Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Sorella_Erba    12/10/2008    13 recensioni
Raccolta di fanfiction sulla coppia Shanks/Makino.«È tuo figlio?».
«Mio figlio?», ripeté lei stupita. Si fermò nell’atto di aprire un’ennesima bottiglia di vino. «No», rispose poco dopo, calando gli occhi sul vetro opaco del recipiente.

Raccolta scritta prima del capitolo 582.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Shanks il rosso
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Al costo di un sogno.
(one shot, 2410 parole)
 
“Shanks aveva la passione di abbinare il colore dei suoi capelli con le mutande…”
 
 
«S’è fatto tardi, Makino. Mi tocca levar le tende».
Il brontolio del vecchio sindaco era incerto e possibilmente più rauco del solito. Quando si alzò dallo sgabello, le sue ginocchia scricchiolarono in maniera sinistra e un rutto sommesso fece timidamente capolino dalla sua bocca.
«Certo, sindaco. Sono due berries».
Makino sfregò il panno che aveva in mano sul boccale appena lavato, prima di posarlo su una mensola dello scaffale alle sue spalle. Sentì il tintinnio di due monete sul legno e i passi malfermi del sindaco dirigersi verso l’uscita.
«Buonanotte. Salutami i ragazzini», si congedò il sindaco e scomparve oltre le porte cigolanti.
Quando si volse nuovamente a guardare oltre il bancone, Makino notò che il locale era vuoto, eccezion fatta per due uomini seduti ad un tavolo in fondo che parlottavano a bassa voce, e un terzo, seduto poco distante da loro, che teneva la testa poggiata contro il muro, col viso paonazzo e chiaramente immerso nel mondo dei sogni. Ubriaco fradicio.
Makino sorrise al bicchiere in vetro appena agguantato, lustrandolo col panno.
Lavorare in una locanda appariva come una cosa divertente e stimolante. Poteva esserlo, per carità… ma non quando gli unici clienti abitudinari del locale cadevano sbronzi dopo poche bottiglie e, soprattutto, erano soltanto una manciata di pescatori.
La vita della locandiera – la sua vita – era pressoché tranquilla, con rogne quasi inesistenti e il più delle volte causate da stranieri che attiravano l’attenzione e guai. E siccome solitamente gli stranieri erano solo di passaggio a Foosha – villaggio costiero, l’ideale per partire in mare –, la gente viveva in costante serenità.
Aveva sempre sognato di fare questa vita, sin da bambina: aprire una locanda tutta sua, dove servire clienti affezionati e in particolar modo nuovi, fra cui viaggiatori, marinai e forestieri provenienti da ogni dove, e poter ascoltare lì storie fantastiche che sapevano di vita vissuta. E che vita. Sarebbe stato piacevole far parte di quel mondo anche in maniera indiretta.
Makino non era un tipo tanto intraprendente da prendere il mare. Il vantaggio di vivere in un villaggio portuale è proprio quello di avere il mare a portata di mano, e potersi sdraiarsi sulla sabbia calda a guardare i movimenti lenti delle onde, mentre il sole picchia dall’alto la superficie cristallina, facendola risplendere.
Eppure l’affascinava, la vita del viaggiatore. Del pirata, per meglio dire.
Con la morte di Gold Roger quella che sembrava ai più una disgrazia, aveva preso avvio.
Lo scalpore di una vita tanto ricca, finita sopra il patibolo di una piazza qualsiasi, aveva spinto migliaia di uomini a prendere il mare, alla ricerca dell’ambito tesoro del Re dei Pirati.
Re dei Pirati…
Makino soffocò un risolino e scosse impercettibilmente il capo.
Di sicuro non era un’esperta in campo, ma… cosa potevano saperne, quei tizi che abbandonavano le comodità di una vita normale – pulita -, per partire per chissà dove? Sapevano quanto sarebbe costata la loro improvvisa e sfrontata decisione?
Una vita umana, magari; la vita di un padre di famiglia, di un vecchio marinaio, di una madre, di un bambino.
Nei piccoli villaggi, la mentalità era ristretta. Makino lo sapeva bene. Lei stessa, per certe questioni, preferiva una visione all’antica.
I pirati non erano brave persone.
Diede un’occhiata all’orologio appeso alla parete affianco, per poi guardare incerta i tre uomini ai tavoli.
