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Autore: Lelaiah    19/09/2014    2 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 17 Come un branco
Nuovamente in ritardo sulla tabella di marcia, scusatemi :(
Al di là di questo, il capitolo non è come me lo aspettavo. Mi spiego: credevo di poter descrivere tutta la missione di salvataggio in una volta sola, ma mi son resa conto che sarebbe diventata troppo lunga, quindi questa sarà la prima parte.
L'azione sarà principalmente nella seconda, questo è il respiro prima del grande balzo, se così si può dire.
Buona lettura :)





Cap. 17 Resisti, Blake!

 
 La notizia lasciò tutti senza parole.
Emily li fissò col panico negli occhi, cercando di ottenere un po’ d’aiuto. Sarebbe andata anche da sola se nessuno si fosse offerto, ma non voleva lasciare Blake da solo con suo padre, nel caso fosse stata uccisa.
Il primo a riprendersi fu Evan, che prese in mano le redini della situazione. –Di che ora è il messaggio?- domandò come prima cosa.
-Mezz’ora fa.- rispose la ragazza, ritrovando l’informazione nei dati di ricezione.
-Ti ha dato un luogo d’incontro?- volle sapere.
Lei scosse la testa. –N-no, non ancora…- la voce le tremò brevemente.
-Evan… non possiamo…- David gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. Stava cercando di ricordargli che, se l’ultimatum scadeva alla mezzanotte di quel giorno, il loro gruppo di salvataggio sarebbe stato estremamente ridotto.
  Van prese un rapido respiro e poi si passò una mano tra i capelli, cercando di fare il punto della situazione. La richiesta era arrivata proprio nel peggior momento possibile: avevano un giovane lupo inesperto da tenere sotto controllo, un licantropo reticente da integrare ed un omicidio il cui movente e artefice erano sconosciuti.
Decisamente qualcuno ce l’aveva con il branco e i suoi componenti.
-Andrew, tu rimarrai qui. Non posso rischiare che tu impazzisca.- decise dopo alcuni minuti di attenta riflessione. Il ragazzo non protestò, ben consapevole del fatto che sarebbe stato una palla al piede, sia perché faticava a controllarsi sia perché non era ancora completamente guarito.
-Eric… qual era il tuo ruolo nel branco di Aleksandr?- domandò poi, rivolgendosi al suo sottoposto.
A quella domanda l’europeo distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio.
–L’Omega…- mormorò con voce appena udibile. La scoperta lasciò tutti sorpresi, in particolar modo Drew. Sapere di avere qualcuno che aveva condiviso la sua stessa esperienza lo fece sentire un po’ più leggero.
“Perfetto: ho due ex Omega nel mio branco…”, pensò Evan. Di bene in meglio. –Sapevi recitare bene il tuo ruolo?- indagò.
Eric gli rivolse una rapida occhiata, prima di distogliere nuovamente lo sguardo. –Me la cavavo…- dovette ammettere. Rivelare di esser stato scelto come Omega era una cosa che lo metteva profondamente a disagio, soprattutto perché i suoi genitori non avevano mai ricoperto quel ruolo.
L’altro annuì, soddisfatto dalla risposta. –Bene. Tu verrai con noi.- dichiarò.
Il giovane spalancò la bocca, basito. -Cosa? Vuoi portare un Omega?!- sbottò Emily, incredula. Quello che volevano fare era già di per sé un atto suicida, non avevano bisogno di portarsi dietro un lupo in grado di attirare guai come se nulla fosse.
Un luccichio ferale attraversò gli occhi di Evan, prima che lui stesso si adombrasse in viso.
–Capisco quanto sia importante, per te… ma non osare mai più ribattere ad una mia decisione.- la minacciò, serio.
Il tono con cui lo disse fu così perentorio che ad Emily non rimase altro che abbassare il capo e mormorare le sue scuse, contrita.
Dave guardò l’amico con tanto d’occhi, ma non si azzardò a metter bocca. Poteva intuire il perché di quel comportamento e dovette ammettere che si sarebbe comportato nello stesso modo. Emily li aveva venduti e doveva capire che, nel caso avesse deciso di farlo un’altra volta, non ci sarebbe stata una seconda possibilità.
-L’Omega in questione sarebbe presente, se non ve ne siete accorti.- commentò con sarcasmo Eric. Evan si voltò a guardarlo e lui deglutì, intimorito dallo sguardo del suo nuovo Alfa. Ma cercò di non darlo a vedere, mantenendo la propria facciata spavalda.
-Sei in grado di distrarre abbastanza lupi da darci il tempo di salvare il bambino?- gli domandò lo scozzese. –Distrarli in modo efficace.
L’altro esitò un attimo, poi rispose:-Sì. Ne sono in grado.
-Allora sei dei nostri.

  David afferrò Evan per un braccio e lo trascinò lontano dal resto dei presenti. L’amico lo guardò interrogativo, cercando di capire cosa stesse per dirgli.
-Sei sicuro di quello che stai per fare?- chiese, guardandolo coi suoi occhi acquamarina.
Van aggrottò le sopracciglia. –Sì… dovrebbe funzionare.- replicò, calmo.
-“Dovrebbe funzionare”?! Vuoi per caso farti uccidere?- lo guardò con tanto d’occhi, sconvolto dalla risposta.
-Dave, calmati.- lo rabbonì. –Andrà bene.
Al che l’inglese fece per agguantarlo per il collo e strozzarlo. –Sei un incosciente!- lo accusò. -Informa Aleksandr, almeno.
