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Autore: HamletRedDiablo    22/09/2014    6 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Venticinque: la fine del Vaticano

 

Lovino e Feliciano non erano i primi gemelli della famiglia Vaticana.

Prima di loro, più di trecento anni prima, erano nati Francis e Jeanne.

Ritenuta la parte debole, Jeanne fu annegata all’età di due anni: la piccolina fu accidentalmente lasciata gattonare troppo vicino al torrente, e sfortunatamente nessuno udì la sua lotta con i flutti. Nessuno poteva uccidere un Vargas, se non la volontà divina; Jeanne era stata abbandonata al suo destino come Lovino era stato scaricato su un pianeta deserto. Un tragico incidente, recitavano le cronache Vaticane.

Francis divenne Asse non appena compiuta la maggiore età. Fu chiaro fin dai suoi primi anni di vita che sarebbe diventato uno degli astri più luminosi nella storia Vaticana: a soli dieci anni era in grado di sconfiggere i migliori maghi della Galassia; a dodici aveva vinto un duello privato con il Figlio del Cielo di allora.

Quello che la sua famiglia non sapeva, era che Francis non aveva mai perso di vista la sorella. I suoi enormi poteri gli avevano permesso di osare qualcosa che era condannato come tabù: parlare con i morti.

Jeanne chiacchierava con lui, cantava e si emozionava per i fiori, come qualunque altra ragazza della sua età. Ciò che la distingueva dalle altre era che solo il fratello la poteva vedere.

Francis fu davvero felice di poter contare sul supporto della sorella quando, al momento dell’Auspicio, aveva visto il futuro della Confederazione.

Sei pallido, aveva notato Jeanne, non appena il fratello aveva fatto ritorno.

«Ho visto il futuro» esalò Francis, abbandonandosi su una poltrona nivea. «La Confederazione scomparirà tra circa trecento anni.»

Cosa?

«Il Vaticano ha fatto molti errori» mormorò, carezzando la guancia inconsistente della sorella. «E continuerà a farne. Seminerà sangue e raccoglierà guerra. E tutto finirà in cenere e lacrime.»

Jeanne volò rasente al soffitto, il viso tra le mani.

Non si può fare niente per impedirlo?

«Una seconda visione si è sovrapposta alla prima» rivelò Francis. «Il Vaticano crollerebbe comunque, ma la maggior parte delle persone presenti nella Confederazione sopravvivrebbero.»

Cosa ti fa tentennare, fratello?

Francis si aggrappò ai braccioli della poltrona per issarsi a sedere.

«Dovrò spargere a mia volta molto sangue. Per diventare un ingranaggio del destino, bisogna sporcarsi le mani. Dovrò trascinare fin qui un alieno innocente perché possa spiegarci come effettuare un viaggio extradimensionale, dovrò convincerlo a distruggere un pianeta intero, dovrò osservare i miei amici che soffrono e aspettare, perché nulla muove il fato velocemente come il dolore…»

E…?

«E dovrò condannarmi a una vita di continue reincarnazioni. Questi eventi avranno bisogno di anni e secoli per avvenire. Sarò l’unico mostro eternamente vivo in una Galassia di fantasmi.»

Lo farai, fratello?

La schiena del giovane Asse si adagiò di nuovo contro la poltrona.

«Lo farò, sorella. Per il futuro. Perché la Galassia non può crollare per la mia codardia. Ma non lo farò sorridendo.»

Troverai la forza di sorridere, in qualche modo. Ti conosco.

Quasi a confermare le parole di Jeanne, le labbra di Francis si stesero naturalmente in una curva dolce.

«Due gemelli come noi. Loro saranno il tassello finale» annunciò l’Asse. «Ma non troveranno mai la strada da soli. Per questo ti chiedo un favore, Jeanne: accompagnali.»

In che modo?

«Diventa il loro animale guida, il loro gregario, quello che preferisci. Ma sarà un compito ingrato, Jeanne.»

Perché?

«Ho letto i testi sui gemelli. Sì, quelli che il Vaticano ha bollato come “letture eretiche”.»

Non voglio nemmeno chiederti come li hai ottenuti.

Un ghigno scaltro scintillò negli occhi color fiordaliso dell’Asse.

«Credimi, sorella, è meglio che tu non lo sappia. Comunque, ho finalmente capito perché i gemelli sono considerati portatori di sfortuna, all’interno della famiglia Vaticana. E non è per la presunta anima divisa a metà» Francis si alzò in piedi, e cominciò a misurare la stanza a larghe falcate. «Quello che i gemelli hanno in comune non è l’anima, ma il potenziale magico. Anzi, non l’hanno esattamente in comune…»

Spiegati meglio.

