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Autore: Non ti scordar di me    01/10/2014    6 recensioni
Può un amore fraterno trasformarsi in altro? In passione? In un’ossessione? In amore?
Damon dopo vent’anni d’assenza ritorna a casa dal padre, dal fratello Stefan e dalla piccola Elena che ormai non è più tanto piccola.
Elena lo odia, lo odia per i suoi modi di fare, lo odia per essere il fratello peggiore al mondo e lo odia perché prova per lui un’attrazione illecita.
E se Damon si stesse spacciando per qualcun altro? Elena è invaghita di un misterioso ragazzo di cui non sa neanche com’è il volto e s’incontra con lui ogni giorno alla biblioteca del college. E se i due, in realtà, fossero la stessa persona?
I due sono veramente fratelli? O sotto si cela un segreto più grande?
Dalla storia:
Le sue labbra erano troppo soffici. Era sbagliato. Noi eravamo sbagliati, quella situazione era sbagliata. I loro sentimenti erano sbagliati.
Si era innamorata di suo fratello. Può una vittima innamorarsi del suo aguzzino? Può una persona innamorarsi di un ricordo? Può una sorella innamorarsi di suo fratello?
“Siamo sbagliati…” Sussurrai.
“Siamo le persone sbagliate al momento sbagliato, eppure non mi sono mai sentito meglio con un’altra persona e in un altro momento.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tredici.
For Katherine.
 
Ero seduta su una piccola sediolina scomoda nella chiesa di Mystic Falls. Tenevo gli occhi socchiusi e massaggiavo le tempie col pollice e l’indice.
In quei giorni non riuscivo più a parlare con qualcuno senza che il volto di Matt si materializzi sotto il mio sguardo.
Non credevo fosse possibile che Matt…Una delle persone più importante – e anche più odiose – delle mia adolescenza ci lasciasse solo per quel banale incidente. Per era banale. Era stato banale, stupido…Insignificante. Era stata solamente la mia incoscienza a provocare quell’incidente che era costato la vita a Matt.

I genitori del ragazzo nonostante la dura perdita, non m’incolpavano di niente. Anzi, mi avevano ripetuto fino alla nausea che non era stata colpa mia.
Però non ci credevo. Non credevo alle parole dei suoi genitori, non credevo alla parole della mia famiglia..Non credevo più a niente. Perché sapevo che la colpa era solo mia. Mia e di nessun altro.

Vickie Donovan – la sorella – non aveva fatto altro che lanciarmi sguardi carichi di odio e ogni momento – e quando dicevo ogni momento, intendevo sempre e costantemente – non faceva altro che farmi sentire peggio con le sue battutine a doppio taglio.
Non volevo partecipare al suo funerale. Perché andare al suo funerale sarebbe significato rendersi conto di averlo lasciato andare veramente…Significava ammettere a me stessa che lui non c’era più e che io ci potevo fare niente.

Eppure…Ora, mi trovavo nella chiesetta di Mystic Falls con il respiro irregolare e con il cuore a mille a guardare la funzione in onore di Matt.
«E ora qualche parola dall’amica di Matt, dalla compagna di viaggio di questo orribile incidente.» Disse il prete alzando lo sguardo su di me. Tanti paia di occhi si posarono su di me e mi sentii ancora peggio.
Ero seduta accanto a Caroline, anche, lei scossa – se non più di me -  dalla brutta notizia. Ero appoggiata alla sua spalla e debolmente mi asciugavo le lacrime.
Mi raddrizzai immediatamente sentendomi a disagio. C’erano tante persone – mai viste tante in una chiesa –, tutta i concittadini erano rimasti scioccati e intristiti nel perdere Matt Donovan che era sempre disposto a farti un sorriso, anche nei momenti più raccapriccianti.
Mi guardai attorno. Tra tutte quelle persone, non trovavo quella giusta. Non vedevo quella che col suo sguardo mi aveva convinta ad andare al funerale di Matt. Non trovavo quella persona che era riuscita a farmi alzare dal letto per prendere una boccata d’aria.
Non trovavo Damon. Non era una persona da funerale. Non aveva partecipato e io non avevo insistito. Con me c’erano papà e Stefan, ma la sua mancanza ora la sentivo. Era in momenti come questi che si doveva comportare come un fratello…E non come il ragazzo travolto da una passione lacerante con la sorella.
Ora volevo solo mio fratello maggiore, pronto a sostenermi.