-No. Non voglio coinvolgerlo in questioni che non lo riguardano.- rifiutò. –Mi credi così incapace?- domandò subito dopo.
Scosse la testa. –No, ma siamo in netta inferiorità numerica.
-Proprio per questo stavo organizzando un piano.- gli fece presente, per nulla ironico.
-Evan...- brontolò David, insofferente di fronte alla leggerezza con cui l’amico stava prendendo la cosa.
-Sei infastidito perché non ti ho incluso nell’incursione?- gli chiese allora Van.
-No, io…- iniziò. –Sì. Non voglio che ti cacci nei guai quando io non posso esser presente per evitarlo.- ammise, distogliendo lo sguardo con un certo imbarazzo.
Sorridendo, lo scozzese gli diede una pacca sulla spalla. –Tranquillo, so che farai comunque un ottimo lavoro. Sei o non sei il mio Beta?
-Sì…- brontolò.
-Bene. Allora vedi di aiutare il nostro giovane lupacchiotto.- concluse. Anche se riluttante, David si vide costretto ad annuire e seguire gli ordini del capobranco. Quando gli aveva offerto il titolo di Alfa si era dimenticato di quel suo lato dispotico in perfetto stile materno.
Quando voleva sapeva imporsi come e meglio di una madre… o di un padre estremamente arrabbiato.
-Quindi andremo solo noi tre…?- Emily s’intromise nella conversazione. –Tre contro quasi trenta lupi? Mi sembra un suicidio.
I due si voltarono. –Non combatteremo trenta lupi insieme. L’obiettivo è quello di dividerli. Conosci la strategia “dividi e conquista”?- le rispose Evan.
-Sì, ma…
-Vuoi salvare Blake o no?- la interruppe con un gesto della mano.
Al che lei fu costretta a mordersi la lingua ed annuire. –Sì, non potrei mai permettere che gli venga fatto dell’altro male.- sussurrò.
-Allora la conversazione è chiusa. Andrew, tu e Amanda starete con David. Se dovesse succedere qualcosa, lui vi proteggerà. Questa notte sarà dura, ma sono sicuro che la supererete egregiamente.- disse. –Noi dobbiamo discutere il da farsi. Lasciatemi avvertire in centrale e poi raggiungetemi sul tetto.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e poi uscì dalla finestra, salendo subito dopo lungo la scala antincendio. Il tetto era lo spazio che preferiva all’interno di quel complesso edilizio: era calmo e abbastanza verde da risultare accogliente.
Certo, non come una foresta, ma meglio di quelle infinite colate di cemento.
  Estrasse il cellulare e rimase a fissare lo schermo per qualche minuto, cercando di raccogliere i pensieri. Sapeva di avere poco tempo, ma non voleva mettere in allarme Rogers e ritrovarsi con una squadra speciale alle calcagna.
Digitò il numero e si appoggiò alla balaustra, aspettando.
-Qui è il comandante capo Rogers. Chi parla?
Si schiarì leggermente la voce. –Capitano Evan MacGregor, signore.- rispose.
-MacGregor. C’è qualche problema?- domandò l’uomo, facendosi di colpo preoccupato.
Van incrociò le gambe, strofinando la mano sinistra sui jeans. Non avrebbe saputo dire perché, ma era agitato. –Ho per le mani un caso di sequestro di persona. Riguarda il mio branco, quindi la sto avvertendo semplicemente per dirle che non potrò essere in servizio fino a quando non sarà tutto risolto.- spiegò, conciso.
-Un caso di sequestro? C’è per caso una faida in corso?- s’informò il suo superiore.
-Da parte mia non c’è nessuna volontà di iniziare una faida. È coinvolto il figlio di un membro del mio branco e non posso semplicemente star lì a guardare: devo salvarlo.- rispose.
Dall’altro capo del telefono ci fu silenzio per un po’ ed immaginò che il comandante stesse ragionando sul da farsi. In particolare sull’eventualità di dare o meno il proprio consenso all’operazione.
Anche in caso di divieto, Evan non si sarebbe fermato.
-E sia. Andate a salvare quel bambino.- concesse infine Rogers. –Se la questione dovesse degenerare, però, dovrete redigere un rapporto completo.
-Certo, comandante.- assicurò lo scozzese.
-Ah, MacGregor…
-Mi dica.- disse in un soffio, già pronto a chiudere la conversazione.
-Avrò bisogno di te per il caso dell’ammenda.- gli ricordò.
Evan si rabbuiò, ricordando solo in quel momento il caso che gli aveva presentato l’uomo. –Sarò a sua disposizione. Ora devo andare, raggiungerò la centrale quanto prima.- si congedò.
Strinse il telefono per qualche istante prima di farlo scivolare nuovamente in tasca ed affrettarsi a ritornare al piano di sotto.
  Ci misero un po’ di tempo ad organizzare gli ultimi dettagli del piano, in particolare quelli riguardanti il salvataggio di Blake. Era probabile che Jared l’avesse nascosto in un posto difficilmente accessibile, giusto per esser sicuro di vincere.
Alla fine, però, si dissero pronti e, dopo le ultime raccomandazioni, i tre uscirono di gran carriera diretti verso i territori dei Blacks.
Ai membri del branco rimasti non restò che scambiarsi occhiate confuse ed accettare il fatto di esser stati lasciati indietro.
-Andrew…- il primo a rompere il silenzio fu David. L’interpellato sollevò la testa, in attesa. –Per oggi rimani in casa. Niente lavoro.- suggerì.
