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Autore: Ria    06/10/2014    5 recensioni
[...] Kisshu era uno di quei tipi a cui piace giocare con le ragazze. Tutte le ragazze. Gli piaceva stuzzicarle, blandirle pian piano, finchè queste non cadevano ai suoi piedi e tutte cedevano sempre. Perché per Kisshu era un gioco, un gioco allettante e piacevole, e perché per lui erano tutte uguali.
Con due eccezioni.
Una era Ichigo, e Taruto lo capiva benissimo, anche se non riusciva a capacitarsi di come fossero peggiorati i gusti del fratello per scegliere “quella vecchiaccia”.
L’altra era Aisei. [...]
[...] Lei scosse la testa con forza:
« Ho avuto… Ho avuto paura! – singhiozzò – Quando… Quando Kisshu mi dice che gli piaccio… Non so più cosa fare! Ho l’impressione di non controllare più il mio corpo, non riesco nemmeno più a pensare! Penso solo… »
« Solo? »
« … Solo… Che vorrei stare con lui, e nient’altro.
« Non… Non sento più niente, non voglio più sentire niente. Vorrei solo che mi abbracciasse… »
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Pausa! Si riordinano le idee e si cerca di capire chi vuol fare cosa! Anche Nair è arrivata sulla Terra e Kisshu e Aisei sono ancora sotto il comando del nostro Deepy, che accadrà?

Deep Blue: umana, giuro che se mi richiami a quel modo ti infilzo come un dango.

Dangoooo *ç*…! Deepy, mi hai venire voglia di giapponese! Sushi! *Q____*

Deep Blue: -.-….

Let's go!!

 

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

 

 

 

Cap.12 – Perché sei qui? Io voglio solo…

 

 

Seppur l'enorme edificio fluttuasse a mezz'aria Kisshu potè avvertire la spaventosa vibrazione che scosse il pianeta sotto di esso, come se fosse sotto i suoi piedi; il suono fu ovattato dal silenzio morto del profondo e cupo corridoio di pietra, con il suo suntuoso tappeto rosso al centro, e il ragazzo si sporse verso le pareti pesanti cercando di scorgere qualcosa attraverso i minuscoli vetri offuscati. Colse solo gli edifici che collassavano su loro stessi e il profilo della terra che tremava, squassata da un terremoto innaturale, e avvertì lo stomaco contrarsi.

Ichigo.

Aisei lo lasciò fare, riprendendo poi a sospingerlo con garbo lungo il corridoio: le manette d'energia che Deep Blue aveva scolpito impedivano a Kisshu di teletrasportarsi o volare e lei non era certa di trovare dove fossero collocate le celle, perciò non le rimaneva che camminare. Nessuno dei due aveva ancora aperto bocca da quando avevano lasciato il salone e per la ragazza avrebbero potuto andare avanti così per il resto del percorso.

« Tu sapevi che sarebbe successo. »

Aisei non si fermò alle sue parole ma gli diede una spinta più decisa sulla schiena:

« Non lo so. »

« Andiamo! Non prendermi per il culo! »

« Non avevo prove di niente. »

Kisshu si fermò voltandosi a guardarla incredulo:

« Lo sapevi per davvero?! »

« Non sapevo niente! – replicò lei cercando di non urlare per non attirare l'attenzione – Ho solo… Trovato dei dati, diciamo. Nell'Archivio. »

« Che diavolo stavi cercando per trovare roba simile? »

Lei s'irrigidì e lo guardò storta, a disagio:

« Non avrei immaginato che anche Pai avrebbe trovato le stesse cose. – ammise, sorvolando la domanda – Né potevo immaginare che riuscisse a tanto. »

Si guardò attorno e spinse il suo prigioniero verso una scala laterale.

Era in quel palazzo da cinque minuti e già lo odiava. Le mura erano troppo alte, prive delle sufficienti finestre e i corridoi erano cupi e bui; l'aria era così ferma che si faticava a respirare, e più si scendeva nelle viscere del palazzo più diventava difficoltoso non solo vedere, ma anche sentire un suono definito, che non fosse l'eco oscuro di qualcosa che si apriva, di uno spiffero o di un cigolio.

Cercò di non far intendere a Kisshu quanto si sentisse a disagio, ma sapeva che lui l'aveva capito; la conosceva troppo bene.

Merda.

