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Autore: NoceAlVento    15/09/2014    2 recensioni
Cosa succede a Kalos? Forze oscure agiscono nell'ombra, perseguendo i loro ignoti obiettivi ai danni di innocenti; misteriosi frammenti di una gemma celeste sono apparsi nella regione dal nulla; una ragazza, anche se non ancora non lo sa, è stata tenuta sotto segreta osservazione per tutta la sua vita. E in tutto ciò c'è Bellocchio, appena precipitato da un'aeronave in fiamme e portato a scoprire che cela un passato lontano a Kalos, anche se non l'ha mai vista in vita sua. Nuovi capitoli ogni due settimane!
 
***
 
« Ehi, non mi hai detto come ti chiami! ».
« Bellocchio ».
« Bellocchio chi? ».
« Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti chiami davvero così? ».
« Ma certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Genere: Avventura, Comico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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PREVIOUSLY ON LKNA

PREVIOUSLY ON LKNA: Silvia Celant, insegnante di fisica al Liceo per Allenatori di Novartopoli, ritorna a Castel Vanità, paese della sua infanzia, per recuperare un modulatore di Gauss portato alla casa di sua zia dalla fondazione Flare. La nostalgia cede il passo alla constatazione di quanto è cambiato: sua nonna mostra disturbi neurologici e, più inquietante, non c'è anima viva in giro. Indagando a riguardo Silvia compie una scoperta raccapricciante: l'intera popolazione del villaggio, zia compresa, è ora un'orda incapace di pensare e determinata a catturarla per obiettivi ignoti. Proprio quando tutto sembra perduto e la donna è con le spalle al muro, tuttavia, qualcuno le prende la mano.

 

 

 

 

 

 

« Corri! ».

L'uomo la trascinò per il braccio dentro l'abitazione e chiuse con violenza la porta dietro di sé. Silvia approfittò di quell'attimo di pausa per analizzare l'ambiente: non aveva scorto l'insegna all'esterno per ovvie ragioni, ma di primo acchito doveva trattarsi di un bar a giudicare dall'arredamento legnoso e dal soppalco largo circa metà del pianterreno. Con sua sorpresa il suo salvatore si trovava già là in alto, giuntoci dopo essersi inerpicato sulla scala a sinistra.

« Ti muovi? » le domandò dalla postazione sopraelevata « Non li ho mica fermati con una porta ».

Silvia annuì e lo raggiunse mentre quello stava bussando ermeticamente sul soffitto, percorrendolo per l'intera lunghezza del matroneo.

« Perché saliamo? » lo interrogò.

« Perché quassù arriveranno più tardi, pensa lateralmente ».

« Ma siamo in trappola ».

« Un problema alla volta » replicò lui. In quel momento uno dei suoi colpi a vuoto risuonò più sordo degli altri e, quasi in contemporanea, il branco inseguitore fece breccia nell'ingresso inferiore. L'uomo in completo sferrò un calcio ben piazzato alle assi superiori, rivelando una scaletta retrattile che conduceva oltre una botola nascosta. « Ah-ha! Beccata! » esultò prima di iniziare a scalarla.

La donna fece lo stesso, ritrovandosi con suo disappunto in bilico su un sostegno sdrucciolevole. Sdrucciolevole e ricurvo, e dall'atmosfera circostante fredda. Ci mise un po' a rendersene conto, ma erano snidati sul tetto. Fece per chiedere cosa fare dopo, ma il cappotto marrone dell'uomo svolazzava già diversi metri più in là, approfittando della vicinanza tra le case di quel rione. Silvia dovette fare appello al suo intero repertorio giovanile di ginnastica artistica per non scivolare giù, e ciononostante ci andò vicina un paio di volte.

Finalmente riprese l’inseguito, il quale nel frattempo si era arrestato al limitare di una delle sommità, peraltro una pericolosamente storta. Dopo averlo studiato attentamente comprese perché la sua silhouette gli risultava tanto familiare.

« Ehi, ma io ti conosco! Sei lo svitato di Novartopoli! ».

« Sì, grazie Silvia ». Senza dire altro sfilò la sua unica Poké Ball dalla cintura e la aprì, chiamando in causa un piccolo Fletchling svolazzante. Quindi, come se il resto fosse evidente, protese la mano alla donna per invitarla ad aggrapparsi.

« Non vorrai mica volare con quello, vero? Non ci reggerà mai! ».

« Che idiozia, ovvio che non voglio volarci! » replicò lui stringendole il braccio con un guizzo. La sua bocca si contorse in un sorriso tanto allegro da sembrare finto « Planeremo! ».

Silvia stralunò gli occhi nel terrore e abbozzò una protesta, ma prima di poter aprire la bocca si scoprì a mezz'aria, avvinghiata a un pazzo che a sua volta si reggeva alla piccola gambetta di un pettirosso grave quanto una piuma. Il loro viaggio come prevedibile durò poco visto che il Pokémon si vide incapace di sostenere oltre il loro peso e li sganciò prima del previsto. Come risultato entrambi i passeggeri capitombolarono su una strada lastricata in pietra, per loro fortuna con quasi nessuna contusione.

« Ah, beh, finalmente! » proruppe una terza voce, che Silvia identificò poi come appartenente a una bionda forse ventenne dalla corta gonna vermiglia. L'uomo parve conoscerla dal momento che sembravano condividere informazioni non dette.