«È come se i gemelli fossero collegati da un sottilissimo filo di energia» Francis indicò l’ombelico. «Una specie di cordone ombelicale spirituale. E questo filo di energia mette in comunicazione le loro forze magiche. In un individuo singolo, il potenziale magico si divide in ombra e luce; per i gemelli è lo stesso, ma, per via di questo filo, se uno è luce, l’altro è ombra e viceversa.»

Non capisco.

«È complicato, in effetti» si scusò Francis, e mimò con le mani due piatti di bilancia per far comprendere meglio alla sorella. «Quando un individuo singolo usala sua energia positiva, quella negativa viene momentaneamente messa da parte per permettere alla luce di sfolgorare al massimo del suo potenziale» la mano sinistra calò verso il basso, mentre la destra si sollevò a livello del suo viso. «L’ombra viene momentaneamente accantonata all’interno dello stesso individuo. Ma per via del cordone ombelicale spirituale…»

Nei gemelli, quando uno dei due usa il potere della luce, scarica tutto il potere d’ombra sull’altro.

«Esattamente. Per questo i gemelli non sono ammessi nelle famiglie Vaticane. Pensa se uno dei due diventasse Asse e l’altro decidesse, anche solo per una volta, di usare l’energia bianca: un Asse insozzato sarebbe un vero disonore, non trovi?»

 È orribile…

Francis annuì, costernato. Le atrocità che il Vaticano era in grado di commettere in onore della purezza erano incredibili nella peggiore accezione della parola.

«I gemelli hanno anche una seconda caratteristica. Un singolo individuo ha solo un corpo, per contenere il suo potenziale magico. I gemelli, invece, ne hanno due» il sorriso che si stese sulle labbra di Francis quasi gli sgretolò la faccia. «Se pensano che io sia potente, immagina cosa potremmo fare insieme, sorella.»

Jeanne volò di nuovo vicino a lui, e lo fissò intensamente con i suoi occhi chiari.

Prima hai detto che sarebbe stato un compito ingrato occuparmi dei gemelli. Perché?

Il volto di Francis si rabbuiò.

«Poiché quei libri sono stati riconosciuti come immorali e distrutti quasi totalmente, solo noi due siamo a conoscenza di questa particolarità dei gemelli. Il resto della Confederazione è convinto che un gemello erediti la parte malvagia dell’anima e l’altro quella buona, e che quindi sia necessario uccidere il malvagio. Solo noi due sappiamo che entrambi i gemelli possono essere luce e ombra allo stesso tempo, che è una loro scelta» Francis prese un lungo respiro, prima di buttare fuori: «Dovrai scegliere il gemello più testardo, e fargli credere che sia lui il gemello maledetto. Dovrai fargli credere di essere del tutto oscuro.»

Jeanne fluttuò lontano da lui, inorridita.

«È necessario!» si giustificò Francis. «Sarà il desiderio di riunirsi al fratello a muoverlo in modo da decretare la fine della Confederazione per come la conosciamo.»

E non pensi a lui? Come si sentirà quel povero bambino?

«Potrà ancora abbracciare il fratello, e lo farà, alla fine. Credo che sia un bambino molto fortunato.»

Jeanne si fermò a mezz’aria, folgorata da quell’asserzione. Un bambino più fortunato di loro: loro non erano mai riusciti a scambiarsi un vero abbraccio. Avevano solo quelle carezze di vento che ogni tanto Jeanne gli faceva, come in quel momento.

Francis chiuse gli occhi, mentre la brezza della mano della sorella gli sfiorava la frangia bionda.

«Ho paura» confessò, flebile. «Diventeremo due ladri di vite, anche se per la salvezza della Confederazione. Dei predoni…»

Marauder.

«Come?»

Nella tua prossima incarnazione. Fatti chiamare Marauder, e conduci verso l’aldilà tutte le anime che non sei riuscito a salvare. Sarà il tuo modo per espiare.

Francis annuì dolcemente, senza aprire gli occhi.

«Marauder» ripeté. «Non suona male…»

Diventerò un lupo nero, continuò Jeanne, accarezzando gli zigomi del fratello. Un lupo nero per il fratello malvagio. E un leone dorato per quello buono.

«E io sarò la mano che li condurrà a te.»

E insieme condurremo tutti fuori dalla Confederazione.

«Prima c’è una cosa che dobbiamo fare.»

Che cosa, fratello?