Drew annuì lentamente, accettando di buon grado il consiglio. Nelle condizioni mentali in cui si trovava avrebbe avuto qualche difficoltà a concentrarsi. –Posso aiutare in qualche modo?- chiese dopo un po’.
-Cerca solo di non agitarti troppo, rimani calmo e padrone di te stesso.- gli dedicò un’occhiata profonda prima di estrarre il cellulare dai jeans. –Devo fare una chiamata, scusate.- si scusò ed uscì dall’appartamento.
I due si scambiarono occhiate perplesse, per poi lasciarsi cadere sul divano della sala e sospirare. La situazione stava decisamente peggiorando.
-Secondo te Jared potrebbe aver fatto del male a suo figlio…?- chiese dopo un po’ Amanda. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento e le braccia a circondare le ginocchia. I recenti avvenimenti l’avevano destabilizzata e stava cercando di fare un po’ di ordine mentale.
Andrew, sentendosi rivolgere quella domanda, si appoggiò allo schienale e ammise:-Non lo so. Non so di cosa possa essere capace un uomo del genere.
La morettina annuì distrattamente, continuando a fissare davanti a sé.
-Mandy? Tutto ok?- le chiese dopo un po’ l’amico.
-Come?- si riscosse lei. –Oh… sì. Sono un po’ disorientata.- gli concesse un rapido sorriso.
L’altro sollevò un angolo della bocca, comprendendo il suo stato d’animo: si sentiva confuso pure lui. E spaventato all’idea di quello che sarebbe successo quella notte.
-Non dovresti andare a lavoro?- le fece presente dopo qualche altro minuto di silenzio.
A quelle parole Amanda balzò in piedi, quasi fosse spiritata, e schizzò in camera. Drew la sentì aprire cassetti e ribaltare oggetti, il tutto condito da alcune esclamazioni di dolore.
Ricomparve circa dieci minuti dopo, cercando di sistemarsi i capelli e al contempo infilarsi le scarpe col tacco. Quando rischiò di inciampare e rovinare al suolo, Andrew la raggiunse e l’afferrò giusto in tempo.
La ragazza ridacchiò, imbarazzata e poi terminò di sistemarsi. Già pronta ad uscire, si fermò sulla porta e si voltò indietro. –Sei sicuro di non aver bisogno d’aiuto? Vuoi che rimanga a casa, oggi?- gli chiese, premurosa.
Lui le sorrise, immensamente grato per quel pensiero amorevole, ma poi scosse lentamente la testa.  –Vai… non ti preoccupare. C’è David con me.- la rassicurò.
-Tornerò prima, così stasera sarò pronta a dare una mano.- promise, infilandosi gli occhiali da sole.
-Non so cosa potresti fare contro un licantropo impazzito, ma grazie Mandy. Lo apprezzo molto.- le disse, aprendosi in un sorriso ricolmo d’affetto. Avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e ringraziarla mille volte per il sincero interessamento che riusciva a sentire nelle sue parole.
In quel periodo aveva sicuramente bisogno di qualcuno che lo facesse sentire importante e non solo un emerito idiota con manie suicide.
-A stasera, Drew.- ebbe appena il tempo di salutarla che lei si chiuse la porta alle spalle. La sentì distintamente correre lungo le scale e sperò arrivasse in tempo per prendere la metropolitana ed evitare la ressa.
Rimasto solo, il giovane si voltò verso il tavolo dov’era stata consumata la colazione e sospirò. –Ok… mentre il capo è di sopra vediamo di dare una pulita.- mormorò tra sé e sé.
Tenersi impegnato l’avrebbe sicuramente aiutato a tener a bada la bestia.


  Non poteva permettergli di correre dritto in una trappola.
Si conoscevano da così tanto che sapeva non avrebbe mai avuto il potere (o la volontà) di fermarlo, ma c’era qualcuno che ne sarebbe stato in grado.
Quindi ecco il motivo per cui ora se ne stava sulle scale antincendio, fissando con indecisione lo schermo del proprio cellulare.
Sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma non voleva farsi odiare da Evan.
“Ma non voglio nemmeno che ci rimetta le penne.”, pensò, aprendo la rubrica e scorrendo i numeri. Lasciò il pollice sospeso per qualche istante, poi avviò la chiamata.
-Alastair MacGregor.- rispose lo scozzese.
-Alst, sono David.- esordì l’altro. Poi si corresse subito dicendo:-Sì, lo avrai letto sul display.
L’uomo si fece perplesso, captando del nervosismo nella voce dell’ex sottoposto. –Dave, cosa succede?- chiese.
-Abbiamo un problema.- confessò infine.
Ci fu un attimo di silenzio. –Cos’ha combinato ancora?- chiese.
L’inglese si accigliò. –Di chi stai parlando…?- domandò allora, perplesso. Probabilmente Alst stava pensando ad un’altra persona.
-Stryker…- mormorò l’altro.
Al che David scosse la testa. –No, non Stryker! Quell’idiota non c’entra!- lo corresse. –Si tratta di Evan!
-Evan?- la voce del Beta del branco MacGregor si fece preoccupata.
-Sì…- confermò. –Ricordi i Blacks ed Emily?
-Ricordo, sì.
-Bene. L’Alfa dei Blacks ha minacciato di uccidere il figlio di Emily.- spiegò, prendendo a torturarsi il bordo della camicia.
