Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: Maty66    21/09/2014    7 recensioni
Semir è sull’orlo del baratro. Nella sua vita non c’è più nessuna ragione di felicità, nessuna speranza per il futuro. Ma quando tutto sembra perduto, quando le circostanze della vita lo inducono alla disperazione più profonda, riceverà un aiuto insperato ed inaspettato.
Anche se un po’ maldestro e pasticcione.
Seguito- a quattro mani- di “Nella buona e nella cattiva sorte”. Come sempre non è indispensabile, ma consigliabile, leggere la storia precedente.
Genere: Azione, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
 
Sull'orlo del baratro

  
“E’ mai possibile che non ci sia una volta, una volta sola, che tu sia puntuale la mattina?”  sbottò Semir mentre il suo giovane partner entrava in macchina sbadigliando vistosamente.
“Non ho sentito la sveglia, mi spiace…” si giustificò Ben, con la stessa scusa che usava ogni mattina.
“Inizio seriamente a pensare che tu abbia problemi di udito. Se con una non funziona, mettine due o anche tre di sveglie. Magari corredate da  altoparlanti, oppure procurati  un meccanismo che ribalta il letto” Semir si finse arrabbiato,  ma in realtà gli veniva da sorridere nel guardare il suo giovane amico con i capelli tutti scompigliati  e  gli occhi cisposi. Sembrava un cagnolino appena uscito dalla cuccia.
“Ma come fai ad essere sempre così fresco e pimpante a tutte le ore? Sono solo le sette e mezza…” borbottò Ben continuando a sbadigliare.
“Dieta sana, vado a letto presto, frequento una sola donna, ovvero mia  moglie” rispose sorridendo il socio più anziano.
“Così facendo camperai cento anni, ma saranno cento anni di noia… io invece preferisco sparare  tutte le mie cartucce subito, anche se dovesse durare poco… in fondo si vive e si muore una volta sola”
 
 
Il  suono stridulo della sveglia  riportò di colpo Semir alla realtà.
Aveva sognato.
Come  ogni giorno alla stessa ora, poco prima che suonasse la sveglia, lo aveva sognato.
A tentoni, con gli occhi gonfi per le pochissime ore di sonno che  era riuscito a concedersi, Semir Gerkan spense la sveglia, quella sveglia che il suo migliore amico quasi sempre non sentiva.
Erano ormai passati quasi otto mesi da quando era successo e il dolore, come ogni mattina, era sempre lì.
Freddo, tagliente, implacabile, come il senso di colpa che lo stava divorando come un cancro.
Pensò a quanto fosse falso e stupido il detto secondo cui il tempo lenisce ogni ferita.
La sua ferita era sempre aperta, e gli faceva male sempre di più, come se qualcuno si divertisse a buttarci del sale ogni singolo giorno da quando era successo.
Stancamente buttò le gambe fuori dal letto e scansando i vestiti, le lattine di birra e gli scatoloni della pizza che giacevano sul pavimento, si avviò verso il bagno.
In altri tempi non avrebbe tollerato vivere un solo giorno in quelle condizioni, in quel porcile in cui ormai era ridotta la sua casa.
Ma ora era tutto diverso, lui era diverso.
Metteva in ordine solo quando dovevano venire da lui le bambine.
Per il resto lasciava andare tutto in malora.
Il giardino era ormai una specie di foresta di erbacce, la piccola piscina vuota e sporca, non  comprava vestiario da mesi e mesi, a stento lavava  gli abiti che usava per andare in ufficio, che ormai apparivano logori e stinti.
Nulla non aveva più nulla.
La sospensione dal servizio era stata revocata solo in parte e solo grazie ai buoni auspici della Kruger aveva ripreso il lavoro in ufficio, relegato ad una scrivania a compilare le contravvenzioni e a segnalare i mancati pagamenti o a registrare la decurtazione dei punti dalla patente per gli automobilisti indisciplinati.
Ma almeno così aveva uno stipendio.
Stipendio che versava quasi tutto ad Andrea per gli alimenti delle bambine.
Sua moglie l’aveva lasciato e si era trasferita a casa dei genitori, lui poteva vedere le sue figlie solo due week end al mese.
E Aida iniziava a dare seri problemi.
La sua magnifica bambina, l’intelligente, disciplinata Aida si era trasformata in una specie di teppistella, sempre pronta a fare a botte con i compagni, maschi o femmine che fossero.
Mentiva alla madre, usciva di nascosto e Andrea l’aveva anche sorpresa a fumare.
Quando veniva da lui passava tutto il tempo nella sua stanza con l’iPod nelle orecchie, senza badare minimamente alla sorellina che invece piangeva imperterrita per tutta la giornata chiamando la madre.
Stanco Semir si  guardò nello specchio del bagno.
Ciocche di capelli grigi erano apparse qua e là sui capelli e sulla barba.
Per un attimo sorrise fra sé e sé pensando a quanto lo sfotteva Ben sul punto.
Dopo la rapida doccia entrò in quella che lui si ostinava a definire cucina, ma che in realtà somiglia molto di più ad una discarica.
Con difficoltà cercò una tazza pulita e si preparò il caffè.
Mentre aspettava che fosse pronto diede un’occhiata alla casetta della posta.
Cartacce e bollette. Ed una missiva con l’intestazione dello studio dello psicologo della polizia.
Già immaginandone il contenuto Semir aprì la lettera.
 