Scesero le scale in silenzio facendo risuonare i propri passi come rintocchi di campane sorde; quando giunsero al piano più passo, dove si trovavano le prigioni, era diventato impossibile vedere oltre il barlume luminoso dei ceppi di Kisshu. Il fondo del palazzo, che generava un corridoio stretto e corto, non era curato come il resto dell'edificio e semplici quadrati di pietra foderavano il pavimento. Non c'erano porte o sbarre lungo le pareti, ma quando Aisei ne sfiorò una su di essa si tracciò la sagoma di un'alta porta quadrata: la porta si aprì in silenzio su una stanzetta di un paio di metri, completamente vuota e buia, in cui Kisshu entrò senza opporsi; nello stesso momento i suoi ceppi si dissolsero.

« Sei stato un idiota a tornare indietro. »

Lui non le rispose, immobile come una statua, squadrandola da capo a piedi inespressivo.

« Tu vuoi fermarlo. »

Le dita di Aisei si serrarono sulla porta che stava chiudendo; non riuscì a guardare Kisshu in faccia.

« Tu lo sapevi e vuoi fermarlo da sola. »

Percepì chiaramente che le stesse dando dell'idiota. Quello che non tollerò, era che sembrò farlo affettuosamente.

« Cosa diavolo sei venuto a fare qui, Kisshu? »

Non le piacque l'occhiata obliqua che le mandò, quell'odiosa occhiata capace di stritolarle lo stomaco.

« Quello che fai tu. »

« Bugiardo. »

Non capì se la sua risatina era un'ammissione di colpa o solo per prenderla in giro.

« Perché sei andata a cercare nell'Archivio cose sul passato di Deep Blue? »

Aisei si morse e labbra, lo fissò e senza rispondere chiuse la porta.

« Ci si vede tra cinque giorni, stupido che non sei altro. »

Furono gli ultimi suoni che Kisshu percepì prima del tonfo della porta e dell'oscurità. Si lasciò cadere a terra e sospirò, qualunque cosa stesse macchinando quella stupida e qualsiasi cosa volesse fare Deep Blue aveva guadagnato cinque giorni per sé, per i fratelli e per le MewMew.

Hai solo cinque giorni micina… Poi, non so se potrò proteggerti.

 

***

 

Ichigo aprì di colpo gli occhi. Aveva addosso la sensazione d'impotenza e terrore di un incubo spaventoso, ma non ricordava di cosa parlasse, né quando si fosse addormentata.

Si guardò attorno, ma quel che vide la lasciò solo più confusa.

Si trovava in una villa in stile occidentale; assomigliava un po’ alla casa di Minto, ma quella casa era scura e sembrava non essere stata abitata per anni, dati i teloni bianchi che coprivano quasi tutti i mobili.

Solo alcuni erano stati scoperti: un piccolo divanetto di un amaranto spento, su cui dormiva Taruto, un tavolino in legno laccato e le sue sedie, imbottite con pregiate stoffe verde muschio tutte impolverate; c’era poi una bella quanto consumata chaise lounge, su cui si accorse di essere sdraiata, e uno sparuto materasso – evidentemente portato lì da un’altra stanza – abbandonato sul pavimento, su cui era rannicchiata Purin. Le sue amiche erano tutte sedute sulle sedie attorno al tavolino, assieme a Ryou e ad un Pai dall’aria imbronciata, mentre una ragazza dai lunghissimi capelli neri era in piedi, china verso Zakuro, e le controllava l’articolazione del polso.

« Niente di grave. – sorrise sollevata – Temevo te lo fossi rotto, invece è solo slogato. Cerca però di non forzarlo ok? »

« Sì. Ti ringrazio Nair. »

« Comunque, è meglio fasciarlo… »

« Ichigo-san! »

Retasu, vedendo l’amica sveglia, le corse incontro prendendole le mani tra le sue: aveva il viso stravolto e gli occhi gonfi, in contrasto netto con il sorriso di chi ha appena ricevuto un enorme sollievo. Ichigo impiegò qualche istante a reagire:

« Retasu… Ma dove siamo? »

« In una villa qualche chilometro fuori Tokyo. – spiegò la verde premurosa – Nair-san l’ha protetta con una barriera, qui saremo al sicuro. »

« Al sicuro…? »

Ancora confusa, la mewneko si guardò il braccio: era stato medicato e fasciato alla perfezione, e avrebbe potuto dire di non aver avuto nemmeno un graffio se il dolore non le avesse ricordato nitidamente il taglio che le arrivava dal gomito fino alla spalla.

