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Autore: 1rebeccam    20/10/2014    12 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 48
 

Scostò la testa di poco e il cellulare gli scivolò sotto la spalla. Rimase a guardare il soffitto qualche secondo, senza chiamare nessuno. Voleva un attimo di silenzio, soprattutto in quel cervello che continuava a pulsare producendo nelle sue orecchie un rimbombo insopportabile. Osservò con attenzione il soffitto bianco e si immedesimò in un punto a destra della plafoniera spenta. Nonostante la camera fosse nella penombra, notò la macchia scura che aveva la forma di una corona, almeno per come riusciva a vederla lui dalla sua prospettiva. Rimase ad osservarla concentrato e per un attimo riuscì a non sentire il dolore che pungolava ogni parte del suo corpo. Continuò a fissarla stringendo le labbra. La pace fittizia che c’era intorno a lui, faceva a botte con la rabbia che sentiva dentro da parecchie ore. Quello che provava non era paura, non era depressione e nemmeno sconforto. Era arrabbiato, così arrabbiato che se ne avesse avuto modo, avrebbe distrutto tutto quello che lo circondava.
Per curiosità innata e per deformazione professionale era sempre pronto a cercare la storia, andare a ritroso alla fonte del perché una cosa accade o una persona si comporta in un determinato modo anziché in un altro. La storia. Quella che cercava di raccontare dettagliatamente dietro ogni personaggio che immaginava nei suoi racconti. Quella stessa storia che lo aveva indotto ad interessarsi alla Beckett che nessuno doveva conoscere. Ma in quel momento non gli interessava conoscere la storia di Scott Dunn, non gli interessava capire se qualcosa in lui era sbagliata fin dalla nascita o se il suo comportamento fosse colpa di altri. Non gli interessava. Dunn aveva fatto male a troppa gente e lui era solo arrabbiato. Se lo avesse avuto davanti, avrebbe stritolato il suo assassino a mani nude e niente e nessuno, nemmeno la sua forza, lo avrebbe fermato. Invece Scott Dunn gli aveva tolto anche questa soddisfazione: stringere i pugni per la rabbia e buttare all’aria tutto.
Digrignò la mascella, con l’intento di spegnere il cervello e le sue elucubrazioni. Desiderava solo dormire e non pensare più. Chiuse gli occhi distogliendoli da quella corona improvvisata sul soffitto e il dolore tornò prepotente a fargli compagnia. Sollevò di poco la testa, cercando di reprimere le fitte e quando la porta si aprì di scatto, ringraziò il cielo che il suo angelo custode fosse sempre pronto ad intervenire al momento giusto.
S’irrigidì improvvisamente per il dolore, stringendo gli occhi e le labbra, prima di riaprirle velocemente per boccheggiare aria. Il monitor ricominciò ad emettere il suo bip continuo e veloce per il battito irregolare del cuore e le pulsazioni salirono d’intensità in pochi attimi. Il dottor Travis si affrettò a dargli l’ossigeno, tenendo premuta la mascherina sul suo viso. Lo sollevò di poco mettendogli un braccio dietro la nuca. Senza dire nulla, aspettò che la crisi si calmasse.
Quei pochi secondi gli sembrarono un’eternità.
Piano l’ossigeno fece il suo effetto. Il battito cardiaco si normalizzò e le pulsazioni calarono leggermente. Solo il respiro continuò ad essere pesante, il suo torace rumoreggiava ad ogni inspirazione. Era cosciente, ma stremato, tanto da non avere la forza di riaprire gli occhi immediatamente. Ben gli sistemò con cura la testa sul cuscino, asciugandogli la fronte con il panno umido, armeggiò ancora una volta con un flaconcino ed una siringa, diluendo un calmante insieme alla medicina dentro la flebo. Solo allora Rick aprì gli occhi. Mosse la testa dando ad intendere che non voleva più l’ossigeno e quando il dottore scostò la mascherina, rimasero a guardarsi per un paio di secondi. Interminabili.
-S… sono al li… mite…-
Balbettò senza fiato e Ben annuì, digrignando la mascella.
-Ho parlato con Claire poco fa, sanno di che sostanza si tratta, devono solo trovare le dosi precise… ci siamo quasi.-
Nel suo cuore era consapevole di quanto quella frase non significasse nulla, ma non sapeva più come alleviargli il dolore o confortarlo. Si accorse del telefono che era scivolato al bordo del letto e, con noncuranza, lo prese e lo appoggiò sul comodino. Rick seguì quel semplice movimento sentendo dentro una strana sensazione, come se gli avessero strappato l’ultima possibilità di tenere Kate vicina a sè.
Chiuse gli occhi respirando pesantemente, i rumori si quietarono improvvisamente e anche il dolore sparì come d’incanto.
Il dottor Travis sistemò la velocità della flebo e gli mise di nuovo la mascherina dell’ossigeno per farlo riposare meglio.
Sollevò lo sguardo verso la veneziana semi chiusa che copriva la finestra che dava sul corridoio, ed intravide Alexis che guardava suo padre con gli occhi colmi di lacrime.
Uscì osservando il profilo di quella giovane donna, che si contorceva le dita per evitare di urlare la sua disperazione.
-E’ più rapido di quanto si pensasse…-
Quel sussurro lo costrinse ad un respiro profondo che gli permettesse di riappropriarsi della sua professionalità fredda e distaccata.
-Rick è un uomo forte, ma l’azione della tossina sui polmoni è devastante. Purtroppo a questo punto, senza l’antidoto non posso fare altro che sedarlo per alleviargli il dolore. Ha bisogno di riposare.-
Alexis annuì guardando il medico dritto negli occhi. Sentì tensione e disagio nelle sue parole.
-Grazie dottor Travis!-
Gli disse piano e quando lo vide corrucciare la fronte, gli mise la mano sul braccio e gli sorrise sinceramente.
-Per non averlo lasciato solo nemmeno un momento e perché non è il paziente, ma solo Rick… Grazie!-
 