« E lei? ».

« L'unica che ho trovato ancora sana. E a tal proposito… ». Si interruppe per lasciare che un rumore fino a quel momento passato inosservato fosse colto dalle loro orecchie. Suonava simile a una mandria di tori infuriati e, cosa più preoccupante, era in palese crescendo.

« Nephtys, Scacciabruma! ». Il piccolo Fletchling, con sorpresa di Silvia non ancora esausto dopo la planata, sbatté rapidamente le sue ali producendo un vento sferzante che dissipò il settore di nebbia di fronte a loro, mostrando per orrore dei superstiti che l'esercito privo di coscienza da cui erano scappati si stava ora precipitando a tremenda velocità nella loro direzione, favorito dal pendio su cui marciava.

« Sanno correre? ».

« Che centometristi. Chiunque sia il burattinaio ha un talento ».

« Credo sia l'ora del Piano B » commentò la ragazza in rosso, e a sua volta imbracciò una sfera rosso fiammante « Karen, Protezione! ».

La sagoma fuoriuscita dal lampo di luce non attese nemmeno il tempo di stabilizzarsi: una sfera rosata brillò attorno al corpicino di Ralts ed esplose in espansione fino a inglobare decine di metri di raggio e mettendo al tappeto chiunque si trovasse sul suo cammino. Quando la luminosità dell'ambiente tornò compatibile con l'occhio umano, Castel Vanità era una città di salme inerti.

 

 

 

Episodio 1x19

Dietro la porta

 

 

 

« Risponde la segreteria telefonica del numero 399009419. Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ».

« Craig… Non venire a Castel Vanità, non è… » Silvia gettò uno sguardo alla distesa di cadaveri che la circondava, incapace di trovare le parole « Ho finito il credito, quindi non potrò richiamarti. Ti amo ». Sconsolata distolse il telefono dall'orecchio e lo squadrò vacua. Mille frasi possibili da lasciargli e aveva scelto le più vane. Figurarsi se una comunicazione tanto generica avrebbe tenuto il suo fidanzato distante; anzi, probabilmente lo avrebbe incuriosito ancor di più. Ottimo lavoro.

« Credito? » domandò la ragazza in rosso, avvicinandosi a lei dopo aver ritirato Ralts. L'uomo frattanto si era allontanato per studiare i rimasugli dell'orda che li aveva assaliti, e non sembrava intenzionato a staccarsene presto. « Ne ho sentito parlare… Sono tipo dei soldi, giusto? Il PSS ha le chiamate gratuite, se vuoi… ».

Silvia agitò in risposta il suo cellulare, un esemplare risalente almeno a una decina di anni prima. « Vecchio modello. Craig non vuole un PSS, dice che non fa per lui. Questo si appoggia a una rete diversa, quindi non posso usare il tuo ».

« Questo Craig è uno all'antica? ».

« Credo sia più perché con una paga da professore puoi permetterti poco di più, ed è troppo orgoglioso per accettare che glielo regali » rise la donna alzando gli occhi al cielo « Non è poi così male, questo, sai? Il suo neo è che addebita ogni telefonata, quindi ora non posso chiamare la polizia ».

« Posso farlo io » suggerì la ragazza, scuotendo a sua volta lo smartphone in dotazione « Chiamate gratis, no? ».

« Che modello è? ».

« 4S. L'ho preso un anno fa per il mio diciottesimo ».

« Un vero peccato. Dal 4S in giù le chiamate di emergenza sono reindirizzate in automatico alla centrale cittadina, che al momento temo ci sarà di poco aiuto » commentò Silvia desolata « A metà dello sviluppo del quinto gli è venuto in mente che forse era meglio far scegliere la destinazione, come succedeva da anni su altre marche. Quando si dice il progresso ».

« Come sai tutto ciò? ».

« Diciamo che i geni dietro quelle decisioni sono miei colleghi ».

La ragazza sorrise e le offrì una stretta di mano « Serena Williams. Quello che analizza i corpi laggiù si chiama Bellocchio ».

« Silvia Celant. Lui lo conosco, era al Liceo di Novartopoli quando fummo attaccati da Zoroark. Ma non si chiamava Warren? ».

« Quello è il suo nomignolo, quando si ricorda di quanto è ridicolo il nome che usa di solito » ribatté beffarda Serena, rimembrando l'avventura scolastica vissuta con lui, Calem e i bambini. E Ada, anche se alla fine si era rivelata proprio quella a cui davano la caccia. Non aveva mai capito cosa fosse veramente successo in quei giorni, a partire dalla provenienza della finta alunna, ma a quanto sapeva erano dilemmi condivisi dal suo compagno.

« Per caso state viaggiando insieme? » domandò Silvia « Non c'è molta gente che viene qui in vacanza ».

« Sì, da… Vediamo, era mercoledì, quindi una settimana e un giorno ».

« Però, da Novartopoli a qui in così poco tempo… Siete veloci. E da quanto vi conoscete? ».

« Da una settimana e un giorno » replicò Serena senza nascondere un divertimento interno per la risposta data « È una lunga storia, il nostro primo giorno è stato un po' particolare ».

La donna rimase sbigottita « Solo? ».

« Che significa “solo”? ».