Allora non aveva avuto un incubo. Era tutto assolutamente, terribilmente vero.

La lotta, il risveglio di Deep Blue. Tokyo distrutta…

Mamma… Papà… Aoyama-kun…

Le sfuggì un singhiozzo sordo e scoppiò in lacrime. Retasu non chiese nulla e si limitò a stringerla in un abbraccio, lasciandola sfogare.

Dopo diversi minuti la rossa tentò di calmarsi, ma la cosa risultò molto più difficile del previsto. Com’era possibile che la sua vita, il suo mondo… La sua famiglia, tutto ciò che aveva di più caro fossero svaniti in un colpo solo?

Aoyama…

Avvertì qualcuno stringerle delicatamente la mano. L’aliena che le aveva aiutate, Nair, le si era avvicinata e la guardava comprensiva:

« Non perdere la speranza. – le disse piano – Il Palazzo ha smesso di emanare l’energia di Deep Blue e la tempesta si è calmata, a quest’ora molti dei fuggiaschi saranno già in salvo. »

Lei tirò su col naso, fregandosi goffamente gli occhi:

« F-fuggiaschi…? »

« Tutta la città è stata colpita. – intervenne piatto Ryou – Ma solo le zone limitrofe al Palazzo sono state rase al suolo; tutte le persone degli altri quartieri sono quasi tutte salve, e le forze dell’ordine stanno organizzando un’evacuazione di massa. »

Mostrò una piccola radiolina che aveva recuperato da chissà dove e che gracchiava confusa le ultime notizie. Ichigo sospirò sollevata, casa sua era distante dalla zona della battaglia, quindi i suoi genitori erano probabilmente salvi.

Poi sobbalzò e guardò Retasu: la ragazza aveva lo sguardo basso e sembrava sul punto di scoppiare per una seconda volta in lacrime.

Sì, è vero, casa mia è distante… Ma la casa di Retasu…

L’amica chinò ancor più lo sguardo e Ichigo le gettò le braccia al collo, stringendola forte:

« Oh, Retasu…! »

Fu l’unica cosa che riuscì a mormorare. La mewfocena ricambiò la stretta con forza, in silenzio; nessuno aggiunse altro.

« Però… – riuscì poi a continuare la rossa – Evacuare la città… È una cosa assurda! »

Si parlava di Tokyo, un'enorme città la cui superficie raggiungeva i 570 km2: come speravano di far evacuare tutti i suoi abitanti, per giunta in mezzo a macerie ed edifici devastati, alla rossa sfuggiva completamente.

« Le cose, infatti, procedono a rilento. – sbuffò Ryou – Ma, se può consolarti, nemmeno Deep Blue se la passa troppo bene. »

Ichigo lo guardò confusa. Allora prese la parola Pai, sempre seduto con le braccia conserte e le gambe accavallate:

« L’energia che possiede non è sufficiente per rintracciare la MewAqua Finale, quella che dovrebbe completare la sua trasformazione. – fece col suo solito tono, fissando la superficie del tavolo – Rischierebbe di autodistruggersi, se provasse ad utilizzare la sua forza totale nelle condizioni in cui si trova. »

Quella frase scatenò un brivido lungo la schiena della rossa. Autodistruggersi voleva distruggere anche il corpo che ospitava l’entità di Deep Blue, ossia Aoyama.

Pensando ciò si morse l'interno di una guancia fino a farsi male.

No.

Masaya non è… Non c'è più… Non c'è mai…

Rifiutò i suoi stessi pensieri e tornò ad ascoltare l'alieno.

« L’unica sua speranza è trovare, se esiste, un altro cristallo più piccolo, e rafforzarsi. »

« E se non ce ne fossero? »

« Allora troverà un altro modo di far saltare per aria questo sassolino di pianeta. – rispose gelido alla rossa – Tutto qui. »

Ichigo mandò un grugnito e lo squadrò sprezzante. Sentì Nair, al suo fianco, sospirare paziente:

« Lascialo perdere, Pai ha sempre la tendenza ad essere negativo. »

Il ragazzo non rispose alla frase limitandosi ad alzare gli occhi al cielo.

« Un cristallo, probabilmente, c’è – disse ancora Nair, tranquilla – o Deep Blue non starebbe ancora ad aspettare per sottomettere gli umani: avrebbe già riempito il pianeta di chimeri, sguinzagliato Kisshu e Aisei in giro ad eliminare i superstiti e spaccato in due il suolo a suon di fendenti. »

« Davvero una prospettiva allettante! »

Sbottò Minto.