«Vai…Ti accompagno.» Mi girai di lato e vidi Stefan porgermi la mano e un sorriso malinconico. Mi alzai da sedere e presi per mano mio fratello. Ogni volta che Damon mancava – anche quand’ero piccola – lui non mi aveva lasciato, mi avevo solo incoraggiata e confortata.
A testa bassa mi avvicinai al prete. Il mio cuore perse un battito quando vidi la foto sorridente di Matt. Era la foto del terzo anno, me la ricordavo. Io ero dietro la macchinetta con il fotografo e facevo facce buffe per farlo ridere.
Tirai un po’ su col naso e presi un grosso sospiro.

«E’ molto strano parlare di Matt, qui in questa circostanza. Non pensavo di dire qualcosa in sua memoria, sinceramente.» Dissi con una nota malinconica nella voce. «Matt era quel ragazzo testardo, impulsivo e a tratti insopportabile. Quel ragazzo che si travestì da principe azzurro, quattro anni fa, per farmi una sorpresa il giorno di San Valentino. Quel giorno fu…fu diverso, ecco. Mi sentii veramente spensierata e contenta…» Iniziai a giocherellare con un braccialetto per paura di continuare.

I presenti nella chiesetta non dissero niente. Nessuno parlava o mormorava. Tutti erano concentrati su di me e su ciò che stavo dicendo. Istintivamente abbassai lo sguardo per asciugare due lacrime che erano sfuggite al mio controllo.
Era così complicato cercare di mostrarsi forti in momenti duri come questi. Volevo sembrare forte, dura e magari poco scalfita da quella notizia struggente…Ma non ce la facevo.

Mostravo sempre una facciata di bronzo con chiunque mi desse fastidio o magari quando non volevo che le persone sapessero il mio umore…Ma oggi, in quella chiesetta, non riuscii a trattenermi.
La mia voce tremava a ogni parola, gli occhi erano gonfi e rossi e il respiro spezzato cercando di non scoppiare a piangere da un momento all’altro.

Rialzai lo sguardo solamente quando mi sentii più sicura.
Il discorso che volevo continuare, però, si eclissò completamente. Sulla soglia della chiesa a braccia conserte con sguardo serio e per nulla scalfito c’era lui.
Era venuto. I suoi occhi celesti chiaro simili al mare cristallino mi fissavano incuriositi. Per quanto cercasse di nascondere le sue emozioni, io riuscivo a vederle e a percepirle.

Non era un grande amico di Matt, ma la morte di un ragazzo che fino a due giorni gironzolava per Mystic Falls a chi non faceva effetto?
Il suo sguardo mi diceva ‘Continua! Devi continuare il tuo discorso per Matt!’.
«E pensare che quel bene giorno ora coincide con il giorno della sua morte.» La mia voce s’incrinò leggermente. «Mi fa accapponare la mente.» Squadrai la maggior parte dei presenti in sale. Il mio discorso forse non era il più strappalacrime possibile, ma quello che volevo
dire erano poche cose per me significative.

«Matt era solare, divertente…E anche stressante. Però…ora che non c’è più mi manca. Mi manca tanto. Mi manca il ragazzo che ci provava costantemente con me, mi manca il ragazzo gentile che mi aveva chiesto un ballo con timidezza, mi manca il ragazzo sorridente sempre pronto a donarmi un sorriso.» M’interruppi.

Gli occhi mi pizzicavano e la testa mi girava. Quel discorso era più lungo di quello che mi ero immaginata. Anzi, pensavo di fare scena muta…ma più parlavo più le parole erano naturali.

«Non ho intenzione di dirvi che passerà o che prima o poi supereremo questa tragedia, perché è una gran cazzata. TUTTI, tutti noi, sappiamo che questo evento ci ha segnato in un modo o nell’altro.» La mia voce era partita con sicurezza ma si era man mano affievolita. «Ora non so più cosa provare. Non so se odiarmi, se consolarmi o se cercare di andare avanti…Non lo so, ma è questo il punto. La vita andrà avanti, ma non significa che ci dimenticheremo di Matt.» Continuai, guardando negli occhi Damon. Guardandolo negli occhi riuscivo a sentirmi meglio. Il disagio spariva così come alcune occhiate colme di ribrezzo che qualcuno mi rivolgeva.

