Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Gageta    10/10/2014    5 recensioni
Qualcosa nel loro matrimonio era andato storto, qualcosa di sottile e indefinito. E tra tutti, quello che ne soffriva di più, che ci rimetteva senza alcuna colpa, era sicuramente Hamish.
[Johnlock, parent!lock, angst]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Due mesi dopo - Hamish

 

 

C'è una leggera brezza quella sera, appena un soffio di vento che solleva di tanto in tanto la pesante tenda di seta che copre per metà l'ampia finestra spalancata. Fuori il cielo è limpido, non una nuvola lo oscura, e dopo una settimana di poggia ininterrotta finalmente la luna piena fa capolino nel cielo stellato, lassù, irraggiungibile.

Hamish respira a pieni polmoni quell'aria buona, frizzante, che sa tanto di casa, e, poggiato con i gomiti sul davanzale, guarda i tetti di Londra nell'oscurità della notte. Ogni tanto alza lo sguardo al cielo e sorride, riconoscendo tra quei lontani puntini bianchi le poche costellazioni visibili nonostante le luci della città, quelle che John gli ha insegnato a disegnare, unendo i punti numerati proprio come nei giornalini di giochi per bambini che comprava da piccolo.

Ha sempre amato le stelle, quello spazio lontano che solo pochi fortunati hanno avuto l'opportunità di vedere. John era rimasto particolarmente divertito da questa sua passione, tanto che aveva comprato apposta per lui delle stelline fosforescenti da attaccare sul soffitto, così che la sua stanza potesse ricreare almeno un po' il paesaggio spaziale. Ogni tanto Hamish, prima di andare a letto, si sdraia a pancia in su e le guarda, immaginando di essere un astronauta e di vedere la terra da lontano, con gli oceani blu, le foreste verdi e i deserti, le montagne marroni, con le due chiazze di purissimo bianco ai poli. Principalmente è a causa di questa fantasia che si è fatto regalare un bel mappamondo con il piedistallo, di quelli che girano con una leggera spinta delle mani. Hamish ha passato le ore ad osservarlo, ha esplorato interi continenti con la punta delle dita e ricreato l'orbita della luna e del sole, giocando con una torcia per simulare il passaggio dal giorno alla notte. Ha un intero scaffale di libri sulle stelle, sullo spazio e i pianeti, e anche qualcosa di astrofisica, quella branca della scienza che si occupa di un sacco di cose interessanti che Hamish vorrebbe imparare dalla prima all'ultima, ma che ancora, nonostante tutti i suoi sforzi, fa fatica a comprendere. John gli ha detto che è ancora un bambino ed è normale che alcune cose non le capisca appieno, e Hamish vorrebbe tanto crescere in fretta per poter apprendere tutto quello che ancora non può.

Odia non sapere, non riuscire a comprendere, ed odia gli adulti che non lo aiutano affatto nelle sue ricerche o non rispondono alle sue domande. Lo zio Mycroft è uno dei pochi che lo tratta quasi come un adulto e che risponde quasi sempre quando gli chiede qualcosa. Ma da quando John e Sherlock si sono separati Hamish non lo ha più visto spesso come una volta e le sue domande sono rimaste lì, a ronzargli in testa, la sua curiosità che non può essere soddisfatta in altro modo.

Hamish respira a fondo, poi trattiene il fiato e ascolta. Il silenzio.

In quei due anni c'è stato tanto silenzio nella sua vita, ma, per la prima volta dopo tanto tempo, non lo teme. Quello è un silenzio diverso dal solito, è tranquillo, di pace, un silenzio che, scommette, è quasi uguale a quello dello spazio, del vuoto assoluto.

Rabbrividisce all'aria fresca di inizio primavera e senza far rumore richiude la finestra, lasciando fuori il suo bellissimo cielo, e con passi leggeri si infila sotto le coperte e si stringe in un bozzolo, al calduccio.

Chiude gli occhi e rimane lì, ad ascoltare, a bearsi di quella bella serata, pensando agli ultimi due mesi e sorridendo, rassicurato dalla dolce atmosfera di casa che lo avvolge completamente, proteggendolo.

