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Autore: Leoithne    16/09/2014    4 recensioni
Esistono storie che non avete mai sentito raccontare, perché mai uscite da labbra umane. Gli oggetti, i mobili, persino le pareti hanno tantissime cose da narrare. Dietro al loro apparente e freddo silenzio nascondono pensieri e ricordi, un muto libro di memorie, stralci di una meravigliosa vita vissuta. Soprattutto quelli del 221B di Baker Street.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutti voi, lettori e lettrici di questa piccola follia!

Oggi siamo alle prese con una nuova parte dell'arredamento, che, spero, incontri il vostro favore. Al solito, un ringraziamento specialissimo, sentitissimo e calorossissimo va alla dolcissima Ida che è stata l'ispiratrice di questa storia e continua a sostenermi leggendo tutti i capitoli in antemprima. E facendomi sciogliere con le sue bellissime recensioni (se non lo avete ancora fatto, andate a leggere immediatamente la sua "When Time and Flames Ignite", lettura più che consigliata!). Ma ciancio alle bande (o era "bando alle ciance"? ;) ) : spero che il nostro nuovo pezzo di mobilio vi piaccia! Enjoy your reading!

Si potrebbe ritenere che, date le loro caratteristiche esterne, alcuni oggetti si comportino sempre nella stessa maniera. Tanto per fare un esempio: un forno lo si considera un oggetto caldo, che ispira fiducia e affetto. Ci cucini le torte dentro al forno. Ci fai i biscotti. Tutte cose che scaldano il cuore di ogni essere umano. Poi, però, ci sono i frigoriferi. Ecco, i frigoriferi come si potrebbero descrivere? Freddi, ovviamente. Eppure spesso ci si dimentica che, sotto la loro fredda superficie d’acciaio inossidabile, batte il cuore caldo della serpentina.

La prova inoppugnabile di questo calore (ben superiore a quello del forno, secondo lui) proviene certamente dal frigorifero installato nella cucina del 221B Baker Street.

Il frigorifero, un elettrodomestico alto, che incuteva quasi timore, era un elettrodomestico estremamente sensibile e sentimentale. All’apparenza non lo sembrava proprio e ci voleva un po’ di tempo perché ce ne si rendesse conto.

Innanzitutto, come sempre ricordava, non era facile essere il frigorifero di Sherlock Holmes. Tra tutte le persone al mondo che gli sarebbero mai potute capitare, gli era proprio toccato quell’arrogante e presuntuoso di Sherlock. In realtà non gl’importava più di tanto dell’arroganza dell’uomo, c’era solo una cosa che lo faceva impazzire. E quello era il suo primo ricordo legato alla sua permanenza in Baker Street.

Ricordava, quasi con ribrezzo, di quando Sherlock aveva aperto la sua anta la prima volta. Si era aspettato, come tutti i bravi frigoriferi, di ricevere la sua dose di cibo da conservare per i giorni a venire. Già si stava immaginando pomodori, insalata, latte, uova, burro, persino pesce o carne. Il pensiero gli aveva persino fatto venire l’acquolina al condensatore e aveva finito per gocciolare un pochettino sul ripiano superiore. E, invece, Mister-Sherlock-Holmes gli aveva ficcato dentro qualcosa di maleodorante. Fischiettando.

Aveva dovuto fare appello a tutte le sue forze per trovare il coraggio di guardare cosa fosse. Un piede. All’inizio non ci aveva voluto credere. E come avrebbe potuto? Nessuno mette dei piedi umani nel frigorifero! Aveva pensato che, magari, fosse un errore, che avesse calcolato male. Era un frigorifero giovane, poteva sbagliare. Purtroppo non si era sbagliato per niente. Il piede (orrore e disgusto!) era rimasto al suo interno per più di una settimana e lui, se non fosse stato un elettrodomestico, avrebbe voluto vomitare.

Certo, i ricordi che aveva fortunatamente cominciarono a cambiare quando, insieme a Sherlock Holmes, venne ad abitare un certo John. John fu la sua salvezza.

Il primo ricordo che aveva di lui era legato ad una sera. Da una settimana era completamente vuoto, a parte un barattolino di sottaceti nel suo ripiano più basso che stava cominciando ad emanare un tanfo indicibile. Al solito Sherlock si era dimenticato di fare la spesa. A volte si chiedeva come facesse a sopravvivere, dato che l’aveva visto mangiare sì e no tre volte. Quella sera, però, la sua anta era stata aperta e lui si era trovato di fronte una faccia nuova. E lo aveva riempito di cose deliziose. John Watson, nel giro di tre sacchetti della spesa, era diventato il suo nuovo eroe. Lo aveva salvato.

