Capitolo ventotto " La cosa giusta" Lei si tirò indietro.
Non voleva dargli
l’impressione che apprezzasse ma neanche che non fosse felice
di rivederlo.
Perché lei era felice di
rivederlo.
Julian era una delle poche persone
capaci di farla sentire a suo agio, sempre e comunque.
Che non la trattava in maniera
diversa da prima, che la faceva ridere e non se la prendeva se lei non
richiamava mai dopo una sua telefonata, se non rispondeva mai alle
mail, se aveva momenti in cui non voleva vedere nessuno.
«Sono tutta sudata,
meglio non avvicinarsi troppo.»
E non badava ai suoi modi,
più bruschi che mai.
«Hai un ottimo profumo,
Eva.»
“La tua pelle
sa di sole… e miele…”.
La voce di Ville risuonò
nei suoi ricordi.
Nell’ultimo mese i sogni
su di lui si erano susseguiti sistematicamente, ogni notte.
All’inizio aveva
affrontato il momento di andare a dormire sempre con ansia, pur sapendo
che al risveglio ogni cosa svaniva.
Ora ci aveva fatto
l’abitudine e semplicemente, come ogni cosa che le succedeva,
la accettava.
Perché Julian non
cambiava mai, e arrivava sempre a sorpresa?
Sospirò, spostandolo
senza tante cerimonie, e passandogli oltre, si accinse ad aprire la
porta del suo miniappartamento.
L’aria bollente la
investì in pieno soffocandola, e si precipitò ad
aprire ogni finestra, anche se l’afa opprimente che proveniva
dall’esterno non migliorò affatto la situazione.
Si sventolò con le mani
cercando di farsi aria sul viso, ringraziando il cielo che avesse i
capelli corti; non osava immaginare come sarebbe stato se avesse avuto
ancora quella massa di ricci.
«Senti caldo?»
– Julian la guardava divertito.
«Perché, tu
no?» – chiese acida,
allontanandosi dalla finestra
e tornando vicina a lui prese a sistemare la spesa.
«Sono spagnolo,
‘chica’…»
– disse con voce suadente, calcando l’accento
iberico.
«Umpfh.»
«Non sei felice di
vedermi? – le afferrò le mani
all’improvviso, intrecciando le dita alle sue - Ti
da’ fastidio quando arrivo senza avvisare? Mi piace farti
sorprese… »
«Julian… -
resistette all’impulso di divincolarsi – lo sai che
odio le sorprese. E sai anche che sono felice di vederti.
Smettila.»
«Di fare cosa?»
«Di fare qualunque cosa
tu stia facendo alle mie mani.»
«Le sto solo
tenendo.»
Lei sollevò il
sopracciglio.
Le stava accarezzando il dorso e
l’interno dei polsi con lenti cerchi, in modo sensuale.
Non era possibile che ancora
sperasse che fra loro potesse ripetersi quello che per lei era stato
solo uno sbaglio.
Non dopo tutto quel tempo, diamine!
Era stata chiara in merito e
sembrava che lui si fosse rassegnato alla cosa; ma ogni volta che si
rivedevano, lui tornava alla carica, ogni volta.
E ogni volta lei doveva usare la
sua acidità corrosiva per rimetterlo al suo posto.
Vedeva come la guardava, come la
fissava e percepiva chiaramente il suo desiderio.
La cosa che la faceva infuriare era
che anche lei provava attrazione per Julian, per lo meno fisica.
Ma lui voleva di più,
non credeva che si sarebbe accontentato solo di portarsela a letto.
E lei non voleva commettere sempre
gli stessi sbagli.
Non che non avesse preso in
considerazione l’idea di farsi consolare da lui.
Ci aveva pensato e lui non aveva
mai nascosto che si sarebbe accontentato anche di quello, per lo meno
all’inizio.
Era diventata tutto quello che
aveva sempre odiato e giudicato negli altri.
Non aveva perdonato Andrea per le
sue debolezze.