«Se gli vuoi tanto bene come sostieni, perché lo trattavi sempre male? Perché non gli hai concesso un’altra opportunità? Perché? Perché?!» Vickie tra i suoi familiari era probabilmente la più disperata di tutti. Mi odiava. E quando dicevo che mi odiava, intendevo che se avesse la possibilità di incenerirmi con lo sguardo lo farebbe senza problemi.
«Vickie so che sei sconvolta, sicuramente più di tutti noi…Solamente perché non gli ho voluto dare una secondo possibilità non significava che non gli volessi più bene.» Dovevo chiarire questo punto.

«Amare una persona, significa vivere in corrispondenza dell’altra. Sentire le cose che fa l’altro, condividere la sua aria e sentirsi meglio ogni volta che incontri il suo sguardo.» Dissi, sospirando. «Non amavo Matt. E se qualche volta non sono stata così gentile con lui ci sarà stato un motivo, magari m’infastidiva o mi provocava…Ma con questo non vuol dire che non gli ho voluto bene. Tutto ma non dire che non gli ho voluto bene…» Le lacrime ormai erano partite incontrollate e non riuscivo più a fermarle.

«Se non gli avessi voluto bene, a quest’ora me ne starei a casa a vedere America Next Top Model con Caroline. Invece sono qui con un senso di colpa opprimente che non fa che aumentare con i vostri sguardi!» La mia voce si alzò di qualche ottava.
Sussurrai un semplice ‘ho finito’ e barcollante e con la testa che scoppiava mi allontanai dal prete.
Mi sedetti nuovamente accanto a Care e infilai le mani tra i capelli, cercando di calmare il mio respiro.

«Hai fatto un bel discorso…Sei forte, ‘Lena.» Mi disse la bionda, scuotendomi delicatamente per un braccio. Le sorrisi e le strinsi la mano.
La funzione continuò, ma la sensazione di sentirmi osservata non era sparita…Forse era accentuata. Non riuscivo a sopportare tutti quegli sguardi che mi perforavano la schiena.
Mi alzai da lì e a passo lento passando dall’uscita al lato della chiesetta me ne andai da lì. Come facevo a non sentirmi in colpa, se le persone mi facevano pesare così tanto quella situazione?

La mia Camaro era a pochi passi da lì. Entrai in macchina e allacciai la cintura. In quel momento volevo solamente fuggire da Mystic Falls, mi bastava anche solo allontanarmi pochi istanti per andare da qualche altra parte dove gli occhi non fossero puntati su di me. Mi venne un lampo di genio e feci riscaldare il motore.
Sapevo dove andare, anche se non sapevo perché ero convinta di trovarlo lì. Mi fidai del mio intuito.
 

La biblioteca del Delcrast era deserta, persino la bibliotecaria se n’era andata o allontanata per pochi minuti. Mi guardai attorno.
Era veramente inquietante. Non c’era nessuno. Le sedie erano sui diversi banchi capovolte, i libri erano perfettamente inseriti nelle mensole e i documenti che la libraia di solito teneva sulla scrivania si trovavano, probabilmente, nei cassetti.
Avevo gli occhi colmi di lacrime. Mentalmente mi davo della stupida. Perché? Perché ero andata lì? Forse speravo di incontrare Ian? Speravo di incontrarlo in una stupida biblioteca?

Diedi un calcio alla prima cosa che mi capitò a tiro. Lo sgabello che avevo colpito rotolò sul pavimento.
Strano, ma mi sentii meglio. La rabbia, i sensi di colpa e la frustrazione sembravano trasferirsi dal mio corpo all’oggetto che colpivo. Mi sentivo più leggera. Presi in mano il primo libro che mi capitò sotto tiro e lo scaraventai il più lontano possibile di me.
Lo sguardo mi ricadde poco più lontano su un libro: Cime tempestose. Sorrisi inconsapevolmente. Era il libro preferito di Matt, mi regalò la sua copia per il mio compleanno – sapeva quanto ci tenessi ad averla.

