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Autore: Kane_    12/10/2014    5 recensioni
In un'era dilaniata dalle guerre fratricide e vanagloriose, i regni umani erano in continua lotta tra loro per contendersi le aspre ed anguste terre dell'entroterra continentale, sotto gli occhi vigili e disgustati delle altre razze, che mai si erano permesse di interferire con l'autodistruzione umana fin dalle Guerre Razziali.
Nessuno reputava quelle continue lotte di potere come una vera e propria minaccia, fino a quando un oscuro ed ormai dimenticato sovrano non si spinse troppo oltre, dando luogo ad una piaga che avrebbe spazzato via tutto il mondo dei viventi.
Alexander, un ragazzo come tanti, dopo aver scoperto il suo straordinario potere sulla natura e sui viventi, vedrà la propria infanzia sgretolarsi davanti al dramma della guerra che invaderà tutto il continente ed abbandonerà il suo isolato e tranquillo villaggio d'origine per fronteggiare l'immensa minaccia che si appresta a distruggere tutta la vita senziente.
Il suo destino, però, è già stato tracciato...
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"E così, fratello mio, anche la tua anima è finita nelle loro mani..."
L'uomo di mezz'età aveva le braccia allungate verso il muretto del forte che offriva un'ampia vista della secca e grigia pianura, interrotta solo dal resto del complesso militare e dalle immense mura intorno ad esso, fatte interamente di metallo. Questo miracolo dell'architettura difensiva, commissionato dal re dell'Antico Impero in persona che fino a qualche secolo prima dominava incontrastato sul continente, non sarebbe stato possibile se non grazie all'aiuto della gilda dei Mastri Fabbri, i manipolatori dei metalli, divenuti leggenda per le loro incredibili abilità e dimenticati subito dopo la loro scomparsa. Quell'altissima e spessa muraglia era l'unica testimonianza esistente della loro eccellenza e, nonostante gli evidenti segni lasciati dagli innumerevoli tentativi di assedio subiti, era diventata il simbolo del potere e della magnificenza. Nessuno fin dalla sua costruzione era mai riuscito ad impadronirsene, nessuno mai era riuscito a valicare l'immensa muraglia di metallo. Per secoli era stato la salvezza, un baluardo sicuro dove rifugiarsi dalle atrocità esterne. Eppure quella fredda e piovosa mattina alcun uomo sembrava sentirsi al sicuro: all'orizzonte sfilava il più grande esercito che avesse mai calcato le terre conosciute, un'immensa orda di uomini, donne e perfino bambini di ogni età, razza o ceto sociale.
"Mio signore..." un soldato alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri. L'uomo lo scrutò, esaminando la tunica e gli armamenti leggeri che adornavano le braccia del giovane che fino a poche ore prima, in piena notte, camminava per quelle sterili terre in esplorazione, "Il loro esercito supera la linea dell'orizzonte, le loro macchine d'assedio sono più di un migliaio e..."
"Basta così." lo interruppe, cercando di mantenere un certo contegno non per la paura, ma più per la rassegnazione dell'inevitabilità della sconfitta. Lanciò uno sguardo al di là del muro di cinta, osservando quella macchia nera di lame e acciaio che lentamente invadeva la pianura. 
"Che mi sai dire degli altri forti, hai visto altre uniformi oltre a quello del castello di Northmount?" chiese cautamente, senza guardare il soldato.
"A migliaia" rispose il giovane esploratore senza esitazione, "Purtroppo, sembra che anche le truppe di White Hamlet e della Grande Mesa siano state soggiogate, oltre a quelle già note."
"Santo Dio... questo significa che siamo soli, completamente abbandonati a noi stessi..." esalò l'uomo. Prese una lunga pausa per riprendersi al pensiero di tutte le vittime causate da quel flagello, per poi fare l'unica domanda che temeva di fare: "L'avete trovato?"