Non aveva perdonato Ville per
essere stato con Amy.
E ora non perdonava se stessa per
aver ceduto anche lei alle proprie debolezze.
Quante volte Mara le aveva detto
che sbagliare è umano, che è normale, che aiutava
a far chiarezza dentro di sé…
Ma lei cosa aveva capito?
Aveva lasciato Ville
perché aveva paura e non era tornata da lui quando glielo
aveva chiesto.
Aveva usato la malattia di Mara
come scusa per non affrontare la vita che aveva lasciato in sospeso con
Ville.
Voleva illudersi di poter
soddisfare il suo istinto materno e invece sapeva bene quanto fosse
sbagliato.
Aveva usato Julian per lenire una
ferita che non sapeva come rimarginare.
Era peggiore di tutti gli altri.
Aveva deluso Nur, Mara e Simone.
E Ville…
Soprattutto aveva deluso se stessa.
E quella era la cosa che
più di tutte non riusciva a dimenticare e perdonare.
******
Non aveva nessuna voglia di
rientrare, nonostante il vento forte e freddo che le sferzava il viso.
Non aveva voglia di tornare in casa
ed essere di nuovo sola, anche se era una solitudine che aveva cercato,
scappando dalla casa dei suoi genitori, con sua madre che la seguiva
con gli occhi da quando era tornata da Helsinki, un mese prima.
La guardava attraverso gli occhiali
da vista in bilico sul naso, mentre faceva il suo uncinetto rilassante,
come lo chiamava lei.
Sbuffava e borbottava in
continuazione quando la vedeva smangiucchiare svogliatamente i
pranzetti che le preparava con tanto amore, quando rispondeva a
monosillabe alle loro domande, o quando si rinchiudeva in camera al
buio, parlando per ore con Ville al telefono, per poi fissare il
soffitto immobile.
Suo padre al contrario, non la
sorvegliava come un cane da punta: erano così simili loro
due.
Le faceva una carezza sui capelli
ogni volta che le passava vicino, non dicendole nulla, non chiedendole
nulla: semplicemente confortandola con la sua presenza e il silenzio.
Portandole le more che lei adorava,
appena colte e ancora calde di sole.
Ma un mese in quel modo, senza
poter essere se stessa, senza che potesse lasciarsi andare a qualsiasi
cosa lei sentisse in quel momento, disperazione, insicurezza, voglia di
prendere il primo volo e tornare fra le braccia di Ville… la
stavano facendo impazzire.
E Beppe, il buon Beppe, la sua
àncora di salvezza trovata nella persona più
insperata, le aveva offerto un nascondiglio; il giorno in cui lei era
sfuggita agli occhi di sua madre per mettersi sotto quelli altrettanto
vigili e implacabili, del suo migliore amico.
«É
il posto in cui mi rifugio quando litigo con Simone e non voglio farmi
trovare – le aveva detto con un sorriso, strizzando gli occhi
neri – impazzisce ogni volta: cerca di estorcermi in ogni
modo dove vado, ma non glielo dirò mai. Deve imparare che
non può sempre averla vinta e controllare la vita di tutti e
ottenere ciò che vuole puntando i piedi. Per cui confido che
manterrai il mio segreto!»
Le aveva dato le chiavi della sua
piccola casa che affacciava sulla costa opposta della penisola e
disegnato una cartina su come arrivarci.
«In ogni caso hai il
navigatore sul cellulare, no? Se ti perdi è facile ritrovare
la strada.»
Fosse stato possibile anche per il
suo cuore, ritrovare la strada di casa…
Così aveva riempito la
borsa ed era scappata di nuovo.
Per evitare che sua madre andasse
fuori di testa del tutto, le aveva detto dove andava e messo a tacere
ogni sua lamentela, promettendole di chiamarla almeno ogni sera e
facendosi promettere a sua volta di non rivelare a nessuno, specie a
Simone dov’era.