« Vi comportate come se vi conosceste da una vita! » esclamò lei con sorpresa « Quando vi ho visti pensavo foste fidanzati, ma ripensandoci vi ho visti più come fratello e sorella, e invece… Una settimana e un giorno! ».

Proprio in quel momento Bellocchio si unì al duo. Nonostante la situazione non aveva perso nemmeno in quel caso la sua consueta verve, il che se non altro era rassicurante. « Okay, ho una buona e una cattiva notizia. E prima che scegliate, vi suggerisco di partire con la buona ».

Serena lo sollecitò « Spara ».

« Non sono morti ».

Entrambe le donne attesero impazienti un prosieguo, ma Bellocchio non pareva dell'idea. « E… ? ».

« Basta. Viste le circostanze credo che non morire si possa considerare un buon risultato » tagliò cinicamente corto « La cattiva è che sono tutti in stato di controllo sinaptico a raggio convergente ».

« E questa che lingua è? ».

« Ipnosi. E da qualche parte c'è un mega-cervello che li controlla. Per questo compiono una sola azione per volta, sono come un'unica creatura ».

« E il gran capo dove sta? ».

« Sa Dio. Mi piacerebbe chiederlo a qualcuno, ma a parte noi tre qui sono tutti burattini. O almeno, così mi è parso » soggiunse dirigendo lo sguardo a Silvia. La professoressa fissava il vuoto a bocca semiaperta, completamente inespressiva.

Serena andò in suo soccorso, cingendole le spalle con un braccio « Ehi, ehi! Tutto bene? ».

« Sì… Sì, io–– È solo che… ». Dapprima cercò di andare avanti, ma in breve tempo dovette cedere alle emozioni e si profuse in un pianto isterico « Tutti quelli che conoscevo… Tutti… ».

« Shock traumatico, può capitare. Chiama quando ti sei ripresa ».

« Bellocchio! » lo riprese Serena inacidita « Sii più comprensivo, non sono tutti abituati come te a vedere gli amici quasi-morire! ».

« Non sono abituato, è la prima volta che vedo una cosa simile in vita mia » replicò lui risoluto « Ma a maggior ragione voglio capire che sta succedendo e provare a risolverlo. Quindi, Silvia, te lo chiedo con il cuore: conosci qualcuno che non sia ancora ipnotizzato? ».

La donna fu tentata di rispondere con un secco no senza riflettere e abbandonarsi alla malinconia. Ma non era certo da lei perdere la concentrazione e lasciarsi sopraffare dai sentimenti. « Sì, io… Mia nonna, l'ultima volta che l'ho vista era ancora sana. Però è stato un po' di tempo fa, non so se… ».

« Seguivano te, quindi probabilmente è ancora a posto. Però se è così dobbiamo muoverci a raggiungerla, questi qui non staranno svenuti a lungo ».

« Sì, ma… » obiettò Silvia, riprendendosi dalla crisi precedente « Non vi sarà di nessun aiuto. È impazzita martedì scorso ».

Una lampadina si accese nel cervello di Bellocchio. Anzi, lui amava definirlo un faro massiccio con sopra incisa a grandi lettere la parola “coincidenza”. « E la nebbia da quando c'è? ».

« Che… che cosa c'entra la nebbia? ».

« Tutto. Senza la nebbia qualcuno si sarebbe accorto di una città deserta in tempo primaverile, o di zombie che fanno proseliti per strada. Quindi, di nuovo, la nebbia da quando c'è? ».

Per quanto perplessa, Silvia si sforzò di ricordare se sua zia avesse detto qualcosa a riguardo. « Vediamo… Zia Tonya ha detto… questa settimana, mi pare. Sì, questa settimana. Ma continuo a… ». Oh. In effetti, a ben pensarci, la settimana inizia di lunedì. Follia, controllo mentale e temperature fuori stagione a giorni di distanza. Un po' troppo.

« Portami da tua nonna » si impose categorico Bellocchio.

 

 

Il tragitto, per quanto breve in linea teorica, fu notevolmente rallentato da due occorrenze: una fu Bellocchio, intenzionato contro ogni logica a guidare il gruppo in prima fila, pur non conoscendo la via. La seconda era più naturale: nessuno dei tre era convinto che l'intero arsenale di morti ambulanti di Castel Vanità fosse stato esaurito in un solo attacco, né che quelli investiti dalla Protezione di Karen fossero da considerarsi fuori dai giochi.

Per la prima parte della camminata vi fu solo un rispettoso silenzio. Fu Serena a interromperlo per prima, più per un tarlo che la rodeva dall'interno che non per desiderio di fare conversazione. « Mi dispiace per i tuoi amici ».

Silvia impiegò un po' a capire che stava parlando con lei « Oh… Grazie, ma davvero, era solo… uno shock momentaneo, nulla di più. Molti di loro nemmeno li conosco ».

« Tu non vivi qui, vero? ».

« No, ormai ho casa stabile a Novartopoli… Ora, con Craig, chissà. Ci vivevo da piccola, qui, fino ai sette anni » spiegò la donna « Tu, invece, da dove vieni? ».

« Borgo Bozzetto » rispose lei orgogliosa. Poi aggiunse con una velatura di dubbio « La conosci, vero? ».

« Ovvio che la conosco! Non lavoro molto distante da lì, ricordi? » le fece notare Silvia, al che la ragazza annuì confortata. « Sai che hanno una cosa in comune? ».

