Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Tomi Dark angel    14/10/2014    2 recensioni
Tratto dalla storia:
Sequel di: "How To Train Your Sherlock"
Tratto dalla storia: "Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!"
Johnlock, con accenni di Mystrade. Dedicato a chi impara, cresce e vive leggendo, figlio di innumerevoli mondi e personaggi che, ad ogni parola accarezzata dagli occhi di chi legge, sbocciano tangibili intorno all'anima del lettore per trascinarlo in avventure mozzafiato che egli saprà custodire in eterno nella purezza del proprio cuore.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Profumo. Odore di pulito, misto all’inconfondibile aroma di delicati fiori di prato. È un odore familiare, che sa di casa e di serenità. Molly lo associa alla pace più pura e a giovani risate di bambino. Le ricorda bei momenti vissuti a mezz’aria, sulle ali del vento, dove l’unica prerogativa obbligatoria per lei era vivere, abbracciare il mondo, urlare euforica, libera di ogni timidezza. Ma perché quell’odore è lì?
Molly si muove appena, sfiora distrattamente una superficie ruvida ma calda. Per reazione, qualcosa la stringe dolcemente, coprendola di morbido tepore come fragile coperta di sogno. Molly non ricorda di avere una coperta così soffice a casa, né tantomeno sa di essersi addormentata. È strano, perché le pare quasi di sognare. Non ha avuto incubi, non si è contorta nel sonno, né ha ricordato la guerra. È la prima volta che le accade, in realtà.
Gentilmente, un raggio di sole le bagna il viso e lei schiude le palpebre come piccoli germogli di rosa in sboccio. Cerca di schiarire la vista, si guarda intorno con occhi offuscati e ancora stanchi, e quasi le viene un infarto quando non riconosce l’ambiente che la circonda. Quella non è casa sua, ne è certa.
Abbassa lo sguardo con cautela, posandolo stordito sulla morbida ala di seta che la abbraccia come un sacco a pelo soffice di impalpabile nuvola e zucchero filato. È una membrana calda, gentile, che la avvolge senza stringere. Molly non ha mai toccato qualcosa di così morbido e profumato. E soprattutto… familiare.
Lei conosce quell’ala. L’ha curata tante volte, l’ha toccata tanto spesso. Ma non la ricorda così morbida, né così bella, percorsa com’è da pallidi riflessi di ametista e fugace madreperla. Pare un pezzo di sogno, un intarsio prezioso di pietre fuse e colate infine su morbido drappo di seta evanescente mista a resistente velluto.
Dolcemente, Molly si alza a sedere, facendo attenzione a non svegliare il proprietario dell’ala. Lo trova seduto al suo fianco, la schiena poggiata al muro e il capo chino. Tra le mani, stringe il brillante cristallo estratto dalla tasca dei suoi stessi jeans, ultimo lascito di Sherlock Holmes come eredità presso il futuro di un regno che sarebbe passato infine all’attuale proprietario di quella pietra.
Noah re. Molly ancora non riesce a crederci. Lo ha visto crescere troppo in fretta, sbocciare come morbido fiore di luna dinanzi ai suoi stessi occhi. Ricorda ancora il calore di quella colonna di fuoco, il suo primo bellissimo sorriso, quei capelli lunghi scompigliati dal vento. Quel ragazzo non può essere il suo bambino. No, Molly ancora non riesce a crederci.
Noah non è così.
Noah non ha un viso così affilato, così nobile.
Noah non è così… bello.
Prima di riuscire a trattenersi, Molly allunga una mano tremante, timorosa, quasi spaventata e sfiora dolcemente la fronte di Noah, laddove i capelli coprono quasi totalmente il fregio inciso nella pelle come sottile tatuaggio. È un bel simbolo, di un viola scuro, che spicca sulla pelle nivea del ragazzo. Quando Noah era bambino non c’era.