Suo padre invece le aveva sorriso
come sempre, abbracciandola senza aggiungere raccomandazioni che sapeva
fossero del tutto superflue.
A Lou venne da piangere e
desiderò tornare bambina, quando lui la faceva salire sui
propri piedi insegnandole a ballare.
La piccola Lou rideva, innamorata
pazza del proprio papà, stringendosi alle sue ginocchia.
E lei lo guardava e le sembrava
così alto, così forte, così
invincibile.
E mai più in tutta la
sua vita si era sentita così al sicuro, così
amata come in quei momenti.
Come se lui le avesse letto nella
mente, prese a dondolarsi piano, canticchiando una musica senza capo
né coda.
Aveva pianto per tutto il viaggio
durato tre ore, mettendo a disagio il suo vicino di posto che si era
nascosto dietro un quotidiano.
Stare da sola non era mai stato un
problema per lei.
Sapere che Ville era da solo, a
chilometri di distanza invece lo era.
Lo era da quando lei lo aveva
chiamato durante il Festival e a rispondere era stata una voce di
donna, impastata e assonnata.
Lo era da quando lui non aveva
richiamato subito.
Così lei aveva dato di
matto, come si suol dire. E aveva deciso di anticipare il suo rientro
in Italia, usufruendo finalmente di quei giorni di ferie obbligatorie
cui Matleena da mesi la spingeva.
Nur l’aveva guardata
perplessa non proferendo parola, ma si vedeva lontano un miglio che non
approvava la sua decisione.
Si era concessa un’ultima
passeggiata per ‘Munkka’,
arrivando fino alla spiaggetta e aveva guardato il sole sparire
lentamente nel mare, seduta sulla sua panchina di legno preferita.
E il mattino dopo era partita,
arrivando a casa e sorprendendo tutti.
Ville l’aveva richiamata
soltanto tre giorni dopo, furioso sotto la voce ben controllata, per
non averla trovata ad aspettarlo da brava bambina.
«Perché
diavolo sparisci sempre? Perché fai così? Ok, i
giorni sono stati un paio in più ma perché sei
andata via senza dirmelo? Era tutto già organizzato o come
sempre hai deciso all’improvviso, fregandotene di
me?»
Razionalmente Lou sapeva che lui
aveva ragione.
Il suo cuore, però, la
pensava diversamente, così come il suo orgoglio ferito.
«Ho pensato che avessi di
meglio da fare.»
Vile aveva sibilato con una
colorita imprecazione.
«Di meglio da fare? Ero
su quel maledetto palco e l’unica cosa cui pensavo era che
avrei voluto vederti tra la folla, guardarti negli occhi e sapere che
eri vicina a me, piuttosto che da sola a Helsinki! E cosa scopro? Che
tu sei addirittura in Italia! Sei impazzita per caso? Dammi una
stracazzo di spiegazione. ORA!»
Come osava avere quel tono con lei?
«Chiedilo alla tua
amica.»
Dio, che patetica!
“Quale amica?»
– aveva tuonato Ville attraverso la cornetta, forandole il
timpano.
Non c’era alcun dubbio
sulla potenza dei suoi polmoni.
E così lei aveva vuotato
il sacco, dicendo della donna che aveva risposto al suo cellulare.
«‘Perkele’,
Lou! Mi fai venire voglia di
prendere il primo volo e venirti a prendere a sberle per poi scoparti
senza pietà!» – continuò ad
urlarle nelle orecchie.
Stava perdendo le staffe e lei era
contenta di essergli lontana. La stava spaventando a morte, facendole
tremare le gambe, anche solo parlandole al telefono.
Senza contare che anche in quel
momento, sentirgli dire cosa voleva farle, si sentì fremere
e non per la paura.
Era senza speranza.
Lui non le avrebbe mai fatto del
male, su questo ci avrebbe giurato… ma la sua rabbia le
faceva in ogni caso paura.
