Capitolo
Venticinque: la fine
del Vaticano
Lovino
e Feliciano non erano i primi gemelli della famiglia
Vaticana.
Prima
di loro, più di trecento anni prima, erano nati Francis
e Jeanne.
Ritenuta
la parte debole, Jeanne fu annegata all’età di due
anni: la piccolina fu accidentalmente lasciata gattonare troppo vicino
al
torrente, e sfortunatamente nessuno udì la sua lotta con i
flutti. Nessuno
poteva uccidere un Vargas, se non la volontà divina; Jeanne
era stata
abbandonata al suo destino come Lovino era stato scaricato su un
pianeta
deserto. Un tragico incidente, recitavano le cronache Vaticane.
Francis
divenne Asse non appena compiuta la maggiore età. Fu
chiaro fin dai suoi primi anni di vita che sarebbe diventato uno degli
astri
più luminosi nella storia Vaticana: a soli dieci anni era in
grado di
sconfiggere i migliori maghi della Galassia; a dodici aveva vinto un
duello
privato con il Figlio del Cielo di allora.
Quello
che la sua famiglia non sapeva, era che Francis non
aveva mai perso di vista la sorella. I suoi enormi poteri gli avevano
permesso
di osare qualcosa che era condannato come tabù: parlare con
i morti.
Jeanne
chiacchierava con lui, cantava e si emozionava per i
fiori, come qualunque altra ragazza della sua età.
Ciò che la distingueva dalle
altre era che solo il fratello la poteva vedere.
Francis
fu davvero felice di poter contare sul supporto
della sorella quando, al momento dell’Auspicio, aveva visto
il futuro della
Confederazione.
Sei
pallido,
aveva notato Jeanne, non appena il fratello aveva fatto
ritorno.
«Ho
visto il futuro» esalò Francis, abbandonandosi su
una
poltrona nivea. «La Confederazione scomparirà tra
circa trecento anni.»
Cosa?
«Il
Vaticano ha fatto molti errori» mormorò,
carezzando la
guancia inconsistente della sorella. «E continuerà
a farne. Seminerà sangue e
raccoglierà guerra. E tutto finirà in cenere e
lacrime.»
Jeanne
volò rasente al soffitto, il viso tra le mani.
Non
si può fare
niente per impedirlo?
«Una
seconda visione si è sovrapposta alla prima»
rivelò
Francis. «Il Vaticano crollerebbe comunque, ma la maggior
parte delle persone
presenti nella Confederazione sopravvivrebbero.»
Cosa
ti fa
tentennare, fratello?
Francis
si aggrappò ai braccioli della poltrona per issarsi
a sedere.
«Dovrò
spargere a mia volta molto sangue. Per diventare un
ingranaggio del destino, bisogna sporcarsi le mani. Dovrò
trascinare fin qui un
alieno innocente perché possa spiegarci come effettuare un
viaggio
extradimensionale, dovrò convincerlo a distruggere un
pianeta intero, dovrò
osservare i miei amici che soffrono e aspettare, perché
nulla muove il fato
velocemente come il dolore…»
E…?
«E
dovrò condannarmi a una vita di continue reincarnazioni.
Questi eventi avranno bisogno di anni e secoli per avvenire.
Sarò l’unico
mostro eternamente vivo in una Galassia di fantasmi.»
Lo
farai,
fratello?
La
schiena del giovane Asse si adagiò di nuovo contro la
poltrona.
«Lo
farò, sorella. Per il futuro. Perché la Galassia
non può
crollare per la mia codardia. Ma non lo farò
sorridendo.»
Troverai
la
forza di sorridere, in qualche modo. Ti conosco.
Quasi
a confermare le parole di Jeanne, le labbra di Francis
si stesero naturalmente in una curva dolce.
«Due
gemelli come noi. Loro saranno il tassello finale»
annunciò
l’Asse. «Ma non troveranno mai la strada da soli.
Per questo ti chiedo un
favore, Jeanne: accompagnali.»
In
che modo?
«Diventa
il loro animale guida, il loro gregario, quello che
preferisci. Ma sarà un compito ingrato, Jeanne.»
Perché?
«Ho
letto i testi sui gemelli. Sì, quelli che il Vaticano ha
bollato come “letture eretiche”.»
Non
voglio
nemmeno chiederti come li hai ottenuti.
Un
ghigno scaltro scintillò negli occhi color fiordaliso
dell’Asse.
«Credimi,
sorella, è meglio che tu non lo sappia. Comunque,
ho finalmente capito perché i gemelli sono considerati
portatori di sfortuna,
all’interno della famiglia Vaticana. E non è per
la presunta anima divisa a
metà» Francis si alzò in piedi, e
cominciò a misurare la stanza a larghe
falcate. «Quello che i gemelli hanno in comune non
è l’anima, ma il potenziale
magico. Anzi, non l’hanno esattamente in
comune…»
Spiegati
meglio.