Scaraventai a terra anche quella.
Venni distratta da un suono stridulo. La porta si era aperta. Mi girai di scatto e osservai l’ambiente circostante.
Era abbastanza devastato. Non mi ero resa conto di aver buttato a terra un paio di libri e qualche sedia.
Mi ero comportata da stupida. Non aveva senso buttare tutto a terra, il senso di colpa e la paura ritornavano sempre all’attacco più forti di prima.

Un tonfo sordo catturò nuovamente la mia attenzione. Un libro era caduto da uno scaffale…Da quando in qua i libri cadono magicamente dagli scaffali?
«Ian?» Nessuna risposta, se non un altro libro che cadeva a terra con un tonfo sordo. Cosa stava succedendo? Le luci che prima illuminavano debolmente la biblioteca si spensero.
Lanciai un urlo e feci diversi passi indietro con il cuore in gola. Mi ritrovai spalle al muro – più precisamente spalle ad una libreria.
Per un secondo pensai di darmela a gambe. Altri libri caddero dalla libreria, soffocai un altro urlo.

«Spaventata?» Mi chiese una voce finta che avrei riconosciuto tra mille. Il mio cuore iniziò a rallentare i battiti e il mio respiro si fece più regolare.
«Dove…Dove sei?» Gli chiesi. La sua voce sembrava lontana, non si trovava quindi alla libreria dietro di me.
«La libreria da dove hai preso Cime Tempestose.» Mi rispose a bassa voce. A piccoli passi mi diressi verso quella libreria.
Deglutii e mi sedetti a terra, stando di fronte alla libreria. Ian era lì dietro? Sospirai e tirai poco più giù il vestito nero che si era leggermente alzato.

«Ian?» Singhiozzai. Nessuna risposta. Mi stava prendendo in giro? Era una vendetta? O qualcosa del genere? Perché non mi stavo divertendo.
«Mi dispiace per l’incidente. E mi spiace per quel ragazzo…» Disse. Nella sua voce non c’era un pizzico d’emozione. Era sempre così tutto d’un pezzo? Non si lasciava mai andare? Non aveva mai versato lacrime per qualcuno? Neanche per quella Katherine?

«Hai mai pianto per una persona?» Chiesi in un sussurro. Cercai di essere il più dolce possibile in quella domanda, mi ricordavo ancora la brutta sfuriata che aveva fatto la scorsa volta e non volevo che si ripetesse.
«Piangere per una persona significa inevitabilmente ricordarsi di quella persona. E ricordarsi di quella persona significa soffrire e provare dolore.» Disse con un tono piatto. A cosa serviva quel discorso preso così alla lontana?

«Il provare dolore è qualcosa che dovremo affrontare tutti. Ma piangere per una persona significa esternarlo e le persone godono nel vedere altre persone soffrire.» M’immaginavo una persona come Ian fare un discorso freddo del genere…E non faceva una piega.

«Il mio è un consiglio. Non mostrare le tue debolezze alle persone, le sfrutteranno contro di te.» Continuò con voce più sciolta. Aveva depistato la mia domanda. Non voleva dirmi la verità, ma io già la sapevo.
Come avrei reagito alla morte di Damon? Se in più si fosse svolta sotto i miei occhi? Aveva pianto per Katherine, ma non voleva mostrare quella sua piccola debolezza a me o a qualcun altro.

«Ciò significa che non hai pianto il giorno della sua morte? Non c’è un giorno in cui non pensi a lei?» Chiesi, asciugandomi le lacrime. Nonostante avesse deviato la mia domanda iniziale io non demordevo. Volevo sapere cosa gli era successo e cosa più importante…Volevo sapere come aveva fatto a superare la morte della ragazza che amavi.

«Due anni fa. E’ morta due anni fa. Tra venticinque giorni ci sarà il suo terzo anniversario di morte.» Disse con voce leggermente incrinata. Il mio cuore ebbe un tuffo…Non lo facevo così romantico, anzi non lo facevo così attaccato a un ricordo.

«Era una ragazza caparbia. Dura. Insopportabile. Testarda. Impulsiva. Instabile. Lunatica. Credeva di non essere abbastanza perché la gente le faceva credere di essere sbagliata, mentre erano loro che erano sbagliati.» Aggrottai le sopraciglia. Come riusciva ad amare un concentrato di difetti? Da come mi stava descrivendo quella ragazza, sembrava una capricciosa bambina in un corpo da adolescente.