« Spero non la popolazione! » propose Serena, scatenando una quieta ilarità tra le due.

Ricompostasi, Silvia passò a spiegare « Entrambe una volta erano una grotta ».

« Davvero? ».

« Beh, in epoche diverse. Non ricordo bene la vostra, ma qui lo fu fino al Cisuraliano, quando crollò a seguito di ere ed ere di piogge intense. Si parla di trecento milioni di anni fa » concluse con fierezza. Alzando lo sguardo, fino ad allora oscillante tra l'interlocutrice e le pietre incastonate per terra, chiamò Bellocchio a gran voce « Ehi, ehi, dove vai? Casa mia è quella! ».

Quello, troppo distante per rispondere senza gridare e attirare nemici, si limitò a un cenno di okay con le mani ed entrò circospetto dalla porta rimasta aperta. Le altre due lo raggiunsero poco dopo, quando lui nel frattempo aveva già perlustrato il pianterreno per accertarsi che fosse privo di pericoli.

« Nessuna marionetta avvistata » stabilì sicuro.

« Beh, allora vai » lo esortò Silvia « Io preferisco non vederla di nuovo, non so se reggerei ».

« Molto bene. Serena, avec-moi ».

« No, no, per carità! » la professoressa lo trattenne per un lembo del cappotto mentre già si era avviato « Zia Tonya ha detto che più persone la disorientano ».

« Ricevuto, ricevuto, vedrò che riesco a fare da solo » assentì Bellocchio « Ci vediamo tra poco. Se gli altri vi trovano… cercate di stare vive ».

Quelle parole provocarono uno strano rimbombo rimbalzando da una parete all'altra mentre il giovane, appoggiato il soprabito su una sedia lì vicino, si incamminava per le scale un gradino dopo l'altro. Dopo aver rispettosamente bussato senza ricevere risposta, aprì dolcemente la porta della stanza da letto per trovare un'anziana signora curva e sorridente seduta su una poltrona, con tra le mani un bastone da passeggio. In quel momento gli sovvenne che, tra tutte le preoccupazioni del caso, non aveva nemmeno pensato di domandare il suo nome. Era sorprendente come le cose più semplici gli sfuggissero dalla testa.

« Buongiorno » salutò sistemandosi su uno dei giacigli. La donna non lo degnò di uno sguardo, nemmeno non si fosse accorta di lui, ma replicò con un inatteso « Sono qui! ».

Bellocchio non era un dottore e di certo non poteva produrre una diagnosi; ma anche a un bambino sarebbe stato lampante che ottenere qualcosa da lei era un'impresa disperata. Ciononostante non accettò di arrendersi così frettolosamente all'unico appiglio che aveva per venire a capo del mistero. « Come va la vita? ».

« Ciao! Sono qui! ».

Sempre lo stesso tono disturbante. Non aveva senso insistere oltre su chiacchiere pro forma, non avrebbe cavato un ragno dal buco. Meglio provare ad andare dritto al punto. « Lei vive qui da molto, vero? ».

« Sono qui… ».

Bingo! Non c'era dubbio, l'inflessione della voce era cambiata. Poteva anche non sapersi esprimere, ma doveva comprendere ancora il linguaggio umano. « Signora, lei sa che fuori da questa stanza la città dove ha trascorso la sua intera vita è vittima di un'ipnosi collettiva? ».

La vecchia non rispose, ma ciò non significa che non reagì. Alzò tremante la mano che stringeva il bastone da passeggio e impiegò quest'ultimo per issarsi in piedi. A piccoli passi si avvicinò a Bellocchio, sempre più sospettoso. Era pazza, ma aveva anche la sua età: cosa avrebbe potuto fargli? Si sarebbe aspettato tutto meno la cosa più ovvia. La cosa che una sana di mente avrebbe fatto.

Lo abbracciò. Non disse nulla, forse perché non ne era in grado, o forse perché non c'era nulla da dire. La risposta alla tragedia fu talmente umana e talmente naturale da spiazzare completamente l'uomo. Ma c'era altro. Quello non era solo un abbraccio di conforto, era un abbraccio di sostegno. Come quello di chi sa troppo e non riesce a reggere il peso dell'informazione. Come quello a cui Bellocchio aveva imparato a rinunciare.

« Signora » le sussurrò affettuosamente « lei sa qualcosa della nebbia? ».

Il cambiamento fu così repentino da eclissare quello precedente. Con un gesto fulmineo la signora imbracciò il bastone e lo premette dritto contro il giovane, sbattendolo al muro e premendogli il collo con i denti della testa di serpente.

« Non vi avvicinate alla porta! ».

Bellocchio impugnò un segmento della verga con ambo le mani e tentò di allontanarlo, ma d'improvviso la debole vegliarda aveva sfoderato la rigidezza di un campione dei pesi massimi. « Serena… » invocò aiuto, l'unica cosa che gli rimaneva da fare « Serena! Sarebbe gradita una mano! In fretta, possibilmente! ».

« Non vi avvicinate alla porta! ».

Abbassò gli occhi sull'attaccatura tra bastone e rettile, incontrando il profilo sagomato di tre parole incise nel legno. Erano capovolte, ma riuscì comunque a leggerle: Fort de Vanitas.