Francis le assegnò il ghigno che percorreva sempre le sue labbra quando macchinava qualcosa.

«Ordinare la costruzione di un ventre di pietra in grado di assorbire le energie vitali.»

 

***

 

Francis passò le dita sulla concavità liscia, erosa dai secoli.

«Proprio questo» sussurrò, seguendo il filo dei suoi ricordi.

Il signor Vargas stava sbraitando qualcosa, ma nessuno dei presenti vi fece caso: il Marauder era troppo occupato a ispezionare il ventre cavernoso, e Ludwig stava concentrando tutte le sue energie nel liberare Feliciano senza fargli del male.

«La Confederazione crollerà, senza un Asse a reggerla!» sberciò l’uomo, le vene sporgenti sul collo cianotico.

Francis voltò la testa molto lentamente, a occhi chiusi, mostrando tutto il suo disappunto per quelle continue interruzioni.

«È ovvio che la Confederazione crollerà» comprovò. «Siamo qui per sbriciolarla fino all’ultimo frammento. Non può esserci rigenerazione, senza distruzione.»

«Se la Confederazione crolla, morirete anche voi!»

«Se fossimo all’interno della Confederazione, certo. Ma noi stiamo pianificando un lungo e rilassante viaggio extradimensionale.»

Gli occhi del signor Vargas si spalancarono tanto che per poco non esplosero.

«Voi siete pazzi…» sputacchiò.

«Noi pianifichiamo la salvezza di migliaia di persone, voi avete sterminato interi pianeti. Date le circostanze, sono lieto di essere pazzo.»

Uno schiocco secco annunciò l’avvenuta liberazione di Feliciano. Il suo Guardiano si chinò sulle ginocchia per impedirgli di cadere al suolo, e lo strinse gentilmente tra le braccia finché le gambe dell’Asse non gli permisero di alzarsi faticosamente in piedi.

Francis coccolò i suoi occhi stanchi con l’immagine di Ludwig che sorreggeva Feliciano, facendosi passare un suo braccio attorno alla vita e stringendogli le spalle con la mano forzuta. Era bello sapere che nella Confederazione c’era ancora un po’ di amore sincero.

Si rammaricò quando il signor Vargas rovinò anche quel momento magico.

«Il Vaticano non vi permetterà mai un esodo così blasfemo!»

Un sorriso sconosciuto torse le labbra del Marauder. Non aveva nulla in comune con la sua allegra malizia o con la scaltrezza lasciva che lo contraddistinguevano. Era il ghigno di chi aveva tessuto un filo alla volta l’arazzo della sua vendetta negli ultimi trecento anni.

«Ma il Vaticano crollerà molto prima della Confederazione.»

Il signor Vargas arretrò di fronte all’espressione del Marauder. Sembrava che la sua ombra si fosse improvvisamente espansa, avviluppando tutto lo spazio circostante in una notte innaturale.

«Quando ho detto che il Vaticano ha creato con le sue mani i demoni che lo avrebbero distrutto, dicevo sul serio» Francis ancheggiò lievemente, quasi volesse sedurre la parete al suo fianco. «Ho ordinato io la costruzione di questo posto, trecento anni fa. Un luogo in grado di inglobare l’energia, staccandola dal corpo. Nessuno di voi si è mai chiesto perché abbia dato un ordine simile, vero?»

Il Marauder appoggiò la schiena alla parete e incrociò braccia e gambe, perfettamente rilassato.

«Vuoi spiegarglielo tu, Feliciano?»

«Questa parete può inglobare le energie vitali quando queste abbandonano il corpo in seguito alla morte» ansò l’Asse.

«Esatto» Francis mimò una pistola con pollice e indice, e indirizzò l’immaginaria canna verso il signor Vargas. «”Energie vitali” o “anima”. Hai idea di quante anime desiderose di vendetta questa parete abbia inglobato, in tutti questi anni? Gli Hellsing, i Carriedo… e chissà quanti altri» Francis scrutò sopra la propria spalla, e si compiacque: «Oh… vedo che stanno già cominciando ad arrivare…»

Il signor Vargas rimase muto, quella volta: il terrore gli aveva congelato le parole nel cuore.

Pallide come i ricordi di un incubo, alcune storpiature di facce umane si erano materializzate contro la parete. Parevano una processione di fantasmi disegnati con la nebbia, che premevano i loro volti spettrali contro la pietra alla ricerca di una fenditura.

«Feliciano, vuoi avere tu l’onore?» lo invitò Francis.