-Uccidere un cucciolo?! Ma è impazzito?!- s’indignò Alastair. Se c’era una cosa che era assolutamente vietata, all’interno di un branco, era nuocere alle giovani vite. Per nessun motivo si doveva far del male ai cuccioli.
“Se ha reagito così a questo punto, figuriamoci quando gli dirò il resto…”, pensò Dave. Era leggermente preoccupato.
Lasciò che Alst maledicesse la stupidità umana e poi, quando gli sembrò si fosse calmato, aggiunse:-Evan è andato a salvarlo. Sono lui, Emily ed il nostro nuovo acquisto.
-E tu dove sei ora?- volle sapere.
-A casa con Andrew. C’è luna piena stanotte.- rispose.
-Sai dov’erano diretti?
Frugò nella propria memoria per ritrovare quello che gli serviva. –Sì. Nel Bronx, vicino alla zona industriale.
-Tu bada ad Andrew, io vado a dare manforte a quello sconsiderato.- decise l’uomo.
-Era proprio quello che volevo sentirmi dire. Grazie.- David sospirò.
-Farà bene ad esser ancora vivo. Damnù air!- e con quell’imprecazione in gaelico si congedò. Dave restò a fissare il telefono per qualche istante, stupendosi di come il pacato Beta potesse trasformarsi in una belva quando si trattava di lui ed Evan. Li considerava quasi come figli e non avrebbe permesso a nessuno di torcere loro un singolo capello.
-Speriamo che la cavalleria arrivi in tempo…- si augurò.


***

  Gongolò tra sé, sfregandosi le mani soddisfatto.
L’idea di sfruttare l’istinto materno di Emily era stata geniale. Non gli interessava rispettare i piani di Rodrick: voleva avere la sua vendetta su quella cagna traditrice.
Le aveva offerto il posto di femmina Alfa e come l’aveva ripagato? Unendosi al branco che era stata chiamata a spiare.
“Mai fidarsi delle donne.”, pensò, disgustato. Lanciò uno sguardo fuori dalla grande finestra ed osservò il fiume Hudson, meditabondo. Blake era rinchiuso in una delle celle di contenimento che il branco usava nelle notti di luna piena.
  Alcuni dei suoi sottoposti si trovavano nello scantinato, pronti a rinchiudersi alle prime avvisaglie. Per quanto lo riguardava, non aveva problemi con l’astro notturno.
Il suo Beta non si era ancora ripreso completamente dallo scontro con MacGregor e non voleva rischiare la sua vita. Per quanto riguardava Simon, Gamma del branco, era un emerito idiota.
Spesso si chiedeva cosa l’avesse spinto a concedergli quella carica. Poi si ricordava della sua innata abilità nel stringere accordi e guadagnare soldi e si ricredeva.
Per quanto potesse essere spregevole, era un elemento utile.
Ma per quello che aveva intenzione di fare non sarebbe andato bene. A meno che non volesse mandare all’aria tutto quanto.
  Mentre ragionava su quale fosse il modo migliore per gestire la situazione, Rodrick arrivò alle sue spalle. Sentì i peli delle braccia drizzarsi e represse una smorfia, infastidito da quello sfoggio di potere.
-Cosa sta succedendo? Perché il branco è in agitazione?- domandò lo scozzese.
-Non sono affari tuoi.- fu la brusca risposta.
L’uomo lo aggirò e gli si piazzò davanti. –Cosa sta succedendo qui?- chiese nuovamente, dando un tono minaccioso alle proprie parole.
-Sta per arrivare Emily, la lupa che ha voltato le spalle al branco. Dobbiamo darle un caloroso benvenuto.- replicò con spregio l’altro.
A quelle parole Rodrick si adombrò. –Che razza di licantropo usa violenza su una femmina?- domandò, disgustato dalla sola idea.
-Uno che vuole vendicarsi.- sibilò Jared. Gli scoccò una lunga occhiata venefica e poi si allontanò a grandi passi.
“Razza di idiota.”, pensò il licantropo. Sapeva quanto fosse importante la disciplina, all’interno di un branco, ma non poteva tollerare che le lupe venissero offese. Quando era solo uno sbarbatello, le licantrope erano assai poche e nessuno si sarebbe mai sognato di far loro del male, ammesso che non si volesse condannare la specie.
Non capiva proprio questa nuova mentalità. Così come non capiva Jared.
Jared che, in quel momento, stava scendendo le scale che portavano allo scantinato con un diavolo per capello. Sorbirsi una ramanzina da un uomo che era comparso dal nulla non gli andava proprio a genio, soprattutto se era lui quello a passare per stupido.
“Ora vedrai, stupido vecchio.”, si fece largo tra i licantropi presenti e raggiunse rapidamente una delle ultime gabbie. Si fermò esattamente davanti alle sbarre e fissò con sguardo critico la piccola figura al suo interno. –Blake.- chiamò perentorio.
Il piccolo sobbalzò e cercò di mettersi in piedi, riuscendo solo ad inciampare due volte nei propri piedi. Aveva riconosciuto immediatamente la voce del padre e aveva paura di quello che sarebbe successo se non avesse ubbidito.
Si schiacciò contro il muro e lo fissò con gli occhi sbarrati.
-Cos’è quello sguardo? Non avrai mica paura di tuo padre, vero?- lo apostrofò l’uomo. Lui non rispose. Sbuffando, Jared aprì la porta ed entrò all’interno. –Vieni con me.
-No!- protestò.