« PROTEZIONE! » scandì una voce femminile fuori dalla stanza, e l'arredamento fu quasi soverchiato per ciò che seguì. L'uscio si spalancò come in preda a una violenta corrente e un bagliore folgorante fendé l'ambiente in due, tagliando proprio tra Bellocchio e la vecchia per dividerli. Serena entrò guardinga appena dopo, seguita da una Silvia più allarmata che mai.

« Nonna! » andò scattante a sincerarsi delle condizioni dell'anziana, trovandola riversa per terra, incapace di rialzarsi e in stato confusionario. « Che le hai fatto? » ruggì all'indirizzo di Bellocchio.

« Io? » protestò lui dirigendosi allo specchio sito sulla parete opposta « È lei che mi ha aggredito come ho pronunciato la parola nebbia ». Con suo sollievo il dente del serpente premuto sul collo gli aveva lasciato solo una piccola cicatrice che sanguinava appena. Si ripulì improvvidamente con la mano per evitare che il bavero della camicia si macchiasse.

« Sì, giusto, come no. Mia nonna di novant'anni che ti tiene testa. Ce la vedo proprio ».

« Abbiamo la memoria corta, vedo. Ti sei scordata dei decrepiti che ti hanno inseguita per mezza Castel Vanità? ».

« Mia nonna non era posseduta ».

« Questo non possiamo dirlo con certezza » controbatté Bellocchio « Potrebbe essere un tipo diverso di controllo. Questa ferita non si è aperta da sola ». Indicò per buona misura la propria gola, dove il taglio non si era ancora rimarginato.

« Smettetela entrambi, non arriveremo da nessuna parte litigando » intervenne Serena, frapponendosi tra i due disputanti.

« Scusa tanto, Serena, non ce l'ho con te, ma il tuo amico mi sembra tutto fuorché uno di cui fidarsi ».

« Io mi fido di lui » ribatté lei, troncando definitivamente il discorso. Si fermò qualche istante perché gli animi si placassero, poi si diresse verso Bellocchio « Hai scoperto qualcosa? ».

Quello scosse la testa in cenno negativo « Ha parlato solo di una porta. Cos'è Fort de Vanitas? ».

Silvia sbuffò mentre aiutava sua nonna, che nel frattempo aveva ripreso la sua usuale litania di sonoqui, a rimettersi sulla poltrona. Se non altro la compagnia non le stava provocando attacchi di panico, semplicemente perché non pareva accorgersi della presenza di altri. « Il castello della città. Vanitas, vanità, dovrebbe essere abbastanza ovvio. Perché? ».

« Sta scritto sul suo bastone ».

« Ovvio, l'ha preso lì. Per qualcosa come metà della sua vita ha fatto la custode del castello, fino a martedì scors–– ».

Serena inarcò le sopracciglia. L'aveva fatto di nuovo. Bellocchio aveva di nuovo palesato la totale incompetenza di tutti quelli che provavano a confrontarsi con lui. Ora che l'aveva detto controllare Fort de Vanitas era la cosa più ovvia da fare, persino offensivo a dirsi, ma prima nessuno ci avrebbe mai pensato.

« Direi che abbiamo la prossima destinazione » commentò l'uomo con un sorriso compiaciuto.

 

 

Fort de Vanitas era un castello edificato dal conte Thibaut IV, noto come Thibaut de Vanitas una volta insediato nella città, attorno ai primi anni del 1500, con uno stile architettonico di inconsapevole raccordo tra il gotico medioevale e l’umanesimo del Rinascimento. Oggi si presentava come una magione diroccata, priva dei fasti di un tempo e forse in linea con ciò che Castel Vanità era divenuta, ormai raramente considerata come un'entità separata da Luminopoli al di fuori dei suoi abitanti.

L'ingresso era consto, superato il tradizionale ponte levatoio, da un'anticamera all'aria aperta sovrastata da un massiccio arco in pietra. Da lì due porte laterali conducevano agli alloggi privati del personale, quelli che la nonna di Silvia aveva abitato per decenni, diventando quasi parte dell'edificio stesso. Mediante un portone frontale, invece, era possibile entrare all'interno.

Il primo ambiente chiuso era la cosiddetta Sala degli Stati, una stanza gotica pinnacolo dell'architettura di Fort de Vanitas. Consta di una navata principale e una di contorno sulla destra, la Sala era chiusa a guscio dall'affresco di una volta stellata. Essa era un tempo impiegata come ritrovo per l'Assemblea degli Stati di Kalos – di qui il nome –, nonché in epoche più recenti come municipio prima che il Sindaco decidesse di trasferirsi in una sede che, perlomeno, vantasse un impianto di riscaldamento elettrico.

Tutto ciò Bellocchio l'aveva letto da un opuscolo prelevato all'atrio esterno, perché non avrebbe avuto modo di dedurlo in alcun altro modo: l'intera camera era pervasa da una fitta caligine che rendeva ostico persino respirare. Con lui era rimasta solo Serena, in quanto per l'incolumità di Silvia le aveva raccomandato di aspettarli fuori.

« Questo non è normale » constatò proprio la ragazza, asciugandosi gli occhi irritati dalle goccioline d'acqua sospese.

« Nebbia al chiuso. Decisamente no ».

« E ora che si fa? Ci dividiamo e guardiamo in giro? ».

Bellocchio gironzolò un po', dando un'occhiata qua e là in cerca di indizi cui solo lui sapeva di stare dando la caccia. « La nonnina ha detto di non avvicinarmi alla porta ».