Egregio ispettore Gerkan,
Siamo spiacenti di doverle comunicare che in base ai risultati delle visite e dell’ultimo test psicologico cui è stato sottoposto, non è stato ritenuto in grado  di riprendere il servizio di pattuglia armato.
La invitiamo pertanto a continuare la terapia che le è stata prescritta.
La prossima verifica, per aderire alle insistenti richieste del suo superiore, Commissario Kim Kruger, è stata fissata fra due mesi.
Distinti saluti.
F.to Dottor  Klein
 
Semir chiuse  il foglio senza sorpresa.
Se lo aspettava.
Era finito in un vortice da cui non sapeva proprio come uscire.
Il suono del cellulare lo fece sobbalzare.
“Andrea, buongiorno” Semir salutò con finta enfasi la  sua quasi ex moglie.
“Ti ricordi che stamattina abbiamo il colloquio con la preside della scuola di Aida? Rischia la sospensione” disse la donna dall’altro lato della linea, senza rispondere al saluto.
“Sì certo, alle nove”
“Alle otto e mezza, quindi sbrigati… e poi le devi parlare seriamente” intimò Andrea.
“Lo farò sabato quando vengono da me” rispose il marito.
“A questo proposito volevo dirti… questa settimana le bambine non possono venire, andiamo in Austria per il week end”
Semir diventò furibondo.
“Maledizione Andrea è il secondo week end che saltano. Non le vedo da più di un mese. E  poi che significa andiamo? Con chi vai? Con quel Robert?” urlò nel telefono.
“Con chi vado o non vado non sono più affari che ti riguardano, Semir. E poi che vuoi fare? Privare le bambine di un fine settimana di vacanza in Austria per stare con te in quel porcile? Chiuse in casa tutto il giorno? Vuol dire che verranno da te il prossimo week end”
Semir non ebbe il coraggio di replicare.
In fondo Andrea aveva ragione, le sue figlie non avevano piacere a stare con lui.
 