Dopo due anni passati in solitudine e tristezza, finalmente Hamish si sente completo, al sicuro e felice. Molto felice.

Perché è al 221b, e John e Sherlock sono lì con lui, i suoi due bravissimi papà.

Entra in casa, trepidante. Per tutto il giorno non ha fatto altro che pensare al sorriso e all'aria stranita di John quando è tornato a casa, quella mattina, all'aria persa con cui lo ha guardato prima che uscisse e si chiudesse la porta alle spalle. Sa che quelle tre notti fuori di casa le ha passate al 221b, sa che i suoi due papà hanno fatto quella cosa che fanno tutti gli adulti nella loro grande stanza, quella cosa che lui ancora non può capire cos'è. Lo ha dedotto, così come Sherlock gli ha insegnato, cercando nella sua testa, scavando tra i ricordi: come quella volta che era sceso perché non riusciva a dormire e li aveva sentiti ridere e fare alcuni versi strani; come quella in cui era entrato in cucina poco prima di andare a letto e li aveva visti baciarsi, e John lo aveva portato subito nella sua stanza e gli aveva dato il bacio della buona notte per tornare a "fare le coccole a papà"; come tutte quelle mattine in cui andava in bagno e trovava la porta che si apre sulla stanza dei suoi genitori chiusa a chiave; come tutte le volte che John entrava in cucina in vestaglia. Quelle mattine John aveva la stessa espressione, gli stessi capelli lievemente disordinati e lo stesso odore che corrispondono ai suoi ricordi.

Lo trova in cucina mentre butta dentro ad un borsone, alla rinfusa, tutto quello che trova di utile negli armadietti. Alza gli occhi e lo guarda, prima di aprirsi in un sorriso. «Prendi le tue cose. Torniamo a casa.»

Fa appena in tempo a concludere la frase che Hamish gli è saltato al collo e lo sta abbracciando stretto, affondando con il viso nel maglione color ocra. Prima di rendersene conto, sta piangendo. Lacrime di gioia.

John gli passa una mano tra i capelli, poi si inginocchia e lo guarda negli occhi, sorridendo in risposta al debole stiracchiamento di labbra di Hamish.

«Avete fatto la pace?» mormora il bambino tra le lacrime che gli rigano il volto, e quando John annuisce, sorridendogli dolcemente, torna ad abbracciarlo stretto. «Non voglio più stare qui.»

Si rigira nel letto e ripensa alla corsa che ha fatto in camera subito dopo, ai vestiti che ha buttato alla rinfusa nel grande borsone per fare più in fretta e alla sua impazienza durante il tragitto in macchina.

 

Quando entra nell'appartamento Sherlock è in piedi in mezzo al salotto che gli sorride stancamente. Hamish lascia cadere a terra il suo carico e corre tra le sue braccia, così come ha fatto prima con John, mentre quest'ultimo rimane sulla porta a guardarli. Il biondo sorride di riflesso, un tiepido calore gli inonda il petto a quella vista.

Hamish si stacca e fissa Sherlock, colmo di gioia, e, dopo aver gettato un'occhiata titubante verso John, si morde un labbro. «Stai bene, papà?» chiede, preoccupato.

Sherlock sorride debolmente e gli passa una mano tra i capelli. «Sto molto meglio, ora.»

«E starà ancora meglio d'ora in poi.» si intromette John, camminando verso di loro a passo sicuro. Passa una mano tra i capelli di suo figlio e trae a sé Sherlock con un braccio, stringendolo per la vita. Gli da un bacio in fronte, poi guarda in giù. «Domani facciamo un salto dal dottore, nel frattempo ho io la cura giusta.» Scompiglia i riccioli neri con la mano e ridacchia. «Tante, tantissime, coccole. Ok?»

Hamish ride e li stringe entrambi tra le braccia, affondando tra di loro, mentre Sherlock arrossisce lievemente e si china, appoggiando la testa sulla spalla del suo compagno.

«Siamo di nuovo una famiglia?» chiede poi Hamish, ingenuamente, guardando Sherlock dal basso della sua altezza. Il moro si adombra per un secondo e guarda John, incerto, e l’altro sotto quello sguardo passa dal felice all'addolorato nel giro di un millesimo di secondo.

