Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |       
Autore: ladystorm94    12/10/2008    1 recensioni
Una storia pazza con personaggi pazzi! non manca niente: amore, amicizia e un pizzico di quotidiana magia! questa è la mia prima pubblicazione... spero tanto che piaccia a tutti voi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! scusatemi se non ho l'html ma il mio pc proprio non ne vuole sapere... perdonatemi! LEGGETE E RECENSITE PLEASE!!!!!!!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Quaranta gradi! Con questo caldo non si respira più!... Oh, no, dov'è finito il mio orologio? Di questo passo arriverò in ufficio domattina, se tutto va bene!- Tra un'imprecazione e l'altra, Flora Damiani si preparava per andare a lavoro. Era la stessa cosa tutte le mattine: si alzava sempre troppo tardi nonostante la sveglia facesse del suo meglio, si vestiva cercando di ignorare il suo guardaroba che gridava vendetta e preparava la ventiquattrore. Ogni volta dimenticava qualcosa, ma se ne ricordava solo dopo essersi seduta dietro la scrivania del suo ufficio in via Ottaviano numero 36, alle spalle di San Pietro. Flora frugò nella sua borsa, finchè ne estrasse un palmare fucsia metallizzato. Lo accese, andò alla pagina dell'agenda e diede una sbirciata agli appuntamenti. -Allora... alle nove viene la pazza isterica per l'affidamento, poi l'ubriacone per il divorzio alle dieci, mentre alle undici viene Come-si-chiama-lei per la consultazione. Che barba, ma perchè ho fatto Legge?- Indossò un tailleur bianco nonostante la temperatura fosse da deserto del Sahara, poi infilò un paio di scarpe dal tacco basso, prese la valigetta e uscì. Appena fuori dal portone di casa, in via Veneto, imboccò la strada per la stazione della metro. Il luogo era affollato come al solito, pieno di pendolari con gli occhi ancora rossi per il sonno. Flora avrebbe tanto voluto uscire da quella vita frenetica che non le permetteva di dedicare un po' di tempo a se stessa. Due mesi prima lei e Vittorio si erano lasciati dopo ben sei anni di convivenza. Lei avrebbe tanto voluto avere dei figli, ma lui aveva sempre scosso la testa alla sua richiesta. Ora aveva ormai quarantuno anni, era sola e il lavoro già da tempo non la appagava più come all'inizio. Appena il vortice di pensieri smise di girare, la donna alzò gli occhi e guardò in direzione del pannello luminoso, su cui una scritta a led rossi annunciava che il suo treno era in arrivo. Il tragitto le sembrò durare un'eternità. Alla sua fermata scese e percorse il breve tratto che separava la stazione da suo ufficio. Prese l'ascensore e salì fino al terzo piano. Il suo studio legale era in fondo a destra. Sulla porta di ciliegio c'era la targa dorata con sopra la scritta: Flora Damiani, avvocato. Girò la chiave nella toppa e aprì. Ad aspettarla c'era soltanto una sgradevole pila di fascicoli ammucchiati sulla scrivania. Si sedette sulla poltrona girevole di pelle bordeaux e buttò la testa all'indietro. Mille pensieri cominciarono a frullarle in testa finchè non ricordò con estremo sconforto di aver dimenticato le pratiche. Quella era una tipica giornata no. Una delle innumerevoli giornate no di Flora Damiani. Proprio non aveva voglia di tornare a casa per qualche foglio. Mancava circa un quanto d'ora al primo appuntamento, così decise di telefonare ai clienti e annullare tutti gli incontri, dopodichè lasciò una registrazione alla segreteria telefonica in cui diceva di non essere disponibile al momento, quindi uscì e si richiuse la porta alle spalle. Zigzagò per alcuni minuti prima di entrare in un bar e ordinare un caffè. Il