"Si, mio signore. È ridotto male, molto male, ma siamo sicuri che sia lui. Vuole che gli venga data una degna sepoltura?"
"Non c'è tempo" si portò una mano alla fronte per nascondere la sua paura di constatare in che condizioni fosse stato trovato.
“ Non doveva finire così, fratello..." prese una lunga pausa, accompagnata da un profondo respiro, per poi riprendere la parola: "Portatemi da lui, voglio salutarlo per l'ultima volta." intimò, nascondendo il tremolio della voce sotto quel rigido ordine.
"Sì, signore. Mi segua."
In pochi minuti, quello che una volta era il valoroso re delle Terre Norrene controllate dagli umani, il tanto amato e celebrato Richard, era steso su un tavolino di legno, il corpo sventrato senza più un braccio e parte della testa, le labbra cianotiche schiuse in un ultimo grido.
L'uomo osservò quel macabro spettacolo, vagliando quel cumulo di carne ed ossa alla ricerca di un segno, un qualcosa che smentisse l'identità di quel cadavere. Allungò la mano verso lo spallaccio, rimuovendolo con estrema lentezza e pregando gli dei che quello fosse solo un semplice soldato. Percepì le cinghie di cuoio spezzarsi sotto vicino alle sue dita e lasciando scoperta la pelle bianca e una piccola voglia rossastra. Una voglia che lui aveva visto parecchie volte nel corso della sua vita.
"Fratello mio..." disse con una voce rauca, non più intimorito dalla paura di mostrarsi debole. Non aveva più importanza. "Non meritavi questa fine. Eri un buon re e un ottimo fratello. Mi hai insegnato tutto quello che so..." prese una pausa per resistere alla tentazione di singhiozzare, distogliendo per un attimo lo sguardo da quel corpo straziato. L'immagine di Richard si sovrappose a quella che aveva davanti e per un attimo il sovrano credette di star sognando. Ma il puzzo del sangue e della carne putrefatta non lasciavano tracciare un netto confine tra la realtà e la sua speranza.
"Ed ora, senza di te, come faremo? I tuoi soldati sono caduti nelle mani del nemico, molti ti hanno voltato le spalle e presto si porteranno via anche la mia vita..."
Dopo un lungo silenzio, dilaniante più di qualsiasi lamento o grido di dolore, l'esploratore bussò alla porta, per poi entrare subito dopo senza attendere risposta: "Mio signore, cosa vuole che dica agli uomini là fuori?"
Il sovrano si volse verso il suo interlocutore. Lo fissò e strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, mentre sentiva la rabbia montare dentro di lui. Non poteva arrendersi, non dopo quello che avevano fatto a suo fratello e al loro popolo.
"Dì loro che ce la caveremo, che l'esercito nemico è numeroso, ma che non è preparato ed equipaggiato per un assedio.” disse infine, oltrepassando il soldato e uscendo da quella stanza di morte.
 “Almeno gli daremo l'illusione che forse potranno uscirne vivi e liberi."

Il giovane era seduto davanti ad un tavolo in disparte nella stanza, dove si trovavano diversi soldati, intenti a sorseggiare birra ed altre sostanze che, in realtà, avevano tutte lo stesso sapore. Si guardò intorno meditabondo, sorseggiando una tazza fumante di liquido nero pece. Il sapore amaro gli fece storcere il naso, ma mentre scendeva in gola, il giovane sentiva una piacevole calma. Dopo un lungo viaggio, era rimasto estasiato da una bevanda in grado di concedere una grande concentrazione ed una notevole vitalità. Certo, non era facile distillarlo da da quegli strani chicchi scuri, ma dopo un paio di tentativi aveva imparato la tecnica che tante volte aveva visto maneggiare dalle mani esperte degli abitanti del lontano Oriente.
Mentre sorseggiava quel liquido scuro, fissava il suo più grande amico, nonchè l'unico membro del suo reggimento rimasto in vita oltre a lui, che gli si stava avvicinando per sedersi al suo stesso tavolo.