La piccola sorrise sdentata arricciando il nasino sul visetto paffuto e dolcissimo.
I suoi occhi azzurri luccicavano dietro quella risata divertita e si sentì vivo. 
La guardò puntare i piedini nella culla come a volersi dare una spinta per alzarsi, mentre gorgheggiava felice e sventolava le manine in alto per afferrare quel sonaglino che, dondolando sopra la sua testa, riproduceva un suono simile a piccole campanelle che si urtano tra loro, confondendosi con le sue urla gioiose.
Rise divertito anche lui quando, non riuscendo a stringere tra le manine il giochino, quell’esserino minuscolo e profumato, si aggrappò ai suoi piedini accartocciandosi su se stessa e continuando a ridere contenta…
Stringe gli occhi, scuotendo leggermente la testa quando il visino sorridente della sua piccola zucca sparisce dalla sua mente, mentre il suono del sonaglino, stranamente, continua a risuonargli nelle orecchie.
Muove le pupille sotto le palpebre ermeticamente chiuse, fatica ad aprirle e non riesce a capire cosa sia quel tintinnio che continua a sentire, nonostante il suo sogno meraviglioso e pieno di vita, sia purtroppo sfumato.
La frescura sulla fronte gli fa rilassare il viso. Stropiccia gli occhi, socchiudendoli di poco. Non riesce a mettere a fuoco, ma il tintinnio persiste. Chiude ancora gli occhi, sospira rendendosi conto di rilasciare l’aria dentro la mascherina che gli ricopre naso e bocca e si sforza di svegliarsi. L’ombra sfocata si concretizza piano piano in una sfumatura di colore arancio spruzzato di verde. Piccole zucche d’oro smaltato si scontrano tra loro, tintinnando leggermente; un rumore quasi inesistente adesso che lo ha individuato, ma che le sue orecchie sentivano amplificato nel suo sogno insieme al suono del sonaglino.
-Zuc… che…-
Sussurra seguendo il tintinnio del braccialetto che ha regalato ad Alexis. Mormora ancora qualcosa e la ragazza scosta la mascherina per permettergli di parlare.
-Mi rendo conto… solo ora… che è un braccialetto da… da bambina…-
-Quindi è perfetto per me!-
Esclama lei sorridendo.
-E’ il tuo subconscio che ti guida papà, sarò sempre la tua bambina e questo sarà il mio marchio a vita!-
 Continua muovendo il polso facendo dondolare le piccole zucche a mezz’aria, ma lui scuote di poco la testa.
-Non… dovresti essere… qui!-
Alexis torna seria, come l’espressione impressa sul viso stanco di suo padre.
-Ah no?! E dove dovrei essere?-
Lui chiude gli occhi inspirando profondamente, per riuscire ad avere il fiato necessario per parlare.
-In Europa… per esempio!-
Alexis annuisce e gli si avvicina seria.
-A questo proposito, sappi che quando sarai fuori di qui prosciugherò la tua carta di credito. Altro che Europa. Mi devi un giro del mondo in piena regola.-
Con questa uscita riesce a farlo sorridere. Solleva la testa, chiudendo gli occhi per lo sforzo di recuperare un altro respiro.