«So cosa stai pensando…E sì, l’amavo così. Con i suoi tanti difetti e i suoi pochi pregi.» Confermò i miei pensieri. Chissà da quanto tempo non raccontava questa storia, forse non l’aveva mai raccontata…Forse per la prima volta la stava raccontando a me.

«I suoi difetti peggiori erano altri…Non li considererei però dei veri e propri difetti, era ossessionata dalla sua morte…» Sussurrò con un filo di voce. Quelle parole mi colpirono dritto al petto.
Cercai di metabolizzare le sue parole, sperando di non aver capito bene. La sua ragazza, o almeno la ragazza che amava, era ossessionata dalla sua morte?

«Pensi sia una cosa stupida?» Mi chiese, sentendo che non davo segni di vita. Mormorai un udibile ‘no’.
La bocca era asciutta, non avevo parole per consolarlo. Ma ancora non capivo cosa c’entrava i problemi psicologici di questa ragazza con la sua morte suicida.

«Quando la conobbi era una ragazza timida e piena di difetti. Nessuno le si avvicinava, per me era una sfida. Volevo scoprire cosa avesse quella gracile ragazza.» Disse con un pizzico di malinconia. Sorrisi leggermente. Non mi aspettavo un gesto così umano da Ian. Non l’avevo mai visto in faccia, ma da come si descriveva e da come si comportava con me non sembrava un tipo così…Così affabile per i problemi altrui.

Nella sua finta voce non distinguevo nessun sentimento in particolare, se non l’ironia. Questa era la prima volta che sentivo la sua voce un po’ più incrinata del solito.
«Quando lo scoprii non capivo la gravità della situazione. Era ansiosa, non usciva da casa, non si circondava di persone per paura di perderle…Era inavvicinabile.» Mentre parlava, iniziai a mettere insieme i pezzi del puzzle.
L’ossessione della morte ti faceva perdere la ragione, era un ossessione mentale. Non ne uscivi facilmente.

«Si è suicidata per questo? Per la sua ossessione?» Chiesi. Avevo la pelle d’oca…Non avevo mai sentito una storia più raccapricciante di quella.
Ian non mi rispose. Non produceva rumore, non sentivo il suo respiro pesante…Sembrava che stessi sola in una stanza a parlare da sola.
Distolsi lo sguardo da quella libreria e guardai altrove.
Com’era riuscito ad affrontare quella perdita? Da come ne parlava si capiva che non aveva ancora superato il trauma – ecco perché andava al gruppo di supporto come me – e che soffriva per lei, anche se erano passati più di due anni dalla sua morte.

«No.» La voce dura di Ian mi distolse dai miei pensieri. No? Cosa no? Arricciai il naso e m’inumidii le labbra, riflettendo bene su cosa dire e dosando le parole. Non volevo essere troppo dura, né acida o fuori luogo.

«Cosa no?» Gli chiesi, riportando la mia attenzione su quella libreria. Era strano parlare con una persona da dietro una libreria, ma ci avevo fatto quasi l’abitudine.
«Si è suicidata per mettere fine alla sua agonia. E la cosa peggiore…La cosa peggiore era che io ero lì e non ho fatto niente.» Era arrabbiato. Distinguevo il tono malinconico da quello furioso.
Aveva troppa rabbia repressa, aveva il senso di colpa della morte di Katherine addosso – anche se lui non poteva fare niente in quel momento – e non riusciva a perdonarsi.

«Perché mi hai raccontato la tua storia?» Chiesi tremante. Lo sentii sospirare.
«Perché sono due storie simili. Dovrai imparare a convivere con questo ricordo che rimarrà in noi per sempre. Sono cose che segnano, ma che non possono condizionarti a vita.» Disse semplicemente. Prima o poi, sarebbero passati mesi e anni…Matt non mi perdonerebbe se ora fosse qui. Lui vorrebbe che continuassi a vivere cercando di non condizionarmi a vita.

«Con questo non voglio dire che devi dimenticarti del tuo amico. Io non mi dimenticherò mai di Katherine…Non voglio neanche dirti di smettere di soffrire, perché ora è ancora presto. Voglio solo dirti di non mostrare le tue lacrime in pubblico.» Aveva ragione. Ragione su tutto quanto. Potevo piangere a casa, in camera mia o magari sulla tomba di Matt; ma non potevo dare la soddisfazione di mostrarmi debole e vulnerabile sotto lo sguardo di chi mi voleva male perché godeva nella mia sofferenza.