L’Asse fece un breve cenno di assenso con il capo, e strinse più forte il fianco di Ludwig per sostenersi.

Serrò le palpebre, e richiamò il suo famiglio. Il respiro terrorizzato del padre graffiò l’aria, inciampando nei suoi denti digrignati.

Feliciano aprì gli occhi, e non si sorprese di vedere un manto di fumo nero di fianco a lui. Allungò la mano per accarezzare Roma sulla testa, prima di sollevarla per afferrare il cappello candido e gettarlo a terra.

«Non esiste un gemello completamente puro, e non esiste un gemello completamente malvagio» dichiarò, con voce spezzata dalla fatica. «Luce e ombra sono in ognuno di noi; il bene e il male sono solo una scelta.»

«E tu scegli la distruzione!» ragliò il signor Vargas.

«Io scelgo la rinascita» replicò Feliciano.

In quel momento, la pietra dietro di lui si spezzò.

Una grossa crepa si allargò con una specie di ululato lungo tutta la caverna, spezzandola a metà. Ludwig lo strinse più forte quando il vento gelido delle lande dei morti li investì, facendo danzare le loro vesti nell’aria turbinosa.

Feliciano chiuse agli occhi, abbracciando Ludwig con tutte le sue forze.

Sentì le urla di quella gente infuriata, ma non riuscì a sollevare lo sguardo per osservare i loro volti lividi di collera.

Non era la morte a spaventarlo, e nemmeno l’ira. Ma sapeva cosa sarebbe successo a suo padre: gli spiriti avrebbero ottenuto giustizia, e lui sarebbe morto in un modo atroce.

Per quanto fosse stato spietato con Lovino, per quanto lui stesso lo avesse odiato ogni singolo giorno, era pur sempre suo padre. Sprofondò il viso nel petto di Ludwig, cercando di sotterrare gli unici ricordi buoni che aveva del genitore: le volte in cui lo prendeva sulle ginocchia e gli diceva che era fiero di essere suo padre, quando si era ammalato e lui lo aveva vegliato…

«Andiamo via» il suo tono salì di urgenza quando il primo urlo del signor Vargas gli pugnalò le orecchie. «Andiamo via!»

«C’è sempre un prezzo da pagare, Feliciano…»

«Lo so» l’Asse stroncò la lezione di Francis. «Infatti non sto aiutando mio padre.»

«Dopo tutto quello che vi ha fatto, vorresti ancora salvarlo?»

«Vorrei che ci fosse un altro sistema. Non siamo diversi da loro, così…»

La mano del Marauder si posò sulla sua testa ramata.

«Tu piangi quando devi uccidere qualcuno, anche se lo odi. Sei deciso in quello che fai, ma non diventi arido. Questo ti rende diverso, Feliciano.»

«Andiamo via» ripeté l’Asse.

Roma sfregò il muso contro la sua veste candida, e Feliciano si strinse ancora di più a Ludwig.

Il Guardiano lo sollevò tra le braccia: le sue gambe cedettero definitivamente poco prima di uscire dalla stanza, quando l’ultimo grido agonizzante del signor Vargas gorgogliò e si spense nell’aria.

Feliciano conficcò il viso nella spalla del suo Guardiano con ancora più forza.

L’eliminazione del padre era necessaria per il rinnovo della Galassia. Lo sapeva, e lo aveva accettato quando aveva deciso di rivedere il fratello e devastare la Confederazione. Tuttavia, per quanti ricordi orribili avesse accumulato in quegli anni, le poche memorie affettuose che aveva del genitore non svanivano.

Le dita forti di Ludwig gli accarezzarono i capelli, dissipando i suoi pensieri.

«Digli addio» le parole del Guardiano gli riempirono le orecchie e il cuore, e Feliciano vi si aggrappò disperatamente. «Ogni azione ha le sue conseguenze, e lui sta pagando per il dolore che ha seminato. Non è colpa tua.»

Feliciano annuì contro il suon petto mentre Ludwig lo portava fuori.

 

***

 

Lovino trasalì quando il suo famiglio cominciò a contorcersi al suo fianco.

«Roma!» il giovane si gettò sulle ginocchia, le mani che vagavano incerte sul corpo nebuloso del lupo. «Che ti succede?»

Le zampe dell’animale rasparono l’aria, le fauci spalancate in latrati singhiozzanti, finché tutto il corpo della bestia si tese come una frusta.

Lovino si rovesciò all’indietro, ritrovandosi steso sulla schiena, quando il pelo di Roma si gonfiò improvvisamente in una nuvola di luce ed energia che deflagrò l’istante successivo.