E ancora di più la
spaventava il fatto che lei trovasse il tutto in qualche maniera
eccitante.
Doveva smetterla e subito, o
sarebbe ricaduta in un rapporto di dipendenza simile a quello con
Andrea e l’ultima cosa che lei voleva era odiare Ville.
Le aveva detto che aveva perso il
suo cellulare, che non riusciva più a trovarlo e che non
sapeva in che modo contattarla. Non ricordava mai i numeri a memoria,
non aveva un secondo cellulare e questo era il motivo per il quale lui
non l’aveva contattata.
«E ora il mio numero ce
l’hai?» – aveva chiesto lei
insinuante.
«Me l’ha dato
Nur.» – la sua risposta fu
secca e fredda.
“Che
stupida…”.
Si stava di nuovo comportando da
bambina, ma era più forte di lei.
«Quando torni?»
- le aveva chiesto seccamente.
«Non lo so.»
«Hai intenzione di
tornare?»
«Non lo so.»
«Ti amo.»
«Lo
so…»
******
«Come va il tuo
lavoro?» – la voce di Julian
sembrò
arrivare da lontanissimo, riportandola alla realtà.
«Bene, grazie.»
– rispose laconica.
«Quando esce il
libro?» – Julian aveva la
costanza di un martire.
Non batteva ciglio alle sue rispose
lapidarie che avrebbero fatto desistere anche il più
paziente degli uomini.
Simone a quell’ora
avrebbe iniziato a sferzarla con battute pungenti per poi sbraitare nel
suo modo tutt’altro che chic.
«A settembre, se le cose
non si intoppano.»
«Ti va di farmi vedere in
anteprima le tavole?»- le chiese con un sorriso
disarmante.
«Non ci penso
neanche.»
«Andiamo, Eva! Sei
spinosa come un riccio con il ciclo…»
Lou lo fulminò con lo
sguardo.
E Julian allargò il suo
sorriso ancora di più.
«Solo una…
piccina piccina… dai…»- le stava
facendo gli occhioni dolci.
«Ti prego, ora non
metterti a fare il broncio tremulo o ti prendo a sberle con
l’insalata!» – sbottò lei
ridendo.
«Mi piaci quando fai la
violenta.»
«Umpfh!»
Lou gli posò davanti un
bicchiere di succo d’arancia con numerosi cubetti di ghiaccio.
«Bevi e sta'
zitto…»
«Avanti Eva…
fammi vedere le tue nuove creature… chi
c’è ora oltre al topo Osiris, la micetta
Andromeda, il cane con i baffi, Dalì, la papera chic
Baguette e gli altri?»
Lou ridacchiò sotto i
baffi a sentirlo sciorinare i nomi a memoria dei suoi personaggi.
Se qualcuno, un anno e mezzo prima,
le avesse detto che i disegni che aveva fatto soltanto per divertire la
piccola Lilly sarebbero potuti diventare i protagonisti di un libro per
bambini, non ci avrebbe creduto.
E invece era stato tutto un
susseguirsi di strani eventi e coincidenze che l’avevano
portata a quel momento, in attesa di vedere su carta stampata le sue
piccole creature.
Era quello il motivo per il quale
si trovava a Roma ora, a vivere praticamente con Simone e Beppe che non
la perdevano di vista un minuto, in quella città, che anche
se bellissima, la stressava come niente al mondo.
Era quello e anche il voler cercare
a tutti i costi il suo posto nel mondo.
O forse cercare di dimenticare
l’unico posto in cui si era sentita veramente “a
casa”.
«C’è
il criceto Igor e il pappagallo Couscous… e forse, ma non
sono ancora sicura del suo ingresso a “Rocciafiorita”,
della mucca Primula; ma dipende da tanti fattori e non ho ancora idea
di come farli muovere all’interno della storia. Ormai loro
hanno il clan già ben affiatato e si comporterebbero male
all’ingresso di un’altra femminuccia: la micetta
smorfiosa farebbe come sempre la stronzetta… - si
bloccò a metà, sorridendo – Scusa,
è che divento noiosa quando parlo di “Rocciafiorita”
e non me ne rendo conto…»
Julian le strizzò
l’occhio, sorseggiando il succo.