«È
come se i gemelli fossero collegati da un sottilissimo
filo di energia» Francis indicò
l’ombelico. «Una specie di cordone ombelicale
spirituale. E questo filo di energia mette in comunicazione le loro
forze
magiche. In un individuo singolo, il potenziale magico si divide in
ombra e
luce; per i gemelli è lo stesso, ma, per via di questo filo,
se uno è luce,
l’altro è ombra e viceversa.»
Non
capisco.
«È
complicato, in effetti» si scusò Francis, e
mimò con le
mani due piatti di bilancia per far comprendere meglio alla sorella.
«Quando un
individuo singolo usala sua energia positiva, quella negativa viene
momentaneamente messa da parte per permettere alla luce di sfolgorare
al
massimo del suo potenziale» la mano sinistra calò
verso il basso, mentre la
destra si sollevò a livello del suo viso.
«L’ombra viene momentaneamente
accantonata all’interno dello stesso individuo. Ma per via
del cordone
ombelicale spirituale…»
Nei
gemelli,
quando uno dei due usa il potere della luce, scarica tutto il potere
d’ombra
sull’altro.
«Esattamente.
Per questo i gemelli non sono ammessi nelle
famiglie Vaticane. Pensa se uno dei due diventasse Asse e
l’altro decidesse,
anche solo per una volta, di usare l’energia bianca: un Asse
insozzato sarebbe
un vero disonore, non trovi?»
È
orribile…
Francis
annuì, costernato. Le atrocità che il Vaticano
era
in grado di commettere in onore della purezza erano incredibili nella
peggiore
accezione della parola.
«I
gemelli hanno anche una seconda caratteristica. Un
singolo individuo ha solo un corpo, per contenere il suo potenziale
magico. I
gemelli, invece, ne hanno due» il sorriso che si stese sulle
labbra di Francis
quasi gli sgretolò la faccia. «Se pensano che io
sia potente, immagina cosa
potremmo fare insieme,
sorella.»
Jeanne
volò di nuovo vicino a lui, e lo fissò
intensamente
con i suoi occhi chiari.
Prima
hai detto
che sarebbe stato un compito ingrato occuparmi dei gemelli.
Perché?
Il
volto di Francis si rabbuiò.
«Poiché
quei libri sono stati riconosciuti come immorali e
distrutti quasi totalmente, solo noi due siamo a conoscenza di questa
particolarità dei gemelli. Il resto della Confederazione
è convinto che un
gemello erediti la parte malvagia dell’anima e
l’altro quella buona, e che
quindi sia necessario uccidere il malvagio. Solo noi due sappiamo che
entrambi
i gemelli possono essere luce e ombra allo stesso tempo, che
è una loro scelta»
Francis prese un lungo respiro, prima di buttare fuori:
«Dovrai scegliere il
gemello più testardo, e fargli credere che sia lui il
gemello maledetto. Dovrai
fargli credere di essere del tutto oscuro.»
Jeanne
fluttuò lontano da lui, inorridita.
«È
necessario!» si giustificò Francis.
«Sarà il desiderio di
riunirsi al fratello a muoverlo in modo da decretare la fine della
Confederazione per come la conosciamo.»
E
non pensi a
lui? Come si sentirà quel povero bambino?
«Potrà
ancora abbracciare il fratello, e lo farà, alla fine.
Credo che sia un bambino molto fortunato.»
Jeanne
si fermò a mezz’aria, folgorata da
quell’asserzione.
Un bambino più fortunato di loro: loro non erano mai
riusciti a scambiarsi un vero
abbraccio. Avevano solo quelle carezze di vento che ogni tanto Jeanne
gli
faceva, come in quel momento.
Francis
chiuse gli occhi, mentre la brezza della mano della
sorella gli sfiorava la frangia bionda.
«Ho
paura» confessò, flebile. «Diventeremo
due ladri di
vite, anche se per la salvezza della Confederazione. Dei
predoni…»
Marauder.
«Come?»
Nella
tua
prossima incarnazione. Fatti chiamare Marauder, e conduci verso
l’aldilà tutte
le anime che non sei riuscito a salvare. Sarà il tuo modo
per espiare.
Francis
annuì dolcemente, senza aprire gli occhi.
«Marauder»
ripeté. «Non suona male…»
Diventerò
un
lupo nero,
continuò Jeanne, accarezzando gli
zigomi del fratello. Un lupo nero per il
fratello malvagio. E un leone dorato per quello buono.
«E
io sarò la mano che li condurrà a te.»
E
insieme
condurremo tutti fuori dalla Confederazione.
«Prima
c’è una cosa che dobbiamo fare.»
Che
cosa,
fratello?