Senza esitazione lascia andare Hamish per un attimo e gli incornicia il volto con le mani, tirandolo a sé in un profondo bacio per una ventina di secondi, stringendolo tra le braccia e assaporandolo, lentamente, dolcemente.

Per la prima volta Hamish non distoglie lo sguardo come ha sempre fatto in passato: questa volta guarda con gli occhi lucidi, vedendo in quel gesto tutto l'amore che c'è tra i suoi due papà e pensando che è stato proprio uno stupido per pensare che il baciare facesse un po' schifo. Ancora non capisce cosa ci sia di tanto bello nello scambiarsi saliva in quel modo, ma vedendo i suoi genitori in quel momento pensa che sia una delle cose più belle del mondo, e che se loro lo fanno, è perché si amano. Tanto.

John si stacca e guarda Sherlock, serio in volto. «Siamo una famiglia?» chiede nuovamente.

Una singola lacrima gli riga il volto mentre si apre in un sorriso sincero, per la prima volta senza incertezze. Annuisce. «Sì, lo siamo. Siamo una famiglia.»

Hamish ricorda l'abbraccio subito dopo, lo ricorda perché è così vivido nella sua mente, così bello e tangibile che sarebbe impossibile dimenticarlo. Il modo in cui lo hanno sollevato e tutti insieme si sono spostati sul divano, il modo in cui John e Sherlock lo coccolavano a turno e si guardavano: i sorrisi e le lacrime di commozione, i baci e le carezze continue.

Hamish ha passato uno dei pomeriggi più belli degli ultimi due anni quel giorno, e ancora adesso un grande calore si propaga al centro del suo petto quando ci pensa.

Ne sono passati molti altri di pomeriggi così.

Un giorno Sherlock ha fatto pure pace con lo zio Mycroft. Hamish sa che un anno prima hanno litigato, lo sa perché lo ha dedotto da come suo padre lo guardava quando pronunciava il suo nome. Non sa per quale motivo, ma sa che Sherlock deve avergli detto qualcosa di molto brutto e che quel qualcosa deve essere stata la goccia a far straripare il vaso.

John lo ha chiamato, cercando il suo aiuto per guarire Sherlock, e Mycroft non ha acconsentito fino a quando non gli ha parlato di lui, portando il fratello da uno dei migliori medici di Londra. Hamish ha spiato dal buco della serratura quando il minore degli Holmes ha chiesto di parlare col fratello, e John ha sorriso e fatto finta di niente nonostante gli avesse detto più volte che fosse maleducazione. Da lì ha visto Sherlock dire un paio di parole veloci, a voce talmente bassa che lui non le ha potute sentire, per poi avvicinarsi al fratello e stringerlo velocemente in un goffo abbraccio. Ha visto la faccia sorpresa di Mycroft, il rossore improvviso che gli imporporava le guance mentre rimaneva rigido sul posto e l’altro si staccava distogliendo in fretta lo sguardo, cercando di nascondere l’imbarazzo per quel gesto così inusuale tra loro.

«Grazie per tutto.» aveva detto Sherlock, puntando gli occhi sulla parete di fronte pur di non guardarlo in faccia.

«Nessuno avrebbe potuto farlo meglio.» Un sorriso sghembo sulle labbra.

«John avrebbe fatto sicuramente meglio se non fosse stato coinvolto.» aveva ribattuto l'altro, imitando il sorrisetto del fratello.

Hamish si era tirato indietro e aveva sorriso a John, annuendo piano al suo sguardo interrogativo. Erano entrambi scoppiati a ridere non appena i due erano usciti e neanche le minacce del governo inglese avevano potuto fargli confessare il misfatto.