«Mi piace sentirti
parlare dei tuoi progetti e del tuo lavoro, lo sai… sono
orgoglioso di te. Immagina la faccia della Draghessa se potesse vederti
oggi…»
«Immagino che non sarebbe
felice… o forse sì.»
«Sarebbe orgogliosa di
te, come tutti noi… -le disse Julian sorridendole raggiante
– hai creato un mondo per la piccola Lily e per tanti altri
bambini.»
«Non era quello che avevo
immaginato.»
Julian rimase in silenzio,
scrutandola.
«Ho sentito Nur qualche
settimana fa… - proruppe schiarendosi la gola –
non vive più a Helsinki, lo sapevi?»
«No. Non lo
sapevo… Dov’è che vive ora?»
“«È tornata a
vivere a Londra. Sta per avere un bambino…»
Lou alzò gli occhi a
fissarlo incredula.
«Oh… sono
contenta… per lei.»
Cercò con tutta se
stessa di reprimere la profonda amarezza e invidia che iniziavano a
farsi strada dentro di lei.
«Eva, quando la finirete
con il vostro silenzio? Ormai dovreste averla superata.»
«Ci ho provato a
riallacciare i rapporti con lei! Cosa credi che me ne sia allegramente
sbattuta?» – sbottò
furiosa e ferita.
«Lo so che ci hai
provato… e ancora non ho capito perché se la sia
legata al dito… non era…
insomma…» – balbettò
Julian
arrossendo.
«Non erano affari suoi,
già!»
Lou ripensò
all’ultima volta che aveva parlato con la sua amica e alle
parole che questa, piena di risentimento le aveva vomitato addosso.
Nur non aveva mai digerito il suo
tagliare la corda da Helsinki, lasciandola sola con un gatto altezzoso
e con l’affitto da pagare, ma soprattutto non aveva digerito
che lei non rispondesse alle sue mail, alle sue innumerevoli telefonate
e sms.
Per i primi tempi era stata
paziente e comprensiva, per quanto Nur potesse essere paziente e
comprensiva: quando però lei le aveva scritto di spedirle la
sua roba, era sbottata.
Insultandola per farla tornare in
sé, per farle cambiare idea, dicendole che era una codarda e
immatura.
Lei per tutta risposta le aveva
detto di farsi gli affari suoi e di spedirle come ultimo favore, le sue
cose.
«Col cazzo, principessina
dei mie stivali! Te le vieni a prendere tu, e muovi quel culo flaccido
e pallido che ti ritrovi!»– le aveva urlato
attraverso il cellulare, chiudendo bruscamente la conversazione.
Sapeva che Nur era ferita e delusa
dalla sua decisione, ma si era aspettata da lei meno ripicche stupide e
più solidarietà femminile. Alla fine Nur, qualche
settimana dopo, le aveva pazientemente spedito le sue cose senza
fiatare, continuando però a fare l’offesa.
Lou le era grata: l’idea
di tornare a mettere a posto le cose lasciate in sospeso a
Helsinki… non ce l’avrebbe mai fatta.
Odiava la parte codarda di lei.
Odiava la mancanza di palle, odiava
affrontare i suoi problemi, odiava affrontare le persone.
Non voleva rivedere Ville
perché sapeva che nel momento esatto in cui avesse
incrociato i suoi occhi, lei avrebbe cambiato idea.
Sapeva che sarebbe bastato che lui
la sfiorasse per farla capitolare di nuovo e volare tra le sue braccia.
Sapeva che qualsiasi cosa avesse
detto, qualsiasi scusa le avesse rifilato come giustificazione, lei se
la sarebbe bevuta.
Perché in fondo lei
voleva crederci.
