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Autore: GirlWithChakram    01/10/2014    5 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO XII: Just give me a reason
 
Quella notte Quinn e Rachel rimasero con me. Piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste e quando non ne ebbi più da versare, continuai a singhiozzare tra le loro braccia.
Nei giorni seguenti anche Kurt, Blaine e Sam vollero consolarmi. Puck mi consegnò le chiavi di casa sua, così che potessi accedere alla postazione videogame in ogni momento. Finn, che non era mai stato bravo nel confortare le persone, si limitò a togliermi da sotto gli occhi il trofeo di surf, che trovò rifugio dalla mia furia nel suo garage.
Contavo i giorni che mi separavano dalla partenza per New York, perché l’idea di ricominciare da zero in una nuova città era l’unica gioia che mi fosse rimasta.
Una mattina io e Rachel intraprendemmo un primo viaggio esplorativo nella Grande Mela, per capire esattamente dove fossero i nostri atenei rispetto all’alloggio che avevamo in affitto. L’appartamento era situato all’ultimo piano di un grande palazzo di periferia, fortunatamente in punto vicino alle stazioni dei mezzi, così che potessimo muoverci senza problemi. Avevamo abbastanza spazio per ospitare Kurt, che nel frattempo si stava preparando per lasciare Lima e cercare fortuna in città in attesa dell’audizione per la NYADA.
Una sera di metà Agosto ci ritrovammo ancora tutti al “Somewhere”. Sarebbe stata l’ultima adunata prima del Ringraziamento.
«Ho promesso ai miei di tornare a Lima una volta al mese» comunicai al gruppo.
«Ovviamente io farò lo stesso» si accodò la Berry.
«Allora noi saremo qui ad aspettarvi» ci risposero Blaine e Sam.
Finn e Puck avrebbero studiato in zona, quindi per loro non sarebbe stato un problema fare una capatina a casa di tanto in tanto.
Quinn non era certa di poter tornare con tale frequenza in Ohio, ma aveva acquistato un abbonamento per il Northeast Regional, un treno che le avrebbe permesso di arrivare a New York in un paio d’ore.
La nostra vita sarebbe cambiata completamente.
Nessuno, quell’ultima sera, nominò o fece riferimento a Santana. La mia curiosità, però, ebbe la meglio sull’orgoglio. Ero convinta che se qualcuno sapeva qualcosa di San quelli erano i suoi amici del Morgenstern.
Tentai con Anderson, ma lui, come me, non l’aveva più vista dopo il suo silenzioso addio e lo stesso esito ebbe la mia indagine con Hummel.
Mi restava solo Sam.
Tesi la mia trappola un pomeriggio, quando la Fabray era già a Yale e Noah e Finn avevano anche loro lasciato casa. Io e la mia futura coinquilina avevamo le valige pronte, era solo questione di giorni prima che ci trasferissimo definitivamente.
Lo invitai a casa per merenda e per una maratona di Underworld, era l’esca perfetta.
«Sono pronto per una dose massiccia di Vampiri e Lycan!» esultò quando lo feci entrare.
«Ho preparato una bella teglia di biscotti da sgranocchiare durante la visione… Credo sarà l’ultima maratona per un lungo tempo, purtroppo.»
«Vedrai che non cambierà nulla, noi non ci scorderemo di te e non ti abbandoneremo» mi assicurò, senza aver capito di essere caduto nel mio tranello.
«A proposito di abbandoni…» iniziai.
«No, Britt, non chiedermelo, ti prego» supplicò.
«Sam» insistetti «Sei l’unico che può sapere cosa le sia successo. Non mi dire che è scomparsa nel nulla dopo quella notte…»
«Più o meno…» commentò.
«Voglio saperlo, Evans. Ho diritto di saperlo. Che ne è stato di Santana?»
«Pochi giorni dopo quella scena al “Somewhere” si è presentata alla porta di casa mia. Mi ha detto che con i soldi vinti dalle gare e quelli che le hanno fornito i genitori ha deciso di dedicarsi interamente al surf. Mi ha mandato una mail dalla California dicendo di aver vinto l’ennesima competizione e che si stava preparando per volare in Australia.»