« Ne vedo parecchie qua » osservò Serena. Ne aveva contate sei: quattro sui lati, due al termine di ciascuna navata. Nessuna era più grande delle altre o apparentemente più importante, erano tutte uguali.

« Ha detto la porta. La. Come se fosse ovvio » sottolineò l'uomo. « Ma forse è solo pazza. Tuttavia » soggiunse gettando uno sguardo alla corsia primaria della Sala degli Stati « l'istinto mi dice che è quella ».

Serena non contestò, perché se avesse dovuto selezionarne una avrebbe fatto la medesima scelta. Per varie ragioni: la prima sulla lista era che l'unico suo clone apparteneva all'andito minore, e se una tale asimmetria aveva passato il vaglio del conte Thibaut doveva pur esserci una ragione. Ma a un'ispezione più accurata era qualcos'altro che aveva messo la pulce nell'orecchio al suo amico: non era del tutto chiusa. Uno spiraglio nero la separava dall'infisso, come se un custode disattento se ne fosse dimenticato, o come se fosse stata usata di recente.

I due la approcciarono gradualmente e da lati diversi, quasi si attendessero una reazione. Invece vi giunsero entrambi senza difficoltà e Bellocchio, non certo libero dal timore, la aprì con delicatezza, il che non impedì comunque ai cardini di produrre un fastidioso cigolio. Nessuno vi fece caso, comunque, perché ciò che vi si trovava dietro superava ogni aspettativa.

« Non è possibile » rimarcò Serena, e ultimamente aveva visto abbastanza da scuotere le sue certezze più radicate. Ma una grotta in un castello, quello era troppo anche per lei.

Per la verità intuì che si trattava di una grotta solo grazie al terreno dissestato e spigoloso che suonava come roccia: l'illuminazione della Sala degli Stati proveniva da due fila di finestre incavate due secoli dopo il resto della struttura, ma la foschia la filtrava quasi interamente e ciò che stava dietro la porta era imperscrutabile. La ragazza rammentò però di essere in possesso di un PSS, e attivando la sua funzione di torcia riuscì ad accertarsi che sì, quella era proprio una caverna.

« Calcarea » analizzò Bellocchio perplesso « Roccia calcarea. Ma non ha senso, le infiltrazioni l'avrebbero fatta collassare ere fa ». Per sicurezza controllò il dépliant turistico con l'aiuto della luce fornita da Serena « Qua dovrebbe esserci la tavolata del conte. Da dove salta fuori una grotta? ».

La sua compagna si strofinò le mani. L'aria era umida, però quantomeno non vi era traccia della bruma che infestava Castel Vanità. In effetti non vi era traccia di assolutamente nulla che ricordasse Castel Vanità. Una bizzarra ipotesi prese a serpeggiare nella sua mente, e per quanto ridicola Serena non riuscì a trovare una sola cosa che la rendesse meno assurda di una spelonca clandestina. Quando si voltò per proporla a Bellocchio, quello aveva già fatto avanti e indietro tre volte attraverso l'architrave della porta per assicurarsi che non fosse un trucco. « Secondo te i viaggi nel tempo esistono? ».

Il giovane non riuscì a capire, ma colse subito che non si trattava di un commento casuale « Perché? ».

« Silvia mi ha detto che tipo trecento milioni di anni fa l'intera città era una grotta. È un'idea impossibile, ma è l'unica che mi è venuta ».

Bellocchio stralunò gli occhi molto più di quanto la ragazza si sarebbe aspettata. La sua era una nota innocente pronunciata con scarsa serietà, ma lui sembrava averla presa come oro colato. In effetti probabilmente la sua mente l'aveva presa come trampolino di lancio, e ora doveva essere giunto a qualcosa di completamente diverso. Succedeva spesso, viaggiando con lui. L'uomo aprì la bocca per parlare ma fu interrotto da qualcos'altro, qualcosa che fece rabbrividire entrambi: due barlumi rossi scintillavano nell'oscurità.

La coppia trasalì. Serena alzò la torcia per fare luce, ma come si avvicinò ai lampi fiammeggianti un orripilante verso inumano la avvisò di fermarsi. Lentamente il chiarore fornito dai due punti si ampliò, rivelando una forma mostruosa che la ragazza non aveva mai visto. I suoi occhi vorticarono febbrilmente da un massiccio guscio aguzzo a un organismo celeste e flaccido dalle fattezze di una stella a cinque punte, passando poi alle disgustose fauci grondanti saliva per concludere nelle sue crude pupille vermiglie ancora irradianti. Tentò una seconda volta di puntare il bagliore del PSS per osservarla meglio, ma di nuovo la creatura emise quel richiamo ributtante, come un risucchio seguito da un battere di denti prolungato. Si girò verso Bellocchio, aspettandosi di rivedere sul suo volto il proprio stesso stato di paura.

Come prevedibile non fu così. O meglio, la differenza si giocava sulla sottile discrepanza tra paura e sgomento. Bellocchio non era spaventato, era stordito da ciò che si trovava davanti a lui.

« Che cos'è? » gli domandò tremebonda.

« Una sacca temporale ».

« Che cosa? ».

« Siamo in una sacca temporale » ripeté lui, stavolta aggiungendo la sintassi necessaria a comprendere meglio la frase.

« E che cosa sarebbe? ».