Voleva credere al Ville innamorato
che pensava a lei durante i suoi concerti, invece che
all’uomo che faceva rispondere al suo cellulare altre
donne…
Era già stremata dalle
lunghe mail con Matleena: il suo capo non aveva preso bene le sue
dimissioni e lei riusciva a percepire la delusione della donna per la
quale provava una stima profonda.
Matleena aveva accettato con stile
e aggiunto che in qualsiasi momento sarebbe stata di nuovo ben accetta.
Non pensava che Valo avrebbe
reagito con altrettanta calma, nonostante il suo indiscusso stile
finnico pacato e distaccato.
Erano passati tre mesi dalla sua
“fuga” e Ville aveva smesso di scriverle o
telefonarle.
L’ultima cosa che le
aveva scritto, era un sms arrivato nel cuore della notte, qualche
settimana prima.
“Non ho la
lucidità per dire le cose in maniera diversa.
Non ho la
capacità di farti tornare indietro.
Non voglio forzarti a
fare qualcosa che non vuoi.
Non riesco a trovare le
parole adatte…
‘Prinsessa’…
Lou…”
Aveva fissato quelle frasi per ore.
Aggrappata al suo decrepito
telefonino come se stringesse le dita di Ville.
E avrebbe tanto voluto piangere.
Due giorni dopo era arrivato il
primo pacco dalla Finlandia.
Con un sospiro aveva iniziato a
tirare fuori vestiti invernali, sciarpe e maglioni, cappellini.
Si era fermata di botto.
Non sapeva dire se Nur lo avesse
fatto di proposito o meno; con tutta probabilità era uno dei
suoi tentativi infimi per dissuaderla fino alla fine.
O forse no, non poteva sapere.
Lou aveva fissato la sciarpina di
seta viola come qualcosa pronto a balzarle addosso da un momento
all’altro.
Poi lentamente l’aveva
sfiorata con un dito, ricordando esattamente il momento in cui ne era
venuta in possesso: come lui gliel’avesse attorcigliata al
collo sfiorandole la pelle con le dita, come sempre malizioso al
vederla trattenere il respiro, sorridendole con gli occhi…
******
“Con questa
sciarpa ti lego a me per
l’eternità…” –
aveva sussurrato teatrale.
“Piantala di
fare il buffone, Valo…”.
Lui aveva ridacchiato
sotto i baffi, trafficando con la sciarpina e i suoi capelli.
“Accidenti, con
te non posso più barare, Zarda…”.
“È che
non ti serve una sciarpa di seta per legarmi a te.”.
Gli occhi di Ville
avevano mandato un lampo di giada.
Aveva stretto le dita
intorno alla sciarpina tirandola gentilmente verso di lui.
“… e
sai che niente potrà recidere questo legame?”-
aveva aggiunto lei.
Lui non le aveva risposto.
Non con le parole.
****** Lou aveva preso quella sciarpina
impregnata di ricordi, portandosela al naso.
Non c’era più
traccia dell’odore di Ville su di essa.
Sentiva invece l’odore
della loro casa, dei sacchetti alla lavanda che usavano per profumare i
cassetti della biancheria.
Crollò di schianto sul
letto, sprofondando il viso nelle trame viola.
Stava facendo la cosa sbagliata? No.
“Sto sbagliando
tutto…”.
A partire dalla sua decisione di
lasciare Ville senza dargli una spiegazione valida se non quella che la
Finlandia non era la sua vera casa, che aveva bisogno di tempo, che la
sua vita non poteva che essere in Italia.
Tutte scuse che Ville
all’inizio aveva faticato ad accettare.
Lo sentiva la di là del
telefono, con migliaia di chilometri a dividerli, a scavare un abisso
di incomprensioni fra loro; rabbioso, triste, mentre cercava di
mantenere una calma che era certa non c’era dentro lui.