«Ha mai…?» tentai di articolare una domanda, ma il resto delle parole mi morì in gola.
«No, mi spiace, non mi ha mai chiesto di te.»
«Pensi che tornerà?»
«Santana è sempre stata uno spirito libero, un lupo solitario. Credo che stia cercando la propria strada e se pensa che le onde la possano guidare verso il proprio futuro… Beh, non credo che la rivedremo presto» mi confidò «Mi manca molto. Siamo stati amici per una vita intera, io, il ragazzino nerd con la faccia buffa, e lei, la stronza introversa, eravamo la coppia perfetta.»
«Le hai insegnato tu il Na’vi?» domandai.
«In realtà lo abbiamo imparato insieme. Anche lei è sempre stata un’appassionata di queste cose, anche se bada bene a non farlo sapere in giro» spiegò «Immagino che te lo abbia tenuto nascosto.»
«Già, dimostrava di saperne un po’, ma non hai mai certo detto di essere come noi.»
«Irrecuperabili fanatici?»
«Precisamente.»
«Senti Brittany, so che potremmo andare avanti a parlare di lei per ore, ma farebbe male ad entrambi perché dobbiamo accettare il fatto che ha preferito l’oceano a noi. Allora, mettiamo o no il primo film?»
«Certo» replicai, scuotendomi leggermente per scacciare il velo di tristezza che io stessa avevo voluto evocare «Che la guerra più antica di sempre abbia inizio!» conclusi afferrando uno dei biscotti.
Cinque giorni dopo quell’evento, Rachel ed io prendemmo l’aereo verso quella che sarebbe stata la nostra dimora per i successivi quattro anni di studio e forse anche oltre.
Il 4 di Settembre cominciai la mia vita alla Julliard e fui costretta a confrontarmi con la dura realtà: il mondo non era un posto in cui potevo lasciarmi prendere dai miei viaggi mentali o dalle mie fantasie. Dovevo concentrarmi e dedicarmi anima e corpo alla scuola.
Quinn veniva a trovarci ogni dieci giorni e ci parlava di quanto fosse noiosa New Haven e quanto fossero snob gli altri studenti, però le materie le piacevano. Aveva deciso cosa fare della sua vita: voleva diventare una leader, perché quella era la sua natura. Studiava per ottenere un diploma di manager, poi si sarebbe fatta ingaggiare da qualche impresa e, passo dopo passo, si sarebbe fatta strada fino alle alte sfere.
Rachel era tutta presa dalle sue lezioni di canto e dal sopravvivere alla sua insegnante di ballo, una certa Cassandra July, che l’aveva presa subito in antipatia.
Kurt ci raggiunse ai primi di Ottobre, portando con sé una ventata di allegria in casa Berry-Pierce. In un primo momento si era occupato di tenere in ordine gli spazi mentre l’ebrea ed io eravamo a lezione, poi quando trovò un lavoro come cameriere canterino, nell’alloggio tornò a regnare il caos.
Ogni giorno chiamavo la mia sorellina su Skype perché sentivo terribilmente la sua mancanza. Le prime volte avevamo pianto entrambe, ma col passare delle settimane era andata sempre meglio.
La prima volta che tornai a casa, lei mi fece trovare una gigantesca torta di bentornato che mi costrinse a mangiare guardando tutti i film Disney su cui riuscì a mettere le mani. Rividi Blaine e Sam, ma non Finn e Noah, che erano troppo presi dalla loro vita universitaria per passare a salutare. Ovviamente ci tenevamo in contatto tramite telefono e computer, ma non era come averli lì per fare le solite battute, scherzare come avevamo sempre fatto.
Quando giunse la festa del Ringraziamento riuscimmo a riunirci tutti e notai come le dinamiche all’interno del gruppo fossero cambiate. I Klaine, non vivendo più a stretto contatto ogni giorno, sembravano rinascere le volte che riuscivano a ritrovarsi e lo stesso valeva per i Finchel. Puck e Quinn avevano deciso di non portare avanti la loro relazione per via della distanza, ma potevamo tutti notare una particolare chimica tra loro che sarebbe rimasta a prescindere dalla natura del loro rapporto.