-Come stai?-
La voce di Noah la fa trasalire bruscamente, spingendo Molly a sbilanciarsi all’indietro. L’ala del drago la accoglie, s’inarca per impedirle di sbattere contro la testiera del letto e quasi la solleva senza sforzo a mezz’aria. Noah apre un occhio brillante, dalla pupilla verticale, per fissare Molly in tralice. Un angolo delle labbra si arriccia in un sorriso troppo simile a quello di Sherlock, al punto che per un attimo Molly sente il cuore stringersi in una morsa d’acciaio e gli occhi riempirsi di lacrime.
-Molly?-
Noah continua a fissarla in silenzio, il sorriso attenuato, lo sguardo indecifrabile. Sembra così cresciuto, così diverso. Anche psicologicamente, Molly fatica a riconoscerlo.
-Io… sto bene, scusa.- risponde lei in fretta, cercando di sviarlo dalle lacrime che premono per uscirle dagli occhi. Noah pare capire e torna a serrare le palpebre, appoggiando il capo al muro con un sospiro rilassato. Non la guarda più, sembra ignorarla, ma Molly nota che adesso la sua schiena è dritta e il corpo teso come corda di violino.
-Tu… ehm… cosa hai intenzione di fare adesso?- domanda lei, ingoiando a fatica un groppo di nervosismo.
-Non lo so.- risponde Noah insicuro. Per un attimo, Molly rivede nel suo viso quella traccia di bambino che ha creduto persa. –Non so niente, Molly. Ieri ero soltanto un ragazzino, un cucciolo ancora in fasce insicuro e senza un domani. Sai, avevo difficoltà finanche a volare.-
Un sorriso triste, taglia le labbra di Noah, spingendolo a socchiudere gli occhi verso un orizzonte lontano che Molly non riesce a vedere. Sembra esausto, improvvisamente troppo anziano.
-Ero piccolo, e felice di esserlo. Il brutto della mancata adolescenza è proprio questo… che improvvisamente cresci e non sai nemmeno perché. Come fa il tuo corpo a capire che sei pronto? Come fa il mondo ad accettare il tuo nuovo aspetto? Ti vedi adulto all’improvviso, ma non lo sei davvero. Io non sono pronto, non sono degno di un regno del genere. Perché Sherlock ha affidato tutto questo a me e non a John?-
-Perché suo figlio sei tu.-
Noah la fissa stupito, ma Molly non rialza lo sguardo. Ha i pugni serrati, la schiena curva, gli occhi bassi come se si vergognasse d’aver parlato. Appare quasi misera, ma Noah sa che non è così: Molly Hooper è la persona più buona e coraggiosa che abbia mai conosciuto.
-Sei tu il futuro, Noah. Sherlock era un re mancato, ma se avesse scelto di salire al trono, nessuno avrebbe cercato di fermarlo. Fino a prova contraria, Edarion è un sovrintendente, ma niente di più: il sovrano era Sherlock, e in qualità di suo figlio… il legittimo erede sei sempre stato tu. E anche io… anche io credo che… insomma… credo che il nostro popolo non potrebbe essere in mani migliori.-
Molly si stringe nelle spalle con semplicità, come se avesse detto qualcosa di terribilmente scontato. Quando rialza lo sguardo, fissa Noah con un piccolo sorriso di scuse, timido e delicato come ali di farfalla.
-I miracoli esistono, Noah. E tu sei il miracolo più grande che Sherlock abbia mai ricevuto, John a parte. Sei quel pezzo che gli è sempre mancato, e credo che questa… questa pietra… sia in realtà il modo più bello per dimostrartelo.-
Molly parla con semplicità disarmante, come un bambino che spiega a suo padre che Babbo Natale esiste, e perché. Per lei questa è una realtà lampante, viva, chiara come il sole, e si stupisce quando Noah la fissa come se la vedesse per la prima volta. Nota il suo sguardo farsi lucido, le mani artigliate stringersi sulla pietra con foga, come se volesse farla a pezzi.
Per un attimo, Molly ha paura che reagisca male alle sue parole, ma quando alla fine Noah si scioglie in un sorriso dolce, sereno, che le gonfia il cuore di emozioni contrastanti, sente che va tutto bene.
