momento all'altro, mentre l'energia del generatore inizia a scarseggiare sempre più. Sapeva a quale progetto Bulma stesse lavorando, eppure Trunks non riusciva ancora a capacitarsi del piano di sua madre: tornare indietro per cambiare il futuro. Ma quale futuro? Forse il futuro dell'epoca che avrebbe visitato, non certo il suo.

Poggiò la mano contro il vetro e poi, lentamente, vi abbandonò contro anche la fronte.
Gli occhi ridotti a due fessure scavarono nella coltre di pioggia selvaggia e trovarono il doloroso ricordo dove proprio l'odore delle pioggia e del sangue si mescevano davvero, consegnando Trunks alla misera realtà di un mondo marcio, divenuto un parco giochi per creature gratuitamente crudeli.
Nei suoi ricordi, Trunks si faceva largo tra le macerie e cercava con lo sguardo un qualsiasi segno della presenza da lui tanto amata, mentre calde lacrime gli rigavano il volto già bagnato. C'era tempesta esattamente come quella notte, un temporale con la stessa foga.
E poi lo vedeva: il corpo del suo maestro martoriato, tumefatto, ferito, umiliato, giaceva in mezzo alla strada senza vita, abbandonato come la carcassa di un cane o un vecchio straccio lercio.
Trunks cadeva in ginocchio, impotente, pieno di orrore, la gola arida e la mano tremante.
Scuoteva il suo maestro, sperando di essersi sbagliato e di vederlo rialzarsi ancora una volta. Era abituato a vederlo ferito, ma sapeva anche che il suo mentore non si sarebbe arreso e che avrebbe ripreso a combattere, unico baluardo contro la follia di C-17 e C-18.
Ma non era stato così, non quella volta.
Gohan era rimasto immobile, gli occhi spenti, le membra gelide e irrigidite, la pelle solcata dalle ferite e arsa dall'energia di colpi micidiali. La pioggia lo aveva frustato senza pietà, indifferente.
Gohan: un petalo di ciliegio che volteggia nell'aria e poi, muto, scivola sull'acqua per essere trascinato via dalla corrente, l'ennesima vita spezzata anzitempo, un'esistenza giovane esaurita nell'ennesima battaglia senza appello, senza gloria, senza via d'uscita. Senza senso.
Forse, Gohan sentiva che quello scontro sarebbe stato l'ultimo, per lui? Era stato per quel motivo che gli aveva impedito di seguirlo?
Trunks aveva sentito lo stomaco contorcersi per colpa di un malessere insanabile, di una sorda disperazione e aveva avvertito una gran rabbia crescere incontenibilmente dentro di sé, mista a frustrazione e a dolore cocente.
Dovevano averci goduto, quei bastardi, mentre – due contro uno – avevano giocato con Gohan come fa il gatto con il topo, per puro sfizio, un mero passatempo prima di passare al balocco successivo.
Rabbia. Smisurata ira. Odio profondo per quegli esseri infernali che non facevano altro che devastare e seminare rovina ovunque.
Il cuore gli batteva come un tamburo nell'oscurità, forte, sempre più forte, alimentato da quei sentimenti così crudeli.
Trunks aveva maledetto i cyborgs mentre le lacrime si erano fatte più intense e il suo dolore più acuto e tangibile. Aveva creduto, in quel momento supremo, che il suo cuore potesse spezzarsi davvero, che sarebbe perito anche lui, soffocato dal pianto e dalla paura stessa di morire scannato come una bestia. Il suo piccolo e fragile mondo stava cadendo a pezzi ancora e ancora.
La morte aveva divorato ogni persona a lui cara, gli aveva tolto per sempre la possibilità di conoscere suo padre, aveva trasfigurato il mondo, estirpato la felicità dal volto di sua madre e adesso danzava su di lui, inchiodandolo contro l'asfalto e il corpo di Gohan con la sua risata gorgogliante fatta di pioggia, nello sciabordare di quella tempesta infernale che infuriava dentro e attorno a lui.
Aveva urlato. Aveva gridato con quanto fiato aveva in gola per riversare fuori tutto il groviglio sanguinolento di emozioni che gli annodava le viscere e, d'improvviso, una scintilla dorata lo aveva attraversato: il potere gli aveva infiammato il sangue, risalendo lungo ogni nervo, muscolo e vena e aveva risvegliato una belva famelica.
Alimentato dall'odio, dalla paura, dalla sorda solitudine in cui era scivolato, Trunks si era trasformato in Super Saiyan.
Tutta la sua frustrazione si era sciolta in quell'ondata di energia, nell'aura splendente e Trunks seppe che, poiché il suo maestro era morto, solo lui avrebbe potuto fermare quei maledetti cyborgs, che Gohan gli aveva passato il testimone: la sua eredità era di diventare l'eroe polveroso di un mondo collassato senza desiderarlo davvero, perché in quel momento per Trunks non rimaneva altro che un vuoto incommensurabile.

Trunks trasalì all'ennesimo tuono e il suo istinto di guerriero ebbe una brusca impennata: si guardò attorno come se si stesse preparando per accogliere i suoi nemici. Poi si rilassò, sorprendendosi di essere così teso. "Sei un idiota!" pensò. Era a casa sua: la pioggia continuava a ticchettare contro la finestra, null'altro.
Si accostò al tavolo su cui c'era ancora una caraffa contente del caffè lungo e se ne versò in una tazza, sorseggiandolo con una smorfia: era freddo. Rimise la caraffa sul fornelletto e, quando il caffè si fu scaldato, ne riempì anche per sua madre.
Bulma era una donna straordinaria e a Trunks non piaceva il pensiero che lei lavorasse senza fare una pausa o dormire; lei era l'unica persona cara che gli fosse rimasta, che aveva avuto la forza di continuare a vivere anche dopo la morte di Vegeta e di crescerlo tra mille difficoltà. La Capsule Corporation resisteva grazie a lei.
Tuttavia, Trunks aveva accumulato negli anni troppe domande e le aveva taciute per il bene di sua madre, per non vedere l'ennesima ruga di dolore spuntarle all'angolo delle labbra piegate in un sorriso malinconico e amaro ogni volta che, da bambino, aveva provato a chiederle com'era la vita prima che il Dottor Gelo liberasse le sue creature sciagurate, com'erano i suoi amici, quei guerrieri caduti ad uno ad uno come i petali di un adonide purpurea e, sopratutto, com'era suo padre.
Ma erano ricordi troppo dolorosi, strade troppo tristi da ripercorrere e, in fondo, poteva capire sua madre, perché anche il ricordo di Gohan gli bruciava ancora. Nessuna di quelle ferite sarebbe mai guarite davvero. Quindi, non poteva addossare anche quel peso a Bulma, ricordi e rimpianti che lei soffocava nel lavoro, per non fermarsi a riflettere troppo.
Così, Trunks finiva per sentirsi sempre più solo. Era come ascoltare la voce del vento mentre solcava il cielo e volava tra le nuvole spingendosi sempre più lontano a folle velocità, ma non poterlo confidare a nessuno.
Trunks voleva suo padre, non voleva più accontentarsi di immaginarlo mentre sua madre gli raccontava com’era.
Forse la possibilità di realizzare il suo desiderio lo lusingava molto più di quanto fosse disposto a credere: la Macchina del Tempo lo avrebbe portato nel passato e avrebbe finalmente conosciuto suo padre. Ma Vegeta come avrebbe reagito? E se fosse stato del tutto diverso da come lo aveva sempre immaginato e lo avesse rifiutato? Questo pensiero lo spaventava.
L'unica persona più vicina ad un padre che Trunks avesse mai conosciuto era stata Gohan che, ironia della sorte, era morto esattamente come accaduto a Vegeta.
Il destino aveva un macabro senso dell'umorismo, si ritrovò a pensare il Saiyan con un sorriso privo di gioia.
Con la tazza stretta per il manico, Trunks scese le scale e raggiunse il laboratorio di Bulma. Posò il caffè sulla scrivania ingombra di progetti, bulloni, pinze e qualsiasi altro attrezzo utile ad un meccanico.
«Mamma, dovresti fare una pausa. Ti ho portato qualcosa di caldo.»
Bulma si stava pulendo le mani sporche di grasso su uno straccio e sorrise al figlio, anche se aveva l'aria sfatta, stanca. «Ti ringrazio, figliolo. Non dovresti essere a letto?»
Trunks sorrise di rimando e si strinse nelle spalle: «Non avevo sonno e poi stavo aspettando te. Come va il progetto?»
«La Macchina del Tempo, dici?», Bulma prese un sorso dalla tazza fumante e osservò Trunks da sopra il bordo prima di aggiungere: «Credo che ormai sia ultimata, ma il problema ora è caricare il generatore. Ha bisogno di molta energia e, temo, ci vorrà del tempo.»
Trunks rimase in silenzio, poggiato al bordo della scrivania ad osservare la Macchina del Tempo, il lucido guscio di vetro che racchiudeva la postazione di comando, il liscio metallo con il simbolo dell'azienda di famiglia.
«Io non vorrei lasciarti sola, mamma.», ammise di colpo.
Bulma lo guardò intensamente e quindi gli accarezzò dolcemente il viso: «Trunks, a me non succederà nulla nel mentre sarai via. Questa è la nostra unica possibilità, lo sai bene.»
«La nostra? Non la nostra, mamma. Qui resterà come sempre, forse anche peggio. E quanto tutti saranno morti, io cosa... ?»
Bulma lo interruppe con un gesto risoluto, posò la tazza e sospirò pesantemente. «Trunks, forse questo mondo dovrà ancora patire tanto male, ma noi abbiamo il dovere di fare in modo che questo male non si avveri altrove. Potremo offrire una vita felice almeno alla gente del passato e, probabilmente, anche ai noi di quell'epoca.»
Trunks rimase in silenzio, spiazzato, e quindi chiuse gli occhi, chinando il capo come se il peso del mondo fosse sulle sue spalle. «Ho paura, mamma. Cosa potrebbe accadere se non riuscissi a cambiare le cose nel passato? E cosa... cosa accadrebbe se incontrassi mio padre e lui non mi volesse nemmeno conoscere?»
Bulma lo strinse a sé, con dolcezza, e gli sussurrò: «Tuo padre è un uomo difficile, ma sei suo figlio e lui lo riconoscerà e ti vorrà bene.»
«Io sono l'ultimo guerriero Saiyan rimasto in questa epoca, ho il suo stesso sangue e ho sempre combattuto perché desidero che nel nostro mondo torni la pace. Hai ragione, mamma: abbiamo il dovere di rendere migliore un'altra epoca.», rispose invece Trunks, come se parlare di suo padre lo avesse appena messo in imbarazzo. «Credi ci sia ancora speranza per noi, vero?»
Bulma si staccò da suo figlio e lo guardò intensamente: era orgogliosa di lui, dell'anima così sensibile che dimostrava di avere, così umana. Gli fece un cenno veloce, mentre risaliva le scale.
«Vieni con me.»
«Dove andiamo?»
«Ti farò incontrare la speranza.»

Uscirono sotto la pioggia divenuta meno insistente. Era buio pesto e solo un lampione storto dall'altra parte della strada gettava una timida luce intermittente sull'asfalto crepato e fangoso.
Bulma aveva indosso un impermeabile giallo e si portava dietro una voluminosa borsa, gemella di quella che aveva rifilato a Trunks stretto nel suo giubbotto.
La donna tirò fuori dalla tasca una delle sue capsule, premette il pulsantino e la lanciò per terra: un'auto della Capsule Corp. comparve in uno sbuffo di fumo.
Caricarono i bagagli e saltarono a bordo. Bulma partì lungo la strada sconnessa, i fari accesi che si proiettavano sulle case del vicinato rattoppate con lamiere e legno.
Qualche giorno prima, i cyborgs avevano attaccato di nuovo la città e si erano lasciati alle spalle il solito orrido spettacolo: macerie e cadaveri. Trunks rimase a bocca aperta nel contemplare l'opera di distruzione di C-17 e C-18: di notte tutto sembrava ancora più angosciante.
L'auto si fermò davanti a quella che, un tempo, doveva essere stata una scuola, ma che adesso portava su di sé gli acciacchi di quella guerra giornaliera e aveva le finestre sbarrate da assi e la porta dai cardini mezzi spezzati che cigolava. Comunque, dall'interno si intravedeva una luce fioca, come di qualche lampadina che stava per fulminarsi.
Bulma gli poggiò la mano sul ginocchio, confidente, e gli assicurò: «Siamo arrivati.»
Trunks entrò nell'edificio assieme a sua madre e si guardò attorno: era tutto spoglio e triste, i loro passi riecheggiarono nel corridoio.
Portando le borse, il ragazzo seguì Bulma in una delle prime stanze e si stupì quando sua madre chiamò in un sussurro: «Ciao, Sakura, sono io! Ho portato un po' di cose. Immagino ci sia qualche nuovo ospite dall'ultima volta che sono venuta, vero?»
Trunks si guardò attorno e, mentre si abituava alla luce fioca di qualche candela, scorse delle brande e dei tavoli sparsi qua e là per la vecchia aula, dove un termosifone gocciolante era l'unica fonte di calore.
C'erano parecchie persone: qualcuno dormiva, come i bambini più piccoli avvolti in coperte marroni e lise, altri erano rimasti svegli a parlare tra loro o sgranocchiare qualcosa da mangiare.
Una ragazza dai capelli castani legati in una coda di cavallo e un grembiule da infermiera stava distribuendo delle bevande calde. Proprio quella ragazza si voltò e accolse Bulma con un sorriso, precipitandosi ad abbracciarla.
Il giovane Saiyan rimase per un momento sbigottito, poi poggiò le borse su un vecchio tavolo traballante e tornò a guardarsi attorno, ascoltando il respiro leggero dei dormienti e stringendosi nelle spalle, quasi timidamente, agli sguardi che le persone assiepate nello stanzone gli lanciavano.
«Tu devi essere Trunks. Tua madre mi racconta sempre di te, è un piacere conoscerti. Io mi chiamo Sakura, sono l'infermiera di questo rifugio.», lo interpellò la ragazza, salutandolo con un breve inchino e strappando il ragazzo dai suoi pensieri.
Trunks ricambiò il saluto dopo un momento di spaesamento e poi accennò, con mestizia: «Il piacere è mio. Ma dev'essere un lavoro molto duro: avere a che fare quasi tutti i giorni con dei feriti, degli orfani, delle persone sole...»
Sakura, però, non sembrò per nulla triste. Era evidentemente stanca e provata, ma aveva una fibra forte, di chi non si arrende e – più di ogni altra cosa – aveva lo sguardo di chi non ha mai perso la speranza. Era, insomma, una donna coraggiosa.
«Lo faccio molto volentieri: donare il mio aiuto agli altri è tutto ciò che posso fare in questi tempi. Il contributo di ciascuno di noi è essenziale. Tutti, nel nostro piccolo, cerchiamo di donare speranza a chi non ne ha e che, anche se l’ha persa, vuole ritrovarla a tutti i costi.»
«Metti a repentaglio la tua stessa vita per gli altri. È molto nobile, da parte tua.», rispose Trunks, evidentemente colpito dalla sicurezza che quella donna emanava, la stessa che sentiva provenire da sua madre.
«Non lo fai anche tu ogni giorno, Trunks? Sei la nostra speranza. Ogni volta che sentiamo alla radio che qualcuno sta sfidando i cybors, sappiamo che sei tu e preghiamo sempre che tu possa vincere e riportare la pace nel mondo.», ribatté accorata Sakura e gli posò una mano sulla spalla, amichevole e incoraggiante.
Bulma li teneva d'occhio, aveva accennato ad un sorriso leggero nella penombra, mentre svuotava le borse e impilava barattoli di cibo in scatola, farmaci, biancheria, vestiti, qualsiasi cosa potesse essere utile al rifugio.
Infine, intervenne dolcemente: «Vengo qui molto spesso, Trunks, sopratutto quando sei via. Cerco sempre di racimolare tutto il possibile per portarlo a loro che ne hanno così bisogno. Se non ci aiutassimo a vicenda, cosa ne sarebbe dell'umanità?»
Trunks rimase in silenzio e, di colpo, in quella stanza malamente illuminata e dalle pareti scrostate, percepì il desiderio di vita di ogni singola persona, l'ondata profonda della speranza di un domani migliore e ne fu colpito.
Pur nella desolazione, nella tristezza, nella miseria, nel lutto, gli essere umani conservavano la singolare capacità di aggrapparsi al sottile filo di ragnatela che riluceva nel buio, pur di tornare a galla dopo essere sprofondati nel baratro.

Quando tornarono a casa, era ancora notte fonda, ma la pioggia aveva smesso di cadere e l'aria era fragrante, portava con sé la punta salata del mare.
Bulma si liberò di stivali e impermeabile, rassettò la cucina e preparò tutto l'occorrente per la colazione dell'indomani. Appena mise l'ultimo piatto nella credenza, guardò l'orologio e, con un sospiro, scese nuovamente nella propria officina.
La sua ombra si allungava lungo gli stretti gradini e, dal basso, proveniva la luce artificiale dei monitor dei suoi computer e delle apparecchiature lasciate in stand-by.
Raggiunse il laboratorio e trovò suo figlio assorto davanti alla Macchina del Tempo.
«Trunks, va tutto bene, caro?»
Il giovane Saiyan annuì e rispose: «Questa macchina è la nostra unica possibilità: avevi ragione, mamma. Andrò nel passato e, quando sarà il momento, tornerò qui per riportare la pace anche nel nostro tempo: posso riuscirci. Voglio diventare più forte, più abile, voglio essere capace di fabbricare un mondo migliore. Me lo hai detto tu e l'ho visto coi miei occhi stanotte: c'è sempre speranza.»
«Tesoro, sono felice di sapere che credi ancora che tutto ciò che facciamo ogni giorno abbia un senso. Lottare non significa solo affrontare i nostri nemici in battaglia come fai tu, ma anche affrontare ben altri demoni.», Bulma fece una breve pausa, il tempo di accostarsi al figlio e posargli una mano sul braccio con calore. «Le città possono essere ricostruite, le ferite rimarginarsi, basta non perdere mai la voglia di vivere e di sperare. Ricordatelo sempre, Trunks. Uno degli insegnamenti più grandi di Goku era proprio questo: mai dimenticarsi della speranza. Un giorno, tu sconfiggerai quei mostri.»
Suo figlio era davvero un bravo ragazzo, si disse Bulma con un accenno di intima commozione; Vegeta se ne sarebbe accorto e ne sarebbe stato orgoglioso: Trunks era così giovane e già così forte.
Trunks sorrise, pareva trasformato, la sua anima sembrava essersi nuovamente illuminata, il senso di opprimente solitudine si era dileguato e il desiderio di conoscere suo padre e di contribuire a ricostruire il suo monda dalle fondamenta adesso bruciava come una nuova fiamma nel suo cuore di Saiyan.
«Lo so, mamma. Farò del mio meglio. Partirò e porterò con me questo grido di pace.»
Bulma sorrise e si accorse che sulla fusoliera della Macchina del Tempo adesso campeggiava una scritta in lettere maiuscole:

HOPE

 

 

_________________
Note dell'autrice:

Mi piaceva l'idea di dare una spiegazione alla scritta che Trunks disegna sulla sua Macchina del Tempo e, così, è nata questa storia. Ovviamente, la maggior parte dell'ispirazione viene dall'OAV “La storia di Trunks” che ho amato fortemente.
Mirai Trunks è uno dei miei personaggi preferiti, basti pensare che il Trunks bambino della serie Z durante la saga di MajinBu e quello GT mi sono assolutamente antipatici. XD
Ho sempre trovato Mirai Trunks un personaggio ricchissimo dal punto di vista emotivo, con una storia meravigliosa che lo ha forgiato profondamente.
Così, ho voluto scrivere questa storia. Spero vi piaccia.

Questa storia, inoltre, è stata scritta per due contest indetti sul forum di EFP:

- “L'origami contest” di Aki sama, con i pacchetti:

Gru: Morte, disperazione → (Trunks affronta la morte e la disperazione di un mondo dove tutto ciò è pane quotidiano e fa i conti anche con la propria disperazione personale);
Kimono: "la solitudine è ascoltare il vento e non poterlo dire a nessuno" (Jim Morrison), fiore di ciliegio: brevità della vita → (ho utilizzato la citazione all'interno del testo con una piccola rielaborazione per adattarla al contesto che, però, lascia intatto il senso stesso della frase; inoltre si parla della brevità della vita in relazione a Gohan e tutti gli altri guerrieri periti contro i cyporbs);
Fiore di loto modulare: adonide: ricordo doloroso → (è il ricordo della morte di Gohan, in questo caso, ma anche i ricordi di Bulma a cui si accenna.)


- “Accadde di notte” di 9dondolina0, con il prompt “tempesta” e l'ambientazione della storia totalmente di notte.

 

Melian

 

   
 
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