Semir arrivò alla scuola di Aida e parcheggiò la sua BMW nel primo spazio libero.
Era in netto ritardo e si avviò correndo verso lo studio  della preside.
Il percorso negli ultimi mesi era diventato familiare, tante ne aveva combinate la ragazzina.
La segretaria lo fece entrare e subito si beccò lo sguardo di rimprovero di Andrea che era già seduta.
“Si accomodi signor Gerkan” fece la preside, una donna sulla sessantina, dall’aria bonaria.
“Come stavo dicendo a sua moglie, Aida mi preoccupa moltissimo. Quest’ultimo episodio, per quanto grave, è solo uno dei tanti sintomi del malessere della ragazzina”
Aida aveva rotto il naso ad uno dei suoi compagni.
“Mi rendo conto signora preside, ma si è sentita punta nel vivo,  il bambino l’aveva chiamata mezza turca” provò a giustificare il padre.
“E le sembra una ragione sufficiente per rompere il setto nasale ad un compagno? C’è di più sotto il comportamento della bambina, e questo lo sappiamo tutti” rispose con calma la preside.
“Aida ha subito una perdita molto dolorosa per lei, il suo zio preferito, poi la separazione  di noi genitori, il trasloco in una nuova casa…” intervenne Andrea.
“Certo, per questo vi suggerisco un’adeguata terapia psicologica di supporto”
Semir sbottò furioso.
“Mia figlia non ha bisogno di nessuna terapia psicologica. Ha solo bisogno di stabilità familiare” fece guardando ostentatamente sua moglie.
La preside  non disse nulla.
“Signori Gerkan, per il bene delle vostre figlie vi suggerisco di affrontare più serenamente la vostra separazione. Per ora, viste le circostanze, non intendo sospendere Aida. Ma la prossima volta rischia non solo la sospensione, ma l’espulsione dall’istituto. Ora andate da lei, vi sta aspettando fuori”
Andrea e Semir si alzarono e mesti uscirono dall’ufficio.
Poco fuori c’era Aida seduta su di una panca.
“Posso parlare con lei da solo?” chiese con aria ostile Semir.
“Prego fai pure. Aida ci vediamo a casa. Parliamo dopo scuola” rispose Andrea uscendo dalla stanza.
Semir si sedette accanto alla figlia, che lo guardò con i suoi grandi occhi scuri.
“Allora signorina… vuoi dirmi cosa c’è che non va?”
“Nulla” rispose lei laconica.
“Ti pare nulla aver quasi rotto il naso ad un tuo compagno?”
“Mi aveva offesa. Mi aveva chiamata mezza turca. Ed io non sono turca” rispose la bambina acida.
“A parte il fatto che lo sei, almeno per un quarto, ma devi imparare a non reagire alle provocazioni. Devi restare calma”
La ragazzina non rispose, limitandosi a rimestare nervosa nella tasca.
Semir ebbe subito un sospetto.
“Aida mi fai vedere cosa hai in tasca?”
La bambina lo guardò torva.
“Aida fammi vedere subito cosa hai nella tasca” intimò il padre.
E così la bambina tirò fuori il pacchetto.
“Sigarette!! Di nuovo!! Chi te le ha date? Adam???”
Adam era il nuovo amico di Aida, un ragazzino che subito aveva attirato le antipatie  di Semir, convinto che fosse lui l’istigatore all’origine di tutti i guai della  figlia.
Aida non rispose, ma continuò a guardare il padre con aria di sfida.
“Non voglio che lo frequenti più, ci siamo capiti? E’ un ragazzino pericoloso, un mezzo furfante…” urlò il padre mentre tutte le segretarie si voltavano.
“Io frequento chi mi pare. Tu non ci sei mai, non puoi dire quali amici devo avere!!” sbottò la bambina.
“Tu hai solo undici anni, non puoi avere delle sigarette e farai quello che ti dicono i tuoi genitori” urlò di nuovo Semir.
“Te lo scordi” ribatté saccente la ragazzina.
Semir vide rosso. Non voleva farlo, ma prima di rendersene conto aveva già mollato uno schiaffo alla figlia.
Aida lo guardò con le lacrime agli occhi.
“Se almeno ci fosse zio Ben… lui sì che mi capirebbe” urlò disperata.
“Mi dispiace non c’è, non c’è più” balbettò Semir, accasciandosi sulla panca.
“Sì, ed è tutta colpa tua” urlò la figlia, precipitandosi fuori dalla stanza.
La frase colpì Semir come una coltellata.
Rimase intontito ed ansimante sulla panca, cercando di non scoppiare a piangere davanti a tutte quelle persone.
 
 
Semir arrivò al Distretto e parcheggiò nel nuovo posto che gli era stato assegnato.
Non essendo più in servizio attivo di pattuglia teoricamente non gli sarebbe spettata neppure l’auto di servizio, ma la Kruger aveva chiuso un occhio sul punto.
In effetti il  Commissario si era dimostrato, insieme a Max e agli altri colleghi, una dei pochi alleati  in quei mesi.
Entrò in ufficio e si sedette triste ad una delle piccole scrivanie nell’ampio ufficio che condivideva con altri sei colleghi, tutti pivellini addetti al servizio interno.
Si sentiva come un ripetente in una classe scolastica.
Susanne lo salutò con simpatia sorridendo mentre si avvicinava.
Probabilmente sia lei che tutti gli altri sapevano del risultato del test psicologico.
“Semir è appena passato l’ufficiale giudiziario per notificarti questa” disse porgendogli una busta.
Semir la prese con aria stanca. Probabilmente era la fissazione della udienza di separazione, come gli aveva anticipato Andrea.
Ormai  lei frequentava un altro, un tipo spocchioso e benestante, un tale Robert. L’unica fortuna era che almeno a quanto riferivano era gentile con le bambine.
Ma appena aperta Semir ebbe un colpo al cuore.
Non era la preannunciata richiesta di separazione, era la richiesta della banca di rientrare dal mutuo concesso per l’acquisto della casa.
Cinquantamila euro da trovare entro tre mesi.
L’ultima vendetta di Konrad Jager che aveva anticipato la somma alla banca.
 