Francis
le assegnò il ghigno che percorreva sempre le sue
labbra quando macchinava qualcosa.
«Ordinare
la costruzione di un ventre di pietra in grado di
assorbire le energie vitali.»
***
Francis
passò le dita sulla concavità liscia, erosa dai
secoli.
«Proprio
questo» sussurrò, seguendo il filo dei suoi
ricordi.
Il
signor Vargas stava sbraitando qualcosa, ma nessuno dei
presenti vi fece caso: il Marauder era troppo occupato a ispezionare il
ventre
cavernoso, e Ludwig stava concentrando tutte le sue energie nel
liberare
Feliciano senza fargli del male.
«La
Confederazione crollerà, senza un Asse a
reggerla!»
sberciò l’uomo, le vene sporgenti sul collo
cianotico.
Francis
voltò la testa molto lentamente, a occhi chiusi,
mostrando tutto il suo disappunto per quelle continue interruzioni.
«È
ovvio che la Confederazione crollerà»
comprovò. «Siamo
qui per sbriciolarla fino all’ultimo frammento. Non
può esserci rigenerazione,
senza distruzione.»
«Se
la Confederazione crolla, morirete anche voi!»
«Se
fossimo all’interno della Confederazione, certo. Ma noi
stiamo pianificando un lungo e rilassante viaggio
extradimensionale.»
Gli
occhi del signor Vargas si spalancarono tanto che per
poco non esplosero.
«Voi
siete pazzi…» sputacchiò.
«Noi
pianifichiamo la salvezza di migliaia di persone, voi
avete sterminato interi pianeti. Date le circostanze, sono lieto di
essere
pazzo.»
Uno
schiocco secco annunciò l’avvenuta liberazione di
Feliciano. Il suo Guardiano si chinò sulle ginocchia per
impedirgli di cadere
al suolo, e lo strinse gentilmente tra le braccia finché le
gambe dell’Asse non
gli permisero di alzarsi faticosamente in piedi.
Francis
coccolò i suoi occhi stanchi con l’immagine di
Ludwig che sorreggeva Feliciano, facendosi passare un suo braccio
attorno alla
vita e stringendogli le spalle con la mano forzuta. Era bello sapere
che nella
Confederazione c’era ancora un po’ di amore sincero.
Si
rammaricò quando il signor Vargas rovinò anche
quel
momento magico.
«Il
Vaticano non vi permetterà mai un esodo così
blasfemo!»
Un
sorriso sconosciuto torse le labbra del Marauder. Non
aveva nulla in comune con la sua allegra malizia o con la scaltrezza
lasciva
che lo contraddistinguevano. Era il ghigno di chi aveva tessuto un filo
alla
volta l’arazzo della sua vendetta negli ultimi trecento anni.
«Ma
il Vaticano crollerà molto prima della
Confederazione.»
Il
signor Vargas arretrò di fronte all’espressione
del
Marauder. Sembrava che la sua ombra si fosse improvvisamente espansa,
avviluppando tutto lo spazio circostante in una notte innaturale.
«Quando
ho detto che il Vaticano ha creato con le sue mani i
demoni che lo avrebbero distrutto, dicevo sul serio» Francis
ancheggiò
lievemente, quasi volesse sedurre la parete al suo fianco.
«Ho ordinato io la
costruzione di questo posto, trecento anni fa. Un luogo in grado di
inglobare
l’energia, staccandola dal corpo. Nessuno di voi si
è mai chiesto perché abbia
dato un ordine simile,
vero?»
Il
Marauder appoggiò la schiena alla parete e
incrociò
braccia e gambe, perfettamente rilassato.
«Vuoi
spiegarglielo tu, Feliciano?»
«Questa
parete può inglobare le energie vitali quando queste
abbandonano il corpo in seguito alla morte» ansò
l’Asse.
«Esatto»
Francis mimò una pistola con pollice e indice, e
indirizzò l’immaginaria canna verso il signor
Vargas. «”Energie vitali” o
“anima”. Hai idea di quante anime desiderose di
vendetta questa parete abbia
inglobato, in tutti questi anni? Gli Hellsing, i Carriedo… e
chissà quanti
altri» Francis scrutò sopra la propria spalla, e
si compiacque: «Oh… vedo che
stanno già cominciando ad arrivare…»
Il
signor Vargas rimase muto, quella volta: il terrore gli
aveva congelato le parole nel cuore.
Pallide
come i ricordi di un incubo, alcune storpiature di
facce umane si erano materializzate contro la parete. Parevano una
processione
di fantasmi disegnati con la nebbia, che premevano i loro volti
spettrali
contro la pietra alla ricerca di una fenditura.
«Feliciano,
vuoi avere tu l’onore?» lo invitò
Francis.
