3.
Elena D'Amico
Elena
cercò di rimanere sveglia nonostante le parole della
professoressa
Agosti fungessero per lei da sonnifero.
La notte precedente, come
tutte quelle venute prima nell’arco di un mese,
l’aveva passata
insonne: Juliette, che lei considerava una piccola dittatrice, aveva
giurato che non le avrebbe fatto chiudere occhio fino a quando non
fosse riuscita almeno a ripetere parola per parola la definizione di
“complementare”.
Elena avrebbe tanto voluto dirle che due ore di
sonno avrebbero fatto miracoli sulla sua concentrazione, ma la
verità
era che aveva una paura immane ad aprire bocca se lei si trovava
anche a soli dieci metri di distanza;
Juliette avrebbe messo paura
persino ad un orso e lei non era mai stata particolarmente
coraggiosa, aveva sempre preferito mandare in avanscoperta gli altri
per poi decidere se intervenire o no. Alcuni avrebbero potuto
considerarla subdola, lei personalmente preferiva i termini
intelligente e assennata.
Si costrinse a prendere almeno qualche
appunto su Russell, giusto per riuscire a capire qualcosa quando
sarebbe andata a studiarlo, ma la sua coscienza non voleva proprio
lasciarla in pace. Gli si ripresentava spesso in mente
l’immagine
della ragazzina che era arrivata a scuola il suo stesso giorno,
accasciata sul pavimento in preda agli attacchi di panico.
E pensare
che aveva anche provato ad avvertirla per permetterle una via di
fuga, sebbene sfuggire a chi ha l’abilità, ma
soprattutto
l’ordine, di ritrovarti anche in capo al mondo, sia
inutile.
Aveva
visto il panico nei suoi occhi color ghiaccio, ed aveva capito che
sarebbe stata spacciata. Elena era una delle poche fortunate ad aver
sempre saputo cosa realmente fosse, da dove provenisse la sete di
sangue che molto spesso le attanagliava le viscere, eppure non aveva
mai fatto nulla per cercare di sviluppare i propri poteri, anzi,
aveva sempre cercato di sfuggire al loro controllo, riuscendo ogni
volta nel suo intento. Almeno fino a quando si era ritrovata
accerchiata da tre della sua specie, solo molto più
addestrati, ma
soprattutto infinitamente più potenti di lei. Per lo meno
due lo
erano, i gemelli glaciali, Juliette e Yannick, che si trovavano al
banco dietro di lei, impegnati in una conversazione fatta soprattutto
di sibili, inudibile a qualsiasi orecchio umano, ma non alle sue, che
avevano sempre saputo cogliere anche i minimi rumori fin
dall’infanzia.
Le sembrava che quei due ragazzi fossero
indistruttibili, quasi come se non avessero avuto bisogni umani come
mangiare o dormire. Le mettevano addosso una sensazione d’
inquietudine non indifferente. Da quello che aveva capito si
trovavano al culmine della gerarchia, sia per discendenza che per
potenzialità, e quasi tutti i loro coetanei del mondo
segreto
provavano un timore referenziale nei loro confronti. Quando
suonò la
campanella fu la prima a mettere giù la penna e ad
alzarsi.
Scrisse
i compiti velocemente, poi si catapultò fuori dalla classe
prima che
i suoi demoniaci carcerieri avessero il tempo di seguirla. Fu tutto
inutile, due secondi più tardi Juliette la prese
sottobraccio
ridacchiando e scuotendo la testa, quasi come se avesse saputo che
nessuno sarebbe riuscito a sfuggirle.
Improvvisamente si fece
coraggio e le pose una domanda.
-Juliette,
che ne è stato della ragazzina del mese scorso?- le
sussurrò, e
vide l’altra stringere i denti, irritata.
-E’
tornata a scuola dopo essere rimasta due giorni a casa- rispose,
nascondendo la rabbia dietro un ghigno divertito.
–Se ti va possiamo
andare a farle un saluto, sta proprio venendo verso di noi-.