Trascorremmo quel breve periodo di vacanza restando praticamente sempre insieme e ci lasciammo con la promessa di ritrovarci a Natale.
Il tempo prese a scorrere più velocemente dopo quella gita a Lima.
In un battito di ciglia, arrivò Dicembre con la pausa invernale, arrivò la lettera di ammissione di Kurt dalla NYADA, arrivò una telefonata di Ashley che mi diceva di essersi innamorata di un suo compagno di classe, arrivò Quinn con al braccio un tipo belloccio presentandolo come “il suo ragazzo”. Arrivò anche un messaggio di Sam: “Mi ha mandato gli auguri per le feste e il nuovo anno. Non ho idea di dove si trovi. Ha detto di salutare tutti.”
Quella fu l’ultima volta che ci fece avere sue notizie. Con l’arrivo dell’anno nuovo divenne un vero e proprio fantasma che tormentava i miei pensieri di giorno e i miei sogni di notte. Per fortuna i ritmi sempre più pressanti della Julliard finirono con il trasformarmi in un automa incapace di dedicare attenzione ad altro che non fossero passi e coreografie.
Ma il destino aveva in serbo un’altra svolta.
Una mattina di Marzo una mia compagna di corso mi avvisò dell’assenza di un professore, garantendomi una giornata di pace. Così, invece di uscire per andare a scuola come ogni giorno, rimasi a crogiolarmi nel letto, ignorando deliberatamente la pila di piatti sporchi che avevo promesso di lavare la sera prima. Per godermi appieno quell’inaspettata vacanza decisi di tornare alle mie vecchie abitudini: recuperai la mia sacra copia di “Harry Potter e i doni della morte” e persi la cognizione del tempo.
Il rumore delle chiavi che giravano nella serratura mi distolse dalle avventure del maghetto per ricatapultarmi nella realtà.
«Dici che gliene dovremmo parlare?» domandò Kurt.
«Non credo sia una buona idea… Ci ha messo così tanto per andare avanti. Questo la farebbe ripiombare nell’incubo di sei mesi fa» rispose Rachel.
«Ma non penso che sarebbe giusto tenerglielo nascosto. Non so neppure più quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ha saputo qualcosa di lei.»
Realizzai di chi stessero parlando e balzai in piedi. Avrei voluto fare irruzione in salotto, ma mi resi conto di essere in mutande e reggiseno, quindi mi vestii in tutta fretta e poi uscii dalla mia camera per affrontarli.
«Cosa sapete di Santana?» li assalii.
«E tu cosa ci fai a casa!? Stamattina non avevi lezione?» si stupì l’ebrea.
«Mancava l’insegnante» spiegai brevemente.
«Avresti potuto mettere un po’ a posto allora» mi rimproverò la mia amica.
«Non cercare di cambiare argomento, hobbit. Sputate il rospo!»
«Beh, a quanto pare gliene dovremmo parlare per forza» commentò Hummel.
«Meno chiacchiere, più informazioni» ringhiai.
«Va bene, va bene, basta che non ci uccidi!» cercò di calmarmi la Berry.
«Sono io a doverti raccontare…» intervenne ancora una volta il ragazzo «Un paio di ore fa mi ha chiamato Sam.»
«E...?»
«L’ha vista, questa mattina. A Lima.»
Sbiancai e mi sentii svenire.
«Ha cercato di avvicinarla» continuò lui «Ma è scappata prima che avesse il tempo di farle qualsiasi domanda. Ha provato a chiedere di lei a casa, ma i genitori affermano che sia ancora in giro per gareggiare.»
Non sapevo cosa dire, ero sconvolta.
“Vai a prendere un maledetto aereo. Subito!” mi suggerì la Coscienza.
“Io con te non voglio aver a che fare. Lasciami pensare in pace” zittii la voce molesta nel mio cervello.