-Vieni qui.-
Noah tende una mano verso di lei, senza staccarle gli occhi di dosso. Molly vede i suoi muscoli tendersi ad ogni movimento sotto la pelle nivea, che poco a poco si fonde con scaglie di brillante ametista. Un raggio di sole brilla su di lui, illuminandogli gli occhi di una luce gentile, angelica, che Molly non conosce ma della quale si fida automaticamente.
Lentamente, le dita di lei si intrecciando con quelle di Noah. Sono calde al contatto, gentili, delicate come piume d’angelo. Molly non si sarebbe mai aspettata un tocco del genere da mani così grandi, artigliate, taglienti di squame affilate. Eppure, non un graffietto deturpa la sua pelle quando lui la tira gentilmente verso di sé.
Molly si lascia trascinare, scivola imbarazzata tra le gambe adesso aperte di Noah e poggia la schiena contro il suo petto caldo, ampio, che pare fatto apposta per accoglierla. Arrossisce quando le braccia longilinee di Noah le cingono i fianchi con dolcezza, senza stringere o esagerare. Non è un contatto pretenzioso, non è invadente. Al contrario, la sua pelle la sfiora appena, e di questo Molly è felice perché teme che Noah si accorga del leggero tremito che la pervade.
-Grazie, Molly.- mormora lui, sfiorandole la spalla col fiato caldo di fiamme trattenute. Espira dal naso, solleticandole il collo di aria profumata, gentile, che quasi la fa ridere per il solletico. –Grazie.-
Noah china il capo e appoggia la fronte sulla spalla di Molly, così come faceva sempre da bambino quando lei lo accoglieva tra le braccia. Allora le posizioni erano invertite, e Noah si accoccolava contro il petto di Molly con aria fragile, sperduta, come fatto di vetro. Lei lo accarezzava per ore finché il cucciolo non si addormentava, e in quei momenti Molly si sentiva utile, felice, perché per brevi istanti sentiva di stringere tra le braccia un piccolo miracolo.
Adesso, non è così semplice abbracciare Noah. È cresciuto, e improvvisamente è più massiccio di lei. Eppure… è sempre Noah. Molly lo capisce in quel momento, quando l’insicurezza di lui richiama a sé un passato di bambino solo e insicuro. Noah è sempre lì, non è mai andato via. Eppure, allo stesso tempo Molly non riesce a concepire il pensiero che il suo bambino e quel ragazzo fatto e finito siano la stessa persona.
È Noah. È semplicemente Noah.
Alla fine, dopo minuti interi di titubanza, Molly appoggia il capo al suo petto e solleva una mano per affondarla nei folti capelli scuri di lui. Lo accarezza così come faceva quando Noah era piccolo, ondeggiando le dita sulla cute con leggerezza di farfalla. Lo sente sospirare contro la pelle, avverte i suoi muscoli rilassarsi e le braccia abbandonarsi con stanchezza anziana, che non gli appartiene. Tra le dita stringe ancora la gemma, adesso premuta sull’addome di Molly.
-Sii te stesso, Noah.- mormora lei. –Scegli ciò che è meglio per te e vivi. Te lo meriti… l’hai sempre meritato.-
Stavolta, Noah non risponde.
 
-No, Mycroft. È escluso.-
Edarion stringe i pugni, serra gli occhi in un’espressione di scarsa tolleranza. Cerca di ignorare il figlio che caparbio insiste da circa quattro ore su un argomento impossibile e assolutamente fuori dalla loro portata. È una speranza vana, l’ultimo appiglio dei disperati. Ed è folle.