«Ragazzi, dovrei chiudere».
Un coro di muggiti bassi si levò nel locale. Fortunatamente, quei tre riuscivano a sostenersi sulle loro gambe; in breve tempo, dopo i dovuti saluti alla locandiera, si dileguarono.
Makino sospirò, gli occhi fissi sulla porta.
Non era esattamente l’orario di chiusura, ma c’era tanto da sistemare in giro per il locale che non voleva rimanere tutta la notte confinata lì. Si mosse leggera fra i tavoli della locanda, prendendo un bicchiere solitario, rovesciato sul legno.
Regalò un pensiero ai due marmocchi e sorrise nell’immaginarli sdraiati scompostamente nei loro letti, a ronfare piano.
«’Sera! È ancora aperto?», domandò una voce sbucata dal silenzio del nulla.
Makino si portò una mano al petto, volgendosi subito in direzione dell’ingresso. La sagoma nera e alta di un uomo si stagliava nella penombra notturna. Spalancò gli occhi e – mentre il bicchiere le scivolava dalle mani e cadeva sul pavimento, frantumandosi in mille schegge luccicanti, affilate come lame di rasoio – il viso dell’uomo davanti a lei uscì dalla semioscurità illuminandosi in una maschera di dispiacere.
«Ops», disse. «Ti ho spaventata?».
Makino annuì lentamente, prima di prendere coscienza della situazione. «Ah, mi scusi. Pulisco e subito sono da lei».
Il tizio rise di gusto, gettando indietro il capo tanto velocemente che il cappello rischiò di scivolargli.
Che risata eccentrica.
«Ma cosa dici, dolcezza, ti do una mano volentieri!».
Makino lo guardò sistemarsi il cappello sulle spalle, chinarsi e raccogliere alcuni pezzi di vetro posandoseli su un palmo con cautela. Da sotto un ciuffo di capelli rossi, notò una strana cicatrice a forma di unghiata sull’occhio sinistro dell’uomo.
Aggrottò la fronte e sentì la bandana, stretta alla testa, tirare un poco i capelli dalla radice. Aveva già visto quel viso, quegli occhi dal taglio aguzzo e soprattutto quella cicatrice.
Non ricordava di preciso né dove né quando, ma era stato di certo il sindaco a metterla al corrente…
Al corrente? Sbiancò.
In un lampo di comprensione, ricordò la sera in cui il sindaco aveva portato alla locanda un foglio di pergamena logoro ed ingiallito, coi margini laceri e gli angoli arcuati, e lo aveva sbattuto sul bancone con una manata, borbottando un “pirati” in maniera decisamente indignata.
«Dicono che la nave di questo… questo Rosso si stia avvicinando al villaggio. Un tipo della Marina stamattina mi ha portato questo foglio dicendomi che, in caso di avvistamento, dovrò chiamare la sede più vicina il prima possibile».
Ricordava di aver guardato con curiosità quel viso allegro. Aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e una cicatrice alquanto bizzarra che il ciuffo ciondolante di frangia rossa non riusciva a nascondere.
«È strano, sindaco. Non si sono mai dati la briga di avvisarci, quelli della Marina…».
«Hai visto la taglia di questo tizio, Makino?», chiese il vecchio con un sopracciglio alzato. Si era tolto gli occhiali e le aveva lanciato uno sguardo misto fra l’atterrito e l’incredulo. «Ammonta a 40 milioni di berries! Cosa mai sentita! Ci credo che se la sono fatta di corsa per avvertirci!».
40 milioni di berries… Santo cielo, 40 milioni di berries… 40!
Cominciò ad indietreggiare istintivamente e con lentezza, sperando di non dare a vedere il panico improvviso. Cercò di mettere in moto il cervello, di pensare ad una possibile via di fuga. Poi ricordò di avere una pistola nascosta in un cassetto del bancone; era vecchia, ma funzionava ancora e, se ricordava bene, doveva essere carica. O almeno se lo augurava.
Makino si morse le guance e strinse i pugni senza staccare gli occhi di dosso all’uomo, al pirata che la stava aiutando a pulire per terra. Una cosa – pensò, disgustata – che non lo avrebbe aiutato a fare ammenda di tutti i crimini che di certo aveva commesso in chissà quali peripezie. Una gentilezza che non serviva a niente, la sua.
«Qualche problema?».