Successivamente si erano trovati tutti insieme con Mycroft e Greg e avevano fatto un pic-nic a Green Park, nonostante il continuo lamentarsi del maggiore degli Holmes riguardo ad un certo accordo di importanza nazionale. Una volta Sherlock era venuto a vedere la sua partita di calcio contro una delle squadre più forti che avevano mai incontrato, e Hamish, rincuorato dal suo tifo, era riuscito a segnare in porta tra gli applausi dei suoi compagni; poi c'era stato l'ennesimo pomeriggio passato a guardare Il Signore degli Anelli, tra le risa per i commenti infastiditi di Sherlock sulla stupidità di alcuni personaggi, e anche un take-away giapponese una (nonostante John avesse degradato quel cibo alle poche serate in cui andava festeggiato qualcosa), o la cena che avevano avuto completamente gratis in un ristorante italiano quando John aveva voluto festeggiare un po' diversamente quello che sarebbe dovuto essere il loro dodicesimo anniversario di matrimonio, ma che dopo i due anni separati si era riscoperto essere il decimo.

Le fedi erano magicamente ricomparse alle dita dei suoi genitori un paio di settimane dopo la riunione, e Hamish aveva quasi il sospetto che Mycroft ci avesse messo la mano.

Quello che gli importava tuttavia era ben altro: gli anelli erano solo un piccolo segno della rivoluzione di quei giorni.

Sherlock aveva recuperato peso in pochissimo tempo, rassicurato dal nuovo clima di Baker Street, ed era tornato ad essere il solito detective orgoglioso ed arrogante (ma neanche troppo) di sempre.

Se prima John passava quasi tutto il suo tempo libero in casa a prendersi cura di lui, ora, quando tornava, Hamish lo trovava raramente lì. I suoi genitori tornavano sempre a casa insieme, a volte ridendo, a volte trafelati per chissà quale corsa o con qualche graffio sul volto, e il bambino li accoglieva con il broncio, la borsa del pronto soccorso sempre in mano.

Un giorno era riuscito a convincerli ed era andato con loro sulla scena di un crimine. Non si era mai divertito così tanto nella sua vita.

Inoltre quando John aveva detto che le coccole sarebbero state la prima medicina alla quale sarebbe ricorso non scherzava: non c'era un giorno in cui Hamish scendeva sbadigliando la mattina e li trovava entrambi in vestaglia (solitamente John con quella blu), o che non si ritrovasse sul divano sommerso dalle dita che gli facevano il solletico, strappandogli scosse di risa fino alle lacrime. Lui stesso contribuiva, abbracciandoli entrambi quanto più poteva ogni volta che gli veniva voglia, anche quando Sherlock era concentrato su un caso e lui gli saltava addosso da dietro: il moro non se la prendeva mai, anzi. Lo trascinava al suo fianco e gli raccontava quello che aveva scoperto, talvolta saltando in piedi e dicendo ad alta voce che era un genio, benché il bambino si fosse semplicemente limitato ad osservarlo ammirato.

Hamish ama la sua vita ora, la ama perché è completa, perché non manca niente all'appello. E in quel momento, stringendosi tra le sue coperte, si sente un po' solo.

Dopo essersi girato un paio di volte senza riuscire a prendere sonno, si alza definitivamente, rinunciando a cercare le ciabatte nel buio della camera.

Scende le scale, facendo attenzione ai gradini scricchiolanti, passa per la cucina e si infila nel corridoio. Con cautela afferra la maniglia della stanza dei suoi genitori e la tira giù, facendo attenzione a non fare rumore, e sospira di sollievo quando essa si apre sotto al suo tocco. Forse hanno rimandato le coccole al mattino.

Entra titubante, fermandosi per un attimo sulla porta.

Dormono entrambi: Sherlock è avvolto nelle lenzuola, stretto al petto di John, che lo circonda in un abbraccio, riposando con il mento appoggiato sul suo capo. Le mani sono intrecciate, le fedi che brillano sotto la fioca luce della luna, fuori dalla finestra aperta.

I loro respiri si alternano, tranquilli, rompendo il silenzio piatto della notte.

Hamish rimane per un attimo a contemplare quella scena, sorridendo inconsapevolmente, poi si avvicina al letto con passi felpati e allunga una mano verso John, scuotendolo gentilmente. Apre gli occhi qualche secondo dopo, mugugnando, e lo guarda tra le palpebre socchiuse, cercandolo nell'oscurità.