E presto si rese conto che stava anche salvando Sherlock.

Riguardo a questa teoria aveva un ricordo meraviglioso. Il tutto era cominciato pochi giorni dopo che John si era trasferito definitivamente al 221B. Sherlock era uscito per andare, come suo solito, da qualche parte con Scotland Yard e John si era messo a preparare la cena. Il frigorifero, che ormai conosceva bene il suo proprietario, si era messo a ridacchiare facendo rumorini sommessi con la ventola. John stava cucinando inutilmente. Sherlock non mangiava mai.

Quando il detective era rientrato, John lo aveva chiamato a tavola.

“Sherlock, la cena è pronta!”

“Non ho fame!”, aveva sentenziato l’altro.

“Non cominciare a fare i capricci. Sono quattro giorni che vivo qui con te e ti avrò visto piluccare un po’ di cibo tre, anzi due volte. Quindi fammi il favore di venire qui e di mangiare!”

“È forse un ordine?”

“Perentorio. Qui. Ora. Mangia.”

Il frigorifero si era aspettato una risposta piccata da parte del detective che, invece, docilmente, si era seduto a tavola e…aveva mangiato. John Watson era decisamente il suo eroe, aveva pensato.

Poi li aveva osservati: mentre Sherlock mandava giù un boccone, ogni tanto alzava lo sguardo verso John e sembrava perdersi nella contemplazione. Quando, però, John alzava lo sguardo verso di lui, Sherlock lo abbassava all’improvviso. E John faceva esattamente lo stesso movimento. Se il detective aveva gli occhi piantati sul tavolo, osava osservarlo con un’intensità senza precedenti, ma, non appena questo sollevava la testa dal piatto, gli occhi di John si abbassavano di scatto.

Inizialmente, il frigorifero si chiese cosa potesse significare, perché era giovane e non ne capiva molto di quelle cose. Tuttavia, ammetteva, non senza un certo rossore alla lampadina, che quel gioco di sguardi-non-sguardi lo aveva fatto sobbalzare di gioia.

Alla fine, sebbene un po’ in ritardo, capì anche lui.

Anche questo era un bel ricordo felice. Era un ricordo un po’ stupido, se ci pensava bene. Ma a lui piaceva particolarmente. Si era scoperto un romanticone, grazie a quel ricordo. Era il ricordo di quando Sherlock aveva, per la prima volta, svuotato tutto il frigorifero da i pezzi umani che conteneva perché John glielo aveva chiesto. E poi era andato a fare la spesa, tornando con tutto ciò che più piaceva al suo coinquilino.

“Là.”, aveva detto tutto soddisfatto, mettendo a posto l’ultimo panetto di burro “Spero che John sia contento quando torna.”

E John lo era stato. Gli erano brillati gli occhi e aveva ringraziato Sherlock con il più caldo dei sorrisi. E a lui (ebbene sì, era proprio un romanticone) si era quasi sciolta una guarnizione. Peccato che i due sembrassero incredibilmente testardi e non si accorgessero di quanta elettricità ci fosse tra di loro. C’è più elettricità tra quei due, pensava il frigorifero, che in tutti i miei componenti elettrici. Eppure non si muovevano.

Ci volle un ricordo brutto per farli finalmente unire.

Il suo peggior ricordo lo conservava nella sua parte più interna, lacrimando copiose goccioline di condensa ogni qualvolta vi si soffermasse troppo.

Iniziava con John che si trascinava verso di lui a fatica, inciampando nei suoi stessi passi, lo sguardo fisso nel vuoto. Lo aveva aperto e ne aveva estratto una birra. John non beveva mai. In rare occasioni lo aveva visto mandar giù un goccio di vino o di qualsiasi altro liquore. Quella volta aveva preso la lattina, aveva appoggiato la sua schiena (morbida e calda grazie al maglioncino che indossava) contro la sua superficie fredda d’acciaio e si era lasciato scivolare sul pavimento. Singhiozzava.