L’Asse
fece un breve cenno di assenso con il capo, e strinse
più forte il fianco di Ludwig per sostenersi.
Serrò
le palpebre, e richiamò il suo famiglio. Il respiro
terrorizzato del padre graffiò l’aria, inciampando
nei suoi denti digrignati.
Feliciano
aprì gli occhi, e non si sorprese di vedere un
manto di fumo nero di fianco a lui. Allungò la mano per
accarezzare Roma sulla
testa, prima di sollevarla per afferrare il cappello candido e gettarlo
a
terra.
«Non
esiste un gemello completamente puro, e non esiste un
gemello completamente malvagio» dichiarò, con voce
spezzata dalla fatica. «Luce
e ombra sono in ognuno di noi; il bene e il male sono solo una
scelta.»
«E
tu scegli la distruzione!» ragliò il signor Vargas.
«Io
scelgo la rinascita» replicò Feliciano.
In
quel momento, la pietra dietro di lui si spezzò.
Una
grossa crepa si allargò con una specie di ululato lungo
tutta la caverna, spezzandola a metà. Ludwig lo strinse
più forte quando il
vento gelido delle lande dei morti li investì, facendo
danzare le loro vesti
nell’aria turbinosa.
Feliciano
chiuse agli occhi, abbracciando Ludwig con tutte
le sue forze.
Sentì
le urla di quella gente infuriata, ma non riuscì a
sollevare lo sguardo per osservare i loro volti lividi di collera.
Non
era la morte a spaventarlo, e nemmeno l’ira. Ma sapeva
cosa sarebbe successo a suo padre: gli spiriti avrebbero ottenuto
giustizia, e
lui sarebbe morto in un modo atroce.
Per
quanto fosse stato spietato con Lovino, per quanto lui
stesso lo avesse odiato ogni singolo giorno, era pur sempre suo padre.
Sprofondò il viso nel petto di Ludwig, cercando di
sotterrare gli unici ricordi
buoni che aveva del genitore: le volte in cui lo prendeva sulle
ginocchia e gli
diceva che era fiero di essere suo padre, quando si era ammalato e lui
lo aveva
vegliato…
«Andiamo
via» il suo tono salì di urgenza quando il primo
urlo del signor Vargas gli pugnalò le orecchie.
«Andiamo via!»
«C’è
sempre un prezzo da pagare, Feliciano…»
«Lo
so» l’Asse stroncò la lezione di
Francis. «Infatti non
sto aiutando mio padre.»
«Dopo
tutto quello che vi ha fatto, vorresti ancora
salvarlo?»
«Vorrei
che ci fosse un altro sistema. Non siamo diversi da
loro, così…»
La
mano del Marauder si posò sulla sua testa ramata.
«Tu
piangi quando devi uccidere qualcuno, anche se lo odi.
Sei deciso in quello che fai, ma non diventi arido. Questo ti rende
diverso,
Feliciano.»
«Andiamo
via» ripeté l’Asse.
Roma
sfregò il muso contro la sua veste candida, e Feliciano
si strinse ancora di più a Ludwig.
Il
Guardiano lo sollevò tra le braccia: le sue gambe
cedettero definitivamente poco prima di uscire dalla stanza, quando
l’ultimo
grido agonizzante del signor Vargas gorgogliò e si spense
nell’aria.
Feliciano
conficcò il viso nella spalla del suo Guardiano
con ancora più forza.
L’eliminazione
del padre era necessaria per il rinnovo della
Galassia. Lo sapeva, e lo aveva accettato quando aveva deciso di
rivedere il
fratello e devastare la Confederazione. Tuttavia, per quanti ricordi
orribili
avesse accumulato in quegli anni, le poche memorie affettuose che aveva
del
genitore non svanivano.
Le
dita forti di Ludwig gli accarezzarono i capelli,
dissipando i suoi pensieri.
«Digli
addio» le parole del Guardiano gli riempirono le
orecchie e il cuore, e Feliciano vi si aggrappò
disperatamente. «Ogni azione ha
le sue conseguenze, e lui sta pagando per il dolore che ha seminato.
Non è
colpa tua.»
Feliciano
annuì contro il suon petto mentre Ludwig lo
portava fuori.
***
Lovino
trasalì quando il suo famiglio cominciò a
contorcersi
al suo fianco.
«Roma!»
il giovane si gettò sulle ginocchia, le mani che
vagavano incerte sul corpo nebuloso del lupo. «Che ti
succede?»
Le
zampe dell’animale rasparono l’aria, le fauci
spalancate
in latrati singhiozzanti, finché tutto il corpo della bestia
si tese come una
frusta.
Lovino
si rovesciò all’indietro, ritrovandosi steso sulla
schiena, quando il pelo di Roma si gonfiò improvvisamente in
una nuvola di luce
ed energia che deflagrò l’istante successivo.