«Hamish?» chiede in un sussurro e il bambino si stropiccia gli occhi con una mano, facendo una smorfia triste.

«Non riesco a dormire…» mormora in risposta.

Sente un movimento al di là di John e poco dopo la voce baritonale di Sherlock si fa sentire. «È inutile che parlate a bassa voce, mi avete già svegliato

John ride e Hamish lo segue. Poi, rincuorato, si arrampica sul letto e si inserisce tra i due che, per niente sorpresi, lo accolgono tra le loro braccia, stringendosi intorno a lui come due cucchiai. Hamish si accoccola contento, chiudendo gli occhi.

«Come mai non riuscivi a dormire?» chiede John poco dopo, accarezzandogli amorevolmente la testa con una mano.

Hamish esita un attimo, poi sospira. «Mi sentivo solo…»

Sente Sherlock fremere al suo fianco e una mano poggiarsi sulla sua testa insieme a quella già presente. «Non sei solo Hamish. Non più, mai più.» mormora, la voce che si spegne in un sorriso.

«Non sei un po' troppo grande per venire nel lettone, Hamish William Watson-Holmes?» ridacchia John poco dopo, solleticandogli la pancia con un dito.

Hamish ride e quando si calma esala in un sussurro. «Devo recuperare due anni.»

Le parole si perdono nel silenzio, poi dopo una decina di secondi John allunga una mano sopra di lui, andando a cercare quella di Sherlock, che al fruscio iniziale ha già capito. Si incontrano a metà strada e si stringono, intrecciano le dita, per poi adagiarsi sul corpicino del loro bambino.

John gli lascia un bacio tra i capelli, Sherlock strofina la mano libera sulla sua guancia in una carezza.

Tutti e tre, inconsapevolmente, sorridono.

Fuori un soffio di vento alza da terra una foglia, la solleva e la fa volteggiare nell'aria, sopra la strada, sul marciapiede, e poi giù, fino ai gradini del portone del 221b, illuminato dai riflessi perlacei della luna.

È un edificio vecchio, ormai ha i suoi anni. Alla luce del giorno è possibile intravedere le sottili crepe che lo attraversano, che ne rovinano l'immagine. Se si guarda ancora più attentamente, si scorgono varie linee, come vecchie cicatrici, riempite con cemento fresco e ridipinte con cura.

È un edificio vecchio, ma non lo dimostra. Si è sgretolato, lentamente, è stato rimodellato, aggiustato.

Ne ha vista passare di gente per Baker Street, ne ha ospitata altrettanta, eppure è ancora lì, in piedi contro la furia del mondo che gli gira intorno.

È un edificio vecchio, ma è forte sulle sue fondamenta.

Non hanno mai ceduto.

~*~

 

 

Epilogo

 

«Papà?»

«Sì, Hamish?»

«Vi voglio bene. Un mondo di bene.»

John sorride rincuorato, stringe un po' di più la mano di suo marito nella sua. Sherlock lo guarda, gli occhi che brillano nel buio.

 

«Anche noi.»

 

 

Fine.

 

 

 

È andata a finire bene, quindi... ve lo aspettavate? <3

Vi svelerò un segreto. Almeno qui, in questo mondo in cui posso decidere io stessa della sorte dei miei personaggi, troverete raramente una mia storia finire male, specialmente se angst (a meno che questo non sia l'obbiettivo, in tal caso credo proprio di sì). Non sempre nella vita reale finisce tutto bene, ma è bello per lo meno sperare che possa farlo, in un modo o nell'altro.

E siamo a quota tre long concluse. Ragazzi, mi sento forte! xD

Grazie a tutti coloro che hanno preferito/seguito/ricordato e un grande abbraccio a coloro che hanno recensito. Grazie per aver speso qualche minuto del vostro tempo per lasciarmi un piccolo commento! (E che commenti, li ho adorati tutti dal primo all’ultimo!) *^*

Ringrazio anche la mia solita beta lalla_4, senza la quale oramai non mi sento più sicura a pubblicare^^

E con questo vi saluto, sperando che vorrete passare con me anche qualche prossima pazzia!

Au revoir <3

Gageta.

 

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