Senza aggiungere altro, l’Alfa lo afferrò saldamente per un braccio e lo trascinò fuori senza nessuno sforzo. Blake tentò di opporre resistenza in tutti i modi possibili, ma alla fine si vide mollare senza tanta grazia nel corridoio esterno.
I licantropi presenti lanciarono loro qualche sguardo, ma si affrettarono ad abbassare gli occhi subito dopo.
-Tu ora vieni con me.- Jared se lo caricò in spalla, ignorando i piccoli pugni che si avventarono sulla sua schiena. –Taci o ti affogo nell’Hudson!


***

  Avevano preferito muoversi in forma umana ma, arrivati al grande fiume, erano stati costretti a trasformarsi.
Ed ora eccoli lì, l’uno accanto all’altro sulla banchina di uno dei quartieri più malfamati della Grande Mela.
Evan guardò prima uno e poi l’altra, osservando le loro forme animali.
Emily aveva il manto nero, motivo per cui era stata accettata nel branco dei Blacks, mentre Eric assomigliava vagamente ad una volpe, dato che aveva un muso abbastanza allungato e il pelo tendente ad un biondo ramato. Nel complesso non avrebbero fatto paura nemmeno ad un pivellino, figurarsi ad un branco di quasi trenta elementi.
“Siamo ancora convinti di questa pazzia?”, s’informò il nuovo acquisto. Emily per poco non lo azzannò e lui si affrettò a balzare indietro. “Va bene, va bene: ho capito.”, brontolò.
“Stai calma.”, l’avvisò Van. “Se iniziamo a dar di matto, per Blake è la fine.”, le ricordò. Lei allora abbassò le orecchie, uggiolando brevemente.
“Bene… ora da che parte si va?”, Eric non riusciva a stare zitto nemmeno impegnandosi, figurarsi se era agitato.
Il suo capobranco gli dedicò un’occhiata veloce per poi scandagliare le banchine con sguardo attento. Aveva le orecchie ritte in cerca di rumori sospetti e i muscoli delle spalle tesi, pronti a scattare al minimo segno di pericolo.
“Emily, illustraci la disposizione delle sentinelle.”, ordinò lo scozzese. La lupa fece un breve cenno col capo e poi si mise a descrivere loro tutto quello che sapeva, aiutandosi anche con gli odori ed i suoni del luogo in cui si trovavano.
Alla fine della spiegazione, Van si rivolse al nuovo arrivato. “Ti è tutto chiaro?”, gli domandò.
Quello roteò gli occhi e poi emise un verso di gola. “Certo, capo.”, rispose con uno sbuffo alquanto infastidito. Credevano per caso che fosse un cucciolo alle prime armi? Quanto odiava essere sottovalutato dalle persone!
Evan ignorò il suo comportamento, togliendo importanza al gesto. “Quando sei pronto puoi andare. Noi aspetteremo il momento giusto per passare oltre la maglia di sentinelle.”, l’avviso.
Eric fece un brusco cenno del capo e poi partì di corsa verso la postazione della prima sentinella.
“Ha comportamenti tipici da Beta indisciplinato.”, commentò Emily.
“Già. Ne ho già visto uno all’opera.”, convenne l’altro. L’americana lo guardò confusa, ma lui liquidò la questione con un mezzo sorriso lupino. “Muoviamoci.”, disse, partendo a passo sostenuto dietro la scia dell’europeo.
“Se non dovesse funzionare…?”, Emily non riuscì ad impedirsi di avere quel pensiero.
“Saremmo fregati.”, fu la risposta lapidaria.


-Hai avvertito Alastair?- domandò non appena lo vide rientrare.
David sollevò lo sguardo, bloccandosi a metà mentre abbassava l’infisso a scorrimento verticale che dava sulla scala antincendio. –Sì.- confermò, chiudendo definitivamente la finestra.
-Ad Evan non piacerà…- gli fece notare Drew.
Dave fece una smorfia. –Lo so. Ma a me non piacerebbe vederlo morto.- si strinse nelle spalle. Stettero per un po’ in silenzio, poi l’inglese chiese:-Come va? Avverti qualche particolare cambiamento?
Andrew ci pensò un po’ su, scandagliando con cura nel proprio io interiore ed osservando con occhio critico l’umore della sua bestia. –Per ora no… sono solo preoccupato.- disse infine.
-Non devi: Alst sa quello che fa.- replicò l’inglese.
Drew fece una smorfia. –Non mi preoccupa Alastair, ma tutto il resto.- ammise. All’espressione interrogativa del suo interlocutore proseguì, spiegandosi:-Se Emily li stesse attirando in una trappola? E se Jared facesse del male al piccolo? E se Stryker sapesse di questa cosa e volesse approfittarne per vendicarsi di me?
David lo bloccò con un gesto deciso. –Ehi, frena, frena! Che fantasia galoppante, che hai!- gli disse, cercando di buttarla sul ridere.
-Scusa tanto se non sono abituato a cose del genere…- brontolò incrociando le braccia al petto.
Comprendendo meglio il suo stato d’agitazione, il riccio gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla, cercando di rassicurarlo con quel breve contatto. –Emily non rischierà di tradirci: è in gioco la vita di suo nipote. Jared potrebbe giocar loro qualche brutto tiro, anzi, lo farà sicuramente. Per quanto riguarda Stryker non vedo come possa sapere quello che sta succedendo.- osservò.
-Be’…- Andrew esitò, indeciso se esporre i propri pensieri o meno.
-Cosa?- l’altro si fece sospettoso.