Il
capitano lo aiutò a rialzarsi in piedi, ed entrambi
fissarono annichiliti l’animale di fronte a loro.
«Venezia…?»
balbettò Lovino, la luce dorata del leone che si
spandeva sul suo volto confuso.
«Che
significa?»
«Non
lo so…»
I
loro farfuglii stupiti furono coperti da un tremendo
schiocco e un terrificante urlo.
La
perplessità abbandonò Lovino in un istante: il
giovane si
spinse lontano dal capitano e prese immediatamente a correre.
«Lovino,
aspetta!» gridò Antonio dietro di lui.
«Non sai
dove stai andando!»
«Da
Feliciano!» il ragazzo non si voltò nemmeno per
urlare
la sua risposta.
«Potrebbero
esserci delle trappole! Fermati!»
Gli
avvertimenti del capitano non riuscirono a farsi strada
nella mente di Lovino, travolta da una valanga di emozioni.
Erano
anni che non sentiva il fratello così vicino.
Gli
pareva di percepire un secondo battito contro il suo
sterno, come quando dormiva abbracciato con il gemello. Riusciva quasi
a
sentire il respiro tiepido di Feliciano sul suo collo, e la sua risata
rimbombargli dolcemente contro le costole.
Non
vide quasi i corridoi, mentre li imboccava: per lui, il
Palazzo e i suoi labirinti si erano spianati in un’unica
strada dritta. Una
sorta di filo invisibile legato al suo cuore e collegato a quello di
Feliciano
lo tirava con sempre maggiore forza, conducendolo senza la minima ombra
di dubbio
in quei dedali rompicapo.
Frenò
bruscamente dopo aver girato per l’ennesima volta, e
Antonio per poco non gli finì addosso.
Il
tempo e lo spazio si fermarono, fuori e dentro di lui; i
colori sparirono, e tutto sfumò in una confusa nebbia
bianca. I suoi polmoni si
scordarono di respirare, il suo cuore di battere e il suo sangue di
scorrere.
Non sentì la presenza di Antonio dietro di lui, non vide il
gigante biondo; non
sentiva nemmeno l’aria sulla sua pelle o la
luminosità di Venezia di fianco a
lui.
Il
mondo si era ristretto su quel viso identico al suo; tutto
il resto era polvere e fumo.
I
suoi polmoni si restrinsero vedendo Feliciano trattenere
il respiro, e i suoi occhi si spalancarono in sincrono con quelli del
fratello.
Feliciano
vide i sei anni di separazione marcati sul viso
del fratello, nella sua postura e nel suo vestiario. Davanti a lui
c’era un
pirata, la Mano Sinistra del Diavolo, un giovane che aveva terrorizzato
la
Confederazione sulla Reina de la
Oscuridad e che non temeva di uccidere.
Poi
vide quegli stessi sei anni rimpicciolirsi fino a
sparire del tutto. E davanti a lui ci fu solo suo fratello, il bambino
che gli
prendeva la mano mentre riposavano insieme nel letto e poi lo sfidava a
riconoscere più stelle di lui.
Nessuno
osò dire nulla. La realtà sembrava diventata
fragile
e inconsistente come un velo di cristallo: il minimo urto poteva
spezzarla per
sempre.
«Lovino…?»
Il
mormorio titubante di Feliciano ruppe dolcemente
quell’immobilità
vetrosa.
Lovino
sentì le lacrime fiaccargli gola e ginocchia nello
stesso istante. Dalle labbra gli uscì un misero rantolo e le
gambe inciamparono
nel primo passo che osò muovere in direzione del fratello.
Le gambe di
Feliciano non si dimostrarono più stabili: l’Asse
scese goffamente
dall’abbraccio del Guardiano, e incespicò nei suoi
passi affaticati mentre
correva verso il fratello.
Lovino
poté avvertire ogni millimetro di aria che le sue
mani attraversarono per abbracciare il gemello, e quella lentezza lo
fece quasi
impazzire.
Una
nuvola di profumo fresco lo avvolse quando finalmente
strinse le braccia attorno alle spalle magre del gemello. Sapeva di
luce, di
calore, di Feliciano.
L’Asse
sentì le ossa scricchiolare sotto la presa del
fratello. Si era davvero irrobustito in quegli anni, al contrario di
lui: evidentemente
i suoi muscoli non erano stati coccolati da poltrone lattee quanto i
suoi.
«Feliciano!»
la voce di Lovino s’infangò nel pianto
trattenuto, ma riuscì a scrollarsi di dosso le lacrime
quando lo chiamò di
nuovo. «Feliciano!»
L’Asse
sollevò il viso dal collo di Lovino per fissarlo in
volto. Le mani affiancarono gli occhi nel percorrere i lineamenti del
fratello,
come per sincerarsi che quel volto non fosse una proiezione onirica.