"Ebbene, pronto al massacro? Voglio proprio vedere come te la cavi a combattere senza i tuoi amichetti..." esclamò il nuovo arrivato, buttandosi sulla sedia con ben poca grazia.
"Piantala, Markus..." disse seccamente lui, finendo la tazza di caffè ed appoggiandola sul tavolo. "Piuttosto, dimmi, sei riuscito a riparare il tuo arco dopo l'ultima volta?"
Il suo coetaneo lo fissò in cagnesco, rivedendo il momento in cui la sua arma prediletta che aveva usato per parare un colpo di spada si spezzava tra le sue mani. In quell'occasione non aveva potuto fare altro per difendersi, ma la cosa non gli aveva fatto per niente piacere.
"Molto divertente, Alexander, ma di arcieri come me ce ne sono tanti, mentre tu porti un fardello non irrilevante nelle tue spalle..."
Il giovane sospirò, fissando la tazza vuota e sperando che in qualche modo si riempisse da sola per poter bere altro caffè. Markus era sempre stato un tipo schietto e quella frase ne era la dimostrazione: i Signori della Vita erano così pochi, specie tra gli umani, che per molti erano solo un mito. Alex era uno di questi, forse l'unico della sua razza, l'ultimo in grado di poter tramandare quell'arte arcana e misteriosa tra i propri simili. Tuttavia, in quella terra desolata e dimenticata dagli dei, il suo potere invidiabile perfino dalle razze elfiche era pressochè inutile.
"Se sopravviveremo..." riprese Markus, cercando uno spunto di conversazione "Ti porterò a Westwood, la mia città natale. Le acque del suo lago sono le più pulite e cristalline che io abbia mai visto in tutta la mia vita e il verde delle foresta la circonda quasi completamente. Ti piacerebbe molto, soprattutto perchè pullula di animali..."
Alexander si lasciò sfuggire un sorriso sconsolato, scavando a fondo nella propria anima per cercare quel briciolo di speranza che gli era rimasta per la battaglia imminente: "Ci andremo, di sicuro, e mi farai conoscere una di quelle focose ragazze di cui mi parli ogni volta che accenni alla tua città."
"Sicuramente! Loro si che sono vere donne che sanno come trattarti, non come le sgualdrine di Whitefield!"
I due ragazzi ridacchiano moderatamente, interrotti però dal suono del corno che preannunciava l'imminente attacco del nemico.
Rapidamente, la stanza si svuotò alla stessa velocità dei boccali che poco prima trasbordavano di birra di pessima qualità. Ogni singolo uomo, dopo aver recuperato il proprio armamento, prese posizione nel giro di pochi minuti. Markus corse in cima alle solide mura, pronto a scoccare le proprie frecce con l'arco prestatogli dall'armeria, di una qualità nettamente inferiore rispetto a quello che lo aveva accompagnato per tutta la vita fino a qualche giorno prima, mentre Alex si trovava poco più indietro, rilegato ad una posizione di supporto in cima ad una piattaforma dove erano radunati parte dei soldati pronti a resistere alla carica nemica, in caso avesse oltrepassato le mura.
"Ci vediamo dall'altra parte!" gridò a gran voce il primo, girandosi verso il suo amico e rischiando un severo rimprovero dall'ufficiale presente.
Alexander ricambiò alzando la mano al cielo, coperto da nubi temporalesche. Delle piccole stille cristalline cominciarono a piovere, disegnando sulle loro armature delle leggere linee trasparenti.
“Lacrime celesti per noi umani...” pensò amaramente il ragazzo, alzando leggermente il capo e lasciando che le gocce gli bagnassero il volto. Dalla sua posizione non riusciva a vedere il campo da battaglia, ma era abbastanza in alto da scorgere all'orizzonte la marea oscura che si stava minacciosamente avvicinando.