«Cosa hai intenzione di fare?» mi domandarono in coro.
«Niente…» li sorpresi «Non ho tempo per inseguire uno spettro. Lascerò che il destino faccia il proprio corso.»
Quando la notizia giunse alle orecchie della Fabray, lei prese il primo treno per la Grande Mela e venne per farmi una colossale paternale con il solo scopo di rispedirmi a Lima per affrontare la latina una volta per tutte.
Anche Blaine cercò di farmi tornare, ma io non mi lasciai convincere.
Però arrivarono le vacanze di primavera e non potei resistere ai dolci occhi di Ashley che mi supplicava di tornare a casa per passare un po’ di tempo insieme.
Il tragitto dall’aeroporto alla mia dimora lo trascorsi guardando fuori dal finestrino, cercando nel volto di ogni passante i magnetici occhi scuri che tanto mi mancavano.
«C’è una cosa che devi sapere» bisbigliò Ash non appena la rividi «Da qualche settimana c’è un’ombra che mi spia. Io l’ho detto a mamma e papà, ma non mi hanno creduto. Anche Lord Tubbington l’ha vista!»
Io cominciai a preoccuparmi: «Cosa vuol dire che ti spia?»
«L’ho notata, sta sotto la mia finestra e gira per il giardino… Ho paura si tratti della strega di “Biancaneve”…»
«Oh, Ash. Quante volte ti devo ripetere che il suo fantasma non verrà a tormentarti? Non potrebbe essere un’ombra buona?»
«Come quella di Peter Pan?»
«Esatto. Magari è l’ombra di Peter che ha deciso di fare una vacanza a Lima.»
«E mi porterà sull’Isola che non c’è?» mi chiese, sperando in una risposta affermativa.
«Solo se farai la brava.»
La storia del misterioso fantasma del giardino non mi convinceva per niente. Se qualcuno stava sul serio pedinando mia sorella io lo avrei scovato e gli avrei fatto assaggiare il mio temibile calcio rotante.
Preparai tutto per un appostamento come avevo visto fare in tanti film. Mi sistemai vicino alla finestra, mazza da baseball e spray urticante alla mano, e attesi. Ashley dormiva tranquilla e io non avevo ancora notato nulla di anormale, ma Lord T. si svegliò all’improvviso e lasciò la pila di coperte su cui riposava per venire a controllare fuori dal davanzale.
Se il mio gatto aveva sentito qualcosa, allora era il momento di agire.
Scesi le scale cercando di fare il meno rumore possibile, anche perché i miei mi avrebbero dato della pazza vedendomi girare per casa armata come accadeva solo nei peggiori film horror.
Sgusciai fuori dalla porta, pronta a svoltare a sinistra verso l’altro lato della casa, dove si trovavano la mia camera e quella di Ash, ma una figura mi afferrò il polso e mi portò una mano alla bocca per impedirmi di urlare.
«Pierce! Pierce, per l’amor del cielo» iniziò a sbraitare lo sconosciuto quando lo addentai «Sono Puck!»
Mi divincolai per poter manifestare appieno il mio shock. «Puck!? Che diavolo ci fai tu a spiare mia sorella!? Dovresti essere al campus!»
«Ho mollato… Mi annoiavo troppo» rispose facendo spallucce.
«Ma… Ma… Cosa ci fai qui, nel cuore della notte?»
«Niente di particolare… Facevo un giro e ho pensato di passare a salutarti.»
«Ma non ti sei fatto vivo per settimane! Ho persino iniziato a pensare che qualche strana confraternita ti avesse sacrificato al dio del Pi greco!»
«Beh, mi vergognavo un po’ a farvi sapere che ho lasciato il college. Voi altri adesso siete tutti un branco di super geni, mentre io sono solo… Me.»
«Oh, andiamo Noah» cercai di consolarlo «Non dire così, tu sei molto in gamba… Per esempio, questa mossa ninja che hai usato per bloccarmi, potrebbe essere un ottimo spunto da cui partire. Hai mai pensato di fare il maestro di arti marziali o qualcosa del genere?»