-Mi sembra giusto!-
Alexis appoggia la testa sul cuscino, attaccando il viso alla sua fronte.
-Potremmo farlo insieme. Sai da quanto non facciamo un viaggio insieme, tu ed io?!-
Rick sospira.
-Mi spiace… zucca. Ti ho trascurata… un po’ negli ultimi tempi…-
Il movimento della testa di Alexis lo blocca, mentre anche lei sospira.
-Non mi hai mai trascurata papà, siamo solo cresciuti tutti e due, prendendoci la libertà di avere altri interessi.-
Restano in silenzio un paio di secondi e Alexis, senza muoversi da quell’abbraccio improvvisato, gli stringe la mano.
-Oppure potremmo andare in un posto tranquillo dove puoi riposare e passare la convalescenza. Lontano da tutto e da tutti.  Gli Hamptons sarebbero perfetti. Il rumore del mare, il suo profumo, la brezza ed il sole…-
Rick sorride, beandosi della stretta di sua figlia.
-Siamo partiti per il giro del mondo per… per arrivare negli Hamptons?-
Le chiede divertito e lei annuisce, sempre attaccata a lui.
-Si, una vacanza nella casa degli Hamptons. Tu, io e Beckett…-
Lascia in sospeso la frase e si solleva a guardarlo, continuando a stringergli la mano, mentre nota la sua espressione stupita.
-Mi piacerebbe conoscere Kate come tua compagna, passare un po’ di tempo insieme, parlare di noi… insomma, capire come sarà questa nuova famiglia…-
Rick sente un nodo in gola e respirare diventa sempre più faticoso. Alexis ha gli occhi lucidi e un sorriso dolcissimo sulle labbra.
-…credi che le farebbe piacere?-
Gli chiede in un sussurro, cercando di non mostrare la tensione che sente per la paura di perderlo.
-Certo… che le farebbe piacere.-
Lei sorride ancora, i suoi occhi brillano come in quel sogno, che non era altro che una scena vissuta parecchi anni prima, mentre la sua piccola zucca cercava di acchiappare il sonaglino che le aveva appena comprato e che suonava sopra la sua testa.
-Comunque io resto con voi solo qualche giorno, poi parto per il giro del mondo e vi lascio soli!-
Esclama facendogli l’occhiolino con l’intento di farlo ridere, ma lui deglutisce, travolto ancora una volta dall’emozione. Vorrebbe abbracciarla e stringerla, ma la tossina gl’impedisce anche questo.
-Ti… voglio bene!-
Sussurra pianissimo ed Alexis si accoccola ancora accanto a lui cingendolo con il braccio, lasciando andare le piccole zucche smaltate sul suo collo.
-Anch’io ti voglio bene, papà!-
Quell’abbraccio dovrebbe renderlo felice, invece sente la rabbia riaffiorare e i respiri diventano corti e veloci.
Alexis si solleva di colpo guardandolo spaventata, quando il monitor ricomincia la sua corsa sfrenata di bip e linee in movimento.
-Ch… chiama… Kate!-
Sussurra lui stringendo gli occhi per il dolore, mentre Alexis scuote la testa, ma lui riesce a stringere la mano sulla sua.
-Chia… ma Kate… non c’è più… tempo…-
 