« Ma così – puntualizzò Nair – non ha fatto.  Il che vuol dire che ha altro a cui pensare, e possiamo pensare che sia proprio trovare quest’ultimo cristallo. »

« Io sono d’accordo con lei. – disse Zakuro – Quindi, prima lo troviamo, prima impediremo a Deep Blue di diventare più forte. »

L’aliena annuì con aria soddisfatta. Terminò di controllare la fasciatura di Ichigo e si alzò, sorridendo:

« Guarirà presto, stai tranquilla. »

« Ah, grazie… Sei stata molto gentile. »

L’aliena sorrise radiosa.

Ichigo la studiò avvicinarsi con cautela a Purin, ancora addormentata, girarla lentamente su un fianco e scioglierle la fasciatura attorno alla spalla destra e quindi passare sulla ferita sottostante un po’ di pomata antisettica con aria esperta. Ichigo le si avvicinò e la osservò durante l’operazione, incuriosita.

« Purtroppo non sono riuscita a procurarmi molto altro di quello. »

Fece Nair e indicò un ammasso di pomate, bende e scatole del pronto soccorso trafugate da luoghi diversi:

« Non sapevo cosa e dove cercare di preciso… Ho preso informazioni all'ultimo minuto e ho preparato un rifugio d'emergenza, è il meglio che ho potuto fare. »

Ichigo la guardò da sotto in su e sorrise:

« Direi che è stato un enorme aiuto. »

Nair ricambiò il sorriso e Ichigo si prese il viso su una mano:

« Scusa, ma… Tu sei…? »

« Un'amica di Pai e degli altri – tagliò corto – ho scoperto alcune cose sospette su Deep Blue e ho temuto che la situazione sarebbe precipitata in fretta. »

Chiuse la medicazione della mewscimmia e ammiccò ancora verso la rossa:

« E quindi eccomi qui. »

« Dove non dovresti essere, pezzo d’incosciente. – sbottò Pai – Ti rendi conto che stai rischiando l’osso del collo?! »

« Ti avrò sentito dire questa frase centinaia di volte, anche se non diretta a me. – replicò lei – E mi vedo costretta a rispondere al loro stesso modo: “spiacente, ma sprechi il fiato.” »

Pai alzò nuovamente gli occhi al cielo sbuffando, ma non disse altro, arrendevole.

« Invece di borbottare – riprese la mora – potresti aiutarmi a convincere questo ragazzo a farsi medicare il taglio? »

Guardò sospirando Ryou, che la fulminò con un’occhiata gelida; lei, quasi ci fosse abituata, rispose incrociando le braccia e fissandolo con rassegnazione.

« Non ho bisogno del tuo aiuto… Aliena. »

« Come siamo suscettibili! »

Il tono era quello di una mamma che sgrida il figlio ostinato e la cosa parve non piacere a Ryou, che schioccò la lingua con il secco suono di una mascella di coccodrillo che si chiudeva.

« Ok, appurato che non hai una grande simpatia per la mia razza, potresti farti medicare? Non è un graffietto, può infettarsi. »

« Sto aspettando di ricevere una risposta dal mio amico. – sibilò lui, fissando lo schermo del suo telefonino – Ci penserò più tardi. »

Ichigo sobbalzò, come poteva essersene dimenticata?!

« Keiichiro-san…! Come sta Keiichiro-san?! »

« Non lo sappiamo ancora, purtroppo. – mormorò Retasu – Ryou ha scoperto che i cellulari funzionano ancora e ha provato a contattarlo, ma finora… »

La rossa si morse il labbro con  fare convulso.

« In ogni caso – continuò Nair risoluta – puoi tenere quell’aggeggio con un braccio soltanto. Avanti. »

Ryou piantò lo sguardo celeste in quello di lei; i due si fissarono in silenzio per quasi un minuto, quella era una sfida a chi cedeva per primo. Incredibilmente, fu il biondo ad abbassare lo sguardo e con aria imbufalita porse il braccio all’aliena, che glielo medicò soddisfatta.

« Questa casa è protetta da qualunque possibilità di rilevamento. – disse poi lei intanto che gli fasciava il braccio – Se posso azzardare un consiglio, vi proporrei di restare qui finchè non sarete più in forze, e poi andare a cercare la MewAqua. »

Ryou fece per scostare il braccio, in uno scatto d’ira, ma lei lo guardò con fermezza:

« Nelle condizioni in cui siete vi fareste solo ammazzare. »

Il ragazzo continuò a fissarla torvo, ma alla fine dovette annuire: aveva perfettamente ragione.