Un sorriso amaro gli arricciò le labbra: stavolta, uscire da lì sarebbe stato davvero difficile.
All'improvviso, il silenzio, interrotto solo da un improvviso terremoto, un boato di piedi, acciaio, lame e grida di feroce follia.
Una voce fendette l'aria, così forte che Alex ebbe l'impressione che gli stessero urlando nelle orecchie: "Tendere!"
Tutti gli arcieri nelle mura incoccarono, rivolgendo, esitanti, le loro armi verso l'orda.
"Scoccare!"
Fu un attimo, e tutte le frecce coprirono il cielo in un'unica volta, piovendo sull'esercito nemico come fulmini neri. Le punte affilate perforarono, squarciarono, penetrarono nelle carni, portandosi via la vita dei soldati colpiti.
Ancora, un altro ordine tuonò per le mura, sovrastando le urla e i gemiti di dolore che permeavano l'aria. 
“Continuate! Non lasciateli avvicinare!”
Gli uomini tesero di nuovo, facendo cadere i dardi mortali in mezzo alle fila nemiche. Alex rimase in attesa, cercando di capire la situazione dalla sua posizione. 
“Gli stiamo decimando...forse possiamo farcela.” pensò, ma qualcosa in cuor suo gli diceva che non sarebbe stato così facile. La terra continuava a tremare sotto l'impeto degli invasori che continuavano ad avanzare, calpestando i corpi dei caduti e tutti coloro che non erano più in grado di muoversi. Una marea nera pronta a sommergerli, a trascinarli nell'oscurità di un abisso senza fine. Improvvisamente il suono di qualcosa che impattava contro la muraglia riecheggiò nell'aria, un suono metallico sordo che gli fece raggelare il sangue.
“ Uomini! Sfoderate le armi!” la voce decisa del generale gli graffiò le orecchie, “ Non dobbiamo lasciarli passare! Spingete giù le scale!”
"Ma cosa..." disse un uomo poco lontano dal giovane.
"Non sono soldati, alcuni di loro non hanno nemmeno delle armature!"
"Guarda, ci sono pure delle donne!"
Alexander era sbalordito tanto quanto loro, soprattutto quando vide dei soldati esperti e valorosi uccisi da quelli che al massimo erano degli allevatori di bestiame o contadini.
D'un tratto però si riprese e cominciò a cercare con lo sguardo Markus, trovandolo poco lontano dalla sua postazione, intento a combattere contro i propri nemici.
"Riserve, andate a dare manforte ai nostri arcieri!"
Nell'istante in cui quella frase venne pronunciata dall'ufficiale di retroguardia, il ragazzo partì alla carica insieme ai suoi commilitoni. Sguainò la spada e strinse lo scudo con forza, come a volersi dare coraggio. In pochi istanti, si trovò già nel vivo della battaglia: colpì una donna alla testa, sentendo la lama che dilaniava le carni del collo, mentre una cascata rossa imbrattava la terra ai suoi piedi.
“Attento! Alle spalle!” 
Alexander si girò, facendo cozzare lo scudo contro la lancia di un uomo. Percepì la vibrazione della lama contro il metallo, lo stridere dell'acciaio contro l'acciaio. Strinse la spada e menò un fendente, squarciando violentemente il muscoli e nervi. Il contadino spalancò gli occhi e alzò lo sguardo al cielo, accasciandosi a terra come una bambola rotta.
Il giovane osservò il corpo ai suoi piedi, gli occhi bianchi e senza luce ora incapaci di vedere.
“ Questa cosa non è normale...” il pensiero lo fulminò per alcuni, brevi istanti; poi la ragione fu inghiottita dalla furia della battaglia. Il suo corpo cominciò a muoversi da solo, danzando una ferale danza mortale in mezzo ai nemici. La sua lama penetrò armature, lacerò, squartò, fendendo quei corpi inerti come se fossero paglia.