Vickie magari vedendomi così triste ci godeva. Forse si consolava col mio dolore, ma non potevo permetterglielo. Non potevo perché altrimenti non ne sarei mai uscita.

«Io non lo faccio. Non mostro la mia costante tristezza a nessuno.» Aggiunse con il tono di voce più bassa di un’ottava.
Dovevo raggirare quella situazione, vedendola da un altro punto di vista. Questo tragico evento mi aveva segnato. Era stato una doccia fredda in piena estate. Era stato un fulmine a ciel sereno.
Una brutta pugnalata, ma non volevo rimanere a terra. Ero ferita, ma non potevo rimanerlo a vita. Potevo solo cicatrizzare la mia ferita, cercare di conviverci…Per poi farla sparire col tempo dalla mente, ma il segno rimaneva. Ma non rimaneva sulla pelle, rimaneva nel cuore.

«Perché hai mostrato la tua tristezza a me?» Chiesi curiosa, soprapensiero. Mi morsi la lingua non appena finii quella frase. Sentii uno scrocchio – forse di dita – e un sospiro.
«Non ho mostrato la mia tristezza. La sto condividendo con te. La stiamo condividendo.» Commentò con ironia. Sorrisi e tirai su col naso. Riusciva a tirarmi su il morale, mentre io non riuscivo a strappargli un sorriso o una semplice risata.

«No…Tu stai condividendo la tua tristezza. Io non ho ancora parlato…» Gli feci notare. Mi schiarii la voce. «Ma te ne parlerò ora.» Continuai.
Si alternarono diversi momenti di silenzi e imbarazzo. Non sapevo neanche io da dove iniziare. Lui da dove aveva incominciato? Dal principio.

«Sai perché penso sia colpa mia? Perché volevo che evitasse un cervo che era uscito dal bosco. Ho preso il volante e ho sterzato, però Matt non è riuscito a controllare l’auto.» Dissi cercando di mantenere la calma. Prendevo lunghe boccate d’aria e trattenevo le lacrime al ricordo di me e Matt in quella macchina a pezzi.

«Giuro…Giuro che non ho pensato che potesse morire. A parte i vetri frantumati stavamo benone…» Singhiozzai con gli occhi lucidi. C’erano incidenti peggiori, incidenti mortali da cui non avevi scampo. Morire per una sterzata era raccapricciante.
Pensare che la vita era sempre così imprevedibile. Fino a due giorni fa vedevo Matt correre dietro un pallone, mentre ora potrò vederlo solo in una fotografia sulla sua lapide.

«Pensavo fosse tutto un brutto sogno. Ieri ero uno straccio…Ero a terra, chiusa in una stanza con la copia di Cime Tempestose che lui stesso mi regalò.» Raccontai tremante. Provavo a trattenere i lacrimoni, ma era troppo difficile. La gola bruciava, gli occhi pizzicavano e il respiro si faceva incontrollato.
«Ora non so per quale motivo sono in una biblioteca a parlare con una persona del dolore che entrambi stiamo provando.» Dissi divertita.

«Il dolore sparirà, bisogna solo imparare a conviverci.» Conclusi, svuotandomi di un grande peso. Gli occhi, però, erano ancora arrossati a gonfi.
Mi strofinai le mani e sbattei più volte le palpebre. Ian non diceva niente, forse non voleva sentirmi? Voleva solo qualcuno disposto ad ascoltarlo senza obbiettare?

«Lo ripeto: il tuo nome ti dona.» Riflettei sulle sue parole e scossi la testa divertita quando ricordai uno dei nostri primi incontri. Sapeva l’etimologia e il significato del mio nome.
«Una persona normale che si faceva influenzare dalla massa, a quest’ora un’altra persona si starebbe preoccupando di cosa gira sul suo conto per paura di macchiare la sua facciata finta e fasulla che va bene per la società.» Disse con una chiara punta di acidità nella voce. Odiava in modo sconcertante la società, lo ribadiva sempre. Forse in un certo senso, Katherine aveva deciso di fare quel gesto attentato anche per colpa delle persone che le remavano contro.