Si sentì un mugolio e delle parole biascicate e tutti i presenti si voltarono verso il divanetto. Taruto si tirò a sedere, dolorante, e prese a massaggiarsi la testa borbottando:

« Ohi… Ma dove cavolo sono?! »

« Perfetto. – sbuffò l’americano – Anche l’alieno pestifero! »

« Tu sei molto acido come persona, vero? »

« Di solito solo con Ichigo… »

Sentenziò Minto. Nair ridacchiò, sorridendo poi in direzione del ragazzino:

« Ben svegliato, Taruto-chan. »

« Onee-san?! Ma tu che ci fai qui?! »

Fece per alzarsi, ma una forte fitta la fianco lo costrinse a risedersi; Pai lo guardò serio:

« Non esagerare. Hai preso un bel colpo. »

Taruto sembrava sul punto di sbraitargli contro, ma quella frase parve ricordargli qualcosa; si guardò attorno alla ricerca di Purin, e quando la vide non si trattenne dal deglutire a vuoto.

« Sta bene. – gli disse Nair premurosa – Ha bisogno di dormire, adesso. »

Lui annuì, le labbra strette, quindi scese pian piano dal divano e andò fino a fianco alla biondina, sedendosi per terra col la schiena contro il materasso.

A quella scena Pai sembrò guardare per un istante verso Retasu, ma il suo sguardo si perse nel vuoto con altrettanta velocità.

Scese il silenzio. Quando la suoneria del cellulare di Ryou lo interruppe, quasi tutti i presenti sobbalzarono colti alla sprovvista.

« È un messaggio di Akasaka? »

Domandò Zakuro. Per la prima volta da quando erano lì, il suo tono parve incrinarsi per l’agitazione.

Ryou sorrise:

« Sì! – le ragazze si lasciarono andare su sedie e divani, sospirando rincuorate – Si è chiuso nei sotterranei del Cafè, ma sta bene. »

Le MewMew si guardarono tra loro con aria raggiante. Nair sorrise e si alzò in piedi, poggiando le bende che aveva ancora in mano sul tavolo:

« Bene. andrò a prendere il vostro amico, allora. »

« Come?! »

Ryou la guardò seccato, ma lei non ci badò:

« Ne approfitterò per prendere anche qualche provvista. Non vi rimetterete in forze a stomaco vuoto, no? »

Il biondo grugnì. Non gli piaceva l’idea che un altro alieno entrasse nel Cafè, ma in effetti era troppo pericoloso per Keiichiro raggiungerli tanto a piedi quanto in macchina.

« Se ti fidi così poco di me – continuò guardandolo eloquente – puoi sempre accompagnarmi. In fondo, non conosco la strada. »

Ryou a quella proposta tornò di colpo distaccato come suo solito, anche se un’ira evidente si agitava sotto i suoi occhi chiari:

« Certamente. »

L’aliena gli prese con delicatezza una spalla e i due sparirono con uno schiocco.

Quando riapparvero nei pressi del locale Ryou ritornò in un lampo al giorno della scomparsa dei suoi genitori: la sensazione di desolazione e malessere che gli donava l'edificio distrutto era la stessa, e tutto risultava ancora più opprimente con la Tokyo semidistrutta e il cielo plumbeo sullo sfondo.

« Credo si possa riuscire ad entrare. – disse Nair sovrappensiero, scrutando ciò che restava della porta d'ingresso – Se non ci crolla tutto in testa… Il tuo amico dov'è? »

Ryou impiegò un paio di secondi a rispondere. Scosse la testa per riprendersi e guardò Nair accigliato, ma lei non sembrò aver badato al suo smarrimento.

« Il Cafè… Ha due piani interrati: un laboratorio di ricerca e uno nascosto, per le emergenze. Se questo è lo stato del primo piano – sospirò, ammirando il tetto ormai scomparso – Kei si è di sicuro rifugiato nel piano più basso. È di cemento armato e progettato con una forte struttura antisismica, più moderna del resto, è sicuramente lì. »

Nair annuì e senza troppe cerimonie s'insinuò felina nel minuscolo pertugio tra le macerie, cercando punti non sensibili a crollo.