Sentendo la presa sulla propria spalla intensificarsi, l’americano optò per la verità. –Credo che Stryker sia in combutta con Crystal.- rivelò.
“Quella cagna!”, non poté fare a meno di pensare David. –La cosa non mi stupisce più di tanto.- fu costretto ad ammettere.
-Vuoi dire che… loro due…?
Scosse la testa. –No, per carità! Lei non ha mai tradito Evan, non avrebbe potuto farlo con Dearan pronto a cogliere ogni suo movimento.- si spiegò. –Ma ora che Evan non è più suo marito…
-Non credo dipenda dalla sua sete di potere. Più che altro da quella di vendetta.- dovette smentirlo.
Solo allora Dave capì. –E’ stato lei a renderti l’Omega?!- esclamò, sconvolto. Anche se con un pizzico d’esitazione, il nuovo licantropo annuì.
-Non sono sicuramente nella top five delle sue persone preferite.- cercò di riderci su.
-Drew, stai attento! Quella è capace di tutto, se il suo obiettivo è riavere Evan.- l’avvertì. Prese a girare intorno, allarmato da quanto gli era stato detto. Ora capiva come mai Stryker si fosse accanito così tanto sul nuovo arrivato, ma non era lui il problema.
-Crystal potrebbe diventare più pericolosa di quanto non sia?- domandò Andrew, ora visibilmente preoccupato. Essere sulla lista nera del nuovo Campione del branco MacGregor era una cosa, ma essere su quella di una licantropa incazzata nera era un’altra.
-Sì… perché se ti elimina può riavere Evan.- rivelò, guardandolo intensamente coi suoi occhi chiari.
-C-che…?- gracchiò.
-Evan è stato esiliato perché ti ha trasformato senza il permesso di suo padre. Se la causa scatenante della condanna viene eliminata, allora la sentenza viene immediatamente ritirata.- spiegò, conciso.
D’istinto il giovane si portò una mano al collo, temendo per la propria vita. Già era difficile venire a patti con la sua nuova parte animale (ancor di più se c’era la luna piena), ma se poi ci si metteva anche una ex moglie disposta a tutto pur di riavere il suo trofeo… la situazione assumeva tutt’altra prospettiva.
-Sono fregato.- commentò.
-No… c’è una soluzione a tutto.- cercò d’incoraggiarlo David. L’occhiata che ricevette in cambio gli disse che Drew non ne era per nulla convinto.

 
  Si ritrovò improvvisamente davanti alcune delle sentinelle piazzate da Jared.
Piantò i piedi, sfregando i polpastrelli delle zampe sull’asfalto e fermò la propria corsa ad un centinaio di metri da loro.
  I licantropi erano in forma umana, ma ciò non gli avrebbe impedito di svolgere la sua parte.
Arricciò brevemente il naso e poi piantò per bene le zampe, scrutando gli avversari che aveva davanti. Doveva riuscire a liberare almeno una parte del perimetro, in modo da permettere ad Evan ed Emily di passare senza dover sprecare energie in inutili combattimenti.
“Vediamo quanto hai imparato, Eric.”, gli parve di sentire la voce di suo zio nella testa. Scosse energicamente il capo per riappropriarsi dei propri pensieri e poi prese ad avvicinarsi con passo leggero e trotterellante.
Mentre avanzava poteva leggere chiaramente il sospetto sulle facce dei presenti, ma lo ignorò e proseguì, accorciando sempre di più la distanza che c’era tra loro.
“Fatti indietro, non abbiamo tempo di giocare.”, il ringhio d’avvertimento arrivò dal più alto, il quale arricciò lentamente il labbro superiore per fargli capire che non stava scherzando.
Eric non rispose e continuò la propria avanzata.
I licantropi iniziarono ad innervosirsi. Considerato che di solito il suo compito era di evitare che i membri di un branco arrivassero ad un livello di agitazione tale da divenire pericolosi, stava rischiando veramente grosso.
Ed iniziava ad avere dei dubbi circa la pensata di Evan.
“Ma chi sono io per discutere gli ordini del capo?”, si disse, non senza una bella dose di ironia. Accelerò leggermente il passo, fino a ritrovarsi a meno di venti metri dagli altri. I Blacks si piegarono sulle gambe, pronti a scattare.
L’europeo prese un respiro profondo e poi iniziò a fare quello che, a quanto sembrava, gli riusciva molto bene: fare il buffone. Solitamente l’Omega aveva il compito di sedare gli animi, il più delle volte assumendo atteggiamenti divertenti, che ricordavano tanto quelli di un clown. Ma, a differenza di quello che si poteva pensare, il suo era un ruolo di tutto rispetto… non fosse stato che, tra i licantropi, non vi era quasi mai la necessità di questi interventi.
Quindi l’Omega finiva per diventare il punching ball emotivo e fisico dei membri del branco.
Personalmente, il ragazzo odiava ricoprire quella carica. Ma se poteva venir utile per salvare un cucciolo, avrebbe fatto uno sforzo.
“Concentrati!”, si rimproverò, rendendosi conto di essersi perso nei propri pensieri. Balzò di lato, avvitandosi in aria ed atterrando al fianco di uno degli avversari. Quello lo guardò diffidente e lo seguì con lo sguardo quando iniziò a girargli attorno.
Se qualcuno avesse osservato la scena dall’esterno, quella che stava mettendo in atto sarebbe sembrata solo un’assurda danza. Invece stava tentando di radunarli e condurli via dalle loro postazioni.