La sagoma del Blue Motel si staglia come un’ombra spettrale tra le luci intermittenti delle auto della polizia.
Sono ormai le undici di sera e il buio avvolge quella zona periferica e malfamata, dove i lampioni sembrano essere dei ferri vecchi che soffrono per le ferite inferte alle lampade rotte infrante ai loro piedi.
Oltre la luce tenue di un paio di lettere dell’insegna al neon, non c’è altra illuminazione sulla strada.
La facciata lascia intravedere, sul colore blu scrostato che in origine doveva avere ispirato il nome del motel, aloni di scritte e disegni volgari che qualcuno ha cercato, con poco successo, di cancellare. Il perimetro esterno attorno alla porta d’entrata è recintato dal familiare nastro giallo che delimita le scene del crimine. Il resto del caseggiato è completamente al buio, nessuna finestra illuminata e nessuna forma di vita ai piani superiori.
Durante il tragitto Kate si è chiusa in un silenzio totale. Non conosce ancora i dettagli dell’omicidio, ma quelle lettere di sangue sul muro non lasciano dubbi: la vittima è un regalo per lei e il suo spettacolo in TV. Dunn non ha perso tempo a rispondere al gioco con una nuova mossa. Si è ritrovata a spostare lo sguardo dallo specchietto retrovisore, che le mostrava Ryan ed Esposito intenti a seguirla, al profilo duro della Gates che guardava avanti impassibile, seduta accanto a lei su quel sedile che negli ultimi anni ha dato ospitalità soltanto al suo scrittore. Sguardi attenti e silenziosi che probabilmente portano ad immaginare lettere impresse col sangue su una scialba parete di uno scialbo motel su una statale buia e poco trafficata.
Una strada adesso bloccata soltanto dalle auto della polizia e, stranamente, nessun curioso.
-In questa zona bazzicano solo drogati, prostitute e gente che vuole nascondersi… e al momento opportuno spariscono tutti.-
Come se avesse intuito i loro pensieri, il tenente Drejuss si presenta con questa spiegazione. Porge la mano ad ognuno e solleva le spalle.
-Per questo non ci sono curiosi in giro e nemmeno testimoni.-
Fa un cenno con la testa verso l’edificio.
-Non c’è nessun ospite al momento e vista la zona, se l’assassino non fosse egocentrico, avremmo scoperto il cadavere solo tra qualche giorno.-
-Che significa se l’assassino non fosse egocentrico?-
Chiede la Gates mentre Drejuss solleva il nastro giallo per consentire loro di passare.
-Che Dunn ha telefonato alla polizia per farsi bello!-
Esclama Kate attirandosi gli sguardi di tutti addosso e il tenente Drejuss annuisce.
-Esatto. Un uomo ha chiamato circa quaranta minuti fa al distretto di zona, dicendo di avere tinteggiato di rosso sangue il  Blue Motel. Quando ho visto la scena del crimine ho capito che si trattava di Dunn e ho contattato il vostro distretto.-
Lascia spazio ai colleghi facendoli entrare nella hall prima di lui.
