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Autore: _Leviathan    16/09/2014    2 recensioni
Fu un caso straordinario che non persi l’equilibrio o forse, più semplicemente, fu a causa di quel ragazzo che mi stava sorreggendo. Che mi stava toccando.
Mi ritrassi immediatamente, pulendomi l’avambraccio infetto sulla giacca di jeans.
Lui mi guardò. Probabilmente stava cercando di capire perché l’avevo fatto. Sapevo che non era una cosa normale, ma sapevo anche che era inutile cercare di trattenermi, motivo per cui non mi curai dell’espressione di sorpresa mista a scherno che comparì subito dopo sul suo viso.
- Beh, scusami tanto, principino. – Ironia pungente nel tono della voce. Allargò le braccia e mi mandò a fare in culo, dopodiché si voltò e sparì nella calca di studenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2. Two words.





Una settimana dopo ero a casa.
La mamma aveva mandato Tim a prendermi all’ospedale. Nel momento in cui l’idiota era comparso sulla soglia della mia stanza avevo sentito di odiare quella donna con tutto me stesso.
Che cosa non capiva del fatto che non sopportavo Tim? Non mi sembrava un concetto difficile da apprendere.
Per tutto il viaggio di ritorno a casa non gli avevo rivolto la parola, ignorando serenamente le stupide domande dello stupido Tim.
“Stai bene?” “Ti è mancata casa, eh?” “Ordiniamo cinese questa sera?”
Odiavo il cibo cinese, e lui non voleva metterselo in testa. No, non mi era mancata casa, odiavo quel posto. E no, non stavo bene, cazzo, solo un paio di settimane prima ero quasi morto.
Quando lo stupido Tim si era reso conto di star parlando ad un muro, aveva attaccato con i rimproveri. Faceva sempre così.
“Devi smetterla di fare certe cose. Io e la mamma non ce la facciamo più a vivere così.”
Devi smetterla di comportarti come se fossi mio padre. Se non la smetti entro cinque secondi ti faccio saltare i denti a suon di pugni.
Ma ovviamente, tutto questo era rimasto nella mia testa.
A loro cosa importava? Gerard o non Gerard, non faceva alcuna differenza. Non l’aveva mai fatta.
Comunque, non avevo avuto intenzione di suicidarmi. Avevo solo cercato di eliminare lo sporco dalla mia vita, e con esso tutto ciò che di sbagliato vi aveva a che fare. Ed ero finito con la concreta possibilità di eliminare direttamente la mia vita stessa.
Bella fregatura.
Spesso mi sentivo sporco. Una parte di me non andava bene, quindi doveva essere eliminata. Il mio ragionamento di base era stato stupido, decisamente insensato. Ma due settimane fa, quando invece di uscire a bere un drink come fanno tutte le persone della mia età avevo ingerito un cocktail di sostanze tossiche, mi era sembrata un’idea geniale. Anzi, ero convinto di aver trovato la chiave per riuscire a risolvere il problema.
Eliminare lo sporco con altro sporco. Avevo avuto la malsana convinzione che sommare una cosa uguale o simile a quella che volevo eliminare l’avrebbe annullata.
Ma era come prendere un cesto con una mela e aggiungere un’altra mela. Le mele non sparivano, aumentavano.
E così era aumentato lo sporco.
Non sapevo esattamente dove fosse, sapevo solo che c’era.
 