-Padre, non ho intenzione di desistere. Sherlock si è lasciato alle spalle indizi talmente semplici che tu stesso dovresti scorgere. Ti risulta così difficile?-
-Non essere stupido, Mycroft. Stiamo parlando di una cosa impossibile, e per quanto io voglia crederti…-
-Tu non vuoi credermi, è evidente. Si tratta di tuo figlio.-
-Credi che non lo sappia?!-
Edarion scatta in piedi, fissa allucinato il suo primogenito ancora immobile, ancora impassibile dinanzi alla sua rabbia trattenuta. Si sente ferito, Edarion. Ferito e inutile. Soffre come un cane, ma in qualità di sovrano non può darlo a vedere: dinanzi alla morte di un figlio, non gli è concesso piangere perché le lacrime rendono vulnerabili, insulsi, fragili come vetro. Edarion non può permettersi tanto, non adesso che tutto intorno a lui si accartoccia, cade, appassisce.
Sherlock se n’è andato e lo ha lasciato solo lì, nella miseria di un compito che non gli è mai spettato realmente. Dove sono adesso i desideri di sua moglie? Dov’è la sua volontà, la sua guida, la sua dolce saggezza? Dov’è la sua forza?
Edarion quasi si accascia sulla sedia, stremato. Non si è mai sentito così vecchio in vita sua. Adesso le catene del regno gravano su di lui, e lui deve fare ciò che è giusto. Mycroft è il suo unico erede, perciò non può permettergli di lanciarsi in un’impresa folle e senza senso. Lo tratterrà lì ad ogni costo perché senza un erede, si rischierebbe un replay dell’accaduto anni addietro alla morte di Nevora. Sarebbe il caos, sarebbe la guerra. E Sherlock avrebbe lottato per niente.
-Basta così: non andrai, Mycroft, e questa è la mia ultima parola.-
Edarion si alza in piedi e gli volta le spalle. Intreccia le mani dietro la schiena, lasciando che la massa possente di ali ripiegate nasconda il tremore che pervade le dita.
-Non posso perdere anche te, figlio mio.- ammette infine a mezza voce, ma sa che Mycroft lo ha sentito.
Cade il silenzio, un silenzio imbarazzato, pesante, che sa di mille cose non dette. Gli occhi di Mycroft si addolciscono appena, lasciando trasparire quella scintilla di umanità che in suo fratello è invece divampata come indomito incendio.
-E io non posso perdere mio fratello.-
Edarion si irrigidisce, stringe la presa delle mani finché gli artigli non penetrano nella sua stessa carne e le scaglie stridono tra di loro come ferro contro ferro. Respira a fondo, registra il significato della breve ammissione di suo figlio.
Mycroft non ammette di amare suo fratello. Mycroft non ammette di provare amore in alcun modo. È una cosa innaturale come fiore che sboccia da un ghiacciaio. Eppure, di tanto in tanto, anche i miracoli accadono.
-Mycroft… è una follia.-
Ma Edarion è ormai convinto di non poter fermare suo figlio. Sa che Mycroft si spingerà a nord, oltre i confini e oltre i suoi limiti, laddove Sherlock ha toccato l’inizio della fine. Perderà il suo unico erede e il mondo cadrà nella violenza una seconda volta. Tante fatiche, tante morti… per niente.
-Non posso concederti di andare.- dice alla fine Edarion, voltandosi per affrontare il figlio. Lo guarda negli occhi, quasi vacilla dinanzi alla gelida determinazione dell’altro. –Mi dispiace, ma a costo di tagliarti le ali, dovrò impedirti di partire. Perdere anche te significherebbe sputare su tutto ciò per cui Sherlock si è sacrificato.-
-E tu ne sai quanto di sacrificio?-
Edarion stringe i pugni e scudiscia la coda nervosamente.
-Non giudicarmi. Anche tu non c’eri quando Nevora cadde e il mondo sprofondò nel caos. Siamo colpevoli alla stessa maniera.-
-Ti sbagli, e tu lo sai.-
In quel momento la porta alle loro spalle cigola e un corpo misero, sbrindellato d’anima distrutta si staglia sulla soglia.