Forse era debole, timida e con scarsa autostima di sé stessa…Troppo fragile per sopportare le voci che giravano su di lei.
«Ma a te, a te non te ne frega niente né della società né delle persone. Sai per certi versi me la ricordi…» Persi il respiro. Era un complimento? O forse voleva farmi notare alcuni difetti che non avevo mai notato?
«Sei incerta a volte come lei per certi versi e anche impulsiva…Hai polso fermo e non ti lasci convincere da nessuno.» Disse con nostalgia.
Abbassai la testa mentre le mie guance si colorarono di rosso.

«La cosa che mi ha affascinato di più di te è la tua tenacia e la tua forza di andare avanti. Se al posto tuo ci fosse Katherine…» Si fermò pochi secondi per  pensare a cosa dire e poi fece un profondo sospiro. «…Non si sarebbe comportata così. Si sarebbe demoralizzata. E io non ho paura di perderti come lei, perché so che tu sei una ragazza dura. Non ricadresti mai nei suoi errori.» Continuò.

Il mio cuore iniziò a battere più velocemente e un sorriso più largo si dipinse sul mio volto. Non dovevo commettere gli stessi errori di quella ragazza. Non potevo e non dovevo rimanere chiusa in me stessa.
Dovevo solamente parlare con qualcuno, cercare di reggere gli sguardi che la gente mi lanciava, reggere le voci che si mormoravano in paese…Lo facevo per loro. Per Ian. Forse lui non se n’era accorto, ma nel suo tono si sentiva un pizzico di paura. Paura che magari anch’io lo lasciassi.

E poi…Lo facevo per un’altra persona che non avevo conosciuto.
Per Katherine.
Volevo fare quello che lei non era riuscita a fare.
Che la società e le persone maligne si fottessero. Io non cederò.
 
 
 
 




Ringraziamenti:
Grazie a Smolderina78, NikkiSomerhalder, Bea_01, NadiDelenaLove, PrincessofDarkness90 e NianDelLove.
Grazie per sostenermi sempre.
Grazie alle 35 persone che hanno inserito la storia tra le preferite.
Grazie alle 51 persone che l’hanno inserita nelle seguite.
Grazie alle 4 persone che l’hanno inserita nelle ricordate.
E un immenso GRAZIE a tutti i lettori silenziosi!
 
Angolo dell’autrice:
Finiti i ringraziamenti,
passo al capitolo.
Bello ricco, no?
Finalmente il mistero o la parte che forse vi avrà dato più grattacapi è stato parzialmente svelato.
Il problema Katherine.
Allora…Forse siete rimaste deluse? Lo so che non corrisponde alla Kat del telefilm, altrimenti sarebbe stata la copia cattiva di Elena.
E’ un po’ OOC.
Ho preso spunto un po’ dal libro: capricciosa, insopportabile e ci ho aggiunto alcuni condimenti che spesso troviamo nelle ragazze.
La sua ossessione per la morte è la tanatofobia, ovvero la paura della morte che ti attanaglia la mente e sei finito.
Se volete dirmi la vostra opinione sul mistero Katherine e se vi è piaciuta la “soluzione” parziale fatemelo sapere ;)
Sono curiosa di sapere se qualcuno di voi l’aveva pensato o ci era quasi arrivato.

Il funerale di Matt. Ho capito che non vi è importato molto di quel poverino XD e pensare che nel telefilm lo stimo tantissimo.
Lo so che molti lo considerano un personaggio “inutile” però a pensarci bene lui è sempre pronto ad aiutare i suoi amici buttandosi nelle avventure più strane e pericolose!
Perciò lo stimo ù.ù
Elena al suo funerale fa il discorso…Allora, probabilmente fa schifo e non vi piace ma io non posso farci granché perché questo produce la mia mente! (MOLTO CONTORTA ù.ù)
Eccovi qui il capitolo che spero vi sia piaciuto.
A me, boh, non fa né caldo né freddo. Sinceramente ogni cosa che scrivo mi sembra una schifezza poi ci siete voi che mi tirate su il morale! XD
A prestissimo! E grazie, grazie, grazie.
Non finirò mai di ringraziarvi.
Ci sentiamo alle recensioni :*:*
Cucciolapuffosa
PS. Se postassi un'altra storia, sempre Delena, voi cosa fareste? 

 
  
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