tavolino di fronte a lei era occupato da una donna alquanto eccentrica: portava un tipico abito anni cinquanta rosso a pois neri. Aveva un cappello a falda larga, anch'esso nero. Anche le scarpe dal tacco vertiginoso, le lunghissime unghie, la borsa e la montatura degli spessi occhiali da vista erano rigorosamente nei. Aveva un giornale in mano, che teneva aperto davanti a sè sul tavolino bianco mentre sorseggiava una densa cioccolata calda. Chiuse il giornale, estrasse dalla borsa un libro e cominciò a sfogliarlo, scuotendo la testa e mormorando qualcosa che Flora non capì. Finì il so caffè e lanciò uno sguardo al libro che la donna teneva tra le mani: sulla copertina era riportata la fotografia di u a spiaggia, e il titolo era stampato in nero esattamente al centro dell'immagine. Era "Azzurro come i tuoi occhi", un libro che Flora conosceva molto bene. Poi arrivò il lampo di genio e ricordò. Si alzò e si avvicinò trionfante alla misteriosa donna. Si sedette di fronte a lei e pazientò, finchè l'altra non chiuse il libro e parlò con fare irritato. -Posso fare qualcosa per lei?- Flora sorrise. La donna ripetè la sua domanda, sempre più irritata. -Tu sei Ginevra Cliffordy, ne sono sicura.- -Come ha detto, scusi?- -Non ti ricordi di me? Sono Flora, andavamo a scuola insieme al Liceo!- Ginevra la fissò incredula, poi spalancò gli occhi. -Damy?- -Non mi chiamare Damy, Ginevra, lo sai che mi fa arrabbiare!- -Allora sei proprio tu! Che fine avevi fatto? Dopo gli esami non t sei fatta più sentire.- -Neanche tu. Comunque... indovina che libro ho appena finito di leggere per la duecentesima volta!- -Non ne ho idea, illuminami.- -"Azzurro come i tuoi occhi". E' bellissimo, complimenti!- -Lo so che i miei libri sono tutti bellissimi, Flo, ma ti ringrazio lo stesso.- -Che modestia, sono senza parole!- -Grazie. A te come va il lavoro?- -Sai, io sono un avvocato. Non è male, ma la routine è massacrante.- -A chi lo dici! Non è mica facile conciliare il mio lavoro si stilista con quello di scrittrice: bisogna organizzare le sfilate, le presentazioni dei libri in tutto il mondo, ed è necessario tenere sempre le valigie pronte!- -Sai, mi sarebbe piaciuto tenermi in contatto con gli altri compagni.- Incominciò una musica. Era "I don't want to be" di Gavin DeGraw. Non sentiva quella canzone da anni, ma ricordava benissimo quanto Gin amasse quel cantante e tutti i suoi brani. -Scusa un attimo, devo rispondere... Pronto?... Ciao, Chicco, come vanno i progetti per la mia casa a Tokyo? Guarda che il prossimo Natale lo voglio passare in Giappone!... Come sarebbe a dire che dovrò andare in albergo?!... Sei a Roma?! Non ci credo, proprio qui a Roma? Quando sei arrivato?... D'accordo, allora ci vediamo fra cinque minuti alla Barcaccia, okay?... Ciao, Chicco, a dopo!- Ginevra rimise il palmare ella borsa e riprese il discorso. -Dicevi?- -Non importa. Comunque... chi era al telefono?- -Melchiorre Corvi. Te lo ricordi, vero? -E chi se lo scorda uno brutto come lui!- Gin sorvolò sulla battutaccia. -Be', comunque tra cinque minuti dobbiamo essere a Trinità dei Monti.- -Dobbiamo?- -Dobbiamo. Tutte e due.- -Perchè?- -Perchè lo decido io. Te la senti di correre come non hai mai fatto in vita tua?- -Ti prego, non dirmi che non hai la macchina!- -In effetti, qui a Roma non ne ho nessuna. Ho soltanto il jet, ma non vorrei dare troppo nell'occhio.- -Allora useremo la metro.- -Stai scherzando? Io sono una miliardaria, non la uso mica!- Flora si mise la testa tra le mani, rassegnata. Fecero appena in tempo ad uscire da bar che il barista, accortosi dell'identità della misteriosa cliente, si fiondò fuori dal suo locale con in mano una penna gridando: -Un autografo! Un autografo!