  Considerato che nessuno avrebbe ancora potuto associarlo al branco di Evan, aveva buone possibilità di riuscire nel suo obiettivo. Non fosse stato per la testarda resistenza che stavano opponendo quei quattro lupi.
Infastidito, Eric emise un verso di gola. Quelli lo fissarono, cercando di capire se interpretarlo come una sfida oppure no.
Restarono immobili a scrutarsi per parecchi minuti.
“D’accordo. Non ha funzionato con le buone, funzionerà con le cattive.”, decise il ragazzo, spazientito.
Individuò il lupo con la stazza più simile alla sua e, con un rapido scatto, lo morse alla gamba sinistra. Giusto il tempo di assaggiare il sangue e mollò la presa, balzando all’indietro.
I quattro ci misero un po’ per reagire, ma quando lo fecero gli ringhiarono contro, per nulla divertiti dalla sua recente trovata.
“Provate a prendermi.”, li sfidò Eric. Ora che li aveva provocati, l’unica soluzione era correre più veloce di loro e farli allontanare. Si concesse un respiro profondo prima di lanciarsi nella direzione opposta da cui era venuto.
“I lupi si sono dati all’inseguimento. Sbrigatevi!”, comunicò ad Evan.
“Non farti prendere.”, fu la sola raccomandazione.
Si lanciò un’occhiata alle spalle, vedendo i quattro licantropi assumere sembianze animali. Se il gruppo non si fosse allargato avrebbe potuto gestirli.
In caso contrario, avrebbe dovuto mettere le ali alle zampe.


  Si misero a correre non appena ebbero ricevuto il segnale. Si erano posizionati sui tetti, per precauzione, ed ora balzavano da una copertura all’altra con l’agilità di ladri esperti.
Emily faceva strada, correggendo la direzione man mano che si avvicinavano al quartier generale dei Blacks.
Evan si limitò ad affiancarla, cercando di isolarsi e non lasciarsi coinvolgere dalla sua agitazione. Comprendeva benissimo la preoccupazione per il piccolo Blake, ma almeno uno dei due doveva rimanere padrone di se stesso.
All’improvviso la vide sparire all’interno di una finestra mezza sfondata. Si fermò un attimo e guardò in basso. Lei alzò il muso bruno e gli fece un rapido cenno d’assenso. Rassicurato, si tuffò a sua volta all’interno, atterrando tra vetri rotti e polvere.
Trattenne a stento uno starnuto e poi riprese a correre, puntando dritto verso la porta aperta che si vedeva alla fine del capannone.
Emily correva come se avesse il diavolo alle calcagna, desiderando riabbracciare il prima possibile il figlio di sua sorella, la persona più importante da quando Evelyn era morta. Il solo pensiero che Jared gli avesse fatto del male la spingeva ad accelerare ulteriormente il passo, incurante del grosso lupo che aveva alle spalle.
Non esistevano più gerarchie nella sua mente né la paura o la prudenza, solo Blake.
“Emily…”, si sentì chiamare. Ignorò la voce e continuò a correre. “Emily!”, insistette quella. Ringhiò, infastidita. “EMILY!”, si ritrovò la strada bloccata da Evan e fu costretta a fermarsi di colpo per evitare di finirgli addosso.
“Cosa?”, fece, confusa e un po’ scocciata.
“Stavi per finire dritta nelle fauci di Jared.”, le fece presente il suo Alfa. La stava fissando coi suoi occhi d’ametista, dentro i quali si poteva leggere chiaramente la disapprovazione per il suo comportamento.
Lei allora si riscosse e si guardò intorno, cercando di trovare conferma a ciò che le era appena stato detto. L’odore di Jared e di Simon le arrivò prepotente al naso, colpendola come un maglio. Percepì anche quello di Blake e si sentì ancora peggio.
Abbassò il capo. “Mi dispiace…”, si scusò.
“Cerca di ritrovare la concentrazione. Dobbiamo agire mentre gli altri lupi sono impegnati con Eric.”, le fece presente. Annuì diverse volte, dandosi mentalmente della stupida e prendendo respiri profondi.
Le ci volle un po’ per ritrovare il controllo. “Sono pronta.”, annunciò infine.


  Avevano deciso di comune accordo di rimanere nell’appartamento di David, principalmente perché lui doveva tirarsi avanti con alcune consegne e aveva tutti gli strumenti con cui lavorava nella propria camera.
Andrew si era rannicchiato sul divano, perso nei propri pensieri. Sentiva ogni fibra del corpo tesa all’inverosimile, nel disperato tentativo di cogliere avvisaglie preoccupanti.
-Drew, ti farai venire un’ulcera, così.- gli fece presente l’inglese. Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc elaborasse quanto gli era stato richiesto.
-Mi dispiace…- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.
-Devi imparare a controllarlo, quello è vero. Ma lo devi fare con gentilezza: combattere non serve a nulla.- replicò l’altro, lanciandogli una rapida occhiata da dietro lo schermo.
L’americano si prese la testa tra le mani. –E’ tutto una grande contraddizione…- brontolò tra sé.
-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.
Drew si concesse qualche minuto per riordinare i pensieri, poi si appoggiò allo schienale del divano coi gomiti e domandò:-Com’è stata per te?
L’inglese gli lanciò un’occhiata distratta. –Com’è stata cosa?
-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell’altro.