L’ultima
volta che lo aveva visto aveva avuto le mani incorporee
dell’apparizione
astrale, e non aveva potuto toccarlo. Era stato bellissimo vedere il
gemello e
atroce non poterlo abbracciare.
Avevano
sei anni da recuperare. Così tante cose da dire,
così tanti ricordi da condividere. Come tutte le volte in
cui il passato era
troppo e l’emozione era incontenibile, nessuno dei due disse
nulla.
Rimasero
a fissarsi, a riconoscere cosa era rimasto dei
bambini che erano stati in quei volti che si erano spogliati
dell’infanzia.
La
dolcezza negli occhi di Feliciano si era indurita da una
punta di cinismo, come una spina nel miele. Nelle iridi di Lovino,
invece,
scorreva sotterraneo un filo di amore che un tempo non esisteva.
«Non
hai la croce» notò l’Asse, quando le sue
dita
sfiorarono il collo del fratello.
«L’ho
abbandonata insieme al mio cognome» confermò
l’altro. «Sono
Lovino Belial, adesso.»
Le
ampie maniche della veste di Feliciano gli coprirono
tutta la schiena, e le sue mani si strinsero sulle sue spalle.
«Ma
non hai abbandonato me.»
«Avevo
promesso che sarei venuto a prenderti.»
Feliciano
sorrise con gli occhi, staccandosi affettuosamente
da lui.
«Ma
io non ho ancora mantenuto la mia promessa» stese le
braccia lateralmente, e le lunghe maniche candide fluttuarono attorno
ai suoi
arti esili. «Ho detto che avrei spezzato il Palazzo di
Quarzo, per voi.»
Lovino
lo osservò con un sopracciglio alzato, a metà tra
il
divertito e il perplesso, esattamente come quando da piccoli
programmavano
qualche marachella alle spalle degli adulti.
«Il
Vaticano deve crollare. Che crolli il suo massimo
simbolo» decretò Feliciano.
Lovino
lo imitò, allungando a sua volta le braccia.
E
il loro potere ruggì contro le pareti.
***
«L’Elfo
è stato abbattuto!»
Il
grido di Mathias deflagrò nella scialuppa.
Il
Gunsmith si sbarazzò del comando, ormai inutile: una
schiera di Cherubini aveva accerchiato l’Elfo e,
sistematicamente, avevano
distrutto prima le gambe, poi le braccia, e solo alla fine gli avevano
dato il
colpo di grazia, sbranandogli la testa. La loro creatura si era
dissolta in un
nugolo di cenere verde, dispersa nel buio dello spazio.
Mathias
indietreggiò, una mano ancorata al petto, dove aveva
appuntato la spilla di Norge. Non poteva trasformarsi: rischiava di
perdere il
prezioso ninnolo contenente la vita del suo innamorato.
Trafficò
per qualche secondo con le assi della barca:
avevano creato un doppiofondo per le armi di emergenza, e Vash non
dimenticava
mai di rifornirlo.
Il
Gunsmith si affiancò a Roderich, un grosso fucile a canne
mozze spianato davanti a sé.
Il
volto raffinato del musicista era adornato da una pioggia
di gocce di sudore. Era passato molto tempo da quando le sue dita si
erano
mosse sul violino in quel modo, e lo sforzo di concentrazione lo stava
sfinendo.
I polpastrelli si stavano consumando contro le corde, che vibravano
sotto
l’archetto come impazzite, e la sua mente si stava logorando
per la fatica di
controllare l’energia magica e ricordare la melodia al
contempo.
Le
fiamme del Figlio del Cielo tuonavano intorno a loro,
proteggendoli dai Serafini, mentre la Reina
e la flotta di Britannia, comandate dal Mago dell’Ovest e
dalla sua copia,
sfrecciavano nell’aria combattendo con soldati e Cherubini.
«Servirebbe
un miracolo» masticò a denti stretti.
Non
furono gli dei ad ascoltare la sua preghiera rabbiosa,
ma le legioni dei morti.
Entrambe
le fazioni si paralizzarono alla vista dello sciame
spettrale che si riversò su di loro attraversando le pareti
del Palazzo di
Quarzo come se non avessero consistenza.
Nessuno
capì cosa stesse accadendo: un esercito di spettri
di nebbia gonfiò le sue schiere davanti a loro, prima che
quello stormo di
spiriti si lanciasse in battaglia con un urlo.
I
Cherubini e i Serafini si sbriciolarono sotto le armi
sovrannaturali di quei fantasmi assetati di giustizia; le loro ali
gloriose si
sfaldarono in nebulose di cenere, e i loro corpi plasmati con la magia
si
sciolsero in un ululato bestiale.