Il cadavere è sistemato su una sedia da ufficio, di quelle con le ruote, spostata al centro della stanza. La testa rivolta all’indietro, gli occhi spalancati, uno dei quali con un lungo taglio che va dalla fronte alla guancia. Un taglio simile gli deforma la bocca e uno squarcio  in lunghezza va dal torace al basso ventre.
-Non ho fatto toccare nulla, volevo vedeste la scena intatta, però ad una prima occhiata, il medico legale afferma che è morto circa tre ore fa. Si è preso tutto il tempo che ha voluto per sistemarlo come più gli è piaciuto...-
Volge lo sguardo sulla parete dietro il bancone della reception e il silenzio s’impadronisce della stanza per qualche istante.
-Quando al telefono mi ha detto che aveva scritto con il sangue il nome di Nikki a caratteri cubitali, non credevo che fossero davvero così… cubitali!-
Esclama Esposito a bocca aperta. Gli occhi di tutti sono puntati su quelle lettere enormi, sbavate per il sangue fresco che gocciolava mentre le mani di Dunn componevano l’opera.
-Già… ne ho viste tante in questi anni alla omicidi, ma quando mi sono trovato davanti tutto questo, ammetto che mi ha fatto senso lo stesso.-
Il tenente Drejuss si avvicina al cadavere puntando il dito verso il pavimento.
-E’ morto sul colpo per lo squarcio allo stomaco, ma si è dissanguato lentamente. L’assassino ha intriso le mani nel sangue usandolo come colore a tempera, prima che si essiccasse.-
Dice indicando le strisce lasciate dalle dita sul pavimento mentre ruotava le mani nella pozza di sangue.
Kate è rimasta ferma a contemplare le lettere rosse grandi e sbavate. Solo dopo, senza quasi ascoltare più Drejuss, si avvicina al cadavere, abbassandosi ad osservarlo attentamente.
Non lo ha solo ucciso, ha infierito su di lui. I tagli sull’occhio e sulle labbra sono segni rabbiosi, non improvvisi ma calcolati, come l’enorme ferita allo stomaco. Per ucciderlo bastava infilzarlo con il coltello, ma tagliuzzarlo in quel modo gli ha dato soddisfazione.
Resti di carta strappata sono sparsi per tutto il pavimento e la televisione è sintonizzata sul canale della CNN.
-Stava ristampando il suo capitolo, poi ha sentito l’edizione speciale del notiziario…-
Finalmente riprende la facoltà di parlare, mentre sposta lo sguardo dai fogli alla TV.
-…deve aver sentito il sangue montargli alla testa!-
Conclude stringendo le labbra. Drejuss annuisce ancora.
-Si è ripulito nel cortile esterno sul retro, ha lasciato gli abiti imbrattati di sangue e se n’è andato indisturbato.-
Un agente gli consegna una busta di plastica trasparente con dentro un foglio. Drejuss lo ringrazia con un cenno della testa e si avvicina a Kate.
-E si è anche soffermato a scriverle un messaggio e a stamparlo, detective Beckett. Lo ha lasciato in bella vista sul corpo.-
Afferma mentre le consegna il foglio imbustato. Kate scorre le prime parole e digrigna la mascella.
-Vuole farti sentire ancora in colpa e innervosirti per vendicarsi di averlo sputtanato davanti a tutti.-
Sibila tra i denti Esposito avvicinandosi a lei, ma Kate scuote la testa, senza togliere gli occhi dal foglio.
 