-Oh… quella. Tutto nella norma.- la sua risposta fu abbastanza frettolosa e destò qualche sospetto nel suo interlocutore. Resosi conto di essere osservato, prese un respiro profondo e mise in pausa il proprio lavoro. –Non è stata esattamente una passeggiata.- ammise infine.
-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.
Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.
Capendo che non era un argomento facile, Andrew decise di passare a qualcosa che, sperava, fosse meno spinoso. –Tu ed Evan… quando vi siete incontrati?
Sembrò pensarci su, anche se non aveva bisogno di frugare nella memoria per ricordare quel giorno. Era stato l’inizio e la fine di tutto. –Avevo diciassette anni, quindi era il 1856.- rispose. –Ero un giovane rampollo, istruito e parecchio tronfio.- aggiunse, ridacchiando.
-Tu?- l’americano sollevò un sopracciglio, divertito.
David si esibì in una breve risata. –Sì, proprio io. Cosa non ti torna? Il fatto che fossi tronfio o che fossi un rampollo?- chiese, divertito.
-Entrambi.- ridacchiò l’altro, stando al gioco. Era facile parlare con l’inglese perché riusciva sempre ad alleggerire conversazioni che, altrimenti, sarebbe stato problematico affrontare. O per lo meno faticoso.
-Be’, lo ero.- confermò, tornando serio. –E, nonostante tutti i tentativi di mia madre, ero particolarmente stupido a quell’età.- ammise.
-Chi non lo è? A parte Amanda… lei è nata con un senso del dovere così spiccato da far paura.- replicò Andrew.
L’altro annuì con un rapido cenno, dandogli ragione. Poi si stiracchiò pigramente e si alzò dalla sedia su sui era stato per quasi un’ora. –Non sapevo di essere un licantropo e, quando mi sono trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.- rivelò, sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.
-Posseduto? Intendi dal demonio?
Confermò con un cenno del capo, facendo ondeggiare i ricci scuri. –Esattamente. All’epoca si credeva ancora in cose del genere.- rivelò. –Anche se gli inglesi ci credevano comunque meno degli scozzesi.- aggiunse, ghignando.
-Anche Evan ti credette posseduto?- indagò Drew, curioso. Lasciarsi trasportare dalle parole di David era più facile che cercare di combattere la bestia e sembrava avere un potere calmante sulla parte animale.
-Non lo conoscevo ancora.- confessò. All’espressione stupita del suo interlocutore aggiunse:-Ci saremmo incontrati da lì a sette anni.
-Oh… credevo che…
David gli si avvicinò, sedendosi sul bracciolo del divano. –Che fossimo cresciuti insieme?- suggerì. Al gesto affermativo del ragazzo, lui scosse la testa. –No, ma è che se fosse successo.- concluse con un sorriso.
-Quindi… la prima volta che ti sei trasformato…?- dopo una breve pausa, Andrew tornò all’attacco. Sapere come gli altri avevano affrontato la prima notte di luna piena gli sarebbe stato utile per poterne ricavare consigli e magari qualche dritta.
Era terrorizzato all’idea di diventare un mostro assetato di violenza, impossibile da fermare se non con un colpo al cuore.
-Ero nella stalla, stavo accudendo i cavalli. Mi pare fosse una notte di luna piena, tra l’altro.- raccontò, meditabondo. Si guardò le mani, cercando le parole giuste per raccontare quell’esperienza. –Quando mi sono trasformato ho spaventato i cavalli… loro hanno tentato di fuggire, ma la loro paura ha eccitato la bestia e, prima che potessi fermarmi, stavo affondando i denti nella giugulare di un destriero.- proseguì. –Ne ho uccisi tre prima che mia madre raggiungesse le stalle e…- fece per proseguire, ma il suo cellulare squillò.
I due si guardarono, gli occhi dilatati per la sorpresa. Reprimendo un brivido, David si alzò ed afferrò il cellulare, accettando la chiamata con un’espressione perplessa in viso. –Alst?
-Non mi avevi detto che l’intero branco sarebbe stato ad attendere Evan e gli altri!- lo accusò lo scozzese.
-Non ti avrei chiamato, in caso contrario…- si giustificò, facendosi piccolo. A quando pareva Alastair incuteva un certo timore sia a David che ad Evan.
-David Rockbell! Come hai potuto lasciare che il tuo Alfa andasse a farsi ammazzare?! Qui ce ne sono abbastanza per rimetterci le penne!- lo rimproverò, arrabbiato.
Dave sentì uno spiacevole rossore farsi spazio sul suo viso. –Qualcuno doveva rimanere con Andrew: è la sua prima luna piena.- gli fece presente.
-Lo so, lo so.- lo sentì calmarsi. –Solo che… questa è una trappola bella e buona! Ho già dovuto metter fuori combattimento tre lupi e non sono nemmeno riuscito a raggiungere gli altri.- aggiunse.
-Alst…
-Sì, cercherò di arrivare in tempo. Devo farlo. Ma questo non mi impedirà di dirgliene quattro.- brontolò.
-Se ti riesce, fai fuori Jared.- suggerì Dave. Drew lo guardò con tanto d’occhi. Non l’aveva detto sul serio, vero?
-Non ho voglia di andare in galera.- gli fece presente Alastair.
-E io non voglio che i cuccioli subiscano violenze per espiare colpe altrui.- ribattè l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ho detto che non lo ucciderò, non che lo lascerò andare illeso. Nel caso mi capiti tra le mani, avrà un brutto quarto d’ora.
-Conto su di te, Alst.- disse David, rassicurato.
  
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