Il capitano lo aiutò a rialzarsi in piedi, ed entrambi fissarono annichiliti l’animale di fronte a loro.

«Venezia…?» balbettò Lovino, la luce dorata del leone che si spandeva sul suo volto confuso.

«Che significa?»

«Non lo so…»

I loro farfuglii stupiti furono coperti da un tremendo schiocco e un terrificante urlo.

La perplessità abbandonò Lovino in un istante: il giovane si spinse lontano dal capitano e prese immediatamente a correre.

«Lovino, aspetta!» gridò Antonio dietro di lui. «Non sai dove stai andando!»

«Da Feliciano!» il ragazzo non si voltò nemmeno per urlare la sua risposta.

«Potrebbero esserci delle trappole! Fermati!»

Gli avvertimenti del capitano non riuscirono a farsi strada nella mente di Lovino, travolta da una valanga di emozioni.

Erano anni che non sentiva il fratello così vicino.

Gli pareva di percepire un secondo battito contro il suo sterno, come quando dormiva abbracciato con il gemello. Riusciva quasi a sentire il respiro tiepido di Feliciano sul suo collo, e la sua risata rimbombargli dolcemente contro le costole.

Non vide quasi i corridoi, mentre li imboccava: per lui, il Palazzo e i suoi labirinti si erano spianati in un’unica strada dritta. Una sorta di filo invisibile legato al suo cuore e collegato a quello di Feliciano lo tirava con sempre maggiore forza, conducendolo senza la minima ombra di dubbio in quei dedali rompicapo.

Frenò bruscamente dopo aver girato per l’ennesima volta, e Antonio per poco non gli finì addosso.

Il tempo e lo spazio si fermarono, fuori e dentro di lui; i colori sparirono, e tutto sfumò in una confusa nebbia bianca. I suoi polmoni si scordarono di respirare, il suo cuore di battere e il suo sangue di scorrere. Non sentì la presenza di Antonio dietro di lui, non vide il gigante biondo; non sentiva nemmeno l’aria sulla sua pelle o la luminosità di Venezia di fianco a lui.

Il mondo si era ristretto su quel viso identico al suo; tutto il resto era polvere e fumo.

I suoi polmoni si restrinsero vedendo Feliciano trattenere il respiro, e i suoi occhi si spalancarono in sincrono con quelli del fratello.

Feliciano vide i sei anni di separazione marcati sul viso del fratello, nella sua postura e nel suo vestiario. Davanti a lui c’era un pirata, la Mano Sinistra del Diavolo, un giovane che aveva terrorizzato la Confederazione sulla Reina de la Oscuridad e che non temeva di uccidere.

Poi vide quegli stessi sei anni rimpicciolirsi fino a sparire del tutto. E davanti a lui ci fu solo suo fratello, il bambino che gli prendeva la mano mentre riposavano insieme nel letto e poi lo sfidava a riconoscere più stelle di lui.

Nessuno osò dire nulla. La realtà sembrava diventata fragile e inconsistente come un velo di cristallo: il minimo urto poteva spezzarla per sempre.

«Lovino…?»

Il mormorio titubante di Feliciano ruppe dolcemente quell’immobilità vetrosa.

Lovino sentì le lacrime fiaccargli gola e ginocchia nello stesso istante. Dalle labbra gli uscì un misero rantolo e le gambe inciamparono nel primo passo che osò muovere in direzione del fratello. Le gambe di Feliciano non si dimostrarono più stabili: l’Asse scese goffamente dall’abbraccio del Guardiano, e incespicò nei suoi passi affaticati mentre correva verso il fratello.

Lovino poté avvertire ogni millimetro di aria che le sue mani attraversarono per abbracciare il gemello, e quella lentezza lo fece quasi impazzire.

Una nuvola di profumo fresco lo avvolse quando finalmente strinse le braccia attorno alle spalle magre del gemello. Sapeva di luce, di calore, di Feliciano.

L’Asse sentì le ossa scricchiolare sotto la presa del fratello. Si era davvero irrobustito in quegli anni, al contrario di lui: evidentemente i suoi muscoli non erano stati coccolati da poltrone lattee quanto i suoi.

«Feliciano!» la voce di Lovino s’infangò nel pianto trattenuto, ma riuscì a scrollarsi di dosso le lacrime quando lo chiamò di nuovo. «Feliciano!»