Lui ridacchiò, poi tornò serio. «Ho fatto richiesta per l’accademia militare. So che dovrò rasarmi la cresta, ma è un’alternativa migliore che un futuro da teppista criminale. Voglio mettere la testa a posto.»
«E da quando sei diventato così saggio?» domandai con una punta di ironia.
«Da quando una sconosciuta è entrata nella mia vita e mi ha aiutato a capire che la vita non va sprecata. Ho passato la mia adolescenza a combinare un disastro dietro l’altro. Mi ci vuole disciplina e l’esercito mi aiuterà in quello. Mi renderà un uomo migliore.»
«Puck…» mormorai abbracciandolo «Tu sei già un uomo fantastico.»
«Allora perché non vieni a letto con me?»
Gli tirai uno dei miei soliti scappellotti. «Forse un po’ di autocontrollo non ti farebbe così male…»
Ad un tratto notai che stava fissando un punto alle mie spalle, così mi voltai e potei scorgere un’ombra che compariva da dietro la casa.
«Ma cosa!?» gridai preoccupata.
«Calma» disse l’ebreo, riacciuffandomi «Abbiamo orchestrato tutto. Devi restare qui ancora qualche secondo.»
Spalancai la bocca, cercando di ottenere spiegazioni, quando udii il chiaro suono di una finestra che veniva chiusa.
«Che cosa avete combinato? E soprattutto, perché hai parlato al plurale?»
«Tua sorella sa mantenere bene i segreti…» rispose enigmatico.
«Pretendo una spiegazione!»
«L’avrai, a suo tempo. Ora è meglio che tu vada, non vorrei mai che fosse successo qualcosa mentre eri qui fuori…»
«Noah, io…» tentai di dire qualcosa, ma mi resi conto di avere il cervello completamente vuoto.
«Non c’è di che» disse, per poi allontanarsi verso la sua auto, parcheggiata dall’altro lato del viale.
Mi precipitai in camera, ben sapendo che doveva essere successo qualcosa.
Spalancai la porta e la vidi: una lucida tavola da surf bianca, decorata in rosso, appoggiata accanto alla finestra. Notai subito il biglietto che vi era attaccato.
Mi dispiace.
Di nuovo.
Travolta dalle emozioni, mi fiondai in camera di mia sorella, per estorcerle ogni cosa.
«Parla, demonietto» la apostrofai «Che cosa avete fatto?»
Lei mi sorrise «Ho solo fatto quello che avrebbe fatto un valido aiutante. Quando alla fine del film l’eroe si trova da solo, lontano dal suo vero amore, c’è bisogno che qualcuno lo aiuti a sconfiggere il cattivo e a ritrovare la strada.»
«Non c’è tempo per le metafore! Puck cosa ti ha detto di fare?»
«Ha detto che dovevo dirti della strana ombra» mi spiegò «Allora tu avresti voluto controllare e saresti uscita. Lui ti avrebbe distratto così io avrei potuto aprire la finestra per far salire Valerie.»
«Valerie?» domandai.
«Sì, la ragazza con la tavola. Ha piazzato la scala sotto la finestra e si è arrampicata in fretta lasciando lì il surf. Poi io dovevo richiudere la finestra e tornare a letto.»
Non sapevo come prenderla. Quello era il piano più assurdo, stupido e al contempo meglio orchestrato e più geniale che io avessi mai sentito.
«Ora dovresti andare, è il momento in cui va in scena il lieto fine e non puoi permetterti di perderlo» concluse, decisa a tornare a dormire.
«Grazie, Ash» dissi con le lacrime agli occhi «Ti voglio talmente bene da non sapere come dirlo…»
«Vai BriBri» mi rimproverò «O non avrò fatto bene il mio lavoro.»
Corsi in camera e posai lo sguardo su Valerie. Non capivo cosa significasse esattamente quel gesto, ma era una prova. Santana era tornata ed era stata lì.
Cercai di capire dove avrei potuto trovarla.