Elena
aveva voglia di scuotere il capo, e allontanarsi, il senso di colpa
per il mancato soccorso le stava chiudendo la gola.
La ragazzina le
sorpassò senza dare segni di essersi accorta della loro
presenza,
come unico segnale Elena notò l’acceleramento del
passo. Juliette
aggrottò la fronte, quasi stupida del fatto che la ragazzina
non
avesse avuto nessun malore.
La sentì borbottare, troppo piano
persino per le sue orecchie, riuscì a cogliere solamente
poche
parole: “ Non va come avevo pensato”.
Probabilmente aveva pensato
che fosse il suo specchio, ma ovviamente non era così. Si
sentì
leggermente rincuorata nel constatare che anche Juliette potesse
sbagliare.
-Elena,
hai finito di leggere almeno il primo dei libri che ti ho prestato?-
le chiese Juliette, di nuovo con il suo solito tono disinteressato,
anche se ovviamente era una finzione: quando Juliette non provava
interesse per un argomento, non si fermava a chiedere delucidazioni,
l’aveva imparato a proprie spese.
-Mi
manca solamente un capitolo, ho intenzione di chiuderlo questa sera e
magari iniziare a provare a leggere il secondo volume- rispose,
cercando di non far trasparire nella sua voce alcuna nota di
indecisione.
-Perfetto.
Ma vedi di tener fede ai tuoi programmi- era distratta, Elena se ne
accorse subito, infatti dopo pochi minuti le chiese di scusarla e si
allontanò, diretta verso la sua classe, molto probabilmente
cercando
il fratello.
Elena rimase in corridoio, lo sguardo perso verso il
cortile della scuola, pullulante di ragazzi, fissandoli senza
realmente vederli.
***
Quando
suonò la campanella dell’ultima ora Elena
saltò su dalla sedia
immediatamente, consegnò il compito finito ed disordinato,
mise
apposto lo zaino ed uscì nella calca del corridoio.
Rischiò quasi
di finire addosso a due ragazze che passavano in quel momento davanti
alla porta della sua classe.
Mormorò uno “Scusatemi” ed
imboccò
velocemente la porta delle scale.
Uscì dall’istituto e si affrettò
a scendere le scale della metro, strisciò la tessera
magnetica
sull’obliteratrice, attese che e scale mobili la portassero
alla
banchina e si mise ad aspettare il treno, sperando che la sua
aguzzina non decidesse di seguirla anche lì. Quando
finalmente il
treno arrivò, dopo cinque minuti, tirò un lungo
sospiro di sollievo
ed entrò.
Per una volta fu fortunata, trovando il posto a sedere,
cosa rara all’ora di punta.
Chiuse gli occhi e spinse la testa
all’indietro, appoggiandola al vetro freddo del finestrino,
intorno
a lei il chiacchiericcio degli studenti appena usciti da scuola e la
voce meccanica che annunciava le varie fermate.
Dopo Lucio Sestio si
accorse che il chiacchiericcio, come al solito, era notevolmente
diminuito. Sentì il cellulare vibrare, lo estrasse dalla
tasca e
rispose.
-Elena,
sono Matteo- disse il suo fratello adottivo –Dove sei?-.
-Ho
appena lasciato cinecittà, sto arrivando ad Anagnina-
rispose,
sperando che non fosse successo niente di brutto visto il tono di
voce stranamente serio del fratello.
-Io
sono ad Anagnina, ti vengo a prendere così ti eviti
l’autobus-.
Elena quasi si commosse per la gentilezza che ogni volta quel
ragazzo, che conosceva solo da pochi mesi, dimostrava nei suoi
confronti. Non era abituata a persone che si prendessero cura di
lei.
Fin da quando era piccola aveva sempre dovuto fare tutto da sola.
-Ok.
Grazie mille, a dopo- borbottò e chiuse la chiamata,
inserendo gli
auricolari e facendo partire il lettore musicale.