Non esaltarti Nikki, lui non è per te.
Non voglio che il suo sangue pesi sulle tue spalle… il sangue di questo essere immondo ed insignificante è solo mio!

 
-Al contrario. Vuole prendersene tutto il merito orgogliosamente!-
Risponde lei leggendo le prime due righe del messaggio. Stringe le labbra scorrendo il resto delle parole nella sua mente, risvegliandosi quando il capitano le mette una mano sulla spalla. Si volta di scatto e la donna le fa un cenno con la testa per invitarla a leggere a voce alta.
 
Era un essere irriverente e sudicio.
Ho avuto l’istinto di ucciderlo due minuti dopo essere entrato in questo tugurio, ma mi sono trattenuto.
Per te. Perché tu sei il mio solo pensiero.
Mi ha deriso, si è preso gioco di me… come hai fatto tu.
Tu però lo hai fatto con classe!
Hai ragione Nikki… è la mia natura.
Mi sono sentito vivo con il suo sangue tra le mani.
Mi ha ricordato perché ho cominciato il tuo libro.
Mi hai sfidato, hai detto di essere pronta.
Lo sono anche io, ma io posso aspettare… tu no!
Il suo ultimo respiro sarà mio comunque…
Non avrai mai il veleno Nikki. Mai!

 
Ryan sbuffa scuotendo la testa, facendo un paio di passi avanti e indietro proprio accanto al cadavere. Kate alza lo sguardo su di lui. La tensione è palpabile, il tempo scorre e sembra che ogni passo avanti li riporti comunque indietro.
-Beckett, stai bene?-
Le chiede Esposito quando si passa la mano sulla fronte.
-Ho solo mal di testa…-
 Fa qualche passo in avanti, continua a massaggiarsi la tempia e chiude gli occhi, cercando di reprimere una vertigine. Sente un peso sul petto che le impedisce di respirare normalmente. Alza lo sguardo sui colleghi, vede le loro labbra muoversi, parlare tra loro, ma nonostante sia a pochi passi, non riesce a capire il discorso.
Il suo ultimo respiro sarà mio comunque… Non avrai mai il veleno Nikki. Mai!
Le voci le giungono ovattate e la vertigine aumenta, causandole la nausea, solo quando Ryan le si avvicina chiamandola più volte, solleva lo sguardo e corruccia la fronte.
-Hai sentito cos’ha detto il tenente Drejuss?-
Lei scuote la testa stordita e confusa.         
-I suoi uomini stanno setacciando la zona e tutto il quartiere, Dunn starà cercando un altro nascondiglio e…-
Lascia la frase in sospeso, quando Kate cammina verso l’uscita senza dargli ascolto.
-Beckett!-
Lei sospira voltandosi verso il capitano che la richiama.
-Fate tutte le ricerche che credete opportune, io devo andare.-
I colleghi la guardano straniti e prima che possa uscire Esposito la prende per il braccio, costringendola a fermarsi.
-Che significa che devi andare? Dove? Che ti prende?-
-In ospedale. Devo andare in ospedale.-
Il suo viso non mostra alcuna emozione.
-Beckett, ascolta…-
Si libera della stretta di Esposito e si volta verso la Gates, portandosi la mano sul petto. La pressione che sente le toglie il fiato.
-Gli ho promesso che ci sarei stata. Devo… devo andare da lui!-
-Santo cielo Kate!-
Cerca di ribattere il collega, ma lei scuote ancora la testa.
-Non c’è più tempo…-
Esce decisa, lasciandoli a guardarsi tra loro sconcertati.
Ryan allarga le braccia verso il collega ed il capitano si sporge dalla porta, osservandola camminare verso la macchina.
-Tenente, può occuparsi lei di tutto?-
Drejuss annuisce e la Gates fa segno ai suoi ragazzi di seguirla.
-Capitano, ma che significa?-
-Che non deve restare sola… qualunque cosa le passi per la testa!-
 
 
‘E’ questo che sei Scott Dunn… un codardo…’
La voce di Nikki dalla radio, lo derise per l’ennesima volta. 
Si era ripulito sul retro del motel, si era lavato con cura alla fontana fuori dai bagni di servizio.
Aveva lasciato gli abiti inzuppati di sangue sull’erba ed era tornato all’interno per prendere la sua roba.
Si era messo a scrivere sul portatile. Con frenesia. Sorridente. 
Aveva stampato il foglio, appuntandolo con dello scotch sul gilet imbottito che teneva caldo il gestore del motel, che non avrebbe più masticato tabacco e infestato del suo puzzo il mondo intero.
Aveva sistemato il portatile nello zaino dopo aver indossato qualcosa di pulito. 
Si era soffermato ad osservare il suo capolavoro. 
L’uomo col tatuaggio sembrava un fantoccio con una maschera al posto del viso.
L’occhio sfregiato e le labbra tagliate in orizzontale gli conferivano un’espressione beffarda.
Lo sguardo rivolto verso l’alto mostrava solo il bianco del bulbo oculare che si era ritirato all’indietro, facendo sparire del tutto le pupille.