« Sarà più difficile raggiungere delle provviste – ammise poi il biondo mentre la seguiva – si trovano nel magazzino del primo piano interrato, e se il passaggio fosse chiuso… »

« Chiuso? »

Non capì la domanda sarcastica di lei finché non fu dentro al locale. Il soffitto aveva ceduto lasciando uno spiraglio di luce dall'alto e abbastanza spazio per camminare dritti, mentre poco prima dell'ingresso della cucina le colonne della scala interna avevano ceduto, aprendo una voragine direttamente nel piano interrato.

« Come non detto. »

Nair lo guardò divertita e fece un gesto teatrale con la mano:

« Prima i signorini. »

« Stai attenta aliena. – sbuffò lui seccato – Pensavo di cominciare a tollerarti. »

 

 

Nair e Ryou ricomparvero circa un’ora dopo. Al loro fianco, carico come loro di ogni genere alimentare che erano riusciti a trovare, c’era Keiichiro con il piccolo Masha sulla spalla: entrambi erano ammaccati ed impolverati, ma stavano bene. In un lampo il bruno venne sommerso dagli abbracci delle ragazze, compresa la piccola Purin che, ripresasi, aveva usato quel poco di forze che aveva solo per poter salutare l’amico.

Dopo un po’, ristabilita la calma, il gruppo decise che era meglio cominciare subito a rimettersi in forze, possibilmente mettendo qualcosa sotto i denti. Nair e Keiichiro si erano prontamente offerti di preparare la cena, e Retasu si era accodata a loro: doveva tenersi impegnata, non pensare, o la sua mente sarebbe filata dritta ai suoi genitori e al suo fratellino, e in quel momento – per quanto le costasse caro dirlo – non potevano distrarsi. Dovevano pensare subito ad essere pronte per una controffensiva.

Però…

« Retasu-chan, vuoi andare un po’ a sdraiarti? »

« C-come? »

La ragazza incontrò lo sguardo gentile di Nair, che le aveva poggiato una mano sul braccio:

« Sembri sfinita. »

Retasu scosse la testa, asciugandosi frettolosamente gli occhi. Nair annuì appena e riprese a badare alla zuppa che stava preparando, senza aggiungere altro.

« Oh, Pai! Stavo giusto per chiamarti! »

Nel sentire pronunciare quel nome Retasu sussultò; cercando di nasconderlo voltò appena la testa, scorgendo l’alieno che entrava dalla porta. Il suo volto era come sempre impassibile, ma la ragazza ebbe la vaga impressione che si fosse piegato un momento in un sorriso quando i loro sguardi si erano incrociati.

« Pai, tra cinque minuti è pronto, avvisi tu gli altri? »

« Sono diventato un cameriere? » chiese un po’ acido.

« Ti ho chiesto solo di chiamarli – rise appena la mora con pazienza – non di andare a spaccare legna! »

Lui borbottò un ed uscì mentre Nair ridacchiava ancora tra sé e sé.

Retasu passò veloce lo sguardo da lei alla porta, e si mordicchiò senza pensare il labbro.

Nair non aveva detto granchè su di sé. Retasu sapeva solo che si trattava della sorella di Aisei e che, rimasta in contatto con questa fin dal suo arrivo sulla Terra, aveva intuito qualcosa di strano e pericoloso nei comportamenti di Deep Blue, decidendo così di raggiungere la sorella.

Alla fine, però, vedendo la decisione di Aisei di continuare a servire il loro signore, Nair era passata al fianco dei loro nemici.

« Quello è un mostro che vuole questo pianeta per sé, mentre la mia gente muove di stenti aspettando la salvezza. – aveva detto con amarezza – Io non esiterò ad affrontarlo: va fermato, e subito! »

Quelle parole erano state la conferma decisiva a farla accettare nel gruppo, e perfino Ryou, nervoso a trovarsi nella stessa casa con tre alieni, non aveva più aperto bocca.

Retasu non dubitava certo della parola di Nair.

Tutt’altro, quella ragazza così dolce le aveva subito ispirato simpatia. Era gentile, premurosa, matura e molto intuitiva, oltre che intelligente; forse non aveva il cervello dell’americano o di Pai, ma era acuta e sveglia. A Retasu ricordava vagamente Zakuro, ma mentre l’immagine che dava alla sua amica era quella di uno splendido animale, forte e selvaggio, Nair le veniva spontaneo associarla a qualcosa di delicato come un fiore. L'aliena non mascherava in alcun modo gli anni difficili e la vita di stenti che aveva affrontato, lo si vedeva dalle mani giovani ma rovinate, da lavoratrice, e dal fisico che nonostante le forme morbide di una donna adulta risultava magro e un po' sciupato, non proprio gradevole; stesso di poteva dire del viso ovale che risultava più affilato per via dei chili mancanti; la caratteristica pelle diafana della sua gente e i capelli, lunghissimi come quelli di Aisei, neri e lucenti come l’ebano  e portati raccolti di lato con una coda, non aiutavano a mitigare il senso di pallore e ad un occhio critico le donavano un'aria quasi malaticcia.