Non ci volle molto a scacciarli dalle mura. Le scale vennero abbattute e la situazione si era momentaneamente ristabilita. Quando una gelida calma calò intorno a lui, il ragazzo ebbe finalmente la possibilità di ammirare il campo di battaglia: migliaia e migliaia di persone erano accalcate contro le mura, e si estendevano a perdita d'occhio in ogni direzione.
La situazione di stallo non durò a lungo, infatti l'assalto mal gestito conclusosi poco prima era servito come diversivo al nemico per fare un buco nelle fogne, sguarnite dalla solita sorveglianza, Già diversi giorni prima il capo dell'esercito nemico aveva ordinato di costruire un tunnel lungo abbastanza per incontrare le fognature della grande muraglia, per poi abbattere il muro di mattoni che le divideva da loro con un ariete. Un piano geniale, imprevedibile e mai realizzato prima, soprattutto perchè nessun soldato dotato di volontà propria avrebbe mai scavato per diversi giorni senza sosta un tunnel di molte leghe fino a quell'immensa fortezza.
Quando i difensori si resero conto del pericolo, era già troppo tardi e l'assalto fuori dalle mura era ripreso, stringendo i soldati impauriti in una manovra a tenaglia. 
"Disperdetevi nei forti!" gridavano senza sosta gli ufficiali, mentre i loro uomini si affrettavano alle postazioni difensive. Alexander correva come un forsennato, attraversando uno dei cortili in cui i suoi compagni erano soliti allenarsi e li vide Markus, intento a combattere gli invasori, per poi fronteggiarne un altro, poi un altro e un altro ancora, fino a quando non si fermò paralizzato davanti all'ennesimo nemico che aveva davanti. Un bambino di forse sei o sette anni lo fissava con occhi vitrei, le guance paffute e l'espressione di un qualsiasi suo coetaneo. Markus esitò nel colpirlo immediatamente, incapace di muovere mano contro una creatura pura, incontaminata. Un ghigno ferale distorse le labbra del bambino e, senza esitazione, gli scattò addosso, atterrandolo. Fu questione d'istanti, un'azione compiuta che agli occhi di Alexander apparve come rallentata, quasi il tempo fosse scomparso improvvisamente: vide il bambino sopra il suo amico, gli occhi combattuti di Markus, la sua espressione di puro terrore quando quell'essere sguainò il coltello dalla cintola e lo calava sul suo petto, fendendo la sottile pettorina e scavando con brutale violenza nelle sue inermi carni. 
"Markus!" gridò d'impeto il giovane, correndo verso di lui, disinteressandosi completamente della battaglia. Sentì la rabbia obnubilargli la mente, oscurando la voce della ragione che gli urlava di scappare. Abbattè la lama sul collo del bambino senza esitazione, staccandogliela con un unico, profondo affondo. Quando il corpo dell'essere si riversò a terra, Alexander lo calciò via, inginocchiandosi vicino al suo amico. La ferita continuava a piangere lacrime sanguigne, gocce cremisi che scivolavano via assieme alla sua vita.
"Markus, sei vivo? Rispondimi, te ne prego!" continuava a ripetere lui, ma Markus non gli rispondeva. Sembrava morto, ma il ragazzo non si dava per vinto e continuava a scuoterlo con forza. Non poteva essere morto, non dopo tutto quello che avevano passato assieme, non dopo che erano sopravvissuti fino a quel momento. 

 
“Ti porterò a Westwood, la mia città natale. Le acque del suo lago sono le più pulite e cristalline che io abbia mai visto in tutta la mia vita e il verde delle foresta la circonda quasi completamente. Ti piacerebbe molto, soprattutto perchè pullula di animali...”

"Non puoi abbandonarmi così!" esclamò, tremando, mentre le lacrime si confondevano, mescolandosi alle stille celesti della pioggia.