I
soldati Vaticani si gettarono sulle ginocchia, invocando
pietà. Quei fantasmi erano tornati con l’intento
di avere giustizia, non
vendetta, e risparmiarono coloro che chiedevano clemenza.
Prima
che chiunque potesse realizzarlo, il combattimento era
terminato: i Cherubini e i Serafini erano ormai solo un ricordo, e i
militi
Vaticani giacevano sconfitti e prostrati nelle loro sfere di atmosfera
artificiale.
Il
Figlio del Cielo fu il primo a riconoscere qualcuno in
quelle schiere d’oltretomba.
«Kiku!»
gridò.
La
katana del
Samurai si sollevò dal Cherubino disintegrato,
l’ultimo rimasto. Rinfoderò la
spada e, con la grazia che lo aveva contraddistinto in vita, si
inchinò di
fronte al suo sovrano.
L’aldilà
non è
abbastanza lontano per separare chi si ama.
Le
sue parole furono udite dal cuore, non dalle orecchie di
Yao: scivolarono dolci nel suo sterno, accarezzandogli lo spirito con
la loro
vibrazione.
«Lo
so» confermò Yao, gli occhi scintillanti di
lacrime di
gioia. «Ora ne ho la prova.»
Non
fu l’unico a riconoscere qualcuno dei propri cari in
quella coorte di spiriti. Un coro di esclamazioni si sollevò
dalle Aeronavi,
mentre gli spettri si dividevano come gli affluenti di un fiume tra i
sassi di
montagna.
Il
violino quasi scivolò dalle mani del musicista quando un
fantasma si avvicinò a lui.
Roderich
pulì gli occhiali e batté le palpebre, come se
non
si fidasse delle sue iridi viola. Lo ricordava bene quel viso troppo
gentile
per una guerriera, e quei capelli assurdamente lunghi e
inspiegabilmente
soffici per una Hellsing: da quando non era più
l’Accordatore e la sua memoria
era tornata, li aveva visti ogni notte. Nei suoi sogni, li accarezzava
tra le dita;
nei suoi incubi, li vedeva raggrumati di sangue.
«Sto
sognando?» esalò, così flebilmente che
lui stesso
faticò a udirsi.
Stupido,
sorrise Elizabeta.
Roderich
allungò la mano umana, non quella ricostruita dai
Gunsmith, per accarezzare la guancia di vento della sua amata.
«Sei
venuta per portarmi con te?» non c’era paura nella
sua
voce: l’Inferno l’aveva vissuto in quella
Confederazione; riteneva di meritarsi
qualche briciola di Paradiso da consumare con la sua Elizabeta.
Non
ancora,
lo disilluse lei. Gilbert
ha ancora bisogno di te. Ma saremo insieme, Roderich. Presto saremo
insieme.
Il
musicista non era mai stato un uomo loquace: il violino
aveva sempre parlato più di lui. Ma, nel momento in cui la
guardò negli occhi,
seppe che lei aveva capito. Lei aveva sempre capito i suoi silenzi.
L’aldilà
non è
abbastanza lontano per separare chi si ama,
Elizabeta citò le parole del Marauder, che tanti anni prima
l’aveva aiutata a
entrare nella parete per aspettare il momento propizio.
Roderich
allargò le braccia, e la donna fluttuò tra di
esse.
Il suo petto di aria gelida si appoggiò su quello tiepido
dell’uomo quando lo
abbracciò.
Ti
procurerò un
violino, quando mi raggiungerai,
mormorò. Voglio sentire di nuovo
la
melodia che hai composto per me…
Il
musicista accarezzò quelle spalle incorporee, inspirando
a fondo. Ma non avvertì il profumo della donna: solo una
nebbia gelida gli
inumidì le narici.
«Il
mio diamante della battaglia…»
In
quell’attimo, un rumore tremendo, come l’esplosione
di un
pianeta, li travolse. I marinai furono costretti a gettarsi a terra e
ad
aggrapparsi con tutte le loro forze alle funi per non essere sbalzati
fuori
dalle imbarcazioni. Mathias afferrò con una mano il bordo
della scialuppa e con
l’altra Roderich, evitandogli un doloroso sbarco.
Quel
turbine folle si placò veloce come si era sollevato. I
marinai della Reina furono i primi
a
sollevare la testa per sbirciare al di là del parapetto, e
furono i primi a
gridare per la sorpresa.
Il
Palazzo di Quarzo era sparito. Anzi, per essere più precisi,
l’edificio che per tanti secoli aveva ospitato gli Asse
offerti dal Vaticano
era stato ridotto a una costellazione di frammenti vetrosi che
fluttuavano
pigri nell’aria.
Al
centro di quella nuvola di detriti, si ergevano alcune
figure ben conosciute, avvolte dal globo di atmosfera artificiale
mantenuto
vivo dai gemelli.