Retasu invece la trovò bella, proprio come un fiore selvatico che se non splendeva nell'armonia del suo fusto o dei suoi petali, ma ammagliava con il suo colore e con il suo profumo.  

Tanto nell'aspetto quanto nel carattere non pareva aver nulla in comune con la sorella, se non per gli occhi: Nair aveva le stesse identiche iridi verde chiaro di Aisei, tempestate di pagliuzze dorate che luccicavano ogniqualvolta la mora annuiva o voltava la testa.

« Cosa c’è? »

« C-cosa? »

Nair le sorride gentile:

« Mi stavi fissando. Vuoi chiedermi qualcosa? »

Retasu arrossì fino alla punta delle orecchie.

Che figura!

« N-no, no, tranquilla Nair-san! Er… Ero solo… Sovrappensiero! »

Nair annuì, ma non nascose un sorrisetto divertito:

« Allora volevi chiedermi di Pai? »

Retasu smise di respirare:

« P-p-perché dovrei chiederti di Pai?! »

« Perché stavi fissando la porta da quando è entrato, tutto qui. »

Le sorrise ancora, e Retasu sentì di essere ad un passo dallo svenire per la vergogna. Si costrinse a fissare l’interessantissima carota che stava tagliando e a riprendere il discorso con naturalezza, anche se parlare era quasi impossibile dato il nodo alla gola.

« N-no… Era solo… Ero… Sì, curiosa… V-vi conoscete da tanto? »

Nair annuì con garbo, senza dare adito ad altre battutine o occhiate allusive, come se non notasse la sua agitazione:

« Siamo cresciuti assieme – rispose pacata – abbiamo praticamente la stessa età. »

« Praticamente? »

« Ho paio d'anni più di lui. – fece ammiccando – E visto da quanto tempo ci conosciamo, non presto molta attenzione a come lo chiamo. »

Retasu ebbe l’impressione che si stesse giustificando con lei, quasi per rassicurarla, ma visto che non c’era una ragione valida per fare una cosa del genere credette di esserselo sognato.

« Allora ecco perché chiami anche Taruto… »

« Ho perso i miei che avevo solo otto anni – spiegò rapida per non darle il tempo di fare domande – e i genitori di quei due si sono presi anche cura di me e mia sorella; Taruto-chan l’ho visto nascere, un po’ è come se fosse un altro fratellino. »

Retasu annuì e sorrise.

« Certo che – riflettè dopo un po’, mentre gettava le carote in una padella – non dev’essere stato semplice… »

« Che intendi dire? »

« Beh… Pai-san ha il suo caratterino… »

Si tappò immediatamente la bocca; aveva parlato senza pensare, ma non si capacitava di cosa aveva detto né per quale oscura ragione avesse formulato un simile pensiero. Nair la fissò un istante stupita, poi scoppiò a ridere di cuore:

« Hai proprio ragione, è stata una faticaccia! Però – le si avvicinò con fare cospiratore – sai, è diventato scorbutico con l’età: parlare non ha mai parlato molto, ma per lo meno da piccolo era più carino. »

« Di che diavolo stai parlando? »

Retasu si lasciò sfuggire un urletto. Pai era scivolato come un’ombra alle loro spalle e si era allungato verso la pentola, afferrandola per i manici con fare brusco.

« Ti come ti sei inacidito invecchiando. – ridacchio Nair – E non si ruba così la pentola da sotto il naso di chi cucina! »

« Certo, grande chef. »

Doveva essere una battuta, ma Pai la disse con tono così piatto che fu impossibile capirlo:

« E poi che vuol dire invecchiando? Ti ricordo che tu… »

« Non si dice l’età di una signora! »

Protestò Nair, minacciandolo con un mestolo improvvisato da un ciocco di legno; Pai la fissò rassegnato e scosse la testa, si chiedeva ancora come facesse ad avere tanta pazienza con lei.