-C’è una… speranza?-
John Watson solleva lo sguardo vuoto, senza luce, esausto di troppe lacrime versate. Il viso è scavato, la pelle fragile come carta velina e carne di vecchio. In poche ore pare aver consumato ogni anno di vita rimastogli, ogni respiro sereno della sua esistenza. È stanco, fatto a pezzi, come scultura di vetro caduta e sbriciolatasi infine tra mani troppo rudi per trattare tanta fragilità. La voce è roca, eco lontana di se stessa.
Basta così poco per ridursi a uno spettro? Basta così poco per dimenticare se stessi? Pare di sì, e John ne è la dimostrazione.
-Non c’è speranza, John.-
La voce di Edarion è fredda, perentoria, degna di gelido sovrano. Spezza di forza ogni speranza di John, ogni più piccolo appiglio di sopravvivenza che ancora lo spinge a respirare. Ed è per questo che in reazione all’ultimo affondo definitivo nel cuore già smorto di minuscoli frammenti spezzettati, a John cedono le ginocchia. La schiena si piega, gli occhi si chiudono, il pavimento s’accosta troppo in fretta al volto ormai ingrigito di totale assenza di colori.
Cade, John. Cade nell’abisso.
Cade, John. Cade perché non ha altro in cui sperare.
Cade, John… cade. Ma non tocca terra.
Mani possenti di giovane uomo lo afferrano, coda squamata di violetti riflessi gli cinge la vita in una presa salda, decisa, inamovibile. Quel sostegno non viene a mancare, quel sostegno lo raddrizza con dolcezza antica e senza tempo, gentile di tocchi delicati.
-No.- ringhia una voce, e in quel momento il terreno pare tremare di paurosa contemplazione mentre due identici pezzi d’unica scacchiera si fronteggiano, entrambi avvezzi ad un unico ruolo.
Un raggio di luna piove dall’alto delle vetrate superiori e bagna d’argento una figura alta e slanciata di giovane uomo eretto, fiero come aquila reale. Fissa Edarion con fermezza, il viso alto, la postura rigida e inamovibile. Le sue ali si allargano appena, abbracciando l’ambiente e la giovane ragazza umana al suo fianco.
-Oh, John…-
Molly afferra l’amico, lascia che dolcemente scivoli disteso tra le sue braccia, adagiato al suolo come fragile marionetta già spaccata. Alle sue spalle, Noah continua a fissare Edarion, la coda scudisciante di avvertimento, gli artigli lucenti di minaccia. 
-No.- ripete, ed è una parola definitiva, che s’intride di implacabile potenza. Le ali vibrano di calore, allargandosi appena un altro po’ e spandendo nell’aria un odore familiare di fiori di campo. La sua ombra si dilata, abbraccia quella di Edarion, che accuratamente lo scruta. Fissa il suo volto troppo cresciuto, il petto nudo e palpitante di vita, i jeans che stretti gli fasciano le gambe.
-No.-
Noah lo raggiunge, si ferma. Allarga appena le dita, strette intorno a qualcosa che brilla come stella scesa in terra. All’inizio Edarion pensa che si tratti di una squama baciata dalla luce della luna, ma non è così.
Quella pietra è troppo piccola.
Quella pietra è troppo stretta e allungata.
Quella pietra è un pezzo di storia che Edarion aveva ormai dato per disperso.
-Dove hai preso quella?- domanda lentamente, alzandosi in piedi. Scruta Noah in viso, scava alla ricerca di una risposta, ma non trova nulla. Gli occhi dell’altro sono freddi e implacabili, improvvisamente troppo simili a quelli di Sherlock.
Non è un bene.
Edarion vorrebbe indietreggiare, ma un gesto come quello implicherebbe soltanto il suo timore. E lui non può mostrarsi intimorito. È un sovrano, un re del suo tempo… seppur sovrintendente in attesa di un re che non tornerà mai. In attesa di un figlio, in attesa di un morto.