Il frigorifero non capiva. Se avesse potuto, gli avrebbe chiesto cosa stesse succedendo ma, come accade con tutti gli oggetti inanimati, la capacità di parola non era una delle sue qualità migliori. Certo, poteva tirar fuori un rumorino o due dalla ventola, ma di solito, invece di essere ascoltato, otteneva soltanto che arrivasse un tecnico con le mani sporche di grasso a toccarlo in posti…intimi. E lui lo odiava. Perciò stette il più zitto che poté, mentre John, tra un sorso di birra e l’altro, piangeva.

“Non è possibile…”, si lamentava “Non può essere vero…io…no. Non ci voglio credere. Sherlock…come faccio io senza di te? Come? Ti prego, fa’ che sia uno scherzo, uno stupido scherzo. Perché è uno scherzo, vero, Sherlock?”

Stava supplicando John. Il frigorifero sentiva chiaramente come stesse tremando. Piangeva e tremava. Era successo qualcosa di grave, qualcosa che gli sfuggiva.

“Non puoi avermi lasciato così, Sherlock. Non è da te. Ti prego, torna. Non puoi…”, e qui la voce divenne un rantolo di dolore “…essere morto. Non puoi.”

Il frigorifero rabbrividì. Era abituato ad essere freddo, ma la notizia della morte di Sherlock fece scendere la sua temperatura di un paio di gradi. Ci mise quasi tre mesi, e una decina di tecnici che non capivano il suo problema, per riprendersi dallo shock. John non si riprese.

Fortunatamente, a volte, anche i miracoli accadevano al 221B.

E il brutto ricordo del frigorifero fu felicemente sostituito dalla cosa più bella di cui mai fosse stato testimone: il ritorno di Sherlock. E, di conseguenza, il ritorno di Sherlock nella vita di John. E, questa volta, senza più tutti gli sguardi pieni di significato che, però, rimanevano soltanto sguardi.

Era successo una sera d’inverno, se lo ricordava alla perfezione. John era fuori e Sherlock passeggiava nervosamente avanti e indietro per la cucina, continuando a borbottare tra sé e sé. Cosa dicesse, il frigorifero, nonostante un ottimo udito, non riusciva proprio a capirlo. Poi Sherlock aveva fatto la cosa più assurda della sua vita: si era messo a cucinare!

Primo, secondo e dessert erano magicamente stati spadellati, sfornati, sistemati nei vari piatti. Aveva apparecchiato la tavola, acceso una candela e continuato a camminare nervosamente.

Il frigorifero aveva capito. Era tutto incredibilmente ovvio. Il suo cuore di serpentina cominciò a palpitare dall’emozione e dovette metterci tutto se stesso perché la ventola non partisse per raffreddarlo. Rovinare la serata perfetta perché lui era agitato non era proprio l’ideale.

Quando John rientrò e vide la tavola apparecchiata, il frigorifero vide Sherlock arrossire come non mai.

“John…”, disse con voce spezzata “…lo so che non mi hai ancora perdonato per quello che ti ho fatto. Lo so che non sono la persona migliore al mondo, anzi…”

Ma John lo interruppe. Il frigorifero, lo ricordava benissimo, trattenne il liquido raffreddante per l’emozione.

“Hai cucinato…tutto…questo…per me?”

Sherlock annuì.

“Perché sono un idiota.”, aggiunse il moro “Un idiota di dimensioni colossali. Perché c’è una cosa che ti devo dire da due anni e non ne ho mai avuto il coraggio. E ti ho fatto soffrire. E non posso più permettere che succeda. Non posso permettere che tu non lo sappia. John io ti amo.”

John corse verso di Sherlock, gettandogli le braccia al collo e schioccandogli un bacio sulle labbra.

“Anch’io.”

E quella fu la prima volta che il loro sguardo non si staccò mai per tutta la sera. Mangiarono senza mai distogliere gli occhi. Occhi azzurri in occhi acquamarina. Cuore dell’uno nel cuore dell’altro.

Il frigorifero, nonostante la sua buona volontà, non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. I due ex-coinquilini-ora-molto-di-più si voltarono contemporaneamente verso di lui.

“Non dirmi che il frigorifero fa ancora i capricci, John.”

“Sembra di sì. Mi sa che domattina dovrò richiamare il tecnico.”

Il che, sapeva bene il frigorifero, significava mani unte in posti che odiava. Ma mai come quella volta non gliene importò assolutamente nulla. Poteva arrivare anche un esercito di tecnici. John e Sherlock erano felici e questo era tutto ciò che contava.   

  
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