Come in trance Semir rientrò a casa alla fine del turno.
Era talmente intontito da non riuscire neppure a pensare.
Prese la bottiglia del whiskey dalla credenza e se ne versò una dose generosa.
Non c’era una sola ragione di felicità ormai nella sua vita.
Non aveva più nulla, nulla; non aveva più una moglie, aveva perso l’affetto di una figlia e l’altra stava diventando un’estranea, presto non avrebbe avuto più neppure una casa.
E non sarebbe mai più riuscito a riavere il lavoro che gli piaceva, o meglio con tutta probabilità non sarebbe mai più stato in grado di farlo.
E non aveva nessuno a cui confidare le sue pene, non aveva più il suo migliore amico.
Con la mano tremante, mentre beveva il liquido giallastro ormai compagno abituale delle sue notti solitarie, prese la lettera dal taschino.
La portava sempre con sé.
Con la mano tremante e la vista offuscata ne lesse e rilesse alcuni passi.
Caro Semir…
Ripensando ai mesi passati non so neppure spiegarmi bene cosa sia successo.
Perché abbiamo ceduto a Kalvus? Perché  gli abbiamo consentito di portarci via una cosa importante?
MI spiace sai… non dovevo mentirti, ma per una volta, una volta sola, volevo essere io a proteggere te.
Anche a costo di non capire che così facendo potevo mettere in pericolo la nostra amicizia…
In fondo siamo come marito e moglie: amici nella buona e nella cattiva sorte…
Perché in fondo al mio cuore una cosa mi è chiara: anche se non dovessi sentirtelo dire mai più, io so che tu mi vuoi bene, esattamente come io ne voglio a te. 
Potremo litigare, picchiarci, farci delle ripicche come in questi mesi, ma questo non cambierà mai.
Alla fine ci spero davvero: io non chiederò scusa a te e tu non ne chiederai a me, mai. Perché noi siamo veri amici e quindi, come diceva mia nonna, siamo capaci di riprendere esattamente da dove  ci siamo lasciati.
Tuo Ben
 
Quanto avrebbe voluto  che quelle cose che  Ben aveva scritto nella lettera si fossero avverate davvero.
Ma non ci sarebbero state mai più.
Non avrebbe mai più rivisto il ragazzo.
Sua moglie aveva un altro. Le sue figlie lo odiavano. Faceva un lavoro che odiava.
Ed era solo colpa sua.
Perché, caro Semir, si disse, sei tu che l’hai ucciso, che hai ucciso il tuo migliore amico e hai dato inizio a tutto questo.
Bevve un altro sorso  di whiskey direttamente dalla bottiglia e mezzo offuscato dall’alcool  non la poggiò bene  sul tavolo.  Il liquido ambrato si sparse tutto sul foglio.
“No no no” fece Semir, troppo  brillo per reagire prontamente.
Non gli restò che stare a guardare  le  righe che lentamente sbiadivano diventando incomprensibili.
Aveva perso anche l’ultimo ricordo.
 
Senza pensare, con i piedi che lo trascinavano avanti, senza che li comandasse realmente, Semir si ritrovò a camminane lungo il ponte sul Reno.
Camminò e camminò lungo il passaggio pedonale e poi si fermò sul punto più alto.
Si sporse a guardare l’acqua del fiume che scorreva impetuosa sotto i pilastri.
Era così invitante.
Un attimo e tutto poteva finire.
Tutto il dolore, l‘angoscia, il senso di colpa, tutto finito.
Forse poteva addirittura rivedere Ben, se l’Essere Supremo avesse avuto pietà di un suicida.
Lentamente, salì sulla balaustra e si sedette, guardando sempre il fiume sotto di lui.
Un attimo, bastava sporgersi un po’, un attimo e tutto sarebbe finito.
L’acqua di sotto sembrava chiamarlo invitante.
E Semir si sporse, si sporse sempre più.
 
“Ecco questa sarebbe veramente una cosa da vigliacchi”  disse una voce familiare  alle sue spalle.
 
 
Note delle autrici:
Iniziato per gioco nelle recensioni, alla fine di ogni capitolo proporremo l’Angolino musicale, a cura esclusiva di Chiara, ovvero una canzone il cui testo possa in qualche modo richiamare il capitolo e possa essere ascoltata anche come sottofondo; detto ciò la canzone che abbiamo scelto per questo primo capitolo è triste e tragica: Metallica - Fade To Black (Sfumare Nel Nero)
Per ascoltarla 
http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DWEQnzs8wl6E&h=mAQGaaJq0

Sembra che la vita si sfumi andando alla deriva ogni giorno di più perdendosi dentro di me e non importa nulla a nessun'altro, ho perso la voglia di vivere semplicemente, non ho più niente da dare non c'è più niente per me, ho bisogno della fine per liberarmi, le cose non sono più come prima, manca qualcosa dentro di me terribilmente perso, non può essere vero, non riesco a sopportare il male che sento, il vuoto mi riempie fino all'angoscia cresce il buio che porta l'alba ero io, ma ora me ne sono andato, nessuno può salvarmi tranne me stesso, ma è troppo tardi ora non riesco neanche a pensare, pensare perché avrei dovuto almeno tentare sembra che il passato non sia nemmeno esistito la Morte mi saluta calorosamente ed ora non mi resta altro che dire addio
 
P.S.  Sì, avevamo promesso una storia non triste. E lo sarà dal prossimo capitolo. E ci sarà anche azione. Dopotutto è una storia "Cobra 11"
P.P.S. Titolo e copertina, anche se modificati, sono stati rubacchiati dall'omonimo film.
  
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