Sorrise quando
nelle orecchie le risuonò il falsetto di Axl Rose, il
cantante dei
Guns ‘n roses, che diceva di non piangere.
Avevano lo stesso scopo,
anche se per motivi differenti.
Arrivò
ad Anagnina, il capolinea della metro, pochi secondi dopo, si
inserì
in mezzo alle persone che come lei cercavano di raggiungere
l’uscita
e salì al capoluogo degli autobus, dove vide la nuova Toyota
Yaris
color grigio fumo di Matteo, faceva pendant con il cielo che
prometteva un violento temporale.
Entrando nell’abitacolo venne
invasa dal calore, sorrise pensando che ad Aprile a Roma solamente
Matteo avesse il coraggio di tenere acceso il riscaldamento.
-Ciao,
come è andato il compito?-.
Elena sbuffò, parlare di matematica con
un fratello che si era appena laureato in ingegneria la faceva
sentire più ignorante in materia di quanto realmente non
fosse.
-Era
un compito di matematica, sarà il solito sei striminzito-
biascicò,
togliendosi la giacca poiché aveva iniziato a sudare.
–Piuttosto
tu che ne sapevi del mio compito?- gli chiese, incuriosita.
-Diciamo
che se vuoi tenere segreta una cosa dovresti evitare di appendere i
post-it sul frigorifero- le rispose ridacchiando.
Elena si chiese per
quale motivo madre natura avesse dovuto farla nascere così
tonta da
non ricordarsi di levare la prova del reato -perché per lei
la
matematica era un reato punibile con la pena di morte-.
-Dimmi
che Vanessa ed Emanuele non l’hanno visto, ti prego- lo
implorò,
facendolo ridere di gusto.
-Ci
ho pensato io a levarlo, tanto tu il voto glielo dirai lo stesso!- le
rispose.
Elena pensò che glielo avrebbe detto se non fosse sceso
sotto lo zero.
In tal caso avrebbe evitato.
-Vedremo-
lo sfidò con falsa sicurezza, poi alzò il volume
della radio e mise
fine alla conversazione.
Si sentiva stanca, quasi come se stesse
covando l’influenza.
Probabilmente era a causa del tempo.
Rabbrividì quando pensò che aveva davanti un
pomeriggio sui libri
ed una nottata a casa di Juliette su altri libri.
Fortunatamente
Emanuele faceva parte della congrega e di conseguenza era al corrente
di cosa combinava lei di notte, Vanessa sapeva come stavano le cose,
quindi non si preoccupava quando rincasava alle quattro di mattina,
appena in tempo per stendersi sul letto e far riposare la schiena un
paio d’ore per poi alzarsi e ricominciare la giornata.
Non
vedeva l’ora di finire l’addestramento.
Eccoci qui eccoci qui eccoci quiiiiiiiii!!! *si inginocchia e manda baci ovunque* ragazzi e ragazze, fancuilli e via dicendo, sono BennyloveAstral, Tecnica nonché Beta Reader delle autrici di questa stora *èleilaveraprotagonista*:) sono davvero contenta di sapere che la storia vi incuriosisce e vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito e dare loro le mie più sincere cong...
MOMY: BENDETTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
BENNY: O.O
MOMY: ORA TI UCCIDO IN MODO LENTO E DOLOROSO! LA STORIA E' MIA E DI ALE, ESIBIZIONISTA DA STRAPAZZO!
ALE: Moca, calmati. Spaventi i lettori.
MOMY: Sì, lo so hai ragione...MA MI MANDA AI MATTI! -.-" Comunque, davvero grazie mille a tutti coloro che hanno recensito e che leggono questa storia, siete davvero i migliori *-*
ALE: Approvo.
MOMY: ^-^ a presto!
ALE: E comunque Moca la presentazione di Benni non era così male...
BENNY: *fa la linguaccia a Momy e le tira una crostata in faccia*
MOMY: ARGH! *rincorre Benny con in mano una mazza e istinti omicidi*
ALE: Ops.