“Ma è ovvio, no?” fece capolino la consueta voce “Tu stavi parlando con Puck e hai visto quell’ombra, poi lui è andato via in macchina, nel cui bagagliaio, guarda caso, avrebbe potuto trasportare una tavola da surf. Come se non bastasse, tua sorella ti dice che una ragazza è stata lì e tutto era organizzato da Noah! Non credo ci voglia una laurea per capire quale sia la tua prossima meta.”
Avrei voluto prendermi a pugni per essere stata tanto stupida.
Mi infilai le prime cose che trovai nell’armadio e in un lampo mi ritrovai in sella alla mia motocicletta.
Il viaggio fu breve, viste le strade vuote e la velocità folle a cui guidai per arrivare a casa Puckerman.
Trovai il Mohawk ad attendermi sulla soglia e gli rivolsi un’unica frase: «Non avevi bisogno che piombasse una sconosciuta nella tua vita per trovare la strada verso il tuo futuro felice.»
«Forse è vero, io non ne avevo bisogno» ammise con il più sincero dei sorrisi «Ma tu sì.»
Mi lasciò entrare ed io, cercando di non fare troppo rumore, mi diressi verso camera sua, dove tante volte mi ero rintanata per ore ed ore per dimenticare me stessa e il mondo fuori, perdendomi nei suoi allucinanti videogame.
Socchiusi la porta. Una figura si stagliava contro la luce dei lampioni che entrava dalla finestra.
Prima che potessi realizzare cosa stesse accadendo, cominciò a cantare.
Just give me a reason
Just a little bit’s enough
Just a second we’re not broken, just bent
And we can learn to love again
It’s in the stars
It’s been written in the scars on our hearts
That we’re not broken, just bent
And we can learn to love again
Era il ritornello di una canzone famosa che non riuscivo a ricordare. Lo mormorava appena, quel tanto che bastava perché potessi comprenderne le parole.
«Sapevo che saresti venuta» mi disse, dopo aver interrotto il canto.
«Sai che questa è la frase più cliché che potessi dire?» commentai.
«Lo so, ma non sapevo che altro inventarmi.»
Ero paralizzata. Non capivo il senso di tutto ciò. Ero confusa come non mai, persa tra il ricordo dei momenti belli e l’amarezza dell’abbandono.
«Cosa vuoi?» articolai, cercando di riconnettere qualche neurone.
«Voglio solo parlarti, voglio che tu mi dia modo di spiegare, poi, se vuoi, sparirò per sempre.»
«La prima volta non ti sei fatta molti scrupoli…»
«Britt» mormorò dolcemente «Mi dispiace. So di avertelo già detto…»
«Scritto» ci tenni a puntualizzare.
«Sì, scritto… Ma non era certo abbastanza.»
«Su questo siamo d’accordo.»
«Ti supplico, lasciami parlare…»
«No» risposi. Quella sillaba non uscì di mia spontanea volontà, come non fui certo io a comandare al mio corpo di gettarsi addosso alla latina. «Adesso non voglio parlare, voglio solo stringerti forte e sentirmi dire che resterai con me.»
Santana mi cinse con le braccia e mi sussurrò all’orecchio: «“Sempre”»

NdA: e, con la più nota citazione potteriana possibile, si conclude anche questo capitolo. Mi piange il cuore all'idea che ne manchi solo più uno, non sono pronta a lasciar andare questa storia... Ma non voglio dilungarmi, mi sfogherò la prossima volta (ebbene sì, non scamperete ai miei deliri). Senza perdere altro tempo, passo ai ringraziamenti: a wislava, strapelot, HeYa Shipper e Fyo per le recensioni, grazie a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e grazie a chiunque abbia letto, pur rimamendo nell'anomimato. In attesa di domenica (tanto per farmi un po' di pubblicità) se avete tempo e voglia passate a dare un'occhiata al primo capitolo della mia nuova ff, ovviamente Brittana, Faking, se no, vi rinnovo i miei ringraziamenti e vi aspetto per l'ultimo aggiornamento. A presto.

 
   
 
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