Quando il ragazzo fu sparito oltre l’ingresso, Retasu si trovò di nuovo a tormentarsi il labbro inferiore.

« Forza, andiamo anche noi. – fece Nair allegra – Continuiamo il discorso più tardi. »

« Il discorso? »

« Quello che stavo facendo prima che lui c’interrompesse. »

Retasu annuì, e di colpo si ritrovò curiosissima di sapere come fosse Pai da piccolo, anche se non ne capiva il motivo. Fece qualche passo verso la porta, quando Nair la fermò e le sussurrò all’orecchio:

« Comunque, stai tranquilla, siamo solo amici. »

« Come? »

« Io e Pai. Siamo soltanto amici da una vita, ma non siamo e non siamo mai stati niente di più. »

« E perché la cosa dovrebbe interessarmi?!? »

Replicò la mewfocena in un fiato, sconvolta; Nair ammiccò ancora e la lasciò lì, mentre Retasu la guardava allontanarsi con gli occhi sgranati e il viso paonazzo per l'assurda allusione che aveva colto nei gesti della mora.

 

***

 

Aisei entrò nella stanza che Deep Blue le aveva assegnato; era nello stesso corridoio degli alloggi del suo signore, un tempo forse era stata la camera di qualche nobildonna o qualche membro della corte del sovrano.

« Sei colei che mi è stata più devota in questo difficile momento della mia sovranità. – aveva detto piano mostrandole la camera – Sappi che non dimenticherò né il tuo valore né la tua fedeltà. »

Lei aveva ringraziato con un profondo inchino e lo aveva lasciato ritirarsi. Era furioso per il mancato completamento del suo piano e lo vedeva, ma pareva aver deciso di incolpare se stesso e non lei ed era un'ottima cosa.

Doveva pensare. Doveva calmarsi e pensare alla mossa successiva con grandissima precisione, non poteva commettere il minimo passo falso o sarebbero morti tutti, lei per prima.

Non poteva opporsi alla ricerca di una MewAqua, ma doveva impedire che Deep Blue rintracciasse e attivasse la MewAqua Finale: se avesse fallito la sua patria e la Terra non avrebbero più avuto alcun futuro, come già in passato era quasi accaduto.

La presenza di Kisshu era un grosso, grossissimo problema che non sapeva come gestire. Neppure per un secondo Aisei s'era bevuta la stupidaggine della sua "redenzione": portarsi appresso quello scriteriato con il rischio che corresse di punto in bianco in salvezza della sua gattina, era come portare il lupo digiuno nel recinto degli agnelli, un'idea molto, molto stupida.

Ma cosa è venuto a fare qui?

Sbuffò e fece qualche passo nella stanza. Era enorme, con muri altissimi e tende di broccato rosso, pesanti, muffite, soffocanti; uno spesso tappeto polveroso attutiva i suoi passi e conduceva al letto a baldacchino, grande quasi quanto la sala da pranzo a casa sua.

Quella specie di tenda sopra le lenzuola le dava un senso nauseabondo di claustrofobia, ma era troppo stanca e la testa le ronzava come un alveare per fare la schizzinosa. Si lasciò cadere a peso morto sul materasso e si rannicchiò al centro: fortunatamente, al contrario delle sue aspettative era morbido e fresco, non odorava di vecchio o sporco; si rilassò in poco tempo e avvertì le membra sempre più doloranti e stanche, che la imploravano per un po' di riposo.

Chiuse gli occhi e d'istinto strinse le mani sul ciondolo sotto i suoi vestiti. Lo tirò fuori senza pensarci e lo studiò distratta, il suo luccichio era quasi confortante nella penombra di quel mausoleo.

« Sei proprio uno stupido – mormorò al buio mentre cadeva nel mondo dei sogni – Così… Mi renderai tutto più difficile. »

Crollò addormentata con la pietra ancora nel palmo. E cominciò a ricordare.

 

 

 

 

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Sì lo so, ditelo pure: sei fetusa a chiudere così! Non uccidetemi >.< ! Al prossimo capitolo ci attende un mega flashback che era davvero troppo lungo per metterlo qui, dovrete pazientare J ma finalmente sapremo qualcosa di più!

Contate sulle dita del vostro gatto nell'attesa, ci si vede tra due settimane. Grazie a  per le recensioni di mobo, Danya, Amuchan, giorgia000 e Perla_Bartolini e baci&abbracci ♥ ♥    a tutti!!

Mata ne
~♥!

   
 
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