Era già livido.
In meno di dieci minuti si era dissanguato e in quei dieci minuti lui aveva usato la sua linfa vitale per abbellire la parete scrostata e sporca alle spalle del bancone.

Aveva guardato verso la televisione a lungo.
Aveva abbassato il sonoro mentre tra la fine del film in onda e la pubblicità, passavano le scritte in sovraimpressione che ricordavano ai telespettatori che pochi minuti prima Nikki aveva sfidato il killer silenzioso.

Sapeva di avere tutto il tempo che voleva.
Nikki era ancora lontana e lui doveva portare a termine la sua trama. 

Adesso più che mai.
Aveva telefonato alla polizia, provando un brivido di eccitazione mentre componeva, con il polpastrello privo d’impronte, il nove uno uno, vantandosi con un agente al centralino del suo lavoro e poi, con lo zaino in spalla e le mani in tasca, si era incamminato. 
Indisturbato. 
Con calma, nel buio della notte, illuminato solo dal chiarore della luna piena, si era diretto a quella che adesso sarebbe stata la sua base. 
Il suo posto tranquillo…
Restò a fissare la luna per parecchio tempo. 
Il cielo era scuro, ma limpido, senza nuvole grigiastre cariche di pioggia, contornato da piccole stelle lucenti che sembrava danzassero attorno a quella palla bianca il cui colore strideva con il nero intorno. 
Restò a fissarla a lungo, mentre le parole dure e cattive di lei uscirono limpide dalla radiolina che aveva preso in prestito dall’uomo tatuato.
Strinse i pugni e la mandibola.
Come aveva potuto deriderlo in quel modo davanti a tutti?
Corrucciò la fronte sempre con gli occhi fissi sulla luna. 
Anche lei sembrava prendersi gioco di lui dall’alto del suo piedistallo. 
Sorrise improvvisamente guardandosi le mani…
Sentiva ancora l’odore del sangue, la sensazione di onnipotenza mentre strofinava il palmo sul quel fluido vitale, che dal corpo della sua vittima finiva sul pavimento ai suoi piedi. 
Fece saltellare in aria le mani come se stesse ancora pitturando. 
Chiuse gli occhi immaginando il rosso vivo che prendeva forma mentre componeva le lettere sulla parete.
Aveva ucciso quell’essere ripugnante per piacere, si era sentito vivo come non gli succedeva da tempo.
E lei doveva saperlo…
Aveva ucciso ancora. 
Non per vendetta. Non per giustizia. Ma solo per piacere. 
Proprio come aveva detto lei. 
Perché Nikki lo conosceva bene, come lui conosceva lei.
Sorrise ancora.
Dopo la sorpresa e la rabbia iniziale per la diretta, dopo avere avuto piacere nel sangue, doveva farle capire che il suo show era stato del tutto inutile… inutile si, perché non l’avrebbe portata a nulla, anzi!
Adesso qualunque fosse stata la sua prossima mossa, non le avrebbe fatto nessuno sconto, non le avrebbe dato nessun aiuto.
Il suo epilogo era uno solo: lo scrittore doveva morire.
‘Vuoi la mia anima? Vieni a prendertela… io sono pronta!’
Sollevò un sopracciglio verso la luna come a volerla sfidare mentre lei lo derideva, scosse la testa e si allontanò dalla finestra rotta.
-No Nikki… tu non sei pronta. Non sei pronta a vederlo morire…-


Angolo di Rebecca:

Quanto è dolce Alexis?! E quanto è indispensabile il nostro Ben!
Rick sta davvero male, ha perfino chiesto di Kate e lei lo percepisce... sente che dve correre da lui...
Dunn dal canto suo è tornato tranquillo. Ha trovato un altro nascondiglio e si prepara "all'epilogo" dello scrittore.
Io mi preparo alla 7x04 "buona fortuna Riccardone, ce ne vuole tanta con le piccole pesti ;)"
  
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