« Qualcosa che non credevo avrei mai visto » rispose l'uomo. Azzardò a muovere un passo in avanti, ma scatenò ancora la reazione di quel vomitevole essere e si arrestò. « Sapevo che teoricamente erano possibili, ma è un po' come vedere due fulmini abbattersi nello stesso punto. Anzi, mille fulmini, uno dietro l'altro ».

« Hai intenzione di dirmi che cos'è prima o poi? ».

« È un inceppo nel meccanismo del tempo. In qualche momento, centinaia di milioni di anni fa, questo luogo ha fatto un salto. Si è sdoppiato, se vogliamo » spiegò Bellocchio, evidentemente ostacolato dalla mancanza di parole utili a descrivere il processo « Da allora questo posto ha seguito una strada diversa, libero da influssi esterni, nello stesso tempo di questo universo. Mi dicevi di una grotta che poi è crollata… Beh, qui non è mai successo ».

« Una strada diversa? ».

« Come due rette parallele. Così simili, così vicine da toccarsi con un dito, ma mai in grado di farlo. Beh, fino a ora ».

Serena ingoiò a forza un grumo di saliva che le si era addensato in bocca. Ora lei era nel passato, ma anche nel presente visto che il tempo era trascorso nello stesso modo? Cercò di non pensare a quel paradosso per concentrarsi alla domanda più scottante. « E quello… quello cos'è? ».

« Lui è il rifiuto. L'orfano del nostro universo. O più semplicemente uno che ha avuto la sfortuna di trovarsi qui al momento del salto » Bellocchio le mise una mano sulla spalla, come per confortarla – di che cosa, poi? « Hai di fronte l'ultimo Omastar vivente ».

Omastar. Non aveva mai sentito quel nome in vita sua. Mai, nemmeno menzionato. « Che cos'è un Omastar? ».

« Un Pokémon vissuto in ere preistoriche. Si pensa che con il passare del tempo il suo guscio si sia ingrandito troppo per permettergli di muoversi, e che ciò abbia causato la sua estinzione ».

« È lui il cervello? Quello che ha ipnotizzato gli abitanti? ».

« È molto probabile. Credo che ci sia lui anche dietro alla nebbia. Il clima si è fatto molto più secco che al loro tempo, è probabile che senza di essa l'ambiente esterno avrebbe contaminato quello di questa grotta uccidendolo. Però non mi spiego perché » concluse il giovane, grattandosi il mento.

« Solo… ».

La coppia sobbalzò. La voce era acuta, sofferente, lenta e trascinata, e in effetti sarebbe potuta provenire da qualsiasi punto della caverna. Ma non c'era nessun altro: quelle parole dovevano per forza essere state pronunciate dalla figura a luce rossa che li fissava. Omastar, un Pokémon vissuto epoche prima dell'uomo, aveva parlato.

La quiete seguente fu dura da spezzare. Era tutto così illogico che Serena avrebbe preferito tacere in eterno, riflettere sulle implicazioni di quanto avevano scoperto. Ma Bellocchio, pur di fronte a situazioni simili, era uno che raramente rimaneva a corto di parole.

« Non erano parallele » disse enigmaticamente, quasi quelle tre parole spiegassero tutto.

« Eh? ».

« Le rette. Le linee temporali. Il nostro universo e questa sacca. Quando questa parte di grotta ha fatto il salto si è distanziata di un'infinità, ma ha tentato di ritornare a casa » proseguì Bellocchio seguendo il proprio personale filo dei pensieri « Le due rette non erano parallele, erano l'una impercettibilmente inclinata relativamente all'altra. Ci è voluta un'eternità, ma lentamente le due parti si stavano avvicinando. A un certo punto, milioni di anni dopo l'inizio della sua prigionia, questo Omastar deve aver iniziato a sentire delle voci ».

Serena cominciò a comprendere « Le voci di Castel Vanità ».

« Esatto. Prima quasi impalpabili, poi sempre più forti, man mano che la sacca confluiva. E ora siamo al punto d'incontro » concluse per poi rivolgersi direttamente al Pokémon « È così che hai imparato a parlare come noi, vero? Ascoltando e imparando. Loro non ti sentivano perché era una connessione unilaterale, ma tu sentivi loro ».

« … ». Procedeva una sillaba per volta, ma considerando il proporzionalmente piccolo arco di tempo in cui aveva imparato era già un risultato sconvolgente.

« Ma perché? » chiese Serena « Una volta che ha capito che era in contatto col nostro mondo, perché ipnotizzare le persone? ».

« Perché si sentiva solo ».

Un verso lamentoso fuoriuscì dalla bocca di Omastar, qualcosa di tanto malinconico da andare oltre il descrivibile. Il canto perduto di un essere solitario.

« L'hai sentito, no? L'ha detto anche lui » continuò Bellocchio « Voleva compagnia. Aveva passato epoche completamente da solo, riducendo le funzioni vitali al minimo. Voleva qualcuno con cui vivere. Qualcuno con cui morire ».

« Perché sono ancora in giro, allora? Presone uno non poteva semplicemente… che ne so, tenerlo qui e basta? Avrebbe avuto più senso che tenerli a vagare per la città ».

Per un attimo temette che Omastar avrebbe ripetuto il suo ripugnante richiamo caratteristico, ma non lo fece. « Paura… ».