L’Asse sollevò il viso dal collo di Lovino per fissarlo in volto. Le mani affiancarono gli occhi nel percorrere i lineamenti del fratello, come per sincerarsi che quel volto non fosse una proiezione onirica. L’ultima volta che lo aveva visto aveva avuto le mani incorporee dell’apparizione astrale, e non aveva potuto toccarlo. Era stato bellissimo vedere il gemello e atroce non poterlo abbracciare.

Avevano sei anni da recuperare. Così tante cose da dire, così tanti ricordi da condividere. Come tutte le volte in cui il passato era troppo e l’emozione era incontenibile, nessuno dei due disse nulla.

Rimasero a fissarsi, a riconoscere cosa era rimasto dei bambini che erano stati in quei volti che si erano spogliati dell’infanzia.

La dolcezza negli occhi di Feliciano si era indurita da una punta di cinismo, come una spina nel miele. Nelle iridi di Lovino, invece, scorreva sotterraneo un filo di amore che un tempo non esisteva.

«Non hai la croce» notò l’Asse, quando le sue dita sfiorarono il collo del fratello.

«L’ho abbandonata insieme al mio cognome» confermò l’altro. «Sono Lovino Belial, adesso.»

Le ampie maniche della veste di Feliciano gli coprirono tutta la schiena, e le sue mani si strinsero sulle sue spalle.

«Ma non hai abbandonato me.»

«Avevo promesso che sarei venuto a prenderti.»

Feliciano sorrise con gli occhi, staccandosi affettuosamente da lui.

«Ma io non ho ancora mantenuto la mia promessa» stese le braccia lateralmente, e le lunghe maniche candide fluttuarono attorno ai suoi arti esili. «Ho detto che avrei spezzato il Palazzo di Quarzo, per voi.»

Lovino lo osservò con un sopracciglio alzato, a metà tra il divertito e il perplesso, esattamente come quando da piccoli programmavano qualche marachella alle spalle degli adulti.

«Il Vaticano deve crollare. Che crolli il suo massimo simbolo» decretò Feliciano.

Lovino lo imitò, allungando a sua volta le braccia.

E il loro potere ruggì contro le pareti.

 

***

 

«L’Elfo è stato abbattuto!»

Il grido di Mathias deflagrò nella scialuppa.

Il Gunsmith si sbarazzò del comando, ormai inutile: una schiera di Cherubini aveva accerchiato l’Elfo e, sistematicamente, avevano distrutto prima le gambe, poi le braccia, e solo alla fine gli avevano dato il colpo di grazia, sbranandogli la testa. La loro creatura si era dissolta in un nugolo di cenere verde, dispersa nel buio dello spazio.

Mathias indietreggiò, una mano ancorata al petto, dove aveva appuntato la spilla di Norge. Non poteva trasformarsi: rischiava di perdere il prezioso ninnolo contenente la vita del suo innamorato.

Trafficò per qualche secondo con le assi della barca: avevano creato un doppiofondo per le armi di emergenza, e Vash non dimenticava mai di rifornirlo.

Il Gunsmith si affiancò a Roderich, un grosso fucile a canne mozze spianato davanti a sé.

Il volto raffinato del musicista era adornato da una pioggia di gocce di sudore. Era passato molto tempo da quando le sue dita si erano mosse sul violino in quel modo, e lo sforzo di concentrazione lo stava sfinendo. I polpastrelli si stavano consumando contro le corde, che vibravano sotto l’archetto come impazzite, e la sua mente si stava logorando per la fatica di controllare l’energia magica e ricordare la melodia al contempo.

Le fiamme del Figlio del Cielo tuonavano intorno a loro, proteggendoli dai Serafini, mentre la Reina e la flotta di Britannia, comandate dal Mago dell’Ovest e dalla sua copia, sfrecciavano nell’aria combattendo con soldati e Cherubini.

«Servirebbe un miracolo» masticò a denti stretti.

Non furono gli dei ad ascoltare la sua preghiera rabbiosa, ma le legioni dei morti.

Entrambe le fazioni si paralizzarono alla vista dello sciame spettrale che si riversò su di loro attraversando le pareti del Palazzo di Quarzo come se non avessero consistenza.

Nessuno capì cosa stesse accadendo: un esercito di spettri di nebbia gonfiò le sue schiere davanti a loro, prima che quello stormo di spiriti si lanciasse in battaglia con un urlo.

I Cherubini e i Serafini si sbriciolarono sotto le armi sovrannaturali di quei fantasmi assetati di giustizia; le loro ali gloriose si sfaldarono in nebulose di cenere, e i loro corpi plasmati con la magia si sciolsero in un ululato bestiale.