-Mi è stata data da chi di diritto.- dice Noah, e in quelle parole implica qualcosa di troppo grosso, qualcosa di orribile che rischia di spezzare Edarion lì davanti agli occhi di tutti. Se è vero ciò che dice…
-Perché?- mormora, vibrante di dolore. –Perché Sherlock avrebbe dovuto…-
-Devo davvero spiegarti ciò che hai già capito da solo, Edarion?- Noah inclina il capo, mentre alle sue spalle lentamente John solleva il capo e due grandi lacrime sgusciano lungo il viso. Dove trova la forza di piangere ancora? Non lo sa nemmeno lui. -Sherlock… sapeva?-
Noah annuisce. –Ha sempre saputo, John. Tu lo conoscevi, sapevi anche tu in fondo al cuore. C’è sempre stata una cosa di cui Sherlock era certo… tutto muta nella storia e nelle vite di coloro che ne fanno parte. Lui ha affrontato il suo cambiamento, e così come al luna muore ogni giorno per poter permettere al sole di sorgere, così Sherlock ha disposto a sua volta la nascita di una nuova alba. Non è così sprovveduto, non è così stupido. Nulla è lasciato al caso.-
Noah si raddrizza, avanza ancora fino a portarsi faccia a faccia con Edarion. Leva una mano, lascia che lo splendore della pietra si rifletta sul suo volto improvvisamente esangue, prostrato, come schiavo in presenza del padrone.
-Sherlock mi ha lasciato il comando, e tu dunque farai lo stesso.-
Edarion china il capo e la schiena, le ali s’abbassano impotenti, la coda s’immobilizza ancorata al terreno. Indietreggia di un passo, allontanandosi da Noah come fragile creatura ferita. È un confronto animale, il fronteggiarsi di due possenti alfa. Il mondo intero fremerebbe dinanzi al loro scontro, ma qualcosa mormora all’orecchio dei presenti che Noah non perderebbe una lotta contro Edarion, padre di Sherlock Holmes.
Dunque, ormai è decisione ben diversa quella dell’uomo che adesso indossa la corona: farsi da parte o morire. E Noah lo ucciderebbe davvero, perché il volere di Sherlock lo spingerebbe a farlo.
-Non ho mai compreso il volere di mio figlio.- mormora allora. –Forse non l’ho mai neanche conosciuto davvero.-
E così, innanzi agli occhi stralunati di John, Molly e Mycroft, qualcosa finalmente cambia. Edarion s’inginocchia, depone la corona, china il capo. Semplicemente, decide di arrendersi e vivere. Attende in silenzio, aspetta che la corona gli venga sottratta dal capo, ma ciò non accade. Noah stringe la pietra, si volta verso la finestra aperta, dalla quale filtra un candido profumo di vento e umidità. Appoggia le mani al davanzale, fissa l’orizzonte. Poi, infine, si volta verso i presenti e sorride.
-Le cose stanno per cambiare. Sherlock ci aspetta e se c’è ancora una speranza per tutti noi e per lui… è giusto che sia io a prendere il comando. Mia è la decisione, mie sono le scelte che vi faranno avanzare o retrocedere da qui in avanti. E io dico che andremo a nord, perché questo è l’ultimo volere di mio padre.-
 
Angolo dell’autrice:
Ebbene, eccoci col nuovo capitolo. Non ho molto tempo perché purtroppo i corsi mi stanno risucchiando l’energia vitale e a breve credo che comincerò a strafarmi di cerotti come Sherlock… solo che i cerotti saranno al caffè.
Dunque, mi sembra d’obbligo scusarmi per il leggero ritardo. Però… Sherlock, smettila di fare paracadutismo dal tetto di casa! I vicini si lamentano!
Ehm… dicevo? Ah, sì! Ringrazio di cuore coloro che hanno reso possibile il continuo di questa storia con le loro pazienti recensioni, capitolo dopo capitolo, esternando un entusiasmo commovente che non sarei mai riuscita ad aspettarmi. Grazie di cuore a:
Kcolrehs_41175 (smettila di cambiare nomeee!!!!)
Sonia_0911
Fatelfay
Luna moontzuzu
Grazie di cuore, draghetti recensori! E a presto!

Tomi Dark Angel

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Tomi Dark angel