- Tre quarti d'ora dopo arrivarono a Trinità dei Monti e, mentre scendevano la lunga scalinata che le separava dal luogo dell'incontro, squillò di nuovo il palmare. Gin infilò l'auricolare nell'orecchio e Flo si accostò per ascoltare. -Sì?- -Sei in ritardo, Gin- borbottò una voce maschile con un forte accento bolognese dall'altro capo del telefono. -Le donne devono farsi aspettare, Chicco. E poi non volevo dare nell'occhio con il jet.- -Con quel vestito stai dando nell'occhio molto più di quanto tu creda.- -Ma tu dove sei?- -Accanto alla Barcaccia, alla tua destra. Mi vedi? La gente ti sta fissando, meglio andare in un luogo meno affollato.- -Concordo.- -La Gattina è parcheggiata alle spalle di Trinità dei Monti. Ci vediamo lì.- -Okay, a tra poco, Chicco.- -Non mi chiamare Chicco!- Quando Gin ebbe riattaccato si guardò intorno, per accertarsi che nessuno la stesse fissando. -Non riesco proprio a riconoscerlo, sai?- disse Flora, allungando il collo per vedere meglio. -E' giustificabile, dato che non lo vedi dai tempi del Liceo. Ora andiamo, però.- Gin partì in quarta verso la chiesa, con Flo che la seguiva ruota. Al centro del piazzale dietro Trinità dei Monti era parcheggiata una brillante e lucidissima Jaguar nera, con tanto di felino rampante sul cofano. Gin accarezzò amorevolmente la statuetta argentata. -Ciao, tesoro, come stai? Papà ti ha trattato bene?- sussurrò dolcemente. -Vai spesso in giro con la sua macchina? -Credo sia legittimo, visto che gliel'ho regalata io per il suo ultimo compleanno. -Ciao, Gin!- -Eccoti! Ciao, Mel!- Flora si voltò e, dopo tanti anni, stentava quasi a credere che quello fosse davvero Melchiorre Corvi. Un metro e novanta abbondanti di altezza; occhi, che anni addietro erano stati nocciola, diventati di un verde smeraldo. Il fisico, un tempo mingherlino e pallido, aveva lasciato il posto ad un corpo asciutto e abbronzato e a una postura quasi da indossatore. Tuttavia, il suo naso a campana era rimasto quello di sempre, i ricci castani continuavano a ricoprirgli la fronte e un paio di spessi occhiali di corno gli incorniciavano i begli occhi. Insomma, Melchiorre Corvi era sempre stato e rimaneva un classico esemplare di secchione. -Mel, lei è Flora Damiani.- sorrise Gin, indicandola con un gesto della mano. -Accidenti, non è cambiata di una virgola!- esclamò Mel, sempre con il suo solito accento che, nonostante i suoi viaggi in giro per il mondo che effettuava per il suo lavoro di architetto, non aveva mai neanche accennato a perdere. Flo si sistemò i lunghi boccoli neri dietro le orecchie, mentre gli occhi scuri le brillavano. -Tu invece sei diventato ancora più brutto, anche se non pensavo che ciò fosse possibile.- -E io non ho mai dimenticato la tua antipatia.- la schernì lui, dopodichè rivolse un sorrisetto furbo a Gin. -Pensi anche tu quello che penso io?- domandò lei, rispondendo con uno sguardo pericolosamente simile a quello di lui. -Che cosa avete in mente? Vi conosco, e so che quando fate così vuol dire che state architettando qualcosa di brutto.- -Oh, sì! Ci puoi scommettere!- disse Gin, allargando una smorfietta maligna. -Forza, sali in macchina,- la invitò invece Mel -io e Gin sappiamo dove portarti. Rassegnata, scoccando sguardi truci agli altri due, Flo salì sul sedile posteriore. La macchina partì con un rombo lasciando il piazzale. Flora guardò indietro mentre Trinità dei Monti si allontanava, senza neanche riuscire a immaginare la pazza avventura che l'aspettava.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: ladystorm94