«Capitano!»
gridarono i marinai della Regina.
«Lovino»
sorrise Yao.
«Francis»
sbuffò Arthur.
«L’Asse!»
gridarono le truppe di Britannia.
«Ludwig?»
Il
gigante biondo si voltò con cautela. Gli era sembrato di
riconoscere quella voce, ma non voleva sperare troppo. Aveva pregato
per il
fratello giorno e notte, il desiderio di rivederlo lo aveva bruciato, e
non
avrebbe sopportato una delusione se voltandosi avesse visto un volto
sconosciuto.
Le
iridi scarlatte lo squadrarono stupefatte, quasi
terrorizzate. La bocca irriverente era muta, aperta in un esclamativo
senza
parole, e i capelli argentei incorniciavano scompostamente quel viso
bellicoso.
«Gilbert…»
Il
suo primo impulso fu di schiantarsi sul suo petto come
faceva quando era piccolo, aggrappandosi alle spalle con le braccia e
al bacino
con le gambe. Ma lo avrebbe scaraventato giù da Gilbird se
ci avesse provato,
così attese composto che il fratello fosse smontato dal suo
famiglio e si fosse
portato al suo fianco.
La
mano callosa salì lentamente, quasi con fatica, fino ad
appoggiarsi sul suo capo biondo.
La
rassicurazione che il fratello era effettivamente lì, e
non era un miraggio, colorò il ghigno
dell’Hellsing con una punta della vecchia
sfrontatezza.
«Una
volta ero io il più alto…»
La
frase si spense in uno sbuffo strozzato, quando il
Guardiano si chinò fulmineamente per abbracciare il fratello.
«Anche
se sei più basso, sei sempre il più grande eroe
della
Galassia, per me» scandì Ludwig, la voce profonda
appena traballante per
l’emozione.
Gilbert
sorrise, accarezzandogli bonario la nuca. Anche se
era cresciuto come un mastodonte, era pur sempre il suo fratellino.
«Non
sono io a essere più basso. Sei tu che sei cresciuto
troppo.»
«Tu
devi essere l’Hellsing, il fratello di Ludwig.»
Il
Guardiano si scostò per permettergli di vedere la
figurina ammantata di bianco che gli si affiancò, e che si
appoggiò
immediatamente a lui per sostenere le gambe spossate.
Gli
sembrava incredibile che tutti loro, briganti ed eroi,
avessero rischiato tanto per un ragazzino così filiforme.
Tuttavia,
doveva ammettere che, anche se non arrivava
nemmeno alle loro spalle, pareva di dover alzare lo sguardo per
incrociare i
suoi occhi. Il potere magico che lo permeava era innegabile: lo spazio
e le
stelle stesse sembravano inchinarsi di fronte a lui.
«E
tu devi essere l’Asse» Gilbert non poté
trattenere una
smorfia a metà tra il sarcastico e il malizioso. Se
l’annuncio che aveva fatto
qualche ora prima quel ragazzino era vero, lui e suo fratello
avevano… Ludwig
era davvero cresciuto. Anche se non
capiva come avesse fatto a non spezzare quel ramoscello di ragazzo.
Feliciano
si voltò, porgendo la mano a Lovino, che la
afferrò istantaneamente.
«Diamo
l’annuncio» lo spronò con garbo.
I
due gemelli invocarono un semplice incanto per espandere
le loro voci in modo che rimbombassero all’interno di ogni
singola sfera
artificiale.
«Il
Vaticano è crollato» proclamarono.
«Siamo liberi!»
Lo
spazio quasi crollò per il boato di gioia che esplose
dalla flotta di ribelli tutto intorno.
Lovino
strinse la mano di Feliciano, e allungò l’altra
verso
il fianco di Antonio. Finalmente, aveva tra le dita i due motivi per
cui aveva
lottato: l’uomo che amava e il suo adorato fratello.
«Siamo
liberi» ripeté ad Antonio.
Il
capitano lo abbracciò in vita, stringendolo a sé.
«E
siamo insieme» sottolineò l’uomo.
E
si unirono all’urlo di trionfo del resto della ciurma.
OMGOMGOMGOMG!!!
Mancano
tre
capitoli ç_ç Tre intensi capitoli e
sarà tutto finito ç_ç
OMG,
non mi
sembra vero ç_ç
Ma
poi ci
saranno gli spin-off *si massaggia le tempie*. Sì, dopo ci
saranno gli
spin-off. E la nuova long, sempre con i nostri beniamini, con richiami
a “Il
fantasma dell’opera”<3
Anyway…
nulla da
dichiarare, a parte che MANCANO SOLO TRE CAPITOLI AL FINALEOHGOD!!!!
Beh…
grazie per
essere arrivati fin qui<3
Che
i ribelli al
Vaticano siano con voi<3