Makino si accorse solo in quel momento che il pirata le stava rivolgendo un’occhiata incuriosita.
«Ah… sto, ehm, andando a prendere una scopa per i pezzi più piccoli», disse velocemente.
«Ah, bene!».
Deglutì subito dopo essersi girata ed aver voltato le spalle al suo ennesimo sorriso abnorme. Un sorriso che, per certi versi, era inquietante. Forse perché era il sorriso di un pirata che valeva 40 milioni di berries? Dannazione.
Makino arrivò in poche falcate febbricitanti al bancone, cercando a tentoni di aprire il cassetto dove stava la pistola mentre i suoi occhi scrutavano atterriti la schiena curva del pirata. Il cassetto si aprì con uno scatto leggero e sul fondo, oltre al manico liscio della pistola, c’era un foglio arrotolato dall’aria familiare. Lanciò un’ultima occhiata all’uomo, apparentemente tutto concentrato a raccattare vetro, per poi dedicarsi alla pergamena logora. La uscì e la dispiegò, girandosi verso lo scaffale per nasconderla. I suoi occhi palesarono ulteriore tensione mentre scorrevano veloci sul volto, immortalato in un’espressione divertita, dello stesso pirata che le stava a pochi metri di distanza. Chiuse un momento gli occhi e, quando li riaprì, sentì le dita accartocciare i margini del foglio.
«Finito!».
L’esclamazione del pirata la riscosse e si voltò ad affrontarlo, portando immediatamente una mano ad impugnare la pistola nel cassetto.
«Gentile da parte sua, capitano Shanks», scandì infine, lo sguardo truce.
Il suddetto Shanks batté gli occhi velocemente, come intontito. «Ci siamo presentati?».
Makino strinse le labbra prima di rispondergli a dovere.
«Shanks detto il Rosso, ricercato capitano di una nave pirata e con una taglia di 40 milioni di berries che vi pende sulla testa, giusto? Non c’è bisogno di presentazioni». Alzò la mano che stringeva la pergamena con il suo ritratto per mostrargliela.
«Oh, per quella».
L’uomo sembrò pietrificarsi: si era fermato nell’atto di sistemarsi il mantello nero e teneva gli occhi neri puntati sulla taglia che vibrava nella stretta nervosa della ragazza che lo fronteggiava. Si lasciò scappare un sorrisetto un po’ infantile mentre portava alla testa il cappello.
Nuovamente il suo volto fu tagliato a metà dall’ombra; ma Makino avrebbe giurato di scorgere un fulgido luccichio provenire dai suoi occhi, un luccichio che di buono non prometteva nulla e che contrastava col simpatico ghigno che gli modellava la bocca.
Poi, le orecchie le si riempirono della tonante risata del pirata. Spalancò gli occhi, serrando con tenacia la mano attorno al calcio della pistola, e osservò l’esplosione di tutta quell’inspiegabile ilarità.
Di essere eccentrico, per tutti i mari, lo era eccome. Come poteva ridere in una situazione così tesa?
O forse… era soltanto lei ad essere in ansia? Dopotutto non poteva certo paragonarsi ad un pirata. Un pirata del genere, poi, con una taglia tanto elevata. Avrebbe potuto farla fuori in un nanosecondo e senza sforzo.
Magari rideva esattamente per questo.
Rideva, prima di decidersi a muovere un passo e…
«Me la daresti?».
Makino trasalì, sbiancando. «Cos..?».
«Dico la taglia», spiegò il pirata strizzandole l’occhio. «Ah, i ragazzi se la farebbero sotto dalle risate!».
Makino studiò ogni suo movimento: la mano che si era mossa in direzione della bocca, coprendo l’abnorme sorriso, l’altro braccio posato contro lo stomaco, le spalle scosse dalle risate.
«Cosa ridi!», esclamò con voce malferma. Sentiva il respiro irregolare mozzarsi in gola come a causa di un groppo.
«Io?», le rispose il pirata dopo aver consumato quel momento di divertimento. «Mah, nulla. Innanzitutto in quella taglia ho una posa a dir poco ridicola», spiegò e, posando nuovamente gli occhi sul suo ritratto, sbuffò per un’ennesima risata. «E poi, be’…».
Makino lo vide sorridere con leggera spudoratezza.
«Pensi seriamente di potermi fare del male con quella?».