I soldati Vaticani si gettarono sulle ginocchia, invocando pietà. Quei fantasmi erano tornati con l’intento di avere giustizia, non vendetta, e risparmiarono coloro che chiedevano clemenza.

Prima che chiunque potesse realizzarlo, il combattimento era terminato: i Cherubini e i Serafini erano ormai solo un ricordo, e i militi Vaticani giacevano sconfitti e prostrati nelle loro sfere di atmosfera artificiale.

Il Figlio del Cielo fu il primo a riconoscere qualcuno in quelle schiere d’oltretomba.

«Kiku!» gridò.

La katana del Samurai si sollevò dal Cherubino disintegrato, l’ultimo rimasto. Rinfoderò la spada e, con la grazia che lo aveva contraddistinto in vita, si inchinò di fronte al suo sovrano.

L’aldilà non è abbastanza lontano per separare chi si ama.

Le sue parole furono udite dal cuore, non dalle orecchie di Yao: scivolarono dolci nel suo sterno, accarezzandogli lo spirito con la loro vibrazione.

«Lo so» confermò Yao, gli occhi scintillanti di lacrime di gioia. «Ora ne ho la prova.»

Non fu l’unico a riconoscere qualcuno dei propri cari in quella coorte di spiriti. Un coro di esclamazioni si sollevò dalle Aeronavi, mentre gli spettri si dividevano come gli affluenti di un fiume tra i sassi di montagna.

Il violino quasi scivolò dalle mani del musicista quando un fantasma si avvicinò a lui.

Roderich pulì gli occhiali e batté le palpebre, come se non si fidasse delle sue iridi viola. Lo ricordava bene quel viso troppo gentile per una guerriera, e quei capelli assurdamente lunghi e inspiegabilmente soffici per una Hellsing: da quando non era più l’Accordatore e la sua memoria era tornata, li aveva visti ogni notte. Nei suoi sogni, li accarezzava tra le dita; nei suoi incubi, li vedeva raggrumati di sangue.

«Sto sognando?» esalò, così flebilmente che lui stesso faticò a udirsi.

Stupido, sorrise Elizabeta.

Roderich allungò la mano umana, non quella ricostruita dai Gunsmith, per accarezzare la guancia di vento della sua amata.

«Sei venuta per portarmi con te?» non c’era paura nella sua voce: l’Inferno l’aveva vissuto in quella Confederazione; riteneva di meritarsi qualche briciola di Paradiso da consumare con la sua Elizabeta.

Non ancora, lo disilluse lei. Gilbert ha ancora bisogno di te. Ma saremo insieme, Roderich. Presto saremo insieme.

Il musicista non era mai stato un uomo loquace: il violino aveva sempre parlato più di lui. Ma, nel momento in cui la guardò negli occhi, seppe che lei aveva capito. Lei aveva sempre capito i suoi silenzi.

L’aldilà non è abbastanza lontano per separare chi si ama, Elizabeta citò le parole del Marauder, che tanti anni prima l’aveva aiutata a entrare nella parete per aspettare il momento propizio.

Roderich allargò le braccia, e la donna fluttuò tra di esse. Il suo petto di aria gelida si appoggiò su quello tiepido dell’uomo quando lo abbracciò.

Ti procurerò un violino, quando mi raggiungerai, mormorò. Voglio sentire di nuovo la melodia che hai composto per me…

Il musicista accarezzò quelle spalle incorporee, inspirando a fondo. Ma non avvertì il profumo della donna: solo una nebbia gelida gli inumidì le narici.

«Il mio diamante della battaglia…»

In quell’attimo, un rumore tremendo, come l’esplosione di un pianeta, li travolse. I marinai furono costretti a gettarsi a terra e ad aggrapparsi con tutte le loro forze alle funi per non essere sbalzati fuori dalle imbarcazioni. Mathias afferrò con una mano il bordo della scialuppa e con l’altra Roderich, evitandogli un doloroso sbarco.

Quel turbine folle si placò veloce come si era sollevato. I marinai della Reina furono i primi a sollevare la testa per sbirciare al di là del parapetto, e furono i primi a gridare per la sorpresa.

Il Palazzo di Quarzo era sparito. Anzi, per essere più precisi, l’edificio che per tanti secoli aveva ospitato gli Asse offerti dal Vaticano era stato ridotto a una costellazione di frammenti vetrosi che fluttuavano pigri nell’aria.

Al centro di quella nuvola di detriti, si ergevano alcune figure ben conosciute, avvolte dal globo di atmosfera artificiale mantenuto vivo dai gemelli.

«Capitano!» gridarono i marinai della Regina.