Eravamo seduti tutti e tre al tavolo della cucina, il piatto era pieno di cibo che comunque non avrei toccato. Non mangiavo mai assieme a mamma e Tim, e loro lo sapevano. Prendevo il mio piatto e me ne andavo in camera mia. Ero convinto che ormai avessero accettato la cosa, quindi non capivo perché quel giorno avessero apparecchiato anche per me.
Fissavo il piatto in silenzio con le mani chiuse a pugno sul tavolo. Non parlava nessuno, si sentiva solo il ticchettare delle posate nei piatti. Mi stava dando sui nervi.
Inspirai ed espirai rumorosamente per far loro capire che volevo andarmene. Ma non avrebbero capito, o avrebbero fatto finta di non capire. Lo sapevo, era sempre così.
- Gerard, fai il bravo. –
Sollevai gli occhi dal piatto e guardai mia madre. Fai il bravo. Non avevo cinque fottuti anni.
- E’ tutto squisito Donna. Complimenti, sei sempre la migliore in cucina. –
Questo era Tim che cercava di fare il leccaculo. Avrei voluto dirgli che la scopata era garantita comunque, e di tenere la bocca chiusa. Mi dava sui nervi quando apriva la bocca per sparare una delle sue cazzate. In effetti, c’erano molte cose che mi davano sui nervi.
Mia madre lo ringraziò con un sorriso.
Non mi sorrideva mai, i sorrisi erano sempre e solo per il suo stupido Tim.
Cominciai a pensare ad un modo per farli incazzare. Forse mettermi a parlare con Martin sarebbe stata la mossa giusta. Di sicuro mi avrebbero mandato in camera mia dopo neanche un minuto di conversazione.
Invece, decisi semplicemente che ne avevo avuto abbastanza. Decidevo io quando e come andarmene.
La sedia stridette sul parquet del pavimento quando mi alzai, e immediatamente due paia di occhi furiosi furono su di me. Mi ricordarono immediatamente due avvoltoi.
- Non azzardarti ad uscire da questa stanza, Gerard. – Lo stupido Tim che cercava di fare il genitore.
- Sta’ zitto, Tim. - 
- Gerard, non parlare in quel modo a tuo padre. –
Strabuzzai gli occhi. Padre?! Avevo sentito bene? Guardai mamma e poi Tim, e per qualche minuto il mio sguardo fece avanti e indietro dall’uno all’altra.
Padre.
Quei due si erano fottuti il cervello.
Scossi la testa. – Voi siete pazzi. –
Mi voltai e feci per uscire da quella dannatissima cucina, ma quella sera erano entrambi decisi a tenermi lì dentro. Mamma si alzò in piedi. – Gerard, dobbiamo parlare di una cosa importante. –
Oh, merda. Mi ero completamente dimenticato della cosa importante.
Ma ero già riuscito a fuggire il discorso una volta, non ce l’avrei fatta di nuovo. Non quando a prendere in mano la situazione era la mamma.
Mi bloccai e presi un respiro profondo. Non so per quanto tempo rimasi lì impalato a fissare il pavimento, ma avrei voluto che la mia vita si fermasse per sempre in quel momento.
Del resto, la trama regolare del parquet poteva essere estremamente interessante.
- Gerard, vieni qui e siediti a tavola. –
Strinsi un pungo, aprii la bocca ed espirai. Mi bloccai per qualche secondo in quella posizione, con la lingua ferma a contatto con l’arcata dentale superiore.
Mi costrinsi ad ubbidire.
Avrei preferito passare una notte intera chiuso in un cunicolo con dei topi (io odiavo i topi) piuttosto che tornare a sedermi su quella sedia, ma pensai che prima avremmo affrontato la conversazione, prima sarei stato libero di tornare a chiudermi in camera.
Mi sedetti sulla sedia come se fossero spuntate improvvisamente delle spine su tutto il sedile, piantai i gomiti sulla tavola e affondai il mento nei palmi delle mani.
Fissavo Tim con l’aria più insolente che riuscii a trasudare.
Non parlava nessuno. Questa cosa mi stava dando sui nervi.
Potevo sentire chiaramente il rumore del tempo che passava. Tempo perso. E io non avevo tempo da perdere, al piano di sopra c’erano questioni di importanza universale che mi attendevano. Era frustrante dover stare fermo lì.
- Allora? – Chiesi. Se uno dei due non avesse cominciato a parlare immediatamente avrei dato di matto.
Mamma si schiarì la voce. Sollevai un sopracciglio.
- Allora, Gerard. – Sollevai l’altro sopracciglio. – Tim e io abbiamo convenuto che sarebbe più appropriato per la tua… salute, mandarti in una scuola differente da quella che stai frequentando ora... –
Il mio cuore perse un battito. Allora faceva davvero sul serio.
Cercai di deglutire, ma la saliva era diventata un immenso cumulo di colla. Non si muoveva dal fondo della mia bocca.
- … E la Belleville High School fa proprio al caso nostro. –
Assottigliai le labbra. Certo, come se la scuola fosse il problema.
Per la seguente mezz’ora cercarono di riempirmi il cervello con un mucchio di fesserie riguardanti la nuova scuola.
Io non parlai né ascoltai.
Dal poco che avevo capito, doveva essere una scuola speciale. Sperai solo che speciale non sott’intendesse cose come istituto psichiatrico. Sapevo di non avere tutte le rotelle a posto, ma ero ancora convinto di non essere un caso da istituto psichiatrico.
Dal momento che la mia convinzione era forte e radicata, non ero ancora andato nel panico. Ma era solo grazie, appunto, alla mia convinzione.
In ogni caso, visto che non avevo ascoltato praticamente nulla di tutto il discorso, restare lì ad arrovellarmi il cervello con domande alle quali non sapevo dare una risposta era perfettamente inutile.
Mi resi conto che mamma e Tim mi stavano fissando. Si aspettavano qualcosa. Una reazione.
Purtroppo non avevo nessuna sorpresa per loro. A meno che… l’apatia poteva essere definita come reazione? Uhm.
Mi costrinsi a dire due parole. – Mai, fottetevi. –
Mi alzai dalla sedia, voltai loro le spalle e salii in camera mia; questa volta senza nessun tentativo da parte di nessuno di loro di trattenermi in soggiorno contro la mia volontà.
Sapevo che mi stavano guardando come se mi fosse appena cresciuta una testa di dinosauro sulle spalle.
 
Due parole.
 
   
 
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