D'improvviso però, Alexander si sentì tirato su e trascinato in direzione del forte da una forza sovrumana, seguita da una voce profonda e fredda: "Non c'è più nulla da fare, lascialo stare e vieni con noi al sicuro."

"Markus..."
Il giovane era seduto contro il muro, come molti dei suoi commilitoni, e continuava a ripetere quel nome. Dieci minuti prima, è stato trascinato via dalla battaglia da Mattew Roberts, fratello di Richard Roberts, re caduto delle Terre Norrene. La stanza era illuminata solo da poche candele, e la battaglia fuori s'era placata. I pochi sopravvissuti all'assalto si trovavano tutti in quell'edificio, in attesa che il nemico facesse irruzione per ucciderli tutti.
"Moriremo veramente come dei codardi?!" gridò uno dei soldati li presenti, con l'armatura coperta del sangue e da frammenti di ossa: "Non ho intenzione di farmi ammazzare senza opporre resistenza! Facciamoci trovare pronti!"
Mattew era visibilmente scosso, non sapendo assolutamente cosa fare. Tanto, alla fine, sarebbero comunque morti tutti li.
“ é la fine...” pensò, amaro.
"Magari, se ci arrendiamo, non ci uccideranno..." propose timidamente qualcun altro.
"Stolto!" gridò qualcuno vicino ad Alexander: "Sono venuti qua solo per ucciderci e per schiavizzare quelli di noi che non sono immuni. Pensi davvero che ne valga la pena?"
Il silenzio tornò in quella stanza, poi il rumore di un ariete intento a tormentare la porta in legno massiccio del forte riempì l'aria. Tutti si alzarono e presero le armi in mano, ma nessuno ebbe il coraggio di dire una sola parola. Quando la porta cedette, non furono fatti prigionieri.

Mezz'ora dopo, gli attaccanti, vincitori, erano intenti a perlustrare la zona, in cerca di eventuali sopravvissuti, in un silenzio disturbato solo dal tintinnare delle poche armature e dal leggero ticchettio della pioggia.
"Signore!" esclamò uno dei soldati in perlustrazione "C'è un sopravvissuto!"
L'ufficiale si avvicinò al corpo indicato dall'uomo e lo fissò: "È ferito gravemente. Portatelo dai medici, fatelo curare, poi preparatelo per il trattamento. Se questo ha successo, portatelo da me. Se, invece,è un immune...” ghignò, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra, “ uccidetelo senza alcuna pietà."


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Finalmente, il prologo del mio primo racconto originale!
Per chi non mi conoscesse, mi presento: sono Andrea, ho 18 anni e sono uno studente di Milano. Non sono un grande lettore, a causa di alcuni problemi visivi, ed ho cominciato relativamente presto a mettere per iscritto i miei racconti, ma mi auguro che i miei racconti, questo in particolare, riescano comunque a piacere a qualcuno di voi!
Prima di ogni altra cosa, voglio ringraziare la mia carissima amica Himenoshirotsuki, autrice di "Fuoco nelle Tenebre", uno dei migliori racconti su tutta EFP, che mi ha fatto da beta per questo capitolo e che continuerà a farlo sia qui che nella FF. Sei la migliore, e non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che hai fatto: senza di te, per esempio, non avrei mai cominciato a leggere libri e a scrivere racconti, per non parlare poi del sostegno che mi dai ogni volta...

Volevo anche scusarmi con chi segue la mia fanfiction su Code Geass, visto che non pubblico da tre settimane, ma è stato un periodo davvero pesante, e non avevo voglia di scrivere, e quando questa mi è tornata ho voluto cominciare l'originale. Vi prometto che il prossimo capitolo sarà sulla Penisola ^^
Detto questo, ringrazio tutti voi per aver letto fino a questo punto il mio scritto, vi invito a lasciarmi una bella recensioncina per farmi sapere cosa ne pensate e, soprattutto, vi aspetto al prossimo capitolo!
 
   
 
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