«Lovino» sorrise Yao.

«Francis» sbuffò Arthur.

«L’Asse!» gridarono le truppe di Britannia.

«Ludwig?»

Il gigante biondo si voltò con cautela. Gli era sembrato di riconoscere quella voce, ma non voleva sperare troppo. Aveva pregato per il fratello giorno e notte, il desiderio di rivederlo lo aveva bruciato, e non avrebbe sopportato una delusione se voltandosi avesse visto un volto sconosciuto.

Le iridi scarlatte lo squadrarono stupefatte, quasi terrorizzate. La bocca irriverente era muta, aperta in un esclamativo senza parole, e i capelli argentei incorniciavano scompostamente quel viso bellicoso.

«Gilbert…»

Il suo primo impulso fu di schiantarsi sul suo petto come faceva quando era piccolo, aggrappandosi alle spalle con le braccia e al bacino con le gambe. Ma lo avrebbe scaraventato giù da Gilbird se ci avesse provato, così attese composto che il fratello fosse smontato dal suo famiglio e si fosse portato al suo fianco.

La mano callosa salì lentamente, quasi con fatica, fino ad appoggiarsi sul suo capo biondo.

La rassicurazione che il fratello era effettivamente lì, e non era un miraggio, colorò il ghigno dell’Hellsing con una punta della vecchia sfrontatezza.

«Una volta ero io il più alto…»

La frase si spense in uno sbuffo strozzato, quando il Guardiano si chinò fulmineamente per abbracciare il fratello.

«Anche se sei più basso, sei sempre il più grande eroe della Galassia, per me» scandì Ludwig, la voce profonda appena traballante per l’emozione.

Gilbert sorrise, accarezzandogli bonario la nuca. Anche se era cresciuto come un mastodonte, era pur sempre il suo fratellino.

«Non sono io a essere più basso. Sei tu che sei cresciuto troppo.»

«Tu devi essere l’Hellsing, il fratello di Ludwig.»

Il Guardiano si scostò per permettergli di vedere la figurina ammantata di bianco che gli si affiancò, e che si appoggiò immediatamente a lui per sostenere le gambe spossate.

Gli sembrava incredibile che tutti loro, briganti ed eroi, avessero rischiato tanto per un ragazzino così filiforme.

Tuttavia, doveva ammettere che, anche se non arrivava nemmeno alle loro spalle, pareva di dover alzare lo sguardo per incrociare i suoi occhi. Il potere magico che lo permeava era innegabile: lo spazio e le stelle stesse sembravano inchinarsi di fronte a lui.

«E tu devi essere l’Asse» Gilbert non poté trattenere una smorfia a metà tra il sarcastico e il malizioso. Se l’annuncio che aveva fatto qualche ora prima quel ragazzino era vero, lui e suo fratello avevano… Ludwig era davvero cresciuto. Anche se non capiva come avesse fatto a non spezzare quel ramoscello di ragazzo.

Feliciano si voltò, porgendo la mano a Lovino, che la afferrò istantaneamente.

«Diamo l’annuncio» lo spronò con garbo.

I due gemelli invocarono un semplice incanto per espandere le loro voci in modo che rimbombassero all’interno di ogni singola sfera artificiale.

«Il Vaticano è crollato» proclamarono. «Siamo liberi!»

Lo spazio quasi crollò per il boato di gioia che esplose dalla flotta di ribelli tutto intorno.

Lovino strinse la mano di Feliciano, e allungò l’altra verso il fianco di Antonio. Finalmente, aveva tra le dita i due motivi per cui aveva lottato: l’uomo che amava e il suo adorato fratello.

«Siamo liberi» ripeté ad Antonio.

Il capitano lo abbracciò in vita, stringendolo a sé.

«E siamo insieme» sottolineò l’uomo.

E si unirono all’urlo di trionfo del resto della ciurma.

 

 

 

 

OMGOMGOMGOMG!!!

Mancano tre capitoli ç_ç Tre intensi capitoli e sarà tutto finito ç_ç

OMG, non mi sembra vero ç_ç

Ma poi ci saranno gli spin-off *si massaggia le tempie*. Sì, dopo ci saranno gli spin-off. E la nuova long, sempre con i nostri beniamini, con richiami a “Il fantasma dell’opera”<3

Anyway… nulla da dichiarare, a parte che MANCANO SOLO TRE CAPITOLI AL FINALEOHGOD!!!!

Beh… grazie per essere arrivati fin qui<3

Che i ribelli al Vaticano siano con voi<3

   
 
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