Settimana dopo settimana, ad
aspettare che lei prendesse una decisione, che tornasse “a
casa” come diceva lui; avevano parlato per ore al telefono
senza mai giungere a nulla, senza che lei gli dicesse che aveva paura
di lui, che aveva paura di non potersi fidare, di non essere quella
giusta, come le aveva fatto presente la gelida Amy.
Senza dirgli che la decisione era
stata già presa fin da quando l’aereo che la
riportava in Italia era decollato dall’aeroporto di Vantaa,
staccandosi dal suolo finlandese recidendo, in quelle che volevano
essere le sue intenzioni, ogni legame con essa e chi la abitava.
Nur, il sig. K. e Katty…
che aveva dolorosamente deciso di lasciare a Ville come un contentino
che invece non faceva altro che ricordargli quello che non avevano
più.
Nur che aveva accettato ancor meno
di Ville la sua decisione improvvisa di andarsene così su
due piedi, ma certa che fino alla fine, un giorno lei sarebbe tornata.
Che le aveva spedito con pazienza
tutto quello che aveva lasciato in quella casa.
“È
la cosa giusta.”.
E allora perché stava
crollando?
“Non
piangerò.”.
E non aveva pianto. Mai
più da allora.
******
"Angolo dell'autrice Eccomi di nuovo qui dopo mesi e lo so che mi odiate! Ormai conoscete bene la mia pignoleria e sapete che ci ho messo settimane per trovare i titoli degli ultimi due capitoli e a questo... mi dovete tenere così come sono, vi tocca! Si aggiungono tasselli sui quattro anni che separano la nostra Signora delle Pippe dal Principe della Torre. Quante di voi mi hanno minacciato seriamente e scritto deluse perchè Lou si era concessa a Julian! So che per chi è romantico fino al midollo, certe cose, certi scivoloni non dovrebbero esserci: ma io sono realista e sono convinta, per esperienza personale-non per sentito dire-che ci sono cose che non riusciamo ad evitare. Vuoi per crescita, vuoi per debolezza o come semplice e normale percorso della vita. Non sempre una caduta di stile, un tradimento significano mancanza d'amore. Nel caso di Lou, che si sente sleale nei confronti di Ville - ormai avrete capito che Ville invece non ha tradito Lou con Amy, come lei credeva no? - è stato ancora più traumatico, perchè lei per prima lo ha subito in precedenza. E non fa che aumentare il fardello di rimorsi e dubbi che si porta dietro. Diciamo anche che è difficile resistere al fascino del Pirata Julian - per gli amici, Enzo! XD - ma un pirata non può competere con un Principe, giusto? E quindi niente: continuate ad odiarmi, perchè questo capitolo non è che un doveroso passaggio atto a chiarire i punti oscuri qui e là. Devo ringraziare tutte quelle persone che continuano a seguirla dopo più di due anni, quelle che si aggiungono strada facendo e che se ne innamorano, scrivendomi cose bellissime. Siete davvero carine e mi date continuamente sprint per continuarla! Grazie alle mie due preziose Beta: ultimamente non le faccio lavorare tanto, segno che sarò migliorata in due anni? ;) Deilantha (che mi salva sempre nei momenti critici e mi ha aiutato a trovare un nome per il libro di favole, "Rocciafiorita" che Lou ha disegnato) e eleassar . E alle mie "Prinsesse": Soniettavioletstarlet, Lilith_s, angelica78vf, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, che hanno commentato il capitolo precedente e che lo fanno sempre con entusiasmo! Grazie anche a Infernal_Offering, fonte inesauribile di foto estemporanee di Helsinki, che non fanno altro che farmi rosicare ma che quando sono depressa per il post vacanza finnica, mi tirano su; lulida, FediPan, Soheila, Bijouttina, ShinigamiLove, e la nuova arrivata sleepingwithghosts! Perdonatemi se dimentico qualcuna, siete davvero tante e vi ringrazio tutte, una per una! <3 Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville! Siete le benvenute. Alla prossima! Baci baci, *H_T* |