Il silenzio calò improvvisamente, come una cappa di nera notte.
Tutto era quieto, immobile, teso fino allo spasmo. Le orecchie di Makino fischiavano in maniera seccante, quasi dolorosa.
Come aveva fatto? Come aveva potuto vedere?
Makino deglutì, tremando visibilmente. Inutile nascondersi ancora, dunque. In qualche modo, aveva capito cosa nascondeva e stringeva con ansia crescente nella mano abbassata. Uscì l’arma, pesante come non mai, e la tese con entrambe le mani in direzione del viso del pirata. Se doveva morire, l’avrebbe fatto in maniera decorosa.
E mentre tentava di tener salda la pistola fra le dita, il suo ultimo pensiero si rivolse a Rufy e ad Ace, immersi in sogni tranquilli. Al sicuro.
Si morse il labbro inferiore; gli occhi lucidi si acuivano lentamente, cercano di mantenere a fuoco la sagoma statica del pirata.
Non avrebbe potuto vederli crescere, diventare uomini…
Un rimpianto che faceva male, le squarciava il petto.
«Per tutti i marines…». Il pirata scosse il capo. «Se ancora non l’hai capito, non voglio farti alcun male», sorrise comprensivo. «Stavo soltanto cercando una taverna per comprare qualche botte di birra».
Makino tentò una smorfia. «Sì, certo. Comprare».
Il viso del capitano di tramutò in una buffa maschera di dispiacere.
«Hai una visione tutta distorta dei pirati», si crucciò. In pochi passi, fu davanti al bancone con una mano affondata nella tasca dei pantaloni. Makino udì un leggero tintinnio. Avvinghiò l’arma con più tenacia, recitando mentalmente delle parole che le infondessero coraggio, consolazione.
«Il denaro non serve per comprare? Non ho alcun bisogno di derubarti».
Il capitano Shanks posò sulla tavola una manciata di berries. «Fidati», rise poi, «avrei potuto freddarti senza che tu te ne accorgessi. Sei così sbadata che non mi hai nemmeno sentito arrivare!».
Ma, incrociando lo sguardo febbrile di lei, capì di non averle infuso fiducia, nemmeno un po’.
I suoi occhi si gelarono all’improvviso.
«Non tutti i pirati sono uomini senza scrupoli. Dietro le nostre azioni c’è sempre, sempre, una necessità».
Raddrizzò con due dita il cappello. Il viso fu del tutto nascosto dall’ombra.
«Sempre. Che sia un sogno, o un desiderio di bramosia…».
Makino rimase senza fiato. Gli occhi dilatati non vedevano più: tutto, tutto era nero.
«O la nostra stessa indole». Un sussurro a pochi centimetri dal suo orecchio. Poi, il suono debole di un sogghigno.
Le battevano i denti per il panico e il cuore batteva, batteva forte come un tamburo e rimbombava sordo nelle orecchie, dentro la testa.
La sua bocca esalò un flebile gemito.
«Lasciala andare».
Sentì la pistola sfuggirle dalle mani e cadere in un tonfo sordo, più potente del battito del suo cuore. La sua unica speranza era finita per terra, calpestata da piedi indegni.
Una lacrima le rigò una guancia.
Ritornò a vedere e la luce era più accecante di prima, forse a causa delle lacrime.
Il pirata era davanti a lei, con entrambe le mani che sistemavano il mantello nero. Lo vide riservare un’occhiata veloce all’orologio appeso al muro, prima che potesse incrociare il suo sguardo limpido di pianto ed angoscia.
«Il mio», proseguì ancora lui, «è un sogno. Un semplice sogno che perseguo da quand’ero un bambino».
Si diresse lentamente alla porta con andatura gongolante; nessuna traccia del disinteresse che poco prima aveva assiderato i suoi occhi.
Ogni suo passo era un’eco lontana per le orecchie di Makino, tramortita.
«Domani passerò a prendere ciò che mi serve», sorrise lui voltandosi. «Non piangere, su».
Svanì dal locale così com’era venuto, in silenzio e col morale intatto, allegro.
Makino cadde a ginocchioni sul pavimento del suo locale – un luogo pacifico, sereno e privo di vita, quella vera. Così diverso da come lo desiderava lei.
Portò le mani alle guance per asciugare le lacrime; il viso però era asciutto.
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Sorella_Erba