Serena rimase impalata, incapace di reagire e sentendosi sporca come poche volte nella sua vita. Lei aveva avuto paura, ma non solo lei: tutti. Nessuno di loro avrebbe potuto sopportare di vivere con quell'abominio, nessuno avrebbe voluto. Quante volte negli ultimi minuti aveva soffocato i conati di vomito alla vista di quel mostro, e tutto ciò che lui voleva era un amico. Così umano, così inumano.

Bellocchio assunse un'espressione costernata e fece un passo in direzione del Pokémon, che stavolta glielo concesse « Mi dispiace per ciò che ti è capitato, non ne hai nessuna colpa. Ma non posso aiutarti. Devi capire che è tuo destino rimanere solo ». La voce gli bruciava mentre proferiva quel duro annuncio, perché nessuno più di lui detestava rinunciare ad aiutare qualcuno. Ma che altro avrebbe dovuto fare? Quell'essere era troppo vecchio anche solo per muoversi, e la sola aria priva della nebbia che aveva eretto lo avrebbe ucciso prima dei batteri a cui non era abituato. Era privo di speranza e lui, povero umano schiavo del suo tempo, non poteva fare nulla.

« Nonpiù… » scandì Omastar con accento per la prima volta brutale.

Quello che accadde dopo fu quasi irreale per il ritmo sostenuto in una manciata di attimi. L'aria iniziò a vibrare come una corda tesa; il Pokémon preistorico si chiuse in un silenzio di tomba dopo aver emesso in un'ultima occasione il suo risucchio e battito, e i suoi occhi si spensero; Serena fu spinta con violenza da qualcosa o qualcuno al di fuori della porta, e si rese conto che era stato Bellocchio solo quando l’anta si richiuse in preda alla corrente sottraendolo alla sua vista; sotto gli occhi della giovane la nebbia della Sala degli Stati si dissipò in un batter di ciglia, infrangendo mille e più leggi meteorologiche e lasciando che la luce del sole le baciasse la pelle.

Quando si rese conto di ciò che stava realmente accadendo Serena balzò contro l'asse di legno richiuso, facendo forza sulla maniglia per spalancarlo di nuovo, ma una forza invisibile sembrava trattenerla dall'altra parte con una verve ben maggiore di quella che il suo amico avrebbe potuto esercitare. Era il tempo stesso a negarle il ritorno. « FAMMI ENTRARE! FAMMI ENTRARE ORA! » sbraitò prima di caricare la porta con una rincorsa, fallendo però nell'intento e rimediando solo una spalla dolorante e un rinculo che la fece atterrare sul pavimento di Fort de Vanitas. Fece per rialzarsi e riprovare con l'altro lato del corpo quando una voce la fermò.

« Serena? Serena, mi senti? ».

« Sì! » esclamò la ragazza rizzandosi e provando ancora a forzare l'uscio senza successo. Sferrò un pugno isterico all'uscio, sbattendo ripetutamente gli occhi per ricacciarsi dentro le lacrime « Ti sento! ».

« Io… Io non riesco a sentirti ».

La replica affossò le speranze che aveva di rivederlo. Si inginocchiò, sfibrata per i vani sforzi di tornare nella caverna, e appoggiò la testa e le mani alla maniglia abbassandola senza successo. Esattamente come nessuno poteva udire Omastar prima, ora lui e Bellocchio non potevano udire lei.

« Spero comunque che questo messaggio ti arrivi » proseguì la voce invisibile dell'uomo, addolorata eppure satura del suo tono usuale « Le rette si sono separate di nuovo. L'incrocio è durato solo qualche giorno. Io sto bene, se ti può interessare ».

Certo che mi interessa, cretino, gli avrebbe detto se solo avesse potuto. La consapevolezza di non poterlo fare, di non poter mai più rivolgergli la parola, le aggiunse un altro peso allo stomaco.

« Non ti preoccupare per me. Io… Io troverò un altro incrocio, da qualche parte. Chissà, magari ne uscirò con la barba bianca e senza capelli ».

Quella singola pausa tra i due io diceva tutto su quanto lo stesso Bellocchio credesse alle frottole che andava raccontando. Quanto pensava che fosse stupida? Ci erano voluti trecento milioni di anni a Omastar per trovarne uno. Se mai ne fosse uscito sarebbe stato non solo senza capelli, ma anche senza un solo altro grammo di pelle avvinghiato al suo scheletro. L'immagine si materializzò nella mente di Serena peggiorando la sua condizione, quindi decise di allontanare rapidamente il pensiero.

« Vorrei che tu mi facessi un favore » disse la voce, e la modulazione lasciò intendere che quello era il termine del suo epitaffio. Un ultimo desiderio. « Fai un bel viaggio. Fallo anche per me. Ci sono così tante cose da vedere, lì. Non perderle solo perché non sono partito per Sinnoh quando avrei dovuto. E sappi che mi dispiace di non avert–– ».

La frase finale si spezzò a metà, rimanendo incompiuta. La porta si aprì proprio in quel momento, libera dalle catene del tempo, rivelando dietro di sé uno sprazzo della sala da pranzo del conte rischiarata dal sole. Serena non provò nemmeno a rialzarsi: rimase afflosciata, le mani strette alla maniglia come fossero ammanettate ad essa, lo sguardo perso nel vuoto e una